ORDINANZA
sul ricorso 17718-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
R.S.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 7053/2017 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 04/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 07/10/2020 dal Consigliere Dott. FULVIO
FILOCAMO.

Svolgimento del processo

L'Agenzia delle Entrate notificava l'avviso di liquidazione n. 13/1T/008684/000/P001, relativo all'atto pubblico del 24.6.2013, avente ad oggetto la costituzione di un "trust", con conferimento dei relativi beni al trustee e segregazione patrimoniale degli stessi.
Con detto atto impositivo, intendeva recuperare la maggiore imposta ipotecaria e catastale dovuta in misura proporzionale, in luogo dell'imposta fissa autoliquidata dalle parti dell'accordo negoziale al momento della registrazione.
Avverso il predetto atto l'attuale parte intimata prestava istanza di reclamo, sostenendo l'inesistenza della notifica, stante il difetto di sottoscrizione dell'atto ad opera di un soggetto che sarebbe dovuto essere munito di regolare delega; l'erronea individuazione del momento applicativo delle imposte recuperate; l'erronea individuazione delle imposte in concreto applicabili in quelle proporzionali, dovendo attendersi, comunque per l'applicazione delle
stesse, l'effettivo conferimento dei beni devoluti in trust al soggetto beneficiario dello stesso, non integrando la semplice devoluzione un reale atto di conferimento patrimoniale.
A seguito del diniego opposto dall'Ufficio, la contribuente adiva la Commissione Tributaria Provinciale di Latina, reiterando le argomentazioni sopra riportate.
L'Agenzia si costituiva in giudizio osservando, preliminarmente, che l'atto impositivo contestato era stato sottoscritto dal Direttore dell'Ufficio territoriale pienamente legittimato in virtù di apposita disposizione di servizio. Quanto alle
censure di merito svolte dalla controparte, l'Ufficio illustrava la peculiarità dell'istituto del trust, costituito da un'operazione negoziale complessa in cui vi è la devoluzione di un patrimonio segregato nei confronti di un trustee e nel successivo conferimento dei beni costituenti tale patrimonio ad un soggetto beneficiario, il tutto sorretto da una causa unitaria e fiduciaria. Ciò posto, si affermava che l'unitarietà e la peculiare natura della causa negoziale non poteva che portare a valorizzare, quale presupposto di imposta, già il solo effetto segregativo conseguente alla devoluzione dei beni in trust, anticipando a tale momento l'applicazione delle imposte di successione e donazione e, quindi, anche delle imposte ipotecaria e catastale.
La Commissione provinciale, con sentenza n. 196 del 2015, accoglieva il ricorso, affermando che la proprietà trasferita nel negozio fiduciario "assume uno statuto diverso da quello proprio della proprietà quiritaria, e dunque diverso da quello assunto a paradigma dall'imposta di registro come presupposto dell'imposta proporzionale, vale a dire il negozio di compravendita o un non meglio specificato negozio di trasferimento della proprietà". In particolare,
veniva affermata l'assenza di un accrescimento patrimoniale a favore del trust e di alcuna manifestazione di una ricchezza trasmessa, invece, si rilevava "la cristallizzazione" di essa al fine di realizzare la sua causa giuridica. Il presupposto d'imposta costituito dalla manifestazione della ricchezza necessita di una effettiva emersione di capacità contributiva, quindi, sarebbe stato necessario che vi fosse stato un risultato accrescitivo determinante un incremento patrimoniale. Nel trust, invece, la causa giuridica del negozio si identificava nella destinazione vincolata del bene a vantaggio del beneficiario per assicurargli il successivo trasferimento del bene amministrato, senza che vi sia l'attribuzione di ricchezza, l'effetto patrimoniale ed alcun indice di capacità contributiva ai sensi dell'art. 53 della Costituzione, ma solo la conservazione del bene gestito dal trustee. In conclusione, solo con l'attribuzione del trustfound ai beneficiari si sarebbe realizzato l'effetto traslativo, con applicazione dell'imposta proporzionale, mentre l'atto di costituzione doveva restare assoggettato ad imposta fissa.
L'Ufficio soccombente presentava appello alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, contestando la violazione dell'art. 2, comma 47, del d.l. n. 262 del 2006, conv. con mod. in I. n. 286 del 2006, opponendosi alla tesi
ermeneutica accolta dai giudici, secondo la quale il presupposto per la corretta applicazione delle imposte ipotecaria e catastale all'atto di disposizione patrimoniale contenuto in un trust era da identificarsi con l'incremento netto di ricchezza conseguito dal beneficiario finale solamente al momento del conferimento in suo favore del patrimonio originariamente segregato, in attuazione del piano predisposto dal settlor, ossia dall'originario conferente. Diversamente, si osservava che alla creazione del vincolo tra il predetto settlor e il fiduciario da questi individuato, il c.d. trustee, consegue che i beni devoluti al trust non siano aggredibili dai creditori personali del trustee, non entrino nella sua successione mortis causa e non possano essere legittimamente utilizzabili da alcuno, per finalità differenti rispetto a quelle predeterminate nell'atto istitutivo del trust e per interessi diversi da quelli del soggetto individuato come beneficiario dal settlor. Sulla base di questi elementi, si affermava perciò la riconducibilità del vincolo giuridico costituito sui beni costituenti il trust nel novero dei "vincoli di destinazione", con conseguente
applicabilità, ex art. 2, comma 47, del d.l. n. 262 del 2006, delle imposte sulle donazioni e sulle successioni e, quindi, delle imposte ipotecaria e catastale da recuperarsi, rientrando dette imposte sulle successioni e sulle donazioni dovute sull'atto di costituzione del trust specificamente considerato nella "franchigia" prevista dal medesimo art. 2, ai commi 48 e 49, per i trasferimenti fatti in favore di soggetti legati al disponente da vincoli di parentela.
La contribuente si costituiva nel giudizio di secondo grado così instaurato, ribadendo le deduzioni difensiva già formulate nel presente grado.
Con sentenza n. 7053 del 2017, la Commissione Tributaria Regionale rigettava l'appello proposto dell'Agenzia, ritenendo illegittimo l'assoggettamento dell'atto di costituzione del trust all'imposta di successione e donazione, nonché all'imposta ipotecaria e catastale in misura proporzionale (anziché fissa), come sostenuto dall'appellante che aveva invocato la previsione dell'art. 2, comma 47, del d.l. n. 262 del 2006, convertito nella I. n. 286 del 2006, ai sensi del quale è stata reintrodotta nel nostro ordinamento l'imposta di successione e donazione, con estensione della stessa anche agli atti di "costituzione di vincoli di destinazione", trattandosi di atto o disposizione ad effetto traslativo.
I giudici di appello citavano il principio di diritto secondo il quale «l'istituzione di un trust cosiddetto auto-dichiarato, con conferimento di immobili e partecipazioni sociali, con durata predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, con beneficiari i discendenti di quest'ultimo, deve scontare l'imposta ipotecaria e quella catastale in misura fissa e non proporzionale, perché la fattispecie si inquadra in quella di una donazione indiretta cui è funzionale la
"segregazione" quale effetto naturale del vincolo di destinazione, una segregazione" da cui non deriva quindi alcun reale trasferimento di beni e arricchimento di persone, trasferimento e arricchimento che dovrà invece
realizzarsi a favore dei beneficiari, i quali saranno perciò nel caso successivamente tenuti al pagamento dell'imposta in misura proporzionale» (Cass. n. 21614 del 2016). Rilevando, altresì, come l'evenienza che il trust sia o meno "autodichiarato" (ipotesi che si verifica quando l'atto istitutivo del trust si esaurisce nell'imposizione del vincolo su un dato bene, ferma la titolarità del bene in capo al costituente) fosse priva di rilievo, ai fini dell'assoggettamento o meno a tassazione degli effetti segreganti del trust.
La costituzione del trust avrebbe prodotto solamente un'efficacia «segregante» i beni in esso conferiti perché il trustee non ne è il proprietario, bensì l'amministratore e detti beni non possono che essere trasferiti ai beneficiari
in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta (artt. 2 e 11 Convenzione de L'Aja del 01.7.1985, recepita in I. n. 364 del 1989). Ciò dimostrerebbe l'inconsistenza della censura denunciata dall'Ufficio che - pur riconoscendo anche nelle sue circolari che al trust è applicabile l'imposta sulle
donazioni e sulle successioni la quale ha come presupposto l'arricchimento patrimoniale a titolo di liberalità, tanto che la stessa non può applicarsi se il trustè stato costituito senza conferimento, scontando in questo caso soltanto
l'imposta fissa di registro - ha sostenuto, invece, che il conferimento di beni nel trust avrebbe dato luogo a un reale trasferimento imponibile. Detto trasferimento, invece, è impossibile perché contrario al programma negoziale di
donazione indiretta per cui si predispone il trust e che prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua «segregazione» fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari. Manca quindi il presupposto impositivo della liberalità per l'applicazione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni applicabile solamente nel caso un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti (art. 1 d.lgs. n. 346 cit.).
Richiamandosi a Cass. n. 21614 del 2016, non condivideva neanche l'interpretazione letterale dell'art. 2, comma 47 ss., d.lgs. n. 262 cit. sostenuta dall'Agenzia per cui sarebbe stata istituita un'autonoma imposta «sulla
costituzione dei vincoli di destinazione» disciplinata con il rinvio alle regole contenute nel d.lgs. n. 346 cit. e avente come presupposto la loro mera costituzione, poiché ex art. 12, comma 1, prel. «il significato proprio delle parole
secondo la connessione di esse» è proprio invece nel diverso senso che l'unica imposta espressamente istituita è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono andare anche assoggettati i «vincoli di destinazione», con la conseguenza che il presupposto dell'imposta rimane quello stabilito dall'art. 1 d.lgs. n. 346 cit. del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari. Ciò che emergerebbe chiaramente dall'art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit. è la preoccupazione di evitare che un'interpretazione restrittiva della nuova legge sulle successioni e donazioni, disciplinata mediante richiamo al già abrogato d.lgs. n. 346 cit., potesse consentire la non imposizione, anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari, quando lo stesso fosse stato collocato all'interno di una fattispecie di «recente» introduzione come quella dei «vincoli di destinazione» e non considerata dal «vecchio» d.lgs. n. 346 cit.
Questa viene ritenuta l'interpretazione non solo logicamente più corretta, ma anche l'unica che appare essere costituzionalmente orientata, poiché l'art. 53 Cost. non potrebbe tollerare un'imposta, a meno che non sia un'imposta semplicemente d'atto come è, per esempio, quella di registro, senza alcuna relazione con un'idonea capacità contributiva.
Avverso questa decisione, l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
L'intimata non ha svolto difese.

Motivazione

1. L'Agenzia delle Entrate, con unico motivo, denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2, comma 47, del d.l. n. 262 del 2006 conv. con mod. in I. n. 286 del 2006, letto in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 10 del d.lgs. n. 347 del 1990, con la Tariffa allegata al medesimo decreto, e con l'art. 2 della Convenzione de l'Aia del 1° luglio 1985, resa esecutiva in Italia con la I. n. 364 del 1989, in relazione all'art. 360, I comma, n. 3), c.p.c., ritenendo che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe interpretato in senso non conforme la norma che ha reintrodotto nell'ordinamento giuridico italiano l'imposta sulle successioni e donazioni, estendendone l'ambito di applicazione alla "costituzione di vincoli di destinazione".
Detta interpretazione avrebbe erroneamente negato la configurabilità di qualsiasi effetto riflesso sulla disciplina delle imposte ipotecarie e catastali in materia di trust e sull'individuazione dei relativi presupposti impositivi.
In realtà, secondo l'Agenzia, il testo dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 347 del 1990, con specifico riferimento all'imposta ipotecaria, instaura un evidente parallelismo tra base imponibile dell'imposta in discorso e base imponibile dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni che porterebbe a dover ritenere che, se a un atto negoziale si attribuisce una certa capacità di rappresentare ricchezza ai fini dell'applicazione in concreto dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni, un'analoga capacità dovrebbe riconoscersi anche ai fini dell'applicazione dell'imposta ipotecaria e catastale. Ciò partendo dal presupposto che ogni atto traslativo di beni immobili debba scontare sia l'imposta ipotecaria che quella catastale in misura proporzionale.
Cita sul punto, tra le altre, la sentenza n. 4482 del 2016 di questa Corte, la quale valorizza «La dizione letterale della norma e la sua evoluzione nel complesso processo di elaborazione normativa che è sfociato nella attuale
dizione della I. n. 286 del 2006, art. 2, comma 47, evidenzia la volontà del Legislatore di istituire una vera e propria nuova imposta che colpisce tout court degli atti che costituiscono vincoli di destinazione. Ciò in una visione di sfavore nei confronti dei vincoli negoziali di destinazione, scoraggiati attraverso la leva fiscale
».
A conclusioni conformi giungono anche le altre pronunce citate a sostegno del ricorso (Cass., ord. 24 febbraio 2015, n. 3735, il cui principio di diritto si rinviene altresì in Cass., ordd. nn. 3737, 3886 e 5332 del 2015).

2. Il motivo è infondato.
2.1 Le decisioni citate dal ricorrente, appaiono superate dal consolidarsi di un diverso filone interpretativo che smentisce detti assunti (Da ultimo Cass. n. 8082 del 2020, la quale ricostruisce attraverso le varie pronunce l'evoluzione dell'indirizzo giurisprudenziale di legittimità).
2.2 La normativa sul trust (artt. 2, commi da 47 a 53, del d.l. n. 262 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 286 del 2006, I, commi da 77 a 79, della I. n. 296 del 2006 - legge finanziaria per il 2007 - e 1, comma 31, I. n.
244 del 2007 - legge finanziaria per il 2008 -), prevede l'applicabilità dell'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito "e sulla costituzione di vincoli di destinazione", alla luce del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, di cui al d.lgs. n. 346 del 1990, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto "Salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54".
L' art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, come convertito, prescrive che "è istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, di cui al d.lgs. n. 346 del 1990, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54".
Non è contestato che il trust rientri effettivamente tra i "vincoli di destinazione" che il comma 47 dell'art. 2 sopra citato considera (in alternativa ai trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo
gratuito) ai fini dell'imposta sulle successioni e donazioni.
Negli atti di "costituzione di vincoli di destinazione" di cui all'art. 2, comma 47, cit., infatti, può rientrare anche il trust. Questa Corte, con ordinanza n. 1131 del 2019 ha affermato che: "nell'ambito concettuale dei 'vincoli di destinazione' devono essere ricondotti non solo gli 'atti di destinazione' di cui all'art. 2645-ter c.c., ma qualunque fattispecie prevista dall'ordinamento tesa alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo (...)".
Tale inclusione, tuttavia, non è ritenuta bastevole a giustificare l'imposizione del trust in quanto tale, ostandovi
principalmente considerazioni di natura costituzionale. Ciò perché la tesi della 'nuova imposta' gravante sul vincolo di destinazione, assunto quale autonomo e sufficiente presupposto, non dà adeguatamente conto del fatto che la sola apposizione del vincolo non comporta, di per sé, incremento patrimoniale significativo di un reale trasferimento di ricchezza.
Secondo l'indirizzo prevalente che si condivide, il trasferimento del bene dal settlor al trustee avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l'attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del trust, sicchè detto atto sarebbe soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all'imposta di registro che alle imposte ipotecaria e catastale (Sez. 5, Sentenza n. 975 del 2018).
La costituzione del trust - come avviene per i vincoli di destinazione - produce soltanto efficacia segregante per i beni in esso conferiti, perché il trustee non ne è proprietario beni amministratore ed anche perché detti beni non
possono che essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta (artt. 2 e 11 Convenzione de L'Aja del 1 luglio 1985, recepita con I. n. 364 del 1989).
Il trasferimento dei beni segregati che non avviene all'atto della costituzione, perché del tutto contrario al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto e che prevede la temporanea preservazione
del patrimonio a mezzo della sua segregazione fino al trasferimento effettivo a favore dei beneficiari.
Per l'applicazione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni manca, quindi, il presupposto impositivo della liberalità, alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un effettivo trasferimento di beni e diritti (art. 1 d.lgs. n. 346 cit.).
Nemmeno può condividersi, pertanto, l'interpretazione letterale dell'art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit. riconosciuta dal diverso filone interpretativo, secondo cui sarebbe stata istituita un'autonoma imposta «sulla costituzione dei vincoli di destinazione» disciplinata dalle norme del d.lgs. n. 346 cit., avente come presupposto la loro mera costituzione.
In realtà il dato letterale non può condurre a tale conclusione, poiché ex art. 12, comma 1, prel. «il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse» orienta nel diverso senso che l'unica imposta espressamente istituita è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono andare anche assoggettati i vincoli di destinazione, con la scontata conseguenza che il presupposto dell'imposta rimane quello stabilito dall'art. 1 d.lgs. n. 346 cit. del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari.
Come già sostenuto da questa Corte con ragionamento che si condivide, l'art. 2, comma 47 ss., dl. n. 262 cit. è "l'intenzione del Legislatore" di evitare che un'interpretazione restrittiva della nuova legge sulle successioni e donazioni disciplinata mediante richiamo al già abrogato d.lgs. n. 346 cit. potesse dar luogo ad alcuna imposizione anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari quando lo stesso fosse stato collocato all'interno di una fattispecie di recente introduzione come quella dei vincoli di destinazione, non considerata dal già citato d.lgs. n. 346 (Cass. n. 8082 del 2020 cit.).
La suddetta tesi appare l'interpretazione logicamente più corretta e l'unica costituzionalmente orientata, atteso che l'art. 53 Cost. non sembra poter giustificare un'imposta, a meno che non sia un'imposta semplicemente d'atto come quella di registro, senza relazione con un'idonea capacità contributiva.
Con pronuncia n. 975 del 2018 cit. (conf. Cass. n.22756 del 2019) ha chiarito che: "Il trasferimento del bene dal
settlor al trustee avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l'attribuzione
definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrano ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritras ferimento ai beneficiari del trust: detto atto, pertanto, è soggetto a tassazione in misura fissa,
sia per quanto attiene all'imposta di registro che alle imposte ipotecaria e catastale". La strumentalità dell'atto istitutivo e di dotazione del trust ne giustifica, nei termini indicati, la fiscale neutralità.
Ferma restando l'indubbia discrezionalità del Legislatore nell'individuare i presupposti impositivi, quest'ultima deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza e di non arbitrio (C. Cost. n. 4 del 1954 e n. 83 del 2015), posto che la capacità contributiva per cui il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese "esige l'oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza" (C. Cost. n. 394 del 2008).
Tale indice non si rileva prima che il trust abbia attuato la propria funzione.
L'apposizione del vincolo, in quanto tale, può determinare per il disponente l'utilità rappresentata dalla separatezza dei beni (limitativa della regola generale di cui all'art. 2740 c.c.) in vista del conseguimento di un determinato risultato di ordine patrimoniale, ma detta utilità è lo stesso fondamento causale del trust, della cui validità e meritevolezza ex art. 1322 c.c., dopo la ratifica della Convenzione, non si può dubitare.
In altri termini, detta utilità non rappresenta, di per sé, alcun effettivo e definitivo incremento patrimoniale in capo al disponente e nemmeno al trustee, quanto soltanto (se e quando il trust abbia compimento) in capo al beneficiario finale. Prima di questo momento, l'utilità, insita nell'apposizione del vincolo, si risolve, infatti, dal lato del conferente, in una auto-restrizione del potere di disposizione mediante segregazione e, dal lato del trustee, in un'attribuzione patrimoniale meramente formale, transitoria, vincolata e strumentale (come stabilito dai su riportati artt. 2 e 11 della Convenzione).
In conclusione, secondo l'indirizzo che si condivide e si ritiene prevalente, il trasferimento del bene dal settlor al trustee avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l'attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del trust, sicché detto atto sarebbe soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all'imposta di registro che alle imposte ipotecaria e catastale.
Sulla base di queste considerazioni appare corretta l'applicazione della norma come risulta dalla sentenza impugnata.
3. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, avuto riguardo al recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate, rispetto all'epoca
dell'introduzione della lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 7.10.2020


Scarica copia del provvedimento: Corte di Cassazione - Sez. 5 - Ordinanza n. 27411/2020 del 01.12.2020

 

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