>L'impugnabilità dell'estratto ruolo

1. La sentenza 19794/15 delle Sezioni Unite: impugnabilità del ruolo

La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la nota sentenza 19704/2015, ha enunciato il seguente principio di diritto: "E' ammissibile l'impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l'estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell'ultima parte del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione".

In sintesi, secondo il Supremo Consesso
a) L’estratto ruolo è un documento formato dai concessionari della riscossione che non contiene nessuna pretesa impositiva; conseguentemente trattasi di atto non impugnabile “innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo infatti alcun senso l'eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato” ;
b) il "ruolo", invece, è un atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge (anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione), un "provvedimento" proprio dell'ente impositore, quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell'ente suddetto;
c) Una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 19 comma 3 “impone pertanto di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato ivi prevista non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la facoltà del medesimo di far valere, appena avutane conoscenza, la suddetta invalidità che, impedendo la conoscenza dell'atto e quindi la relativa impugnazione, ha prodotto l'avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, con relativo interesse del contribuente a contrastarlo il più tempestivamente possibile, specie nell'ipotesi in cui il danno potrebbe divenire in certa misura non più reversibile se non in termini risarcitori”;
d) Una diversa lettura della norma in esame (nel senso che l'impugnazione di un atto non notificato possa avvenire sempre e soltanto unitamente all'impugnazione di un atto successivo notificato) comporterebbe, infatti, una abnorme ed ingiustificata disparità tra i soggetti del rapporto tributario; ciò in quanto la possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale da parte del contribuente sarebbe ancora una volta rimessa alla determinazioni dell'amministrazione circa i modi e i tempi della notifica dell'eventuale atto successivo;
e) Una diversa lettura della norma in esame, inoltre, potrebbe esporre l’amministrazione ad azioni risarcitorie, in quanto, come acutamente rilevato dalla Suprema Corte “aumenterebbe per il contribuente il pregiudizio connesso alla iscrizione in un registro di pubblici debitori nei confronti dei quali è stato avviato un procedimento di esecuzione coatta; tale pregiudizio, nonché quello derivante da un eventuale completamento della esecuzione senza possibilità per il contribuente di far valere le proprie ragioni dinanzi ad un giudice, potrebbero essere eventualmente fatti valere poi solo coi tempi e i modi di un'azione risarcitoria nei confronti dell'amministrazione”;
f) la possibilità che il contribuente faccia valere immediatamente le proprie ragioni in relazione ad un atto non (validamente) notificatogli, senza bisogno di attendere la notifica di altro atto successivo (che potrebbe essere a sua volta malamente notificato) è funzionale anche al buon andamento della pubblica amministrazione, perché di certo contribuisce ad evitare i costi di una procedura esecutiva male instaurata, la produzione e l'aumento di danni da risarcire al contribuente, i rischi di decadenza dell'amministrazione in ragione di ripetute notifiche non andate a buon fine;
g) l'impugnazione della cartella per mancanza di (valida) notificazione proposta non unitamente alla impugnazione dell'atto successivo notificato non comporta un aggravio del contenzioso se si considera che l'impugnazione della cartella, ancorché "ritardata", interverrebbe in ogni caso al momento della notifica dell'atto successivo, mentre la proposizione "anticipata" di essa potrebbe evitare l'emissione e la notifica (quindi l'impugnazione) dell'atto successivo e perciò indurre un possibile effetto deflativo. E’ però indubbio che anche un eventuale (modesto) incremento del contenzioso non potrebbe giustificare una compressione del diritto alla tutela giurisdizionale consistente nel posticipare la possibilità di accesso ad essa ad un momento successivo al sorgere dell'interesse ad agire e perciò ad un momento in cui è possibile che alcuni effetti lesivi dell'atto si siano già prodotti;
h) E' infine da escludere che dalla impugnabilità di un atto nel quale risulti esternata una ben definita pretesa tributaria possa derivare un "rallentamento" dell'azione di prelievo, che non sia quello strettamente (e legittimamente) derivante dall'interesse e dal diritto costituzionalmente presidiato del contribuente di contrastare la possibilità di un prelievo illegittimo, dovendo rilevarsi che posticipare il momento in cui il contribuente può far valere l'illegittimità della pretesa non serve a "sveltire" l'azione di prelievo ma solo ad aumentare il danno derivante da azioni esecutive in ipotesi portate avanti sulla base di pretese illegittime.

La Suprema Corte di Cassazione, quindi, è stata chiarissima:
la possibilità di impugnare, in assenza di valida notificazione, il ruolo, costituisce un diritto costituzionalmente tutelato del contribuente
tale possibilità può indurre un effetto deflattivo del contenzioso;
privare il contribuente di tale diritto, si ribadisce costituzionalmente presidiato, porterà ad un incremento dei danni derivanti da azioni esecutive portate avanti sulla base di pretese illegittime.
L’amministrazione finanziaria, infatti, dispone di strumenti particolarmente invasivi della sfera giuridica del contribuente, il quale, argomentando diversamente, si troverebbe costretto ad attendere l’azione dell’amministrazione
Basti pensare agli strumenti di cui agli artt. 72 e 72 bis D.P.R. 602/73, che permettono al concessionario di azionare il c.d. pignoramento diretto, ordinando direttamente al terzo di corrispondergli le somme dovute dal debitore.
In materia previdenziale, peraltro, la Suprema Corte ha più volte rilevato che è legittima l’opposizione alla cartella conosciuta a mezzo estratto di ruolo anche per fare valere estinzione per decorso dei termini di prescrizione in data successiva alla eventuale notifica della stessa (si veda, tra le tante, l’ordinanza 36445/2021).

2. Il recente intervento del legislatore.

Il legislatore, in sede di conversione del D.L. 146/2021, ha introdotto l’art. 3-bis comma 1.
L’art. 3 bis comma 1, quindi, ha modificato l’ art. 12 DPR 602/1973, aggiungendo il comma 4-bis che così recita:
L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’ art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40,  per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.

Il primo periodo del comma 4 bis è obiettivamente incomprensibile.
La Suprema Corte di Cassazione, infatti, ha chiarito, come già esposto, che l’estratto di ruolo altro non è che un documento interno formato dal concessionario, in quanto tale non impugnabile.
Nel secondo periodo dell’art. 4 bis, invece, viene espressamente limitata la facoltà di impugnare un atto conosciuto a mezzo estratto ruolo “Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui (…)”
Il legislatore, quindi, in palese contrasto con l’insegnamento delle Sezioni Unite, ha stabilito rigide condizione per l’impugnabilità dell’atto conosciuto a seguito di richiesta dell’estratto ruolo, così esponendo il contribuente per un lasso di tempo indefinito ad una possibile azione esecutiva dell’amministrazione.

Non si ritiene che la norma possa essere considerata di interpretazione autentica.
Ciò sia per l’espresso richiamo a norme entrate in vigore decenni dopo il D.P.R. 602/1973, sia per il chiaro tenore dell’art. 1, comma 2 della legge 212/2000, ai sensi del quale “L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”.

3. Dubbi di legittimità costituzionale del comma 4 bis

Sussistono, in ogni caso, forti dubbi di legittimità costituzionale dell’articolo in questione.

In primo luogo non sembra rispettato l’art. 77 della Costituzione, in quanto non si comprende come si possa configurare la sussistenza di un “caso straordinario di necessità e urgenza”.
L'emanazione di un decreto legge, infatti, esige l'esistenza di un fatto eccezionale (straordinario) che impone in modo inevitabile (necessità) e immediato (urgenza) di provvedere.
La modifica, inoltre, è stata introdotta direttamente in sede di conversione in legge ed ha un oggetto palesemente estraneo a quello del decreto legge.

Al riguardo la Corte Costituzionale ha più volte chiarito che “Per costante giurisprudenza costituzionale, la legge di conversione rappresenta una legge funzionalizzata e specializzata, che non può aprirsi ad oggetti eterogenei rispetto a quelli originariamente contenuti nell'atto con forza di legge; tuttavia un difetto di omogeneità, rilevante come violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost., si determina solo quando la disposizione aggiunta in sede di conversione sia totalmente «estranea», o addirittura «intrusa», cioè tale da interrompere ogni nesso di correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione. La coerenza delle disposizioni aggiunte in sede di conversione rispetto alla disciplina originaria del decreto-legge può essere valutata sia dal punto di vista oggettivo e materiale, sia dal punto di vista funzionale e finalistico” (Corte Costituzionale n. 30/2021).

A ciò si aggiunga che, secondo l’autorevole insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, il diritto del contribuente ad impugnare il ruolo e/o la cartella non validamente notificata costituisce un diritto costituzionalmente presidiato.
Da una prima lettura, quindi, si ritiene che il comma 4 bis dell’art. 12 D.P.R. 602/73, può porsi in contrasto con gli articoli 24, 77 e 111 della nostra Carta Costituzionale.

4. Sulla retroattività della norma

La legge di conversione, come è noto, è entrata in vigore il 21.12.2021.
Alcune Commissioni Tributarie Provinciali (Siracusa, Catania e Latina) hanno ritenuto applicabile con effetto retroattivo la previsione di cui al comma 4 bis, dichiarando inammissibilità di ricorso introdotti in data antecedente il 21.12.2021 per la sopravvenuta carenza di interesse ad agire.
Tali decisioni destano ben più di una perplessità.
La sopravvenuta carenza di interesse ad agire, infatti, potrebbe tuttalpiù portare ad una declaratoria di cessazione della materia del contendere, giammai ad una declaratoria di inammissibilità per fatti sopravvenuti all’iscrizione a ruolo dei ricorsi.
Le pronunce, inoltre, si pongono in insanabile contrasto con l’art. 11 delle preleggi, ai sensi del quale “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.

Tale interpretazione, inoltre, si pone persino in contrasto con l’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.
Ove ritenuta applicabile retroattivamente la norma, infatti, si giungerebbe alla inaccettabile conclusione di consentire al legislatore di alterare l’esito giudiziario di una controversia, violando i princìpi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e concernenti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi.
Per di più in controversie in cui sono parti le pubbliche amministrazioni.

Si vedano le recenti sentenze della Corte Costituzionale

“ La giurisprudenza costituzionale ravvisa una violazione del «principio della parità delle parti», di cui all'art. 111 Cost., quando il legislatore statale immette nell'ordinamento una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco (da ultimo, ex plurimis, sentenza n. 186 del 2013).La Corte di Strasburgo ha più volte ribadito che «in linea di principio non è vietato al potere legislativo di stabilire in materia civile una disciplina innovativa a portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi in vigore, ma il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall'art. 6 della Convenzione, ostano, salvo che per motivi imperativi di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia» (sentenze 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras e altri contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio e altri contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia; 29 marzo 2006, Scordino e altri contro Italia). La medesima Corte ha altresì rimarcato che le circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere «trattate con la massima circospezione possibile» (sentenza 14 febbraio 2012, Arras e altri contro Italia), in particolare quando l'intervento legislativo finisca per alterare l'esito giudiziario di una controversia (sentenza 28 ottobre 1999, Zielinski e altri contro Francia). Inoltre, lo stato del giudizio, il grado di consolidamento dell'accertamento e la prevedibilità dell'intervento legislativo (sentenza 27 maggio 2004, Ogis Institut Stanislas e altri contro Francia), nonché la circostanza che lo Stato sia parte in senso stretto della controversia (sentenze 22 ottobre 1997, Papageorgou contro Grecia; 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society e altri contro Regno Unito) sono tutti elementi valorizzati dal giudice di Strasburgo per affermare la violazione dell'art. 6 della CEDU da parte di norme innovative che incidono retroattivamente su controversie in corso” (Corte Costituzionale n. 191/2014)

Più recentemente “Questa Corte ha costantemente affermato che, ancorché non sia vietato al legislatore (salva la tutela privilegiata riservata alla materia penale dall'art. 25, secondo comma, Cost.) emanare norme retroattive - siano esse di interpretazione autentica oppure innovative con efficacia retroattiva - con riferimento alla funzione giurisdizionale, non può essere consentito di "risolvere, con la forma della legge, specifiche controversie [...], violando i princìpi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e concernenti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi" (sentenza n. 94 del 2009, punto 7.6 del Considerato in diritto; in senso conforme, sentenze n. 85 del 2013 e n. 374 del 2000). Sempre a proposito del rapporto tra leggi retroattive ed esercizio della funzione giurisdizionale, questa Corte ha altresì osservato che il principio costituzionale della parità delle parti è violato "quando il legislatore statale immette nell'ordinamento una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco" (sentenza n. 191 del 2014, punto 4 del Considerato in diritto; in senso conforme, sentenza n. 186 del 2013). Con riguardo al sindacato sulle leggi retroattive, questa Corte ha ripetutamente affermato la corrispondenza tra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU (ex plurimis, sentenza n. 191 del 2014). La Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU), chiamata a decidere se, attraverso leggi retroattive, lo Stato avesse violato il diritto dei ricorrenti a un processo equo, ha costantemente ritenuto che, in linea di principio, non è precluso al potere legislativo regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore. Essa ha precisato che "il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall'art. 6 ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia" e ha aggiunto che "l'esigenza della parità fra le parti implica l'obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilità di presentare la propria causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte" (ex plurimis, sentenze 25 marzo 2014, Biasucci e altri contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri contro Italia, paragrafo 47; 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia, paragrafo 58). Al fine di verificare la compatibilità di norme retroattive con l'art. 6 della CEDU, la Corte EDU è solita valorizzare alcuni elementi, ritenuti sintomatici dell'uso distorto della funzione legislativa. Essi attengono al metodo e alla tempistica seguiti dal legislatore (ex plurimis, sentenza 11 dicembre 2012, Tarbuk contro Croazia, paragrafo 40). Può dunque rilevare che lo Stato o un'amministrazione pubblica sia parte del processo (ex plurimis, sentenza 24 giugno 2014, Azienda agricola S. sas e altri contro Italia, paragrafo 77). Può anche rilevare la prevedibilità dell'intervento legislativo (ex plurimis, sentenze 24 giugno 2014, Cataldo e altri contro Italia, paragrafo 50; Tarbuk contro Croazia, paragrafo 53; 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC St. Pie X et Blanche de Castille e altri contro Francia, paragrafo 72; 23 ottobre 1997, N.P.B. Society, L.P.B. Society e Y.B. Society contro Regno Unito, paragrafo 112). La Corte EDU si sofferma, inoltre, sull'adozione di norme in concomitanza con un determinato andamento della lite, tenuto conto anche del suo stato (ex plurimis, sentenze sui casi: Azienda agricola S. sas e altri contro Italia, paragrafo 77; Tarbuk contro Croazia, paragrafo 54). Ugualmente sintomatico è il dato temporale che attiene al trascorrere di molti anni prima che il legislatore scelga di intervenire (ex plurimis, sentenza 15 aprile 2014, S. e altri contro Italia, paragrafo 42) (…) Sotto il profilo in esame sussiste dunque, in riferimento ai parametri costituzionali e a quello convenzionale interposto, la prospettata lesione dei principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale nonché delle disposizioni che assicurano a tutti l'effettiva tutela giurisdizionale dei propri diritti” (Corte Costituzionale, n. 12/2018)

A ciò si aggiunga che la ritenuta efficacia retroattiva della norma porterebbe, senza alcun dubbio, alla violazione del principio di tassatività delle cause di decadenza e di inammissibilità, riconosciuto in tutte le diverse tipologie processuali.
La sanzione processuale dell’inammissibilità, infatti, deve essere espressamente prevista dal legislatore e non può essere dedotta dall’interprete.
Il principio di tassatività delle cause di decadenza e di inammissibilità è pacificamente riconosciuto come uno dei principi cardine del nostro ordinamento ed è comune a tutte le giurisdizioni (civile, penale, amministrativa, tributaria e contabile).

Sul punto esiste un orientamento a dir poco granitico:
“Il mancato invio dell'invito a dedurre non solo non determina ipotesi di improcedibilità dell'azione, ma non comporta nemmeno ipotesi di nullità o di inammissibilità dell'azione medesima, vigendo nel nostro ordinamento il principio della tassatività delle ipotesi suddette, nessuna delle quali è legislativamente prevista per l'atto in questione” (C. Conti Sez. II, 16/02/1998, n. 67)
“Il principio di tassatività è applicabile non solo in materia di nullità, ma anche in materia di inammissibilità, con la conseguenza che detta causa d'invalidità può essere ritenuta solo quando la espressa previsione o comunque la inequivoca formulazione della norma lo consentano”
(Cass. pen. Sez. III, 10/10/2000, n. 3152)

“è opportuno far ricorso, ai fini della scelta tra le due opzioni contrapposte, al principio di tassatività delle cause di decadenza e di inammissibilità, secondo il quale nel giudizio non è possibile dichiarare una causa di decadenza non chiaramente enunciata dalle norme processuali” (T.A.R. Emilia-Romagna Bologna Sez. I, 10/04/2003, n. 471)

“Nel vigore del nuovo testo (introdotto dall'art. 54 della legge n. 353 del 1990) dell'art. 348 c.p.c., che non contempla più la declaratoria di improcedibilità dell'appello in conseguenza della mancata presentazione del fascicolo di parte - e quindi della sentenza impugnata - nella prima udienza (ancorché il deposito del fascicolo e della sentenza impugnata siano comunque prescritti dal combinato disposto degli artt. 165, 359 e 347 c.p.c.), e considerato il principio di tassatività delle cause di improcedibilità, deve ritenersi che la mancanza in atti della sentenza impugnata, ancorché quest'ultima possa risultare indispensabile per ottenere una pronuncia di merito sul gravame” (Cass. Civ. Sez. Unite, 04/05/2004, n. 8438)

“quando il legislatore ricorre alla categoria della inammissibilità, che non a caso è accompagnata dall'espressione preliminare evocativa della sanzione "a pena di" (…)” (Cass. Civ. Sez. III Ord., 18/07/2007, n. 16002)

“L'art. 348 cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dalla legge n. 353 del 1990, non contempla più la declaratoria di improcedibilità dell'appello in conseguenza della mancata presentazione nella prima udienza del fascicolo di parte e, quindi, della sentenza impugnata, e pertanto, in considerazione del principio di tassatività delle cause di improcedibilità, la mancanza in atti della sentenza impugnata, ancorché quest'ultima possa risultare indispensabile per ottenere una pronuncia di merito sul gravame, non implica comunque la declaratoria di improcedibilità dell'impugnazione” (Cass. civ. Sez. lavoro, 28/01/2009, n. 2171)

“In tema di patrocinio a spese dello Stato, quando l'opposizione dell'interessato avverso il decreto di rigetto dell'istanza di ammissione sia stata tempestivamente depositata presso il giudice "ad quem", ma non notificata alla Direzione Regionale delle Entrate a cura dell'instante, non si configura - in difetto di una espressa previsione di legge in tal senso- l'inammissibilità del gravame” (Cass. pen. Sez. IV, 10/12/2010, n. 44916)

“In tema di opposizione al provvedimento di liquidazione del compenso al difensore, la mancata tempestiva notifica dell'atto introduttivo e del decreto di fissazione della comparizione delle parti - disposta ex art. 29 della legge n. 794 del 1942, cui fa rinvio l'art. 170, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 - non dà luogo, in difetto di espressa comminatoria, all'inammissibilità dell'opposizione” (Cass. civ. Sez. II, 02/02/2011, n. 2442)

“In tema di contenzioso tributario, e con riferimento alle controversie soggette al regime processuale previgente, regolato dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, l'omessa allegazione al ricorso introduttivo del giudizio di una copia o dell'originale dell'atto impugnato non ne determina l'inammissibilità, in assenza di espressa previsione nell'art. 15 del D.P.R. cit. e ben potendo, in tal caso, il giudice provvedere all'acquisizione, di ufficio, dell'atto non prodotto” (Cass. Civ. Sez. V, 12/12/2013, n. 27837).

Conseguentemente, non sembra consentito all’interprete attribuire alla norma una portata retroattiva non espressamente sancita dal legislatore.
E’ evidente, quindi, che la l’art. 4 bis – per come interpretato da alcune Commissioni Tributarie Provinciali - difficilmente sfuggirebbe ad una declaratoria di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 24 e 111 Cost.
Si segnala, infine, che diverse Commissione Tributarie Provinciali (Enna, Reggio Emilia e Cosenza) hanno, diversamente, ritenuto irretroattiva la disposizione di cui all’art. 4 bis.
In particolare, la Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, con sentenza 505 del 2022 ha acutamente rilevato che “deve ritenersi che la stessa abbia natura processuale, con conseguente applicazione della citata regola ( sul punto, anche Cass. 2276/2017 : “il principio processuale del tempus regit actum va correttamente inteso nel senso che gli atti perfezionatisi prima dell’entrata in vigore di una novella in materia processuale, ancorché applicabile al processo in corso, in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite disposizioni di segno contrario, restino regolati, anche negli effetti, dalla norma sotto il cui imperio sono stati posti in essere) ; ne consegue che , dovendosi, nel caso in esame, far riferimento alla disciplina processuale vigente al momento dell’introduzione della domanda, il ricorso avverso l’estratto di ruolo, sotto l’aspetto in esame, deve ritenersi ammissibile”.
Conclusioni, quelle cui è giunta la Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, a parere dello scrivente assolutamente ineccepibili.

Marco Di Pietro

Avvocato del foro di Catania, cassazionista, esperto in diritto tributario e diritto scolastico collabora dal 2018 con la rivista DirittoItaliano.com. E' possibile contattarlo all'indirizzo email

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