REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CECCHERINI Aldo - Presidente -
Dott. DIDONE Antonio - Consigliere -
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Consigliere -
Dott. CRISTIANO Magda - Consigliere -
Dott. NAZZICONE Loredana - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 14394/2009 proposto da:
C.C., M.A., M.A.M., M.L., M.V., elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA BARBERINI 12, presso l'avvocato PATRONI GRIFFI LEONARDO, che le rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
C.A, M.F., M.P.;
- intimati -
e contro
M.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO EREDIA 12, presso l'avvocato TESTA CARLO, rappresentata e difesa dall'avvocato DARIO TREVISI, giusta procura speciale per Notaio Dott. VINCENZO PAPI di SQUINZANO - Rep. n. 936 del 4.7.2014;
- resistente -
avverso la sentenza n. 282/2008 della CORTE D'APPELLO di LECCE, depositata il 30/04/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/09/2014 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;
udito, per le ricorrenti, l'Avvocato GRAZIOLI PIER FRANCESCO, con delega, che si riporta;
udito, per la resistente, l'Avvocato TREVISI DARIO che si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per l'inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Provvedendo sulle domande proposte da M.N. e dalle figlie A., A.M. e W., volte all'esclusione del fratello del primo, M.At., dalla società di fatto esistente tra le parti, alla liquidazione della quota ed, in subordine, allo scioglimento della società, il Tribunale di Lecce, sezione stralcio, con sentenza non definitiva del 4 febbraio 2005 le respinse e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarò l'esistenza della società di fatto tra i soli M.N. ed A., nonchè quest'ultimo (per esso i suoi eredi) titolare della metà dei beni immobili acquistati con i proventi dell'attività sociale, rimettendo la causa in istruttoria per identificare detti beni.
Con sentenza definitiva del 24 gennaio 2007, il Tribunale dichiarò, quindi, gli eredi di M.At. proprietari della metà dei beni nella titolarità di N., ma risultati acquistati con denaro sociale (l'intero fabbricato sito in _____ all'angolo con via ____, articolato su due piani; il suolo edificatorio all'angolo fra via _____ e via _____; il fondo rustico denominato ______; il camioncino).
La sentenza della Corte d'appello di Lecce del 30 aprile 2008, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha escluso dal trasferimento il primo piano adibito ad abitazioni del fabbricato in ____, il suolo edificatorio ed il fondo rustico siti nel medesimo comune, nonchè l'automezzo.
Infatti, riuniti gli appelli proposti contro la sentenza parziale e definitiva, la corte d'appello, circa la domanda riconvenzionale proposta in primo grado da M.At., volta all'accertamento dell'esistenza fra i due germani di una società di fatto avente ad oggetto il commercio di generi alimentari sin dal 1955, ha ritenuto dimostrato, sulla base delle prove raccolte (numerose testimonianze e documenti) e puntualmente valutate, che sin dagli anni '50 i fratelli svolsero attività ambulante e poi di vendita di generi alimentari.
Con riguardo alla domanda di liquidazione della quota, proposta in via riconvenzionale da M.At., la Corte d'appello ha osservato che non tutti i beni pervenuti nel patrimonio dei germani potessero automaticamente reputarsi - come invece statuito dal Tribunale - come acquistati in nome proprio e per conto della società, ma solo quelli in cui ciò risultasse dall'atto di compravendita: dunque, ha ritenuto che solo per i medesimi potesse affermarsi l'obbligazione del socio di ritrasferirli alla società, ai sensi dell'art. 1706 c.c., comma 2, richiamato dall'art. 2260 c.c..
In tale prospettiva, la sentenza impugnata ha escluso dal patrimonio sociale il fondo ____, acquistato nel 1960 da M. N., includendovi, invece, il suolo edificatorio acquistato dal medesimo nel 1967, sul quale era stato costruito lo stabilimento industriale, adibito al piano terra a sede sociale e deposito.
Viceversa, ha ritenuto non provato che le sovrastanti abitazioni furono costruite per conto della società, nè che per la stessa fu acquistato da M.N. un altro fondo edificatorio destinato alla costruzione di una casa di civile abitazione non di lusso.
Infine, ritenuto che la domanda riconvenzionale menzionava solo gli immobili, ha escluso il trasferimento della metà della proprietà dell'automezzo.
Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione gli eredi di M.N., sulla base di quattro motivi. Non hanno svolto difese gli intimati.

Motivazione

1. - Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la domanda di liquidazione della quota non è mai stata proposta da M.At., avendo questi in primo grado chiesto, in via riconvenzionale, soltanto l'accertamento dell'esistenza di una società di fatto, partecipata nella misura del 50% dai fratelli At. e N., ed il trasferimento in proprio favore della metà dei beni immobili acquistati da N. per conto della società.
Con il secondo motivo, deducono l'omessa e contraddittoria motivazione, nonchè la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1706, 2260 e 2729 c.c., in quanto la corte del merito ha confermato il trasferimento direttamente in favore degli eredi della metà dei beni immobili, e non, invece, disposto il trasferimento in favore della società, pur dopo aver richiamato il principio secondo cui il socio, che acquista in nome proprio e per conto della società personale, è tenuto a ritrasferirle il bene. Inoltre, censurano l'accertamento relativo all'acquisto, per conto della società, del suolo edificatorio ove sorse lo stabilimento industriale, in quanto fondato sull'unico elemento presuntivo della dichiarazione di M.N., al momento dell'acquisto, dell'intenzione appunto di costruirvi lo stabilimento, e sul fatto che il fabbricato fosse stato adibito a magazzino senza pagamento di alcun corrispettivo al formale intestatario.

Con il terzo motivo, lamentano la violazione o la falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte d'appello provveduto anche con riguardo al trasferimento del suolo acquistato nel 1969 e dei sovrastanti edifici, mentre tale domanda non era stata formulata in comparsa di risposta, ove veniva chiesto il trasferimento solo del fondo acquistato nel 1967.

Con il quarto motivo, deducono la violazione o falsa applicazione dell'art. 279 c.p.c., n. 4, in quanto, sebbene la sentenza parziale del tribunale avesse demandato al prosieguo dell'istruttoria l'individuazione dei beni acquistati con i proventi sociali, la corte d'appello ha utilizzato all'uopo presunzioni (ossia, la dichiarazione di M.N. al momento dell'acquisto del suolo e della stipula del contratto di appalto per la costruzione del magazzino; la concessione a titolo gratuito del bene alla società) già esistenti in atti, e ritenute dalla sentenza parziale del tribunale come inidonee a sorreggere una statuizione definitiva.

2. - I primi due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto intimamente connessi, non hanno pregio.
2.1. - Affermano i ricorrenti che il convenuto M.At. in comparsa di risposta aveva chiesto, in via riconvenzionale, soltanto l'accertamento dell'esistenza di una società di fatto, partecipata nella misura del 50% dai fratelli At. e N., ed il trasferimento in proprio favore della metà dei beni immobili acquistati da N. per conto della società, lamentando che la corte d'appello abbia invece provveduto a liquidare la quota.
La sentenza impugnata afferma essere stata proposta la domanda di "liquidazione della quota di pertinenza di At.", ma poi conferma l'attribuzione - operata già dal tribunale - ad Ma.A. della metà dei beni di spettanza della società, così ragionando in realtà in termini di quota di liquidazione, e non di liquidazione della quota; ed anzi, operando l'attribuzione nella contitolarità diretta dei soci dei beni sociali, ha in sostanza ritenuto che la società fosse ormai estinta.
Ciò è confermato dal fatto che la sentenza impugnata mai ha confutato la ricostruzione del giudice di primo grado, ed afferma come "dalla lettura della comparsa di risposta depositata nel corso del giudizio di primo grado da M.At. risulta chiaramente di quali beni immobili egli reclamasse la comproprietà (in sede di liquidazione della società)" (p. 22). Tutta l'ampia motivazione della sentenza d'appello è, poi, volta all'individuazione dei beni di pertinenza del patrimonio sociale, al fine di attribuirne la metà alla diretta comproprietà del socio non acquirente.
Il tribunale, in definitiva, cui ha fatto seguito la corte d'appello, con l'attribuire la proprietà dei beni per la metà direttamente all'altro socio, non intestatario dei medesimi, ha implicitamente considerato la società non solo sciolta, ma ormai estinta, ed i beni e diritti, di pertinenza della stessa, caduti in comproprietà dei soci.
La decisione di provvedere al diretto trasferimento dei beni in favore dell'altro socio, ponendosi dunque in una prospettiva di cessazione dell'ente collettivo, invece che di liquidazione della quota del socio At. (la cui domanda, coerente con i falliti precedenti tentativi di "divisione bonaria", era diretta appunto alla definitiva liquidazione della società), era imputabile al primo giudice e non è stata impugnata con l'appello. Infatti, il secondo motivo di appello censurava l'attribuzione ad At. della metà degli immobili non già perchè At. vantasse solo un credito pecuniario di quota nei confronti della società, ma perchè gli immobili attribuiti non erano di pertinenza della società. La questione non può perciò più farsi valere in questa sede.

Giova peraltro precisare che la detta ricostruzione fa corretta applicazione dei principi secondo cui:
a) occorre tenere distinti i concetti di liquidazione della quota e di quota di liquidazione nelle società personali: la prima derivante dall'uscita a qualunque titolo del socio dalla società, con liquidazione in denaro (art. 2289 c.c.), la seconda conseguenza dello scioglimento dell'ente collettivo e spettante a ciascun socio all'esito della liquidazione, se, dopo il pagamento dei creditori, sussistano beni sociali, che allora potranno essere ripartiti fra i soci anche in natura (art. 2280 c.c., comma 1; art. 2383 c.c.); e, nel rapporto tra i due procedimenti, questa Corte chiarito che tutto dipende dalla cronologia degli eventi (Cass. 27 aprile 2011, n. 9397), onde, ove manchi la prova del perfezionamento della fattispecie relativa allo scioglimento del singolo rapporto sociale, non potrà che verificarsi la seconda evenienza;

b) l'insanabile contrasto fra i soci integra una causa di scioglimento della società ai sensi dell'art. 2272 c.c., n. 2, posto che un tale conflitto non può che condurre alla paralisi della vita sociale e di qualsiasi decisione vitale per l'ente collettivo (Cass. 10 settembre 2004, n. 18243), mentre comunque lo stesso conseguimento dell'oggetto sociale, rispetto ad attività imprenditoriali consistenti in reiterate operazioni produttive e commerciali, è insito nell'abbandono delle operazioni medesime, pacifico e definitivo, di per sè attestante l'esaurimento dei patti costitutivi (Cass. 4 febbraio 1999, n. 959);

c) il procedimento di liquidazione del patrimonio sociale non è indefettibile nelle società personali, potendo, ai sensi dell'art. 2275 c.c., essere evitata la nomina del liquidatore e gestita tale fase direttamente dai soci, mediante l'identificazione delle attività e delle passività sociali, il soddisfacimento dei creditori e la definizione dei rapporti pendenti (Cass. 4 febbraio 1999, n. 959);

d) trattandosi di società personale di fatto, la prolungata cessazione dell'attività d'impresa può palesare l'avvenuta sua estinzione (cfr. Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070);

e) all'estinzione della società segue una situazione di contitolarità fra i soci dei diritti già facenti capo alla società (cfr. ancora Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070: "Il subingresso dei soci nei debiti sociali suggerisce immediatamente che anche nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale venga a determinarsi un analogo meccanismo successorio"; "la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torni ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il sostrato personale. Il fatto che sia mancata la liquidazione di quei beni o di quei diritti, il cui valore economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta soltanto che, sparita la società, s'instauri tra i soci medesimi, ai quali quei diritti o quei beni pertengono, un regime di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della contitolarità o della comunione");

f) il socio-amministratore che per conto della società personale compia negozi giuridici, acquistando beni che intesta a se medesimo, è tenuto a rimettere alla società i beni mobili o immobili oggetto della compravendita; in mancanza, essi non sono parte del patrimonio sociale fin quando, a seguito dell'esercizio dell'azione ex art. 1706 c.c., non sia ottenuto un titolo giudiziale che dichiari o costituisca il diritto di proprietà della società sui medesimi (Cass. 9 marzo 1994, n. 2301) e ciò anche quando un mandato ad acquistare non risulti da atto scritto, avendo il socio amministratore, rispetto agli altri soci (art. 1706, 2257, 2260 c.c.), la veste di mandatario ex lege (Cass. 23 febbraio 1990, n. 1349);

g) lo strumento di tutela previsto dall'art. 2932 c.c., dell'esecuzione specifica dell'obbligo a contrarre è suscettibile di applicazione generale ed, in particolare, nel mandato ad acquistare (fra le altre, Cass. 20 marzo 1982, n. 1814 e 30 maggio 1995, n. 6071; da ultimo, 2 settembre 2013, n. 20051).


Da tali principi, posti fra loro in connessione logica e consequenziale, discende la soluzione del caso di specie, in sostanza seguita dalla sentenza impugnata, e che può essere riassunta nel seguente principio di diritto: "Nell'ipotesi in cui la società si estingua prima che il socio agente abbia operato il ritrasferimento del diritto acquistato in nome proprio e per conto della stessa, la situazione giuridica soggettiva, di natura obbligatoria, vantata dalla società al ritrasferimento del bene, prevista dall'art. 1706 c.c., comma 2, si trasmette in contitolarità a tutti i soci che siano tali al momento dell'estinzione dell'ente. Ne deriva che, accertata la sussistenza di siffatto obbligo traslativo del socio e del corrispondente diritto dei soci rimanenti, il giudice può disporre, ai sensi dell'art. 2932 c.c., direttamente in favore di questi ultimi il trasferimento delle rispettive percentuali di proprietà del bene, il quale diviene in tal modo nella contitolarità di tutti i soci, ivi compreso l'originario intestatario, in capo al quale si riuniscono le qualità di creditore e di debitore, onde l'obbligazione si estingue pro quota ai sensi dell'art. 1253 c.c.".

2.2. - Quanto al lamentato vizio di motivazione circa l'accertato acquisto per conto della società del suolo edificatorio ove sorse lo stabilimento industriale, la censura non ha pregio.
La corte del merito ha fatto corretta applicazione del procedimento presuntivo, in ordine al quale spetta al giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, precisandosi altresì che la censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass. 2 aprile 2009, n. 8023).

Nulla di tutto ciò nel caso in esame, dove la corte del merito ha ampiamente motivato le ragioni, desunte dalle numerose prove testimoniali assunte e dai documenti in atti, per le quali ha ritenuto acquistato con i proventi sociali il fondo edificatorio dove fu costruito l'edificio, adibito nel suo piano terra a magazzino per lo svolgimento dell'attività dell'impresa sociale.

3. - Il terzo motivo è infondato.
Il vizio denunciato non sussiste, avendo il giudice d'appello correttamente ritenuto che ciò che identificava il bene preteso era il fabbricato, oggetto pacificamente della rivendicazione di At.. La circostanza, emersa in sede di consulenza tecnica, che l'immobile insisterebbe in parte sul terreno attiguo acquistato nel 1969 non implica dunque ultrapetizione.
4. - Il quarto motivo è infondato.
Il tribunale, pronunciata la sentenza parziale, ha con ordinanza disposto il prosieguo della causa, al fine di accertare definitivamente quali beni fossero stati acquistati con i proventi sociali. Ha, quindi, disposto una c.t.u. ed assunto prove costituende, all'esito pronunciando la sentenza definitiva di trasferimento, come si è visto parzialmente riformata dalla corte d'appello, che ha ripercorso l'iter del ragionamento probatorio, concludendo per la sussistenza dell'obbligo di ritrasferimento solo con riguardo ad alcuni dei beni acquistati da uno dei soci in nome proprio.
A tal fine, i giudici del merito hanno esposto un adeguato ragionamento, fondato in parte anche su presunzioni derivanti dai documenti in atti prima della pronuncia della sentenza parziale. Tale circostanza, tuttavia, in alcun modo vizia la sentenza impugnata, posto che nessuna norma imponeva al giudice, nel momento in cui era chiamato ad accertare quali fossero i beni da ritrasferire, di tenere presente solo il materiale probatorio formatosi dopo la sentenza parziale: al contrario, era preciso obbligo dei giudici del merito di decidere sulla base di tutte le prove raccolte, ferma restando l'insindacabile valutazione discrezionale circa la forza persuasiva di quel materiale.
5. - Le spese seguono la soccombenza dei ricorrenti nei confronti di M.I., costituitasi in corso di causa con procura speciale notarile. Nulla quanto agli altri intimati, rimasti contumaci.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese di lite in favore di M.I., che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 settembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2014


 

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