REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI MILANO – SEZIONE 2
riunita con l’intervento dei Signori:
GRAVINA CELESTINA – Presidente
BRECCIAROLI PAOLO - Relatore
DI NUNZIO ALESSANDRO – Giudice
ha emesso la seguente
SENTENZA
- sull'appello n. 4651/13
depositato il 3/10/2013
- avverso la sentenza n. 28/2/13
emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di MILANO
proposto dall'ufficio AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE II DI MILANO
controparte:
________
atti impugnati:
PROVVEDIMENTO IRROGAZIONE SANZIONI n°______ IVA-ALTRO 2003

Svolgimento del processo

L'Agenzia delle Entrate irroga alla società ____ sanzione amministrativa per violazioni in materia IVA pari ad euro 2.322,00.
Il provvedimento sopraindicato viene preceduto da atto di contestazione conseguente ad avviso relativo all'esercizio 2003 con cui si accertano maggiori imposte a titolo IVA per euro 562.847,57, interessi legali compresi.
Ricorre la società, per l'annullamento dell'atto impugnato lamentando carenza di motivazione, carenza probatoria, infondatezza nel merito della pretesa erariale, decadenza dell'Ufficio dal potere accertativo, illegittimità ex art. 220, disp. Att. c.p.p. (attività ispettiva di vigilanza ed indizi di reato); illegittimità delle sanzioni.
La CTP di Milano con sentenza depositata l'11/02/2013 accoglie il ricorso per decadenza dell'Ufficio dal potere accertativo.
Avverso tale sentenza, l'Ufficio interpone appello contestando l'asserita decadenza dell'Ufficio dall'azione accertatrice e, per l'effetto, richiama il raddoppio dei termini previsto dall'art. 43 DPR 600/73 per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 74/2000, entrato in vigore nel 2006 con l'art. 37 D.L. 223/2006.
Contesta l'interpretazione del contribuente che esclude la riapertura dei termini di accertamento quando gli stessi siano spirati; contesta pure l'eccezione di mancata allegazione da parte dell'Ufficio della denuncia di reato ed allo scopo richiama la circolare dell'Agenzia delle Entrate n.28 del 4 agosto 206.
Comunque, precisa, che alla data di entrata in vigore della norma citata (4 luglio 2006) i termini ordinari di accertamento per l'esercizio 2003 erano ancora pendenti per cui viene meno ogni decadenza.
Viene richiamato quanto statuito dalla Corte Costituzionale con sentenza n.247 del 25 luglio 2011 la quale prevede come unica condizione del raddoppio dei termini la sussistenza dell'obbligo di denuncia penale indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorge ed indipendentemente dal suo adempimento. In buona sostanza, secondo la Corte Costituzionale, il raddoppio dei termini consegue al mero riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall'effettiva presentazione di tale denuncia e, a maggior ragione, indipendentemente dalla relativa allegazione.
In sintesi, secondo la Corte Costituzionale, i termini raddoppiati operano autonomamente allorchè sussistano elementi obbiettivi per la obbligatorietà della denuncia penale per reati ex art. 74 del 2000. Non si può quindi parlare di riapertura o proroga dei termini scaduti perchè i termini brevi e i termini raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse.
Nonostante quanto sopra esposto, l'Ufficio allega copia della denuncia di notizia di reato inoltrata alla competente Procura della Repubblica in data 9/11/2010 spiegando che siffatta allegazione in appello di nuovi documenti è consensita ex art. 58, c.2, D.Lgs. 546/92.
Nella denuncia si dichiara che la società ha presentato dichiarazione IVA infedele per l'esercizio 2003 avendo qualificato come cessioni intracomunitarie per euro 2.353.392,81 operazioni non rientranti in tale fattispecie. Ciò ha comportato un recupero a tassazione per euro 1.601.205,00 ed una evasione di imposta superiore ad euro 103.291,38.

In buona sostanza, secondo l'Ufficio, ciò che rileva è solo la sussistenza dell'obbligo perchè essa soltanto connota, sin dall'origine, la fattispecie di illecito tributario che comporta l'applicabilità dei termini raddoppiati di accertamento.
L'Ufficio respinge ogni contestazione sulla presunta carenza di motivazione dell'atto impugnato essendo fornita la conoscenza degli elementi che consentono l'impugnabilità; viene infatti chiarito al contribuente l'iter logico giuridico sotteso all'atto impugnato.
Sulla eccepita carenza probatoria dell'atto impugnato l'Ufficio fa presente di avere indicato i presupposti di fatto e diritto alla base della pretesa fiscale.
L'Ufficio non accetta il contraddittorio su rilievi relativi al merito perchè riferibili all'atto presupposto, oggetto di autonoma impugnativa. Quanto alle contestazioni relative all'atto di irrogazione di sanzioni fa presente che le stesse sono chiaramente evidenziate.
Dalla sentenza impugnata si deduce che la CTP di Milano ha reso pronuncia che accoglie l'accertamento per l'esercizio 2003 sul presupposto che non è stata prodotta la denuncia della Procura.
La parte appellante conclude chiedendo la riforma dell'impugnata sentenza con condanna di controparte alla refusione delle spese di lite.

Motivazione

L'appello non è meritevoli di accoglimento.
Si prende atto che con sentenza della CTP di Milano n.253/24/12, depositata il 12.9.2012 i Giudici di prime cure hanno annullato l'avviso di accertamento n._____ per l'esercizio 2003 che costituisce atto prodromico rispetto all'atto di irrogazione di sanzioni in esame.
La decadenza dell'Ufficio dal potere accertativo affermata dalla sentenza impugnata costituisce fatto assorbente e pertanto viene esaminata preliminarmente.

I termini di decadenza per gli accertamenti.
I termini di decadenza per gli accertamenti in materia di imposte dirette ed IVA sono previsti dall'art. 43 DPR 600/73 e dall'art. 57 DPR 633/72.
A partire dal 2006 essi sono stati raddoppiati sulla base della disciplina prevista dall'art. 37, c.24, D.L. n.223/06 che al comma 3 stabilisce “in caso di violazione che comporta l'obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n.74/00, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.”

La ratio del raddoppio dei termini
La relazione governativa al d.l. n.223/2006 indica come ratio la volontà di ” garantire la possibilità di utilizzare er un periodo di tempo più ampio di quello ordinario elementi istruttori emersi nel corso delle indagini condotti dall'autorità giudiziaria.”
Pur essendo tale “ratio” condivisibile è, tuttavia, innegabile che esiste il rischio che gli Uffici utilizzino la nuova disciplina solo per accertare periodi d'imposta altrimenti definiti.

I presupposti per il raddoppio dei termini.
Presupposto per il raddoppio dei termini è l'esistenza di una violazione che comporta l'obbligo di denuncia penale per un reato fiscale.
A seconda del momento in cui interviene la denuncia del reato si possono individuare tre diverse situazioni:
- prima del decorso del termine di accertamento ordinario;
- dopo il termine di accertamento ordinario ma prima della prescrizione del reato;
- dopo la prescrizione ma prima del decorso del termine raddoppiato.

La Corte Costituzionale e la tesi adottata.
La Corte Costituzionale distingue fra due termini diversi a seconda della fattispecie considerata dalla legge:
- un termine breve (4 o 5 anni) se non c'è obbligo di denuncia penale;
- un termine lungo (8 o 10 anni) se esiste l'obbligo di denuncia penale.
Secondo l'interpretazione della Corte, in presenza di violazione penalmente rilevante, il termine va comunque raddoppiato.

In tal caso gli Uffici possono emanare l'avviso di accertamento sino alla scadenza del “termine lungo”.
Questa soluzione consente alla Corte di superare questioni di:
- irragionevole riapertura di termini già scaduti;
- l'esposizione del contribuente a termini variabili di accertamento;
- il rischio di arbitrio degli Uffici connesso alla facoltà di riaprire il termine di accertamento per una denuncia penale;
- la disparità di trattamento tra i contribuenti.


Premesso quanto sopra, questo Giudice rileva che la denuncia penale non equivale ad accertamento del reato e che il discrimine deve essere fissato in base all'accertamento definitivo del reato, e non della semplice “notitia criminis”.
Comunque, ritiene di dare rilevanza alla statuizione della sentenza n.280 del 15.7.2005 della Corte Costituzionale per la quale non è consentito “dall'art. 24 della Costituzione, lasciare il contribuente assoggettato all'azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato” dovendo l'esercizio dell'azione impositiva essere legato al principio di certezza del diritto.
Da ciò consegue che il termine di accertamento resti unico, quello ordinario e che il suo allungamento rappresenti una riapertura e non un raddoppio con la conseguenza che detto raddoppio può essere possibile solo prima della scadenza del termine ordinario.

Nel caso in esame la denuncia da parte dell'Ufficio viene inoltrata alla competente Procura della Repubblica in data 9.11.2010 e cioè oltre la scadenza del termine ordinario.
Per di più, si rileva che è intervenuta la prescrizione dell'eventuale reato.
Si conclude, quindi, rigettando l'appello dell'Ufficio decaduto dal potere accertativo e per l'effetto di conferma la sentenza dei Giudici di prime cure.
Considerata la specificità della materia nonché le contrastanti interpretazioni normative, le spese di lite vengono compensate tra le parti.

PQM

La Commissione conferma la decisione di primo grado. Spese compensate.
Così deciso in Milano il 12 marzo 2014.
Depositata in segreteria il 18 aprile 2014.


 

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