Civile Ord. Sez. 6 Num. 8327 Anno 2019
Presidente: GRECO ANTONIO
Relatore: LUCIOTTI LUCIO
Data pubblicazione: 25/03/2019

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22536/2017 R.G. proposto da:
M. R., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall'avv. Giuseppina DELL'AQUILA, presso il cui studio legale sito in Roma, alla via Giovanni Pierluigi da Palestina, n. 48, è elettivamente domiciliato;
- ricorrente -
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall'AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1806/06/2017 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata il 03/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del giorno 16/01/2019 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo

Rilevato che:
— con la sentenza in epigrafe indicata la CFR del Lazio confermava l'avviso di accertamento di un maggior reddito di capitale ai fini IRPEF
emesso dall'Agenzia delle entrate nei confronti del contribuente con riferimento all'anno di imposta 2008 sulla scorta delle risultanze di indagini bancarie, ritenendo inapplicabile al tipo di accertamento, c.d. "a tavolino", condotto nella specie dall'amministrazione finanziaria, il disposto di cui all'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 ed infondato l'appello incidentale proposto dal contribuente in quanto la documentazione dallo stesso prodotta "non appare idonea a superare l'addebito erariale";
— avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l'intimata con controricorso;
— sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

Motivazione

Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione
dell'art. 12, comma 7, legge 212 del 2000, sostenendosi l'applicabilità di tale disposizione al caso di accertamento condotto a tavolino, come quello in esame.

3. Il motivo è manifestamente infondato.
4. Osserva il Collegio che nella fattispecie, in cui è incontestato che l'amministrazione finanziaria abbia espletato un accertamento c.d. "a
tavolino" e, quindi, senza procedere ad accessi, ispezioni, verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio dell'attività commerciale
, difetta il presupposto applicativo della citata disposizione (cfr. ex multis, Cass. n. 27420 e n. 6219 del 2018, n. 3408 del 2017, n. 3142 del 2014, n.13588 del 2014 la quale, peraltro, richiama sul punto il tenore testuale della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18184 del 2013, § 3.1). In senso analogo si è espresso anche il Supremo consesso di questa Corte (v. Cass., Sez. U., n. 24823 del 2015, § IV-1) che ha affermato il principio, che pare opportuno qui ribadire limitatamente ai tributi "non armonizzati", secondo cui "Differentemente dal diritto dell'Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all'Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l'invalidità dell'atto. Ne consegue che, in tema di tributi "non armonizzati",
l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito".

5. Il secondo motivo, incentrato sul difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata, sub specie di motivazione apparente, in violazione di norme processuali (così riqualificato il dedotto error in iudicando — cfr. Cass., Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 26310 del 07/11/2017, Rv. 646419), è fondato e merita accoglimento.
6. Va ricordato che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell'art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell'omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l'iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; l'obbligo del giudice "di specificare le ragioni del suo convincimento", quale "elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale" è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del
1947, in cui la Corte precisò che "l'omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità" e che "le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti" (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).

6.1. Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e che presentano una "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile" (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire "di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l'iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato" (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un "ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo", logico e consequenziale, "a spiegare il risultato cui si perviene sulla res deeidendi" (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).

6.2. Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente — e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo — quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. Li, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

7. Orbene, in tale grave vizio incorre la CFR là dove rigetta l'appello incidentale proposto dal contribuente limitandosi ad affermare che la
documentazione da questo prodotta "non appare idonea a superare l'addebito erariale", omettendo di indicare quale documenti aveva esaminato e le ragioni della loro irrilevanza probatoria.
8. Conclusivamente, quindi, va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo
accolto e causa rinviata alla competente CFR per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 16/01/2019
Pubblicata in data 25.03.2019


 

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