Corte di Cassazione, Sezione V Penale, sentenza 25 ottobre 2013 – 6 marzo 2014, n. 10893.
Condannato alla pena di anni 2 di reclusione, in ordine al reato ascritto di bancarotta fraudolenta documentale, l’uomo che, per anni ed, in qualità di amministratore unico, aveva sottratto le scritture contabili obbligatorie della società del cui fallimento si tratta, o comunque, le aveva tenute in modo tale da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari dell'impresa.
Ebbene, così giunta la sentenza di condanna, l’uomo proponeva ricorso dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione; nella specie lamentando che “la mera consapevolezza dell'imputato circa la tenuta irregolare delle scritture non dovrebbe intendersi sufficiente per ritenere provato l'elemento soggettivo del delitto contestato (dal momento che per la bancarotta fraudolenta documentale si richiede comunque il dolo, per quanto generico), mentre la mancanza dei libri contabili comporta in linea di principio la configurabilità di un addebito di bancarotta semplice”.
A riguardo, il ricorrente aggiungeva che «il profilo oggettivo della responsabilità dell'amministratore di diritto può essere certamente ancorato all'art. 40 cod. pen., ma il profilo soggettivo della sua responsabilità va accertato caso per caso, valutando il significato probatorio dell'intero contesto della sua azione [...], accertando se l'amministratore di diritto era consapevole delle altrui pratiche sottrattive e delle finalità ulteriori perseguite con tali condotte, ovvero semplicemente avesse accettato il rischio - omettendo ogni controllo - che l'amministratore di fatto sottraesse i libri contabili»; secondo la difesa, l'amministratore di diritto sarebbe «garante del bene giuridico penalmente tutelato dagli artt. 216 e 217 della legge fallimentare», ma egli potrebbe rispondere del reato commesso dall'amministratore di fatto solo una volta acquisita prova certa del dolo, ponendosi conseguentemente un problema di «compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico, id est se il dolo eventuale possa essere solo generico (e cioè la mera accettazione del rischio che si verifichi un determinato evento), ovvero se possa caratterizzare anche un reato di dolo specifico». Problema che, in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità, -.diceva - non potrebbe che meritare soluzione negativa”.
Sul punto, l’intervento della Cassazione.
Quanto alle (…) le peculiarità del delitto in rubrica, afferma – va detto che l'elemento soggettivo richiesto ai fini della ravvisabilità della bancarotta fraudolenta documentale - per omessa tenuta, e non già per sottrazione, delle scritture contabili - si limita al dolo generico.
Ciò premesso, “la giurisprudenza di questa Corte, ha già avuto modo di affermare che, nei confronti di una presunta "testa di legno" (…) non può trovare «automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell'imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall'amministratore di fatto»; tuttavia, ciò vale soltanto per i casi di bancarotta fraudolenta per distrazione, «mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell'amministrazione dell'impresa fallita [...], atteso il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture» (Cass., Sez. V, n. 19049 del 19/02/2010)”.
Tali le ragioni del sopravvenuto rigetto del ricorso e conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.