Commissione Tributaria Regionale Lombardia, Sezione 2, Sentenza n. 2140.2014 12 marzo 2014 (depositata 18 aprile 2014) Presidente Gravina, Rel. Brecciaroli

Termine accertamento – decadenza – raddoppio del termine art. 43 dpr 600/1973 e 57 dpr 633/1972 – denuncia all’Autorità Giudiziaria entro il termine ordinario – Necessità – Mancanza – decadenza dall’accertamento

Il presupposto per il raddoppio dei termini è l’esistenza di una violazione che comporta l’obbligo di denuncia penale per un reato fiscale. Non è però consentito, in forza di quanto previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale 280 del 2005, dall’art. 24 della Costituzione lasciare il contribuente assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato dovendo l’esercizio della azione impositiva essere legato al principio di certezza del diritto. Da ciò consegue che il termine di accertamento resta unico, quello ordinario, e che il suo allungamento rappresenti una riapertura e non un raddoppio con la conseguenza che detto raddoppio può essere possibile solo nell’ipotesi in cui la denuncia venga inoltrata all’Autorità Giudiziaria prima della scadenza del termine ordinario.

La sentenza in commento interviene sul delicato tema del raddoppio dei termini per l’accertamento in ipotesi di concorrenza della fattispecie penale. La decisione pare anticipare gli effetti delle disposizioni in materia contenute nelle delega fiscale. L’operazione interpretativa dei Giudici – certamente complessa sul piano ermeneutico attesi i principi espressi dalla nota sentenza della Corte Costituzionale 247/2011 – si presta ad alcuni rilievi in ordine all’iter logico argomentativo adottato, atteso che analoghe conclusioni ben potrebbero essere assunte senza necessità di richiamare la meno recente pronuncia della Consulta del 2005, ma operando una lettura, per così dire, orientata della pronuncia 247/2011 della Corte Costituzionale.

Per altro verso la decisione in analisi è l’occasione per una più ampia riflessione sul tema dei rapporti fra procedimento penale e azione amministrativa, questione sulla quale il legislatore delegato dovrà, a breve, operare una seria ed attenta riflessione.

Il principio individuato ed espresso dalla Ctr Lombardia può essere così sintetizzato: Il termine di accertamento è unico e il suo allungamento rappresenta solamente una riapertura: il raddoppio, infatti, è possibile solamente prima della scadenza del termine ordinario. L’Ufficio è pertanto onerato della denuncia prima della scadenza del termine ordinario ed a questa condizione può concretamente fruire del maggior “tempo” concesso dall’ordinamento.

Il collegio, dopo aver ripercorso la genesi della norma sul raddoppio dei termini, si sofferma sulla sentenza 247/2011 della Corte costituzionale per la quale in presenza di violazioni penalmente rilevanti il termine va sempre raddoppiato indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga e dal suo adempimento.
Secondo la Corte esistono due termini distinti:
• uno breve (4 o 5 anni) se non c’è obbligo di denuncia penale;
• uno lungo (8 o 10 anni) se sussiste l’obbligo di denuncia penale.

I giudici della Ctr ritengono, però, di discostarsi da tale lettura. Il collegio regionale puntualizza che la denuncia penale non equivale ad accertamento del reato e che il discrimine deve essere fissato in base all’accertamento definitivo dell’illecito. Il collegio, però, ritiene di dare rilevanza al principio affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 280/2005 . Secondo questo indirizzo, dovendo l’esercizio dell’azione impositiva essere legato al principio di certezza del diritto, non è consentito lasciare il contribuente assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato.

In conclusione il termine è perciò uno solo, quello ordinario, e il suo allungamento rappresenta una riapertura e non un raddoppio.

La decisione –per quanto interessante e corretta per l’opera ermeneutica - non può essere condivisa , atteso che non era necessario richiamare la sentenza della Corte Costituzionale del 2005 per “sanzionare” la strumentalità del raddoppio dei termini.

Sul punto, tante e diverse le recenti interpretazioni giurisprudenziali di merito sempre però più attente nel valutare la fondatezza del raddoppio dei termini di decadenza dell'accertamento in presenza di reati tributari. Pronunce che si inseriscono a poca distanza dall'ordinanza della Corte costituzionale 247/2011 che, nel confermare la legittimità, in presenza di reato, del raddoppio del termine di decadenza, ha sancito il dovere dei giudici di merito, a richiesta del contribuente, di svolgere un controllo sul riscontro dei presupposti dell'obbligo di denuncia per evitare un utilizzo strumentale della segnalazione da parte dell'amministrazione.
E così, la Ctr dell'Umbria (237/1/11 e 41/02/2012) ha ritenuto che se il reato tributario è prescritto, l'ufficio non può usufruire del raddoppio. Ad analoghe conclusioni è poi giunta sia la Ctp di Vicenza (824/1/12) sia, più di recente, la Ctp di Ancona (102/2/13).

A ciò va poi aggiunto che l'amministrazione, proprio per consentire alle Commissioni tributarie di operare la valutazione richiesta dalla Consulta, deve produrre la comunicazione di reato, circostanza che, di norma, non avviene. Per queste ragioni alcune commissioni (Ctp di Milano, sentenze 231/40/2011 e 327/5/2011, Ctp Reggio Emilia, 135/1/2012, Ctp Treviso, 73/5/2012, Ctp Lecco, 74/1/12) hanno chiarito che, non potendo verificare la sussistenza dei presupposti dell'obbligo di denuncia, il raddoppio in questione non è legittimo.

Sotto il profilo dell’onere probatorio, è l’Amministrazione finanziaria che ha l’obbligo di giustificare il più ampio potere accertativo attribuitole dal terzo comma dell’art. 57 del D.P.R. n. 633/72. (CTR Bari n. 68/8/2013 del 11.10.2013).

La stessa Consulta, con l'ordinanza 247/2011, ha precisato però che il raddoppio si realizza anche se il reato viene scoperto dai verificatori dopo il termine di decadenza ordinario laddove ha avuto modo di sancire come in seguito all’entrata in vigore della norma del 2006, sia stato introdotto nel nostro ordinamento una sorta di “doppio binario” relativamente ai termini di accertamento, distinguendosi tra termine breve e termine raddoppiato.

Rebus sic stantibus occorrerà comprendere se l’art. 8, comma 2, della legge delega - nel prevedere che il raddoppio opera a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini di accertamento - possa ritenersi strumento sufficiente ed adeguato ad eliminare i disequilibri attuali.

La norma - a distanza di quasi dieci anni dalla sua introduzione – in realtà non pare abbia fornito alcuna concreta utilità all’Amministrazione finanziaria ( almeno rispetto alla ratio dichiarata dal legislatore ) se non quale disposizione “salva decadenza” per quegli accertamenti ( di rilevanza penale ) tardivamente avviati. Nella relazione governativa al d.l. n. 223 del 2006 si legge che il raddoppio dei termini, nei casi di obbligo di trasmissione della notizia di reato, è espressione della volontà di “garantire la possibilità di utilizzare per un periodo di tempo più ampio di quello ordinario elementi istruttori emersi nel corso delle indagini condotte dall’autorità giudiziaria."
Nella realtà (la stragrande maggioranza di casi) è sempre accaduto, invece, che l’accertamento venisse notificato ben oltre il termine dei quattro anni con contestuale invio di una notizia di reato concretamente non più “efficace” (vuoi per avvenuto decorso del termine prescrizionale o per l’impossibilità di giungere ad una sentenza definitiva entro detto periodo). Anomalia imputabile, evidentemente, a carenze di funzionamento ed organizzazione degli Uffici e non certo a difetti della legge che nelle intenzioni del legislatore presupponeva come normale (in un regime di ordinario funzionamento della Pubblica Amministrazione) l’invio della notizia di reato non certo a cinque/sei anni di distanza dalla commissione dell’illecito.

La circostanza, poi, che tale “supposizione” si traduca (expressis verbis) in condizione essenziale per l’operatività del raddoppio dei termini non muterà in alcun modo lo scenario di efficienza organizzativa attuale.

Residuano, invece, non poche perplessità in ordine alla “coerenza di sistema” della previsione normativa. Il raddoppio dei termini dovrebbe consentire alla Pubblica Amministrazione di utilizzare – ai fini dell’azione amministrativa – gli elementi istruttori emersi nel corso delle indagini dell’Autorità Giudiziaria. Il principio, in linea generale, è sicuramente importante e di indubbia utilità. Ma allora è indispensabile “dotare” il processo tributario di adeguati strumenti di “accertamento” circa la “bontà” degli elementi istruttori assunti dal procedimento penale. Questi concorrono alla formazione della prova nel processo penale attraverso un principio del contraddittorio che si esplica ed esercita attraverso l’utilizzo di mezzi di prova ancora sconosciuti al processo tributario (la testimonianza è solo un esempio fra i molti).
L’alternativa che si pone a livello legislativo è quella della scelta fra il mutamento delle regole del processo tributario (soprattutto in materia di accesso alla prova) oppure di un nuovo “legame” fra processo tributario e procedimento penale.

Il quadro è, poi, ulteriormente complicato dalle recenti pronunce della Corte Europea Dei Diritti dell’Uomo che hanno disegnato precisi criteri di classificazione della sanzione amministrativa e di valutazione sulla sua effettiva natura di sanzione “penale” evidenziando il contrasto con i principio del ne bis in idem allorché per il medesimo fatto intervengano sanzioni ( apparentemente ) amministrative e sanzioni penali. In ultimo i Giudici di Strasburgo (Sentenza 20 maggio 2014 – Caso Nikànen c. Finlandia) hanno condannato lo Stato finlandese per violazione del principio del ne bis in idem di cui all’art. 4 del Protocllo n. 7 della Convenzione in relazione al doppio binario sanzionatorio (penale-amministrativo) presente nella legislazione tributaria finlandese.
Questo a breve distanza di tempo dalla nota sentenza Grande Stevens c. Italia in tema di manipolazione del mercato, che già aveva ribadito orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati sia in relazione ai criteri per determinare la natura penale di una sanzione, che in materia di ne bis in idem.

Il Giudice di legittimità – Sezione Penale e Sezione Tributaria - in particolare Cassazione Penale Sezione V – ordinanza 10 novembre 2014 (dep. 15 gennaio 2015) Pres. Vessichelli, Rel Caputo, imp. Chiaron ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione all’art. 117 Costituzione, in riferimento al regime del doppio binario sanzionatorio amministrativo e penale per sospeto contrasto con gli obblighi discendenti dall’art. 4 Prot 7 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo.

La situazione – evidentemente non solo con riferimento alle ragioni sottese al raddoppio dei termini di accertamento - non può, più, prescindere da un generale ripensamento da parte dell’apparato sanzionatorio tributario ed è auspicabile un intervento generale capace di disciplinare una volta per tutte, ed in maniera organica, i rapporti che devono esistere tra accertamento, azione amministrativa e processo penale.

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