REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CECCHERINI Aldo - Presidente -
Dott. DI PALMA Salvatore - Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. DIDONE Antonio - rel. Consigliere -
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 8569-2010 proposto da:
S.I.D.A. SOCIETA' ITALIANA DI ASSICURAZIONI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA;
- ricorrente -
contro
SERVIZI IMMOBILIARI BANCHE S.I.B. S.P.A.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 613/2009 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 05/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/05/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;
udito, per la ricorrente, l'Avvocato ENRICO GABRIELLI, con delega, che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Motivazione

1.- La Azzurra S.r.l. ha stipulato una polizza di assicurazione, vincolata a favore del Banco di Sicilia, creditore ipotecario, con la s.p.a. S.I.D.A. per i rischi di incendio relativamente ad un locale e l'assicurazione del rischio è stata ripartita tra due compagnie assicuratrici, con percentuale del 60% assunto dalla predetta SIDA. Verificatosi il sinistro, come da contatto, è stato demandato ad un arbitrato irrituale l'accertamento del quantum dei danni e gli arbitri hanno accertato che la somma dovuta a tale titolo dalla SIDA S.p.a. era di L. 723.187.290.
Il Banco di Sicilia ha ceduto alla s.p.a. Island Finance (ICR4) il credito vantato nei confronti della Azzurra S.r.l. e la cessionaria ha chiesto l'ammissione al passivo della l.c.a. della s.p.a. S.I.D.A. ma il credito è stato ridotto a sole L. 484.189.024.
L'opposizione al passivo proposto dalla cessionaria è stata accolta dal tribunale, il quale ha ammesso la somma così come liquidata dagli arbitri.
Provvedendo sull'appello proposto dalla l.c.a., la Corte di appello di Roma, con la sentenza impugnata (depositata in data 9.2.2009), per quanto ancora interessa, ha confermato la sentenza del tribunale.

In sintesi, la corte di merito ha evidenziato che la società in bonis aveva già nominato un proprio arbitro ma, essendo intervenuta nelle more del procedimento, la messa in liquidazione, ha ritenuto risolto ope legis il mandato conferito al proprio arbitro e lo ha revocato. La controparte ha chiesto inutilmente al commissario la nomina di un proprio arbitro e si è rivolta, poi, all'autorità giudiziaria che ha nominato l'arbitro per le due compagnie assicuratrici (perchè anche la coassicuratrice era in liquidazione coatta amministrativa) ricostituendo il collegio arbitrale.
Pertanto, secondo la corte di merito, non si versa in ipotesi di accertamento iniziato dopo l'apertura della procedura, ma di accertamento iniziato prima, con conseguente applicabilità dei principi enunciati dalla Cassazione (Cass. 19298/2006) secondo cui il mandato conferito anche nell'interesse del terzo non è soggetto allo scioglimento nel caso di fallimento del mandante. Contro la sentenza di appello la l.c.a. della s.p.a. S.I.D.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo articolato in quattro censure con le quali denuncia violazione di norme di diritto e vizio di motivazione.


Non ha svolto difese la società intimata.

Nel termine di cui all'art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha depositato memoria.

2.1.- Le quattro censure formulate dalla l.c.a. ricorrente sono concluse dai seguenti quesiti, formulati ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis: a) se a seguito del passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Appello di Roma n. 8/09 che ha accertato l'inopponibilità del lodo arbitrale per cui è causa alla liquidazione coatta amministrativa, vi è giudicato esterno con effetti anche nel presente giudizio avente oggetto identico all'altro definito con la predetta sentenza passata in giudicato.

b) se vi è violazione o falsa applicazione delle norme e dei principi che impongono al giudice di pronunciarsi su tutte le domande e le eccezioni delle parti, allorquando, come nella specie, la Corte di Appello, ha omesso ogni pronuncia in merito al nostro motivo di appello relativo al rapporto tra procedimento arbitrale (rituale ed irrituale) finalizzato all'accertamento di pretese creditorie nei confronti della liquidazione coatta amministrativa e procedimento di verificazione dei crediti e formazione dello stato passivo.

c) se vi è difetto di motivazione o insufficiente motivazione allorquando, come nella specie, la Corte Territoriale si è limitata a richiamare l'orientamento giurisprudenziale già richiamato dal giudice di primo grado in materia di mandato collettivo o di mandato conferito anche nell'interesse del terzo, non riferendo i motivi per i quali ha ritenuto di non accogliere l'appello della Sida S.p.a. in L.c.a. relativo alla inopponibilità alla gestione liquidatoria del lodo arbitrale emesso da collegio arbitrale costituito successivamente alla dichiarazione di liquidazione coatta della Sida S.p.a in L.c.a. e di discostarsi dall'orientamento giurisprudenziale richiamato nell'appello dell'odierna ricorrente.

d) se vi è violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 51 e 52 richiamati dalla L. Fall., art. 201, nonchè delle norme e dei principi che regolano l'ammissione dei crediti al passivo nonchè delle norme e principi che regolano il rapporto tra azioni esecutive individuali e di accertamento di credito nei confronti di società posta in L.c.a., allorquando, come nella specie, la Corte Territoriale non ha ritenuto che il principio di prevalenza del procedimento fallimentare di verificazione dei crediti di cui al capo 5^ della L. n. 267 del 1942 sia applicabile nel caso di accertamento arbitrale di credito effettuato da collegio arbitrale costituitosi a seguito di provvedimento della competente autorità giudiziaria per l'inerzia della liquidazione coatta che aveva invece revocato l'arbitro nominato dalla società in bonis.

e) se vi è violazione della L. Fall., artt. 51, 52, 78 e 201, nonchè dei principi che regolano il rapporto tra azioni esecutive individuali e di accertamento di credito e di formazione dello stato passivo di società posta in liquidazione coatta amministrativa, allorquando, come nella specie, la Corte Territoriale ha ritenuto opponibile alla liquidazione coatta amministrativa della Sida S.p.a. il lodo arbitrale, emesso successivamente alla liquidazione coatta amministrativa, da collegio arbitrale costituitosi a seguito di provvedimento della competente autorità giudiziaria per l'inerzia della liquidazione coatta che aveva invece revocato l'arbitro nominato dalla società in bonis.

f) se vi è violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 201 e 78, nonchè dei principi che stabiliscono che il mandato si scioglie ope legis nel caso di fallimento di una delle parti, allorquando, come nella specie, la Corte Territoriale ha ritenuto che le norme ed i principi predetti non si applicano nel caso in cui il procedimento arbitrale di accertamento del credito sia iniziato prima della apertura della procedura concorsuale.

3.- Osserva la Corte che il ricorso è fondato nella parte in cui denuncia la violazione della L. Fall., artt. 51 e 52, sostenendosi, correttamente, che i crediti nei confronti della società assicuratrice in l.c.a. devono essere fatti valere con la speciale procedura prevista dalla legge fallimentare e che la conservazione del mandato plurimo è regola valevole nel caso del fallimento il quale intenda far valere un diritto presente nel patrimonio e derivante da contratto contenente la clausola arbitrale mentre nel caso di azioni contro il fallimento vale la regola dell'accertamento esclusivo in sede concorsuale. Secondo le Sezioni unite, infatti, in sede arbitrale non possono essere fatte valere ragioni di credito vantate verso una parte sottoposta a fallimento o ad amministrazione straordinaria, giacchè l'effetto attributivo della cognizione agli arbitri, proprio del compromesso o della clausola compromissoria, è in ogni caso (si tratti cioè di arbitrato rituale o di arbitrato irrituale) paralizzato dal prevalente effetto, prodotto dal fallimento o dalla apertura della procedura di amministrazione straordinaria, dell'avocazione dei giudizi, aventi ad oggetto l'accertamento di un credito verso l'impresa sottoposta alla procedura concorsuale, allo speciale, ed inderogabile, procedimento di verificazione dello stato passivo (Sez. U, Sentenza n. 9070 del 06/06/2003; Sez. 1, Sentenza n. 3918 del 17/02/2011).

La regola per la quale il curatore che subentra in un contratto stipulato dal fallito, nel quale sia contenuta una clausola compromissoria non può disconoscere tale clausola - o, in caso di posteriorità della dichiarazione di fallimento alla conclusione dell'arbitrato irrituale, non può sottrarsi agli effetti di questo - ancorchè configuri un patto autonomo (Cass. 11216/92) e, se il fallimento sia stato dichiarato dopo che gli arbitri o i periti siano stati già nominati ed abbiano accettato l'incarico, non può disconoscere gli effetti del rapporto già perfezionato e che ha avuto esecuzione (Cass. del 1964 n. 162) non è applicabile ai crediti vantati nei confronti di un soggetto sottoposto a procedura concorsuale. Per questi, infatti, vale la regola che la clausola arbitrale non consente di derogare allo speciale, ed inderogabile, procedimento di verificazione dello stato passivo. Ai sensi della L. Fall., art. 52, comma 2, ogni credito verso il soggetto sottoposto a procedura concorsuale deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo 5^. La regola risponde all'esigenza di concentrare davanti ad un unico organo, individuato attraverso il procedimento stabilito dalla legge speciale, tutte le azioni dirette a far valere diritti di credito sul patrimonio del debitore insolvente, per assicurare, anche nella successiva fase di cognizione, il concorso necessario dei creditori (e dei titolari di diritti reali mobiliari), con il contraddittorio potenzialmente esteso a tutti i creditori concorrenti, e realizzare così, nel simultaneus processus, il principio della par condicio creditorum (Cass. S.u. 2003 n. 9070).

Come si vede, il criterio di regolamento è diverso nei due casi. Nel primo si applica una regola di diritto sostanziale, coerente con la premessa che il curatore subentra in un contratto che trova nel patrimonio del fallito, e considera l'insensibilità del mandato stipulato nell'interesse di terzi al fallimento del mandante. Nel secondo caso si applica una regola tipicamente processuale, attinente al rito, che nel caso in questione condiziona la stessa competenza.

Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata. Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte può decidere la causa nel merito, rigettando l'opposizione proposta avverso lo stato passivo della l.c.a.

Le spese processuali - nella misura liquidata in dispositivo - seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore dei resistenti, in solido, nell'importo complessivo di Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2015


 

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