REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE PRIMA CIVILE
in persona del dr. Donatella Galterio, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al numero 57424 del ruolo generale degli affari contenziosi
dell'anno 2013, vertente
TRA
G.C., con domicilio eletto in Roma, presso lo studio del procuratore avvocato O.C., rappresentante e difensore per procura in atti
PARTE ATTRICE
E
M.E., con domicilio eletto in Roma, presso lo studio del procuratore avvocato F.D., rappresentante e difensore per procura in atti
PARTE CONVENUTA
E con l'intervento del P.M. presso il Tribunale di Roma
OGGETTO: risarcimento del danno
CONCLUSIONI: come da verbale di udienza del 12.3.2015

Motivazione

La domanda di risarcimento del danno svolta dall'attore, costituente l'oggetto della presente controversia, si fonda sull'asserita violazione dei doveri coniugali nel corso della convivenza matrimoniale, ormai definitivamente cessata per essere stata pronunciata tra le parti in data 22.6.2012 sentenza di divorzio, perpetrata dalla moglie che con ripetuti tradimenti e condotte platealmente denigratorie nei suoi confronti avrebbe leso, gettandolo in un perdurante stato di prostrazione psico - fisica, la propria dignità ed il proprio onore.

La suddetta pretesa, contrastata dalla controparte tanto in punto di ammissibilità quanto nel merito, non può tuttavia essere ritenuta meritevole di accoglimento.
Elemento dirimente, trattandosi di richiesta volta ad accertare le conseguenze dannose della cessata unione coniugale, è costituito dal decreto di omologa delle condizioni della separazione coniugale concordemente fissate dalle parti pronunciato da questo Tribunale in data 23.11.2007, che non contenendo alcuna pronuncia di addebito, costituente sulla base dei principi che regolano la responsabilità aquiliana il presupposto cui agganciare la richiesta risarcitoria, sarebbe di per sé sufficiente ad escludere il fondamento della pretesa avanzata nel presente giudizio.

Tuttavia non ignorando questo Tribunale un recente arresto della Corte Suprema che, prendendo le mosse dalla similare ipotesi di una richiesta risarcitoria avanzata autonomamente da un coniuge nei confronti dell'altro conseguente alla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, sebbene fra gli stessi fosse intervenuta separazione consensuale, ha affermato che "i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi di dell'illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c., senza che la mancanza della pronuncia di addebito in sede di separazione sia preclusiva dell'azione di risarcimento relativa a detti danni" (cfr. Cass.15.9.2011 n. 18853), occorre soffermarsi sulla condivisibilità del principio di diritto testè riportato.

Orbene, il presupposto da cui muove la citata pronuncia è che all'interno del rapporto coniugale la violazione di diritti della persona costituzionalmente protetti, quali la salute, l'immagine, la riservatezza, le relazioni sociali, la dignità del coniuge, e via dicendo possa trovare tutela indipendentemente dal fatto generatore della loro stessa lesione, come se la separazione dei coniugi, in conseguenza della quale la pretesa risarcitoria viene invece azionata, fosse avulsa dalla violazione degli specifici doveri che hanno determinato il venir meno della convivenza tra costoro.
Ma tale principio non si ritiene condivisibile né sul piano sostanziale né su quello processuale.
Assumono i giudici di legittimità che "non è rinvenibile né una norma di diritto positivo né ragioni di ordine sistematico che rendano la pronuncia sull'addebito pregiudiziale rispetto alla domanda di risarcimento" ben potendo la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio integrare gli estremi dell'illecito civile indipendentemente dalla sanzione dell'addebito. Ma se tale affermazione può avere una sua coerenza in termini generali ed astratti, non sembra poter invece trovare applicazione allorquando la violazione dei suddetti doveri venga invocata dal coniuge asseritamente leso a seguito della separazione e dunque dell'accertata improseguibilità della convivenza a seguito di una condotta che avrebbe, a detta dello stesso danneggiato, inequivocabilmente causato la rottura del consortium familiae.

E' proprio lo specifico collegamento tra causa ed effetto, implicito nella stessa domanda risarcitoria, a far si che la violazione dei suddetti doveri assuma rilevanza in quanto sia stata determinante dell'improseguibilità della convivenza, ove si consideri che diversamente opinando si verrebbe a rinnegare l'essenza stessa del vincolo matrimoniale, fondato sulla libertà non solo del consenso iniziale, ma anche della sua permanenza nel prosieguo del rapporto. In altri termini il danno non patrimoniale in tanto può essere invocato in quanto sia stato conseguenza della separazione coniugale posto che l'illecito si consuma all'interno del rapporto matrimoniale, che quand'anche non avente natura meramente contrattuale, è pur sempre il vincolo da quale discendono gli specifici obblighi e diritti reciproci in capo ai contraenti.
Pertanto ove si escludesse il rapporto di accessorietà tra addebito e domanda risarcitoria verrebbe necessariamente meno l'ingiustizia del danno derivante dalla condotta che è stata foriera, proprio perché posta in essere in violazione degli specifici obblighi derivanti dal matrimonio, del mutamento dello stesso rapporto di coniugio: l'accertamento che non vi è stata violazione dei doveri nascenti dal matrimonio o che l'inosservanza di essi si è innestata in un rapporto già esaurito non può infatti non escludere alla radice la sussistenza del danno ingiusto sul quale si fonda la pretesa risarcitoria. Peraltro, la proclamata autonomia di quest'ultima rispetto a quella dell'addebito non può non avere innegabili ricadute anche sul piano del dedotto e del deducibile atteso che proprio perché trattasi di danno derivante dalla violazione di specifici obblighi coniugali il medesimo deve essere necessariamente azionato nell'ambito del giudizio di separazione, con conseguente preclusione di un'azione successiva che potrebbe astrattamente porsi in contrasto con il giudicato già in precedenza formatosi sulla separazione.

Del resto, venendo alla disamina dei profili più strettamente processuali, ove il rapporto tra le due domande non potesse porsi in termini di necessaria accessorietà, la conseguenza non potrebbe che essere quella, all'evidenza paradossale, dell'inammissibilità della domanda risarcitoria nell'ambito del giudizio di separazione. Invero configurandosi la connessione per accessorietà in presenza in uno stesso giudizio di due o più obbligazioni che siano tra loro in rapporto di subordinazione o tra le quali sussista un vincolo di consequenzialità logico - giuridica, in forza della quale una delle pretese trovi la sua ragione giustificatrice nell'altra, il giudice non potrebbe che, malgrado la diversità del rito applicabile alla domanda di separazione, assoggettato alla camera di consiglio, e a quella risarcitoria, disciplinata nelle forme del rito ordinario di cognizione, procedere all'esame del risarcimento richiesto nell'ambito dello stesso processo, in applicazione dei principi di economia processuale e del vincolo del giudicato che si estende non soltanto alle questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione e di eccezione e dunque costituenti l'oggetto della decisione, ma anche alle questioni non dedotte in giudizio che costituiscano, ciò nondimeno un presupposto logico - essenziale ed indefettibile della decisione stessa, restando salva soltanto la sopravvenienza di fatti e situazioni nuove verificatesi dopo la formazione del giudicato stesso.

Esclusa pertanto sulla base delle argomentazioni appena esposte l'autonomia della domanda del risarcimento del danno morale azionata dal ricorrente rispetto alla separazione giudiziale, deve nella fattispecie concludersi per il rigetto della domanda al cui esame osta l'insussistenza della pronuncia di addebito della separazione tra le medesime parti, incontrovertibilmente esclusa dalla definizione del procedimento di separazione in via consensuale tra le parti.
La sussistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione giuridica affrontata consente di dichiarare le spese di lite integralmente compensate tra le parti.

PQM

il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da G.C. nei confronti di M.E., così
provvede:
1. - rigetta la domanda;
2. - dichiara le spese di lite integralmente compensate tra le parti.
Così deciso in Roma il 25 giugno 2015.
Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2015.


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.