L’ultrattività del rito è la regola generale elaborata dalla giurisprudenza in virtù della quale il giudizio di impugnazione va introdotto seguendo il rito adottato nel primo grado.

A nulla rileva sul punto che il rito adottato nel giudizio di primo grado non sia quello da adottare secondo la legge vigente, applicandosi nella fattispecie il principio dell’apparenza secondo cui si presume che il rito adottato dal giudice di prime cure sia quello conforme alla legge, avendo il solo giudice dell’impugnazione, e non anche le parti, il potere di disporre il mutamento del rito.

Problematiche assai delicate vengono a porsi circa la tempestività della proposizione dell’appello introdotto con ricorso piuttosto che con atto di citazione.

Ad esempio:
- un giudizio di appello erroneamente introdotto con atto di citazione, in quanto il primo grado sia stato celebrato con rito del lavoro, sarà proposto tempestivamente se l’iscrizione a ruolo (atto che produce i medesimi effetti del deposito del ricorso) e non la notifica, avverrà entro il termine di legge (sia esso il c.d. termine lungo o il c.d. termine breve).

- del pari un’impugnazione proposta erroneamente con ricorso piuttosto che con atto di citazione dovrà considerarsi tempestiva se la notifica del ricorso con pedissequo decreto di fissazione di udienza, e non il deposito del ricorso, verrà a perfezionarsi nei termini di legge.

Riportiamo di seguito breve rassegna di giurisprudenza di legittimità.



«Occorre osservare al riguardo che (Cass. Sezioni Unite 2008 n. 20749) "ove una controversia sia stata, anche se erroneamente, trattata in primo grado con il rito ordinario, anzichè con quello speciale del lavoro, le forme del rito ordinario debbono essere seguite anche per la proposizione dell'appello, che va proposto con citazione ad udienza fissa. Se, invece, la controversia sia stata trattata con il rito del lavoro anzichè con quello ordinario, la proposizione dell'appello segue le forme della cognizione speciale. Ciò, in ossequio al principio della ultrattività del rito , che - quale specificazione del più generale principio per cui l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell' apparenza , cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell'azione e del provvedimento compiuta dal giudice - trova specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice (Cass. 14/01/2005, n. 682). Poichè il rito , in senso ampio, attiene non solo alla fase procedimentale durante lo specifico grado, ma anche alla fase successiva dell'impugnazione, ritenere che il soggetto soccombente possa adottare in questa seconda fase una forma ed una modalità di impugnazione diverse da quelle impostegli dal rito , con cui è stata emessa la sentenza, significa attribuire al soggetto impugnante una facoltà di mutamento, che invece compete esclusivamente al giudice dell'impugnazione (art. 439 c.p.c.). E' quindi solo il giudice dell'impugnazione, anche a garanzia delle controparti, che ha il potere di rettificazione del rito , con la possibilità del passaggio al rito speciale o viceversa (cfr. Cass. n. 1313/1979)"». (Cass. civ. Sez. II, Ord., 19-01-2012, n. 774)


«Secondo il consolidato orientamento di questa S.C. in tema di cosiddetta ultrattività del rito, è giurisprudenza pacifica che, ove una controversia sia stata erroneamente trattata in primo grado con il rito ordinario, anzichè con quello speciale del lavoro, le forme del rito ordinario debbono essere seguite anche per la proposizione dell'appello, che, dunque, va proposto con citazione ad udienza fissa. Se, invece, la controversia sia stata trattata con il rito del lavoro anzichè con quello ordinario, la proposizione dell'appello segue le forme della cognizione speciale. Ciò, in ossequio al principio della ultrattività del rito, che - quale specificazione del più generale principio per cui l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell'apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell'azione e del provvedimento compiuta dal giudice - trova specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice (Cass. 27 maggio 2010 n. 12990;Cass. 14/01/2005, n. 682; Cass. 14/12/2007, n. 26294). Pertanto, nel caso in esame la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che l'appello, proposto avverso sentenza pronunciata all'esito di giudizio celebrato in primo grado con rito ordinario, si rivela inammissibile allorchè la notifica del ricorso sia avvenuta, come nella specie, dopo la scadenza del termine d'impugnazione». (Cassazione Civile Sent. n. 14406 del 30-06-2011)


«In tema di impugnazioni, alla luce del principio di ultrattività del rito , la proposizione dell'appello deve conformarsi alle forme del rito seguito in primo grado. Ne consegue che, in controversia trattata con il rito del lavoro, l'inammissibilità dell'impugnazione, perché depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza previsto dell'art. 434, secondo comma, cod. proc. civ. e, in caso di mancata notifica della sentenza, nel termine di cui all'art. 327, primo comma, stesso codice, non trova deroga con riguardo all'ipotesi in cui l'appello sia stato irritualmente proposto nella forma della citazione, ancorché questa sia suscettibile di convalidazione a norma dell'art. 156, ultimo comma cod. proc. civ., trattandosi di inosservanza di un adempimento prescritto a pena di decadenza, dal quale deriva il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado». (Rigetta, App. Napoli, 20/12/2005) (Cass. civ. Sez. III, 27 maggio 2010, n. 12990)


«Il principio di ultrattività del rito postula che il giudice abbia trattato la causa secondo quello erroneamente adottato, implicitamente ritenendo che il rito in concreto seguito sia quello prescritto, con la conseguenza che il giudizio deve proseguire nelle stesse forme. Pertanto, qualora una causa in materia di locazione sia stata trattata con il rito ordinario, l'atto di appello va proposto con citazione, a norma dell'art. 342 cod. proc. civ., da notificare entro trenta giorni dalla notifica della sentenza; ove, invece, l'appello sia stato proposto erroneamente con ricorso, ai fini della tempestività del gravame occorre guardare non alla data di deposito dello stesso, bensì a quella della notifica del ricorso alla controparte in una col provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza».(Cass. civ. Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12290)


Il principio di ultrattività del rito postula che il giudice abbia trattato la causa secondo il rito erroneamente adottato e, non avendo formulato alcun rilievo al riguardo, abbia implicitamente ritenuto che il rito in concreto seguito sia quello prescritto, con la conseguenza che il giudizio deve proseguire nelle stesse forme. Tale principio non opera, invece, nella diversa ipotesi in cui il giudice, dichiarandosi incompetente, abbia così escluso che la controversia rientri tra quelle per le quali é previsto il rito adottato, il quale, pertanto, non può essere seguito, dovendosi, in applicazione del principio dell' apparenza del diritto, applicare il rito previsto in relazione alla qualificazione data dal giudice alla controversia.(Nella specie la S.C. ha affermato che, avendo - con la declaratoria di incompetenza - il giudice del lavoro dichiarato che la causa non rientrava tra quelle previste dall'art. 409 cod. proc. civ., alla stessa doveva applicarsi la sospensione feriale dei termini per la riassunzione). (Cass. civ. Sez. II, 21 maggio 2010, n. 12524)

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