REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo - Presidente -
Dott. ABETE Luigi - Consigliere -
Dott. SCALISI Antonino - Consigliere -
Dott. SCARPA Antonio - Consigliere -
Dott. FALABELLA Massimo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 14195/2011 proposto da:
G.G., L.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. CARONCINI 6, presso lo studio dell'avvocato PENTIMALLI MASSIMO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIAN LORENZO CASTIGLI, GIAN LUCA CASTIGLI;
- ricorrenti -
contro
T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI 44, presso lo studio dell'avvocato AGOSTINO GESSINI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato MARCO SANTONI;
- controricorrente e ric. incidentale -
e contro
T.G., M.G.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 1563/2010 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 04/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2015 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;
udito l'Avvocato CASTIGLI Gianluca, difensore dei ricorrenti che si è riportato agli atti depositati;
udito l'Avvocato SANTONI Marco, difensore del resistente che si è riportato agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l'inammissibilità o, in subordine, rigetto del ricorso principale e per l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 14 giugno 2001 L.R. e G.G. citavano avanti al Tribunale di Arezzo T. G., T.G. e M.G. per sentir dichiarare che i medesimi non avevano il diritto di servitù di passaggio, pedonale o carraio, sul giardino di proprietà di essi attori, contrassegnato dalla particella 752 sub. 1 del catasto di Arezzo, sez. B, foglio 35.
I convenuti si costituivano e proponevano domanda riconvenzionale chiedendo che fosse accertata l'esistenza della servitù sulla particella suddetta per destinazione del padre di famiglia e, in subordine, per usucapione.
Con sentenza del 21 giugno 2005 il Tribunale di Arezzo accoglieva la domanda degli attori e rigettava quella proposta dei convenuti.

La sentenza era impugnata e la Corte di appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 4 novembre 2010, in totale riforma nella pronuncia resa dal tribunale aretino, dichiarava che sulla particella n. 752, in contestazione, gravava, in virtù dell'atto di compravendita del 2 agosto 1982, servitù di passaggio pedonale e carrabile, della larghezza di metri tre, a favore della particella n. 584, di proprietà degli appellanti.
Contro detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione L. e G., articolando l'impugnazione su tredici motivi. T.G. ha depositato controricorso spiegando un ricorso incidentale fondato su un unico motivo. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Motivazione

Per la migliore comprensione delle considerazioni da svolgere si riassume di seguito il contenuto della pronuncia impugnata. La sentenza della Corte di Firenze ha in sintesi osservato: a) T. G., T.G., e M.G. che rivendicano la servitù sulla particella n. 752, sono proprietari del resede, o giardino, antistante il fabbricato di loro abitazione, individuato dalla particella n. 584 e confinante con tale resede o giardino è l'area di proprietà L., particella n. 350; b) su quest'ultima grava una servitù di passaggio costituita con atto pubblico di divisione del 4 aprile 1980 in favore della particella n. 584, la quale, tuttavia, non consente di raggiungere il tratto oggetto della servitù se non attraverso la particella n. 752 che, all'epoca, rimaneva in comune tra i condividenti; c) l'atto di divisione non ha costituito alcuna servitù sulla particella n. 752, sulla quale, comunque, il proprietario dell'epoca della particella n. 584, D.G., poteva transitare in quanto comproprietario della medesima; d) con successivo contratto di compravendita del 2 agosto 1982, D.G. ha ceduto ai T. e M. la proprietà del fondo contrassegnato con la particella n. 584 e nel contratto si è menzionato il passaggio attraverso la particella n. 350, ma si è taciuto di quello sulla particella n. 752; e) il predetto contratto aveva peraltro previsto implicitamente la costituzione della servitù sulla particella in questione, in quanto diversamente il richiamo alla servitù sulla particella n. 350 non avrebbe avuto alcun significato (posto che non risultava possibile, come si è visto, alcun l'accesso al fondo dominante senza il transito per la particella n. 752); f) anche a prescindere da tale origine negoziale del diritto controverso, peraltro, la servitù in questione risulterebbe essersi costituita per destinazione del padre di famiglia, dal momento che l'accesso del venditore D.G. alla particella n. 584 di sua proprietà era, come detto, reso possibile dal passaggio sulla particella n. 752, di cui era comproprietario (sicchè, osserva la corte distrettuale, la destinazione del padre di famiglia si riferirebbe alla quota di sua spettanza della comunione avente ad oggetto detta particella); g) altre due comproprietarie della particella n. 752, al momento di cedere nel 1986 le loro quote, avevano riconosciuto che l'area in questione era gravata di servitù reale e gratuita di passo in favore di terzi, con ciò riconoscendo la preesistenza del diritto di cui qui si controverte; h) d'altro canto, se così non fosse, tale attestazione andrebbe interpretata come manifestazione di volontà intesa alla costituzione volontaria di servitù secondo lo schema del contratto a favore del terzo.

A tale corpo argomentativo risultano opposte, come si è rilevato, tredici censure.

I motivi da 1 a 4 riguardano la proposizione della corte di merito secondo cui la servitù sarebbe stata costituita con il contratto di compravendita del 2 agosto 1982.
Col primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c., per avere la sentenza accertato la costituzione la servitù sulla particella n. 752 in presenza di una clausola contrattuale che limitava detto diritto ad altre particelle (nn. 585 e 350).
Col secondo motivo di impugnazione è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 1059 c.c., per avere la corte territoriale interpretato la norma in modo da ritenere immediatamente costituita con la sola dichiarazione di un comproprietario la servitù di passaggio su di un bene comune e, comunque, possibile la costituzione la servitù a carico della quota indivisa di proprietà.
Col terzo motivo è denunciata omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, consistente nel significato dato dalla corte fiorentina alla compravendita del 1982.
Col quarto motivo di ricorso è lamentata violazione e falsa applicazione dell'art. 1372 c.c., avendo la sentenza impugnata interpretato detto articolo nel senso che il contratto stipulato il 2 agosto 1982 fosse opponibile ai terzi.

I primi tre motivi sono fondati, mentre il quarto può considerarsi assorbito.

Come è noto, l'interpretazione del contratto è attività riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione.

La clausola contrattuale, riprodotta dai ricorrenti all'interno del ricorso, ha il contenuto che segue: "il venditore assicura e garantisce alla parte acquirente e suoi eredi e aventi causa, il diritto di accesso alla parte posteriore del resede rappresentato dalla particella 584 del foglio 35, mediante il diritto di passo con ogni mezzo attraverso i resedi rappresentati dalle particelle 585 e 350 del foglio 35".
La disposizione contrattuale non menziona, dunque, la particella n. 752, della quale si era disinteressato anche l'atto divisionale di due anni prima, con cui venne peraltro costituita la servitù di passaggio sulla particella n. 350.
La corte di merito, come si è visto, ha attribuito, per quanto qui interessa, al contratto di compravendita anche il valore di negozio costitutivo della servitù sulla quota indivisa della particella n. 752: ciò in ragione del fatto che il transito su detta area era necessario per giungere al fondo dell'odierno controricorrente.
Tale opzione ermeneutica non tiene conto del contenuto letterale della pattuizione e della regola che assegna un fondamentale rilievo, nell'attività interpretativa, al significato testuale delle parole e delle espressioni adottate. Si suole affermare, in tema di interpretazione dei contratti, che sia prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole, di cui all'art. 1362 c.c., comma 1, sicchè, quando esso risulti sufficiente, l'operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente, quanto definitivamente, conclusa (ad es. : Cass. 11 marzo 2014, n. 5595; Cass. 23 aprile 2010, n. 9786). Tale principio deve specificarsi nel senso che segue: quando la comune intenzione delle parti risulti chiara attraverso la formulazione delle clausole contrattuali, il giudice non è tenuto a ricorrere a criteri interpretativi sussidiari. In presenza, cioè, di una clausola che, sul piano testuale, è di significato univoco, deve esaminarsi se esistano indici rilevatori di una difforme volontà delle parti e, in caso negativo, deve attribuirsi prevalenza al dato letterale, escludendosi alcuna ulteriore operazione ermeneutica (in tema: Cass. 9 dicembre 2014, n. 25840).

Se può risultare in concreto difficile distinguere le ipotesi in cui il dato letterale è coerente con l'intenzione delle parti da quelli in cui invece non lo è, va segnalato che nella fattispecie oggetto di esame il contratto di compravendita manca del tutto di richiamare - come si è visto - la particella n. 752; e va pure osservato che il menzionato negozio, pur citando la servitù di passaggio sulla particella n. 350, non ne disponga affatto la costituzione. Infatti, quest'ultima servitù, come ricordato dall'odierno ricorrente e rilevato dalla corte di appello, fu costituita con l'atto di divisione del 4 aprile 1980. Sicchè l'indagine interpretativa compiuta nella sentenza impugnata si è risolta, in ultima analisi, nell'affermazione della costituzione della servitù sulla particella n. 752, non menzionata nel contratto, quando quest'ultimo non programmava nemmeno la costituzione della servitù sulla particella n. 350, espressamente ivi indicata, e pure funzionale al raggiungimento del fondo dell'odierno ricorrente. Ora, è chiaramente contrario alle regole interpretative - in quanto oblitera irragionevolmente il dato letterale falsando il senso della comune intenzione dei contraenti che è desumibile dal testo contrattuale - assumere, nel silenzio dell'atto negoziale, che le parti intesero costituire una servitù su di una determinata particella, valorizzando, a tal fine, il dato della mera ricognizione di una diversa servitù, costituita su una distinta particella due anni prima. E' del tutto chiaro, poi, che l'omessa menzione, nel contratto di compravendita, della costituzione della servitù sulla particella n. 752 non possa essere colmata da evenienze estrinseche, quali la supposta interclusione del fondo compravenduto.

D'altro canto, va aggiunto, il nominato contratto di compravendita non poteva prevedere la costituzione della servitù sulla particella n. 752, dal momento che questa, all'epoca, era ancora in comunione, e quindi nella titolarità pro quota del dante causa dell'odierno ricorrente ( D.G., che ebbe a vendere il proprio immobile con il nominato contratto del 2 agosto 1982). Infatti, a norma dell'art. 1059 c.c., la servitù concessa da uno dei comproprietari di un fondo indiviso non è costituita se non quando gli altri la hanno concessa, unitamente o separatamente. Ai fini della costituzione volontaria della servitù, quindi, l'atto proveniente da uno solo dei comproprietari del fondo indiviso, pur non essendo privo di effetti giuridici, non è idoneo a costituire una servitù passiva (per tutte: Cass. 16 agosto 2000, n. 10822). Alla stregua di tale rilievo è, dunque, comunque errata in diritto l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui col contratto di compravendita si sarebbe costituita una servitù di passaggio a carico della quota indivisa di proprietà della particella n. 752 di cui era titolare l'alienante del fondo.

Ha obiettato il controricorrente che la corte di Firenze avrebbe attribuito rilievo al riconoscimento della servitù operato da D.A. e L., comproprietarie della particella n. 752, nel loro atto di compravendita del 25 febbraio 1986 e avrebbe dunque valorizzato l'adesione delle predette alla costituzione della servitù operata anni prima dall'altro comunista D.G..
La ricostruzione prospettata dalla sentenza impugnata è tuttavia affatto diversa. La pronuncia ha voluto sottolineare che la dichiarazione in esame costituirebbe riprova della costituzione della servitù, avvenuta nel 1982, sulla quota di comproprietà spettante a D.G.: ora - a parte l'erroneità della tesi secondo cui la servitù potrebbe gravare su una quota indivisa del fondo -, è evidente che un atto di disposizione della quota non necessiti dell'adesione da parte degli altri comproprietari, nè la corte distrettuale ha affermato, sul punto, che tale adesione fosse necessaria per la costituzione della servitù.
Il dato della inidoneità del consenso dell'alienante, comproprietario della particella n. 752, alla costituzione della servitù su quest'ultima porzione immobiliare (giusta il cit. art. 1059 c.c.) rileva anche sul piano del vizio motivazionale della sentenza impugnata con riguardo alla questione concernente l'interpretazione del contratto di compravendita. Infatti la corte distrettuale avrebbe dovuto verificare, sul piano logico, se la mancanza di una espressa previsione della costituzione della servitù sulla detta particella non potesse dipendere proprio dall'accertata impossibilità giuridica di programmare una tale vicenda in presenza della communio pro indiviso della porzione immobiliare oggetto di lite.

I motivi quinto, sesto e settimo riguardano l'accertamento della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia.
Col quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 112 c.p.c., oltre che la nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la corte di Firenze ritenuto costituita la servitù per destinazione del padre di famiglia a seguito del contratto di compravendita del 12 agosto 1982, laddove gli appellanti avevano fondato le proprie ragioni su due atti diversi (la divisione del 4 aprile 1980 e altro atto del 28 marzo 2001).
Col sesto mezzo è lamentata violazione o falsa applicazione degli artt. 1062 e 1108 c.c., per avere la corte di merito ritenuta costituita la servitù su di un bene comune per destinazione del padre di famiglia a seguito della vendita di altro bene da parte di uno solo dei comproprietari, sebbene la fattispecie di cui all'art. 1062 c.c., non possa perfezionarsi allorchè entrambi i fondi non appartengano in via esclusiva allo stesso proprietario.
Col settimo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 1061 c.c., ovvero omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nell'accertamento dell'apparenza della servitù oggetto di causa.

Il sesto motivo è fondato, con conseguente assorbimento degli altri.

Si è detto più volte che all'epoca della compravendita la particella n. 752 era in comunione. Ebbene, la costituzione del diritto di servitù prediale per destinazione del padre di famiglia non si verifica quando la separazione dei due fondi sia operata da chi è proprietario esclusivo di uno di essi e comproprietario dell'altro fondo, mancando in tale ipotesi il requisito dell'appartenenza di entrambi i fondi al medesimo proprietario (Cass. 19 gennaio 2004, n. 713; Cass. 14 gennaio 1997, n. 282).

Con l'ottavo motivo di impugnazione e dedotta violazione falsa applicazione dell'art. 1059 c.c., nella parte in cui presuppone, erroneamente, che la servitù di passaggio sia stata costituita con l'atto del 2 agosto 1982.
Si tratta di una censura che replica quella di cui al secondo motivo e che, pertanto, resta assorbita dalla decisione sul medesimo.

Col nono motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1058, 1062 e 2735 c.c., nonchè per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, consistente nell'aver interpretato il contratto di compravendita del 26 febbraio 1986 come un riconoscimento dell'esistenza delle servitù.

Il motivo è fondato, dal momento che la dichiarazione delle comproprietarie della particella n. 752 non poteva indurre la corte di merito a ritenere esistente la preesistente costituzione di un diritto di servitù. Il negozio con cui si costituisce una servitù prediale soggiace alla forma scritta, il che esclude che ai fini probatori possa attribuirsi rilievo a successive attestazioni, oltretutto provenienti da soggetti ad esso estranei. Sul punto, questa corte regolatrice ha evidenziato che, proprio in quanto i modi di costituzione delle servitù prediali sono tipici, il riconoscimento da parte di un proprietario della fondatezza dell'altrui pretesa circa la sussistenza di una servitù mai costituita è irrilevante ove non si concreti in un negozio idoneo a far sorgere per volontà degli interessati la servitù stessa; del pari, la pretesa confessione di uno dei comproprietari del fondo servente circa l'esistenza della servitù è inidonea alla costituzione della stessa, non essendo ipotizzabile l'estensione a terzi di effetti inesistenti (così Cass. 25 novembre 1992, n. 12551).

I motivi decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo attengono al riconoscimento, da parte della corte toscana, della costituzione della servitù per effetto di un contratto a favore terzi.
Col decimo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., oltre che nullità della sentenza e del procedimento, per avere la corte fiorentina ritenuto costituita la servitù a favore di terzo in forza del contratto di compravendita del 25 febbraio 1986, circostanza, questa, mai dedotta in giudizio dalla controparte.
Con l'undicesimo motivo di ricorso si oppone la violazione o la falsa applicazione dell'art. 1114 c.c. (recte: art. 1411 c.c.) per avere il giudice d'appello interpretato la norma con riferimento a un contratto a favore di terzo valido ed efficace.
Con il dodicesimo mezzo è lamentata la violazione o falsa applicazione dell'art. 1362 c.c., poichè la corte toscana ha ritenuto la costituzione, per via contrattuale, del diritto controverso in presenza di una clausola che manifestava, al contrario, la semplice presa d'atto della presenza della servitù.
Con il tredicesimo ed ultimo motivo di ricorso è denunciata omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, consistente nella costituzione della servitù per contratto a favore di terzo con contratto di compravendita del 26 febbraio 1986.

L'undicesimo, il dodicesimo e il tredicesimo motivo sono fondati, con conseguente assorbimento del decimo.

Si ricorda che la costituzione di servitù attraverso contratto a favore di terzo è certo possibile, ma a condizione che la stipulazione avvenga per iscritto, che il vincolo reale sia costituito a carico del fondo del promittente ed a favore di quello del terzo, che la costituzione del vincolo ed il conseguente vantaggio per il terzo siano previsti e voluti dai contraenti, che sia determinato (o determinabile con certezza) il fondo dominante (e quindi il proprietario) e che lo stipulante abbia un interesse, pure non patrimoniale (per tutte: Cass. 30 ottobre 2006, n. 23343). La corte di Firenze ha trascurato il senso letterale delle parole utilizzate nella dichiarazione che qui interessa, dal momento che nel contratto del 25 febbraio 1986 le sorelle D., comproprietarie, insieme a D.G., della particella n. 752, si sono limitate a dichiarare alla parte acquirente che la detta porzione immobiliare era gravata "di servitù reale e gratuita di passo a favore di terzi insieme al resede grafato con il fabbricato": espressione, questa, consistente in una semplice presa d'atto (relativa a una situazione che, come spiegato, avrebbe dovuto oltretutto provarsi in giudizio attraverso la documentazione del contratto costitutivo della servitù), che è irriducibile a una manifestazione di volontà diretta alla costituzione del diritto, in favore di un imprecisato terzo. Nel caso in esame non si è dunque in presenza di un negozio espressivo della volontà di costituire una servitù, quanto semmai, di un atto ricognitivo privo di alcun valore, ai fini che qui interessano.

Il ricorso incidentale, che è condizionato, prospetta, come detto, un unico motivo; questo è basato sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., per non avere la corte distrettuale indagato correttamente in ordine alla volontà espressa dalle parti del contratto del 4 aprile 1980, per non aver interpretato le clausole le une per mezzo e in funzione delle altre e perchè non avrebbe "attribuito alla clausola, presente nello stesso contratto, una funzione conservativa di senso nell'economia complessiva dell'atto".

Tale motivo, oltre a mancare di autosufficienza, in quanto non indica le clausole dell'atto divisionale che il giudice del merito avrebbe dovuto prendere in esame sul piano interpretativo, si risolve in considerazioni di carattere generico, slegate da puntuali riferimenti alle singole disposizioni, investendo questa Corte di un giudizio di fatto che ad essa non può essere devoluto.

In conclusione, il ricorso va accolto, dovendosi ritenere fondati i motivi nn. 1, 2, 3, 6, 9, 11, 12 e 13 e assorbiti gli altri. Il ricorso incidentale va invece respinto.

La sentenza va pertanto cassata e la causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Firenze che dovrà fare applicazione dei seguenti principi di diritto:

"se una clausola, sul piano testuale, è di significato univoco e non constano indici rappresentativi di una difforme volontà delle parti, deve attribuirsi prevalenza al dato letterale, escludendosi alcuna ulteriore operazione ermeneutica";

"ai fini della costituzione volontaria della servitù, un atto proveniente da uno solo dei comproprietari di un fondo indiviso, pur non essendo privo di effetti giuridici, non è idoneo a costituire una servitù passiva";

"la costituzione del diritto di servitù prediale per destinazione del padre di famiglia non si verifica quando la separazione dei due fondi sia operata da chi è proprietario esclusivo di uno di essi e comproprietario dell'altro fondo, mancando in tale ipotesi il requisito dell'appartenenza di entrambe i fondi al medesimo proprietario";

"il riconoscimento da parte di un proprietario della fondatezza dell'altrui pretesa circa la sussistenza di una servitù mai costituita è irrilevante ove non si concreti in un negozio idoneo a far sorgere per volontà degli interessati la servitù stessa; del pari, la pretesa confessione di uno dei comproprietari del fondo servente circa l'esistenza della servitù è inidonea alla costituzione della stessa, non essendo ipotizzabile l'estensione a terzi di effetti inesistenti";

"la costituzione di servitù attraverso contratto a favore di terzo implica che la costituzione del vincolo ed il conseguente vantaggio per il terzo siano previsti e voluti dai contraenti, onde essa non può ravvisarsi in un atto avente valore meramente ricognitivo".


La Corte di appello di Firenze provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale per quanto di ragione, rigetta il ricorso incidentale, cassa in relazione al ricorso accolto e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 dicembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2016


 

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