REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4889 del 2018, proposto da
Autorità di regolazione dei trasporti, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro

Fata Logistic Systems s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Vittorio Barosio, Gianluca Contaldi e Fabio Dell'Anna, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gianluca Contaldi in Roma, via Pierluigi Da Palestrina 63;
Cooperativa Radio Taxi Torino s.c., non costituita in giudizio;
per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, 8 marzo 2018 n. 289, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Fata Logistic Systems s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2020 il Cons. Diego Sabatino e rilevato che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 25, co.2, del Decreto Legge 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 4889 del 2018, Autorità di regolazione dei trasporti, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, 8 marzo 2018 n. 289, resa tra le parti, con la quale è stato accolto il ricorso proposto da Fata Logistic Systems s.p.a. per l'annullamento

I) delle note dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti in data 29.10.2015, prot. 2015/5314 e in data 6.11.2015, prot. 2015/5564, con cui è stato richiesto alla Fata Logistic Systems s.p.a. il pagamento del contributo da essa asseritamente dovuto per il funzionamento della medesima Autorità di Regolazione dei Trasporti;

II) di ogni altro atto antecedente, preparatorio, presupposto, consequenziale o comunque connesso con quelli impugnati, con particolare (ma non esclusivo) riferimento: a) alla nota dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti in data 17.4.2015 e alle (non precisate) "successive istruzioni per il versamento del contributo" (tutte mai pervenute alla ricorrente), di cui è menzione negli atti indicati al punto I; b) alla delibera dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti 27.11.2014, n. 78/2014, recante "Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all'Autorità di Regolazione dei Trasporti per l'anno 2015", e relativi allegati; c) al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 2.4.2015, con cui è stata "approvata, ai fini dell'esecutività, la deliberazione n. 78 del 27 novembre 2014"; d) alla determina del Segretario Generale dell'Autorità di Regolazione 16.4.2015, n. 24/2015, recante la "Definizione delle modalità operative relative al versamento e comunicazione del contributo per il funzionamento dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti per l'anno 2015"; e) alle note del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Capo di Gabinetto in data 14.1.2015, prot. 647 e in data 24.2.2015, prot. 4039 (di richiesta di chiarimenti all'Autorità di Regolazione), e in data 30.3.2015, prot. 6776 (di trasmissione dei pareri del Dipartimento del Tesoro e della Ragioneria generale dello Stato), e a questi stessi pareri, atti tutti sconosciuti all'odierna ricorrente, nonchè alle note dell'Autorità di Regolazione in data 28.1.2015, prot. 2015/263 e in data 16.3.2015, prot. 2015/1053 (che recherebbero i suddetti "chiarimenti").

Il giudice di primo grado ha così riassunto i fatti di causa.

“Con atto ritualmente notificato e depositato il 9 gennaio 2016 la Fata Logistic system s.p.a., ha proposto ricorso avverso la deliberazione l’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) n. 78/2014 “Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità di Regolazione dei Trasporti per l’anno 2015” e relativi allegati.

Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio l’ART.

Con il ricorso la ricorrente ha lamentato che:

a) l’art. 37 co. 6 del d.l. n. 201/2011 violerebbe gli artt. 3, 23, 41 e 97 della Costituzione per incertezze indotte sia con riferimento alla platea dei destinatari del contributo sia con riferimento all’entità dello stesso;

b) il contributo è dovuto “dai gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati”; la ricorrente non è gestori di infrastrutture né opera in settori corrispondenti a servizi regolati di pubblica utilità; la società opera infatti nell’ambito del trasporto di merci su strada per conto terzi e non sarebbe quindi gestore di alcun servizio regolato; inidoneo sarebbe poi il riferimento ai codici ATECO ed alle risultanze delle visure camerali quali criteri di individuazione degli obbligati; la scelta di ART comporterebbe altresì impropri e gravosi oneri a carico delle imprese per individuare le voci di fatturato idonee o meno ad incidere sul contributo;

c) l’ART avrebbe esorbitato dalle proprie prerogative, non limitandosi a deliberare in relazione all’entità del contributo ma estendendo il proprio deliberato anche ai soggetti tenuti al contributo stesso; il provvedimento sarebbe inoltre stato adottato senza il prescritto concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze; ancora e con riferimento all’entità del contributo fissato non sarebbe rispettato il principio di proporzionalità né rispettata la correlazione con gli oneri e costi sopportati dall’ART; il contributo sarebbe stato impropriamente correlato al fatturato anzicchè ai ricavi ed i suoi criteri di computo implicano valutazioni non realmente indicative di una capacità contributiva.

Si è costituita l’amministrazione resistente, contestando in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso introduttivo.

Con ordinanza n. 65/2016 di questo Tar veniva accolta l’istanza cautelare; contestualmente veniva sospeso il giudizio preso atto che, con ordinanza n. 1746/2015 di questo Tar resa in altro giudizio, era stata sollevata questione di legittimità costituzionale analoga a quella prospettata con il primo motivo di ricorso.

Con la sentenza n. 69 del 22 febbraio 2017, depositata il 7 aprile 2017, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale sollevate da questo TAR con l’ordinanza n. 1746/2015.

Parte ricorrente ha riassunto il giudizio.

All’udienza del 14.2.2018 la causa è passata in decisione.”

Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata, redatta secondo le forme dell’art. 119 c.p.a.. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le censure proposte, sottolineando l’illegittimità dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione alla non esigibilità del contributo richiesto in capo all’impresa ricorrente.

Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie difese.

Nel giudizio di appello, si è costituita Fata Logistic Systems s.p.a., chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Alla pubblica udienza del 12 novembre 2020, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

Motivazione

1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. - La questione in scrutinio attiene alla disciplina del finanziamento dell’Autorità di regolazione dei trasporti (di seguito ART) e all’individuazione dei presupposti oggettivi che ne regolano il detto profilo e, come si vedrà, si dipana in un arco temporale che vede il susseguirsi di più interventi normativi, giurisprudenziali e regolamentari.

Appare allora utile, se non necessario, procedere ad sintetica ricostruzione del quadro ordinamentale in cui si colloca ART, tenendo presente non l’interezza delle vicende dell’Autorità, ma ponendo a fuoco le due questioni qui rilevanti, ossia l’individuazione delle sue funzioni e delle modalità di finanziamento.

2.1. - Già in sede di istituzione dell’ART, avvenuta con l’art. 37 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in l, 22 dicembre 2011, n. 214, il legislatore ha provveduto a collocare il nuovo soggetto nell’ambito delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481 e a dare una definizione delle funzioni svolte.

Nella sua versione originaria, il comma 1 dell’articolo 37 del decreto legge n. 201 del 2011 attribuiva al Governo il compito di adottare uno o più regolamenti ex art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di emanare “le disposizioni volte a realizzare una compiuta liberalizzazione nel settore ferroviario, aereo e marittimo”. Il successivo comma poneva tra i criteri e i principi direttivi dei predetti regolamenti l’individuazione, tra le Autorità indipendenti esistenti, dell’Autorità svolgente competenze assimilabili a quelle contemplate dalla medesima norma, cui attribuire puntuali funzioni in materia di: accesso alle infrastrutture e alle reti ferroviarie, aeroportuali e portuali; criteri tariffari, “se ritenuto necessario in relazione alle condizioni di concorrenza effettivamente esistenti nei singoli mercati”; condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto connotati da oneri di servizio pubblico; gare per l’assegnazione dei servizi di trasporto in esclusiva.

In sede di conversione del d.l. n. 201 del 2011, il primo comma della norma in esame è stato modificato, spostandosi l’attenzione dei predetti regolamenti governativi dall’emanazione di “disposizioni volte a realizzare una compiuta liberalizzazione nel settore ferroviario, aereo e marittimo” alla produzione di “disposizioni volte a realizzare una compiuta liberalizzazione e un'efficiente regolazione nel settore dei trasporti e dell'accesso alle relative infrastrutture”, con un allargamento del perimetro di operatività delle medesime, oltre i richiamati settori.

Successivamente, la disposizione citata è stata modificata dall’art. 36, comma 1, lettera a), del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1. Si è ivi previsto, dapprima, la devoluzione delle competenze in materia di traporti all’Autorità per l’energia elettrica e il gas, con una previsione poi modificata con la legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27. L’attuale versione della norma comporta un ulteriore ampliamento delle attribuzioni, in quanto, ai sensi del vigente quarto periodo del primo comma, “L'Autorità è competente nel settore dei trasporti e dell'accesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori, in conformità con la disciplina europea e nel rispetto del principio di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti locali di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione”.

Conclusivamente, le funzioni dell’ART, che opera “in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione”, concernono la promozione della concorrenza, la rimozione degli ostacoli all’accesso nel mercato di riferimento, la tutela dei consumatori “nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori, in conformità con la disciplina europea e nel rispetto del principio di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti locali di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione”. Il che significa che le attribuzioni della ART comprendono, in ampiezza, l’intero “settore dei trasporti e dell’accesso alla relative infrastrutture”; mentre in profondità, l’esplicito riferimento alla disciplina europea e quindi al Titolo VI del TFUE, evidenzia la direttrice d’azione, sintetizzata nell’ordinanza del TAR Piemonte n. 30 del 17 dicembre 2015 di rimessione di questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, nel senso che “oltre a contemplare tutte le tipologie di trasporto (ferroviario, stradale, per via aerea e marittima), individua nei trasporti non solo un mercato in cui promuovere la concorrenza ma anche uno strumento di complessiva coesione dell’Unione e degli ulteriori mercati, evocando, ad esempio, aspetti di sicurezza e mobilità di carattere generale”.

2.2. - Venendo al tema del finanziamento, va notato come disposizione di riferimento in tema sia contenuta nel comma 6, lettere a) e b), della norma istitutiva. Mentre la lettera a) prevedeva un regime transitorio di finanziamento, limitato alla sola fase di avvio dell’ART e caratterizzato dal trasferimento una tantum di risorse erariali, il finanziamento a regime è stato regolato dalla successiva lettera b).

La disposizione, nella sua formulazione originaria, prevedeva che l’ART facesse fronte alle proprie spese “mediante un contributo versato dai gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati, in misura non superiore all'uno per mille del fatturato derivanti dall'esercizio delle attività svolte percepiti nell'ultimo esercizio. Il contributo è determinato annualmente con atto dell'Autorità, sottoposto ad approvazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Nel termine di trenta giorni dalla ricezione dell'atto, possono essere formulati rilievi cui l'Autorità si conforma; in assenza di rilievi nel termine l'atto si intende approvato”.

In questo senso, il legislatore ha tendenzialmente uniformato l’ART alle altre autorità indipendenti, che parimenti vedono l’autofinanziamento come modalità esclusiva di copertura dei costi, previsto per quelle di regolazione dei servizi di pubblica utilità (ARERA e AGCOM) già dall’articolo 2, comma 38, lettera b), della legge n. 481 del 1995, poi esteso a CONSOB, ANAC e COVIP dall’articolo 1, comma 65, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e, da ultimo, all’AGCM (articolo 5-bis del decreto legge n. 1/2012). Inoltre, per le Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità ivi espressamente nominate la legge n. 266 del 2005 ha previsto un sistema di contribuzione applicato ai “mercati di competenza” (art. 1, commi 65 e 68-bis), in quanto ambiti interessati dai poteri di intervento delle Autorità, così superando la disposizione della legge n. 481 del 1995, riferita ai soli “soggetti esercenti i servizi” (disposizione invece rimasta a regolare fino al decreto c.d. decreto legge Morandi d.l. 28 settembre 2018 n.109, convertito con modificazioni dalla Legge 16 novembre 2018, n. 130 il contributo dell’ART ).

In merito poi alla qualificazione giuridica del contributo, è da tener presente la posizione della Corte costituzionale, espressa con sentenza 6 luglio 2007, n. 256 con riferimento alla stessa spettanza dall’ANAC (già AVCP), che ne ha individuato la natura di entrata tributaria in quanto caratterizzato dalla doverosità della prestazione, in assenza di un rapporto sinallagmatico rispetto ai servizi resi; dal collegamento con una spesa pubblica; e dal riferimento a un presupposto economicamente rilevante.

2.3. - Sulla scorta di questo inquadramento, le prime delibere dell’ART in tema di autofinanziamento sono state definitivamente approvate nel 2014 e 2015 (delibere nn. 10 e 78 del 2014) mediante i DPCM 12 febbraio 2014 e 2 aprile 2015, seguendo lo schema procedurale di approvazione ed esecutività che impone il coinvolgimento del MEF e della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con fissazione dell’aliquota, da applicare ai “gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati”, nella misura dello 0,4 per mille (inferiore, quindi, alla misura massima dell’uno per mille del fatturato dell’ultimo esercizio, di cui all’art. 37, comma 6, lett. b, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201).

Il contenzioso amministrativo scaturito dall’emanazione delle citate delibere proprio in tema di quantificazione e di compatibilità costituzionale della disposizione legislativa in materia di autofinanziamento ha portato ad una ulteriore pronuncia della Corte costituzionale che, rigettando le questioni, ha fornito ulteriori elemento chiarificatori in materia.

Con sentenza 7 aprile 2017 n. 69, la Corte ha richiamato il proprio orientamento sull’inquadramento del contributo quale prestazione patrimoniale imposta e come tale soggetto alla riserva di legge prevista dalla detta disposizione. Esaminando i temi sottoposti al suo sindacato, la Corte si è sostanzialmente soffermata sulla compatibilità costituzionale delle disposizioni rispetto, da un lato, all’articolo 23, per verificare il rispetto della riserva di legge e della sufficiente definizione degli elementi della contribuzione da parte della normativa primaria; e dall’altro, all’art. 3, per verificare l’eguaglianza della contribuzione.

Sul tema dell’individuazione dei soggetti obbligati, la Corte costituzionale ha affermato (punto 7.3) che “la stessa disposizione fa riferimento ai ‘gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati’, ossia a coloro nei confronti dei quali l’ART abbia effettivamente posto in essere le attività (specificate al comma 3 dell’art. 37) attraverso le quali esercita le proprie competenze (enumerate dal comma 2 del medesimo articolo). Dunque, la platea degli obbligati non è individuata, come ritiene il rimettente, dal mero riferimento a un’ampia, quanto indefinita, nozione di ‘mercato dei trasporti’ (e dei ‘servizi accessori’); al contrario - come può ben essere per scelta insindacabile del legislatore tributario al quale, ovviamente, va notato in consonanza a quanto statuito dal giudice delle leggi, solo spetta l’individuazione astratta dei soggetti passivi del tributo in ossequio al principio cardine del diritto costituzionale no taxation without representation - deve ritenersi che includa solo coloro che svolgono attività nei confronti delle quali l’ART ha concretamente esercitato le proprie funzioni regolatorie istituzionali”.

In merito poi ai risvolti procedurali della quantificazione del contributo, sempre la Corte ha evidenziato l’assenza di profili critici, in quanto la dialettica tra le istituzioni interessate (ART, Presidenza del Consiglio, MEF) consente una valutazione ponderata delle delibere sul contributo in quanto “L’intervento del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’economia e delle finanze costituisce un significativo argine procedimentale alla discrezionalità dell’ART e alla sua capacità di determinare da sé le proprie risorse” e si è anche sottolineato il momento partecipativo, dato dal coinvolgimento delle associazioni di categoria.

In relazione all’entità del contributo e al suo perimetro, la Corte ha poi notato come questi siano stati determinati in modo sufficiente dalla norma primaria in senso proporzionato e ragionevole. Infatti, “Quanto alla misura delle risorse per il cui approvvigionamento l’Autorità si avvale del contributo oggetto del giudizio, essa non può ritenersi illimitata ovvero rimessa alla determinazione unilaterale dell’Autorità. La loro entità è correlata alle esigenze operative dell’ART e corrisponde al fabbisogno complessivo della medesima, risultante dai bilanci preventivi e dai rendiconti della gestione, soggetti al controllo della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale (…) Limiti più specifici sono poi stabiliti da singole disposizioni di legge, anch’essi soggetti a controllo”.

Venendo poi al presupposto della tassazione, si è infine affermato che “Per quanto, poi, riguarda l’identificazione del ‘fatturato’ come base imponibile per la determinazione del contributo da parte dei soggetti obbligati (…) si può osservare che la nozione in esame, utilizzata anche in altri luoghi dell’ordinamento, ben si presta a essere precisata, con riguardo allo specifico settore di riferimento, in base a criteri tecnici di carattere economico e contabile”.

2.4. - In applicazione dei principi derivanti dalla sentenza 69 del 2017 della Corte costituzionale, l’ART ha approvato la delibera n. 75/2017 al fine di riparametrare le proprie competenze e le attività concretamente alla lettura fattane dal giudice delle leggi.

La delibera de qua determinava anch’essa un contenzioso amministrativo, complesso e articolato in relazione alla diverse posizioni delle singole categorie imprenditoriali incise dal prelievo.

Nelle more dei detti giudizi, interveniva peraltro una ulteriore riforma, data dal d.l 28 settembre 2018 n.109, convertito con modificazioni dalla Legge 16 novembre 2018, n. 130 “Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze” dove, con l’art. 16 “Competenze dell'Autorità di regolazione dei trasporti e disposizioni in materia di tariffe e di sicurezza autostradale”, si modifica il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 il cui art. 37, comma 6, lettera b), il primo periodo è così sostituito:

"mediante un contributo versato dagli operatori economici operanti nel settore del trasporto e per i quali l’Autorità abbia concretamente avviato, nel mercato in cui essi operano, l'esercizio delle competenze o il compimento delle attivita' previste dalla legge, in misura non superiore all'1 per mille del fatturato derivante dall'esercizio delle attività svolte percepito nell'ultimo esercizio, con la previsione di soglie di esenzione che tengano conto della dimensione del fatturato. Il computo del fatturato è effettuato in modo da evitare duplicazioni di contribuzione".

A seguito di tale modifica, l’ART adottava una nuova delibera, la n. 141 del 19 dicembre 2018 (la “Delibera”), recante “Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità di regolazione dei Trasporti per l’anno 2019”, adeguandosi alla disciplina sopravvenuta.

2.5. - Conclusivamente e nei limiti di rilevanza per il presente giudizio, la questione della quantificazione del contributo per il funzionamento dell’ART deve fare riferimento all’art. 37 “Liberalizzazione del settore dei trasporti” del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, nelle due diverse formulazioni del comma 6 lett. b), derivanti, la prima, dalla formulazione assunta a seguito della modifica di cui all'articolo 36, comma 1, lettera e), num. 2) del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (“mediante un contributo versato dai gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati, in misura non superiore all'uno per mille del fatturato derivanti dall'esercizio delle attività svolte percepiti nell'ultimo esercizio. Il contributo è determinato annualmente con atto dell’Autorità, sottoposto ad approvazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Nel termine di trenta giorni dalla ricezione dell'atto, possono essere formulati rilievi cui l’Autorità si conforma; in assenza di rilievi nel termine l'atto si intende approvato.”) e, la seconda, dopo l’intervento dell'articolo 16, comma 1, lettera a-ter) del d.l. 28 settembre 2018, n. 109 (“mediante un contributo versato dagli operatori economici operanti nel settore del trasporto e per i quali l’Autorità abbia concretamente avviato, nel mercato in cui essi operano, l'esercizio delle competenze o il compimento delle attività previste dalla legge, in misura non superiore all'1 per mille del fatturato derivante dall'esercizio delle attività svolte percepito nell'ultimo esercizio, con la previsione di soglie di esenzione che tengano conto della dimensione del fatturato. Il computo del fatturato è effettuato in modo da evitare duplicazioni di contribuzione. Il contributo è determinato annualmente con atto dell’Autorità, sottoposto ad approvazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Nel termine di trenta giorni dalla ricezione dell'atto, possono essere formulati rilievi cui l’Autorità si conforma; in assenza di rilievi nel termine l'atto si intende approvato.”)

3. - La ricostruzione appena svolta consente di concentrarsi sugli elementi fondanti le doglianze qui in scrutinio, dove il presente giudizio è un segmento di un contenzioso seriale dal quale possono trarsi alcune indicazioni generali sulle tematiche da esaminare.

In prima approssimazione, e salve ovviamente le questioni particolari derivanti dalla singole vicende, sono individuabili alcune costanti nelle impugnative, che permettono di raggruppare i problemi per due diversi ambiti, così da affrontare unitariamente i singoli plessi problematici. Si tratta dei temi riguardanti:

a) l’inquadramento delle plurime categorie imprenditoriali nei due diversi schemi normativi dei ‘gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati’ e degli ‘operatori economici operanti nel settore del trasporto’;

b) i criteri per individuare il momento in cui l'esercizio delle competenze o il compimento delle attività previste dalla legge in capo a ART possa ritenersi ‘concretamente avviato’.

Aderendo quindi alla detta impostazione di valutazione cumulativa, le singole categorie di doglianze saranno qui di seguito partitamente esaminate.

4. - In merito all’inquadramento delle categorie imprenditoriali nei due diversi schemi normativi dei ‘gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati’ e degli ‘operatori economici operanti nel settore del trasporto’, va notato come l’intervento normativo del 2018 abbia dato vita ad un oggettivo ampliamento della platea delle imprese tenute alla contribuzione; infatti, mentre, fino al d.l. 28 settembre 2018, n. 109 (e quindi fino all’esercizio finanziario 2018) la contribuzione era in carico unicamente a soggetti gestori, successivamente l’onere viene a ricadere anche sui meri operatori economici.

In questo senso, deve essere meglio vagliato il significato della citata sentenza n. 69 del 2017 della Corte costituzionale ai fini del presente giudizio. La pronuncia in esame è inseribile nel novero delle sentenze interpretative di rigetto, quelle in cui il giudice delle leggi utilizza una modalità della tecnica del sindacato di costituzionalità che consente di reinterpretare la norma impugnata, plasmandone il contenuto in termini compatibili con la Carta costituzionale ed evitando, così, che una dichiarazione di incostituzionalità produca una lacuna nell'ordinamento.

In questi casi, il vincolo che deriva, sia per il giudice a quo sia per tutti gli altri giudici comuni, da una sentenza interpretativa di rigetto, resa dalla Corte costituzionale, è soltanto negativo, consistente cioè nell'imperativo di non applicare la norma ritenuta non conforme al parametro costituzionale evocato e scrutinato dalla Corte costituzionale, così da non ledere la libertà dei giudici di interpretare ed applicare la legge, ai sensi dell'art. 101 Cost., comma 2, non essendo preclusa la possibilità di seguire, nel processo a quo o in altri processi, terze interpretazioni ritenute compatibili con la Costituzione, oppure di sollevare nuovamente, in gradi diversi dello stesso processo a quo o in un diverso processo, la questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, sulla base della interpretazione rifiutata dalla Corte costituzionale - eventualmente evocando anche parametri costituzionali diversi da quello precedentemente indicato e scrutinato (da ultimo, Cass. civ., IV, 9 luglio 2020, n.14632).

Pertanto, nel caso in esame, la pronuncia di rigetto della Corte, evidenziando la portata applicativa delle disposizioni censurate dall’ordinanza di rimessione e valorizzando la lettera della disposizione e la sua collocazione sistematica, ha escluso l’incostituzionalità della norma, evidenziando come il numero degli obbligati possa giungere a comprendere “coloro che svolgono attività nei confronti delle quali l’ART ha concretamente esercitato le proprie funzioni regolatorie istituzionali”, di fatto legittimando il successivo intervento ampliativo del legislatore ( già seguito per altre autorità ) ed affidando alla legalità procedurale il compito di etero-integrare il precetto con l’unico limite di non poter ritenere aprioristicamente esclusi soggetti ulteriori come gli operatori del mercato ma a condizione di essere destinatari ( e non meri indiretti beneficiari ) dell’atto di regolazione.

La Corte non vincola l’interprete nella individuazione del criterio discretivo da utilizzare per individuare i soggetti nei confronti dei quali l’Autorità abbia esercitato le proprie funzioni regolatorie istituzionali.

Resta peraltro evidente come la norma attributiva, pur potendo estendersi, come poi effettivamente avvenuto nel 2018, fino a comprendere le altre categorie imprenditoriali, fino al d.l. 109 si limitava a richiedere la contribuzione solo ai gestori, ossia a soggetti che, in possesso di un titolo abilitativo di tipo concessorio, esercitassero effettivamente queste funzioni in relazione a infrastrutture o servizi direttamente regolati.

Il contenuto vincolante, nel senso negativo sopra vagliato, della sentenza n. 69 del 2017 sta quindi nell’impedire che, anche portata ai suoi massimi confini applicativi, la disposizione contrasti con i dettati costituzionali.

E tale contrasto non si verifica quando il soggetto passivo ulteriore sia individuato con riferimento alla legalità procedurale ma non intesa come regolazione di un ambito di mercato (ossia presenza di una regolazione di cui si sia meri beneficiari) ma come concreto e diretto indirizzamento di un atto di regolazione ad un operatore o ad una categoria di operatori del vasto mercato dei trasporti.

Questo il delicato punto di equilibrio raggiunto dal giudice delle leggi.

Nell’ambito di tale recinto, tuttavia, resta del tutto possibile, e dovuta, l’interpretazione del testo quale derivante dal suo contenuto conformativo che, come si è detto, fa riferimento unicamente a soggetti gestori di servizi regolati, restando fermo che tale recinto (in fondo connotato da una certa innominatività) possa estendersi solo a fronte di una concreta prova di imposizione di obblighi a specifiche categorie di operatori di un mercato peraltro molto differenziato, vasto ed eterogeneo (il resto fisiologicamente spettando al legislatore poi puntualmente intervenuto a conferma della imperfezione – non dell’incostituzionalità - della disciplina pregressa).

Conclusivamente, deve ritenersi che, fino all’ampliamento categoriale determinato dal d.l. 109 del 2018, pur rientrando concettualmente nelle tipologie imprenditoriali astrattamente assoggettabili (a certe condizioni ossia essere destinatari di atti di regolazione non meri beneficiari della stessa) a contribuzione in favore di ART, gli ‘operatori economici operanti nel settore del trasporto’ diversi dai ‘gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati’ non fossero soggetti al contributo de qua e che solamente dopo la riforma del 2018 il contributo in favore di ART sia divenuto esigibile anche nei loro confronti.

Le osservazioni appena svolte implicano un approfondimento in merito all’applicabilità delle osservazioni appena svolte alle categorie che hanno dato vita al contenzioso seriale di cui la presente decisione rappresenta un segmento.

4.1. - Vanno sicuramente inseriti nella nozione di gestori i concessionari autostradali, il cui regime pubblicistico impone oneri riconducibili al concetto di gestione.

In primo luogo, tenuto conto del dato positivo, deve ritenersi che, ai sensi del combinato disposto, dell’art. 37, comma 2, lett. a) e g), cit., l’Autorità appellata fosse titolare del potere di regolamentare l’attività dei gestori dell’infrastruttura autostradale, a prescindere dalla data di affidamento dei relativi atti concessori, potendo, dunque, influire, altresì, sulle concessioni già assentite alla data della sua istituzione.

In particolare, l’art. 37, comma 2, cit, nella formulazione ratione temporis applicabile alla specie, prevedeva:

- alla lett. a), il potere dell’Autorità di “ garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali, fatte salve le competenze dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali di cui all'articolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonché in relazione alla mobilità dei passeggeri e delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche collegata a stazioni, aeroporti e porti”;

- alla lett. g), “con particolare riferimento al settore autostradale”, il potere di “stabilire per le nuove concessioni sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap, con determinazione dell'indicatore di produttività X a cadenza quinquennale per ciascuna concessione; a definire gli schemi di concessione da inserire nei bandi di gara relativi alla gestione o costruzione; a definire gli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali per le nuove concessioni; a definire gli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali, allo scopo di promuovere una gestione plurale sulle diverse tratte e stimolare la concorrenza per confronto”.

Al riguardo, emerge che le disposizioni dettate dalla lett. g) risultavano esemplificative, in relazione al settore autostradale, di taluni dei poteri già esercitabili dall’ART sulla base della lett. a), riguardante la regolamentazione dell’accesso a tutte le infrastrutture di trasporto, ivi comprese, dunque, le reti autostradali (salve rimanendo le competenze dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali).

Una diversa interpretazione, volta ad intendere la locuzione “particolare” di cui alla lett. g), anziché in termini esemplificativi, come una limitazione degli obiettivi generali dell’attività di regolamentazione -con l’effetto di limitare le competenze regolatorie in materia di infrastrutture autostradali ai soli poteri declinati dalla lett. g)- non parrebbe compatibile con la lettera della disposizione, il contesto in cui è inserita e la finalità di protezione sottesa alla sua previsione.

Sotto un profilo letterale, la locuzione “particolare” pone un rapporto di specialità tra due proposizioni, individuando una species del genus degli obiettivi di tutela all’uopo perseguibili, in tale modo chiarendo che rientrano nel genus degli obiettivi assegnati alla cura dell’Autorità anche (e non solo) le finalità espressamente indicate con particolare riguardo al settore autostradale.

Sotto il profilo sistematico, si osserva che la competenza in materia autostradale risulta espressamente prevista anche nella lett. a) del medesimo comma, che attribuisce all’Autorità il potere di garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie (altresì) alle reti autostradali; non potendo, pertanto, limitarsi la competenza in materia di infrastrutture autostradali ai soli poteri elencati alla lett. g), cit.

Tenuto conto dell’elemento teleologico, l’accoglimento dell’interpretazione estensiva, volta a consentire l’esercizio di competenze non limitate a quelle delineate dalla lett. g) del comma 2 risponde all’esigenza di tutela sottesa all’istituzione dell’ART, ente chiamato ad operare in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione nell’intero settore dei trasporti e dell'accesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori, come espressamente previsto dall’art. 37, comma 1, D.L. n. 201/11 cit.; il che permette di configurare un’Autorità amministrativa indipendente titolare di un’ampia competenza regolatoria in relazione a tutte le tipologie di infrastrutture, ivi comprese quelle autostradali.

Ne deriva che, non esaurendo l’art. 37, comma 2, lett. g), cit. le competenze dell’Autorità in materia autostradale, il riferimento ivi recato alle “nuove concessioni” non potrebbe comunque operare come limite all’esercizio delle funzioni regolatorie esercitabili sulla base di distinte previsioni normative.

In particolare, potendo siffatte funzioni essere ricondotte anche alla lett. a) cit., considerato che detta disposizione declina una serie di poteri regolatori senza operare alcun rinvio alle “nuove concessioni”, l’Autorità deve ritenersi titolare del potere di regolare l’accesso alle infrastrutture autostradali influendo su tutte le concessioni autostradali, anche se già esistenti al momento della sua istituzione.

In ogni caso, si osserva che, anche avendo riguardo alla sola disciplina dettata dall’art. 37, comma 2, lett. g), si è in presenza di una disposizione con più norme, volte ad attribuire quattro distinti poteri di regolamentazione in capo all’Autorità appellata.

Difatti, come reso palese anche dai segni di punteggiatura impiegati dal legislatore, volti a separare quattro proposizioni nell’ambito dell’alinea contraddistinto dalla lett. g), vengono in rilievo:

- il potere di stabilire per le nuove concessioni sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap, con determinazione dell'indicatore di produttività X a cadenza quinquennale per ciascuna concessione;

- il potere di definire gli schemi di concessione da inserire nei bandi di gara relativi alla gestione o costruzione;

- il potere di definire gli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali per le nuove concessioni;

- il potere di definire gli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali, allo scopo di promuovere una gestione plurale sulle diverse tratte e stimolare la concorrenza per confronto.

La limitazione precettiva riferita alle “nuove concessioni” è contenuta soltanto nel primo e nel terzo periodo dell’alinea, riguardanti la definizione dei sistemi tariffari dei pedaggi e la definizione degli schemi dei bandi relative alle gare indicibili dai concessionari.

Il che consente di evidenziare come analoga limitazione non sia riferibile agli ulteriori due periodi di cui si compone l’alinea, separati da un punto e virgola, a dimostrazione della loro autonomia precettiva.

Peraltro, la limitazione del potere regolatorio alle nuove concessioni assume diversa portata applicativa a seconda che si faccia riferimento alla definizione dei sistemi tariffari dei pedaggi ovvero alla definizione degli schemi dei bandi relative alle gare indicibili dai concessionari.

Nel primo caso il limite posto dalla norma attributiva del potere è destinato ad operare, effettivamente, nei confronti dei concessionari autostradali, potendo intervenire l’Autorità sui soli rapporti concessori ancora da instaurare; il che trova la sua giustificazione nei particolari effetti riconducibili all’esercizio della relativa competenza regolatoria, incidente sull’elemento economico della tariffa e, quindi, sul sinallagma del relativo rapporto concessorio, come tale suscettibile di operare soltanto per le nuove concessioni, ancora da affidare.

Nel secondo caso, invece, il limite riguarda le sub concessioni, operando esclusivamente per le “gare cui sono tenuti i concessionari autostradali per le nuove concessioni”: trattasi, dunque, di una competenza che ben potrebbe incidere sui concessionari titolari di atti di affidamento già assentiti alla data di istituzione dell’Autorità, i quali, al pari dei nuovi concessionari, sono comunque tenuti ad indire gare pubbliche per l’affidamento di nuove subconcessioni.

Ne deriva che, anche avendo riguardo alla sola disciplina dettata dalla lett. g), cit., la competenza regolamentare dell’Autorità, salva la materia dei sistemi tariffari dei pedaggi, potrebbe essere esercitata anche in relazione alle concessioni già esistenti alla data di sua istituzione, con conseguente infondatezza delle censure svolte dall’appellante, incentrate sulla sussistenza di un potere regolamentare limitato alle “nuove concessioni”.

4.2. - Le osservazioni appena svolte consentono invece di escludere le altre categorie qui interessate (ossia, i vettori marittimi; i vettori aerei; gli autotrasportatori e operatori della logistica; e i terminalisti portuali), dove questi aspetti fondanti non possono essere riscontrati configurandosi gli stessi – a tenore della stessa prospettazione giuridica dell’Autorità - come meri beneficiari di una regolazione e non come destinatari diretti di obblighi conformativi derivanti dalla medesima. Gli atti di regolazione invocati dalla parte pubblica appellante lo sono proprio sul presupposto – infondato per quanto si è detto - che con la definizione di un ambito di mercato regolato sia conseguentemente consentito estendere l’imposizione oltre il perimetro letterale dei gestori ed esercenti dei servizi regolati, mentre il punto dirimente è proprio l’esistenza di atto di regolazione rivolto direttamente al prestatore di servizi, presupposto da ritenersi inesistente quelle volte che rilevi la condizione di mero beneficiario della regolazione ( in tal senso e secondo tale logica si è già sviluppata la giurisprudenza della Sezione cfr. CdS VI n. 8582 del 2019 nonché le sentenze del Consiglio di Stato n. 7374/2019 del 28 ottobre 2019, in merito all’annualità 2014; nn. 7371/2019 e7374/2019 del 28 ottobre 2019 nonché nn. 8697/2019 e 8699/2019 del 23 dicembre 2019 in merito all’annualità 2015; nn. 7371/2019, 7372/2019, 7373/2019, 7375/2019 e 7376/2019 del 28 ottobre 2019 in merito all’annualità 2016; n. 7371/2019 del 28 ottobre 2019 nonché nn. 7697/2019 e 7698/2019 dell’11 novembre 2019 e nn. 7778/2019, 7779/2019, 7781/2019, 7784/2019, 7785/2019, 7786/2019 e 7787/2019 del 13 novembre 2019 in merito all’annualità 2017; nn. 7777/2019, 7780/2019, 7782/2019, 7783/2019, 7787/2019 del 13 novembre 2019 e n. 7914/2019 del 20 novembre 2019 in merito all’annualità 2018, nel settore dei vettori aerei).

Ne consegue il rigetto degli appelli rivolti a dare rilevanza alla condizione soggettiva delle imprese suindicate come mere beneficiarie della regolazione al fine di estenderne la portata soggettiva della norma.

5. - In merito all’individuazione del momento in cui l'esercizio delle competenze o il compimento delle attività previste dalla legge in capo a ART possa ritenersi ‘concretamente avviato’, va scrutinato il criterio discretivo utilizzato dal primo giudice e fondato sulla diversità concettuale tra soggetto regolato e mero beneficiario della regolazione stessa.

Vanno in primo luogo respinti gli argomenti di critica impiegati dalla difesa erariale. Deve infatti rilevarsi che, da un lato, la circostanza che la distinzione non sia rinvenibile nella sentenza della Corte costituzionale non appare dirimente, stante la già evidenziata natura interpretativa della pronuncia; e, dall’altro, che ciò che rileva qui non è la qualificazione del contributo come imposta e non come tassa o corrispettivo (atteso che poi la sua applicazione è comunque ulteriormente limitata dagli altri presupposti), ma l’effettivo indirizzamento della regolazione, con correlativa imposizione di oneri attuativi (e non come mera adozione di atti diretti a conformare un mercato, traendosi dall’interpretazione estensiva della Corte Costituzionale, posta a fondamento del rigetto del dubbio di costituzionalità, un radicamento dell’atto impositivo nell’atto regolatorio e non nell’esistenza di un mercato di competenza).

Il detto concreto indirizzamento con imposizione diretta di oneri attuativi funge quindi come criterio discretivo per l’individuazione dei soggetti passivi al di là del novero dei gestori, non più valevole tuttavia per la formulazione normativa post 2018, mentre antecedentemente era al più solo integrativo della dizione restrittiva della legge, stante la preminenza del profilo gestionale per ragioni connesse al principio di legalità colte dal giudice di primo grado ( che, in assenza di una dichiarazione di incostituzionalità della norma per violazione del principio di legalità ove mai fosse stata interpretata nel senso di ricomprendervi altri soggetti, non ha comunque ritenuto possibile ritenerli inclusi pur in presenza della sentenza interpretativa di rigetto che apriva qualche spiraglio alla inclusione ma in modo, come si è detto, solo marginale ) .

Ne consegue che l’indirizzo interpretativo del giudice di primo grado (seguito pressoché costantemente solo con qualche oscillazione) può e deve essere confermato per ragioni di certezza del diritto in ossequio ai canoni relativi al rispetto del principio di legalità in materia tributaria e parafiscale.

Successivamente, col già ricordato effetto espansivo, preconizzato dalla sentenza n. 69 (ma nei limiti derivanti dal dettato legislativo e dal principio di legalità) e poi fatto proprio dal d.l. 109 (con certezza del diritto in ordine ai soggetti passivi), si è eliminato il discrimine, riportando entrambe le categorie in un unico concetto unitario, comprendente gli “operatori economici operanti nel settore del trasporto”, facendo così risaltare la ratio centrale della disciplina stessa, che si fonda sul beneficio che le categorie imprenditoriali ricevono dalla regolazione stessa, dove quindi la preminenza del fattore di utilità rende superflua la frammentazione nelle due categorie, fermi restando gli ulteriori presupposti per l’effettiva assoggettabilità a tributo.

Pertanto, dopo la riforma del 2018, ciò che appare necessario appurare, stante la omnicomprensività della nozione soggettiva, è solo la circostanza dell’effettivo avvio nel mercato di riferimento de “l'esercizio delle competenze o il compimento delle attività previste dalla legge”, senza più alcun rilievo della posizione di soggetti regolati o di beneficiari.

Sulla scorta di questo inquadramento, appare possibile individuare i momenti in cui, nei relativi mercati, si sia avuto l’effettivo avvio della regolazione. Esaminando allora separatamente i diversi settori (con l’esclusione dei gestori autostradali, già ricompresi nella precedente versione della norma e quindi non incisi dalla successiva espansione), può così affermarsi:

5.1. - Vettori marittimi e terminalisti portuali.

In relazione all’attività di vettore marittimo, ossia sul settore del trasporto marittimo di merci e passeggeri, e di terminalista portuale, quale soggetto beneficiario di un provvedimento concessorio in aree e banchine del demanio portuale al fine dello svolgimento delle operazioni portuali, la regolazione delle attività concretamente attuata da ART può essere esaminata tramite le delibere intervenute nelle aree specifiche.

Rileva in primo luogo, anche se indirettamente, la regolazione dei servizi ferroviari adottata da ART, in quanto le imprese che svolgono trasporto di merci via mare utilizzano le infrastrutture portuali e i relativi terminal. Infatti, nel momento in cui questi ultimi si connettono con l’infrastruttura ferroviaria per assicurare lo scambio intermodale delle merci essi diventano impianti di servizio ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 112 del 2015 di attuazione della direttiva 2012/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico.

In tema di servizi ferroviari, per quanto qui rilevanti, vanno richiamate la delibera n. 70/2014, con il primo intervento in tema; e la successive delibera 30/2016 del 23 marzo 2016, dove è stato avviato uno specifico procedimento per stabilire le modalità più idonee per garantire l’economicità e l’efficienza gestionale dei servizi di manovra ferroviaria; la delibera 133/2016 del 18 novembre 2016, di consultazione pubblica sullo schema di atto di regolazione “Misure di regolazione volte a stabilire le modalità più idonee per garantire l’economicità e l’efficienza gestionale dei servizi di manovra ferroviaria”; la delibera 18/2017 del 9 febbraio 2017, in materia di regolazione per l’economicità e l’efficienza gestionale dei servizi di manovra ferroviaria; la delibera 98/2018 dell’11 ottobre 2018, per la definizione di misure concernenti l’accesso agli impianti di servizio e ai servizi ferroviari.

In tema di regolazione diretta delle infrastrutture portuali, va poi ricordata la delibera n. 57/2018 del 30 maggio 2018, dove si è concluso il procedimento avviato con delibera n. 40/2017 del 16 marzo 2017 e approvato l’Atto di regolazione recante “Metodologie e criteri per garantire l’accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture portuali. Prime misure di regolazione”. Le misure ivi adottate forniscono alle Autorità di sistema portuale e ai terminalisti portuali un quadro di riferimento univoco per assicurare l’accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture, il miglioramento dell’efficienza produttiva, anche attraverso l’introduzione di un sistema incentivante per la determinazione dei canoni e la correlazione della durata delle concessioni agli investimenti.

Va poi ricordato l’intervento regolatorio in tema di assegnazione in esclusiva dei servizi di trasporto marittimo di passeggeri da, tra e verso le isole, e delle convenzioni da inserire nei capitolati delle medesime gare, iniziato con la delibera n. 4/2016 del 28 gennaio 2016 di avvio del procedimento, ampliato con la delibera n. 124/2017 del 19 ottobre 2017 e infine concluso con la delibera 22/2019 del 13 marzo 2019.

Senza procedere oltre nella disamina, appare provato come la concreta attività di regolazione sia stata avviata anche antecedentemente alla riforma di cui al d.l. 109 del 2018, momento dal quale – per quanto prima evidenziato - il contributo è diventato concretamente esigibile dalle imprese di categoria.

5.2. - Vettori aerei

Anche in tema di trasporto aereo, occorre notare come l’attività di trasporto svolta dai vettori aerei sia ricompresa nell’ambito regolatorio attribuito a ART.

Sin dalla norma istitutiva, si è esplicitamente previsto che l’ART provveda “con particolare riferimento al settore aeroportuale, a svolgere ai sensi degli articoli da 71 a 81 del decreto-legge 24 gennaio 16 2012, n. 1, tutte le funzioni di Autorità di vigilanza istituita dall'articolo 71, comma 2, del predetto decreto-legge n. 1 del 2012, in attuazione della direttiva 2009/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2009, concernente i diritti aeroportuali” (articolo 37, comma 2, lettera h), d.l. n. 201/2011), dove tale compito (come precisato da CGUE, 12 maggio 2011, causa C- 176-09) “consiste nel disciplinare la relazione tra i gestori di aeroporti e gli utenti di questi ultimi per quanto riguarda la fissazione dei diritti aeroportuali. Il legislatore dell’Unione, nell’adottare un quadro comune, ha inteso migliorare la relazione tra i gestori di aeroporti e gli utenti di questi ultimi ed evitare la violazione di taluni requisiti di base riguardanti tale relazione, quali la trasparenza dei diritti aeroportuali, la consultazione degli utenti aeroportuali e la non discriminazione tra questi ultimi, come emerge dal secondo, dal quarto e dal quindicesimo ‘considerando’ della direttiva 2009/12” (punti 39 e 40).

Pertanto, assodata la riconduzione dell’ambito regolatorio, occorre evidenziare in quale momento si sia avuta l’effettiva esplicazione dell’attività data (vicenda peraltro già scrutinata da questa Sezione con più decisioni, da ultimo Cons. Stato, VI, 23 dicembre 2019, n.8699).

In questo senso, va ricordata la delibera n. 64/2014, che ha individuato i modelli di regolazione dei diritti aeroportuali che riguardano gli aeroporti con volumi di traffico superiore ai cinque milioni di passeggeri per anno, quelli con volumi di traffico compresi tra i tre ed i cinque milioni di passeggeri per anno ed infine gli aeroporti con volumi di traffico annuo inferiore ai tre milioni di passeggeri per anno. Successivamente, con delibera 106/2016 si è dato avvio alla revisione dei Modelli di regolazione dei diritti aeroportuali, con un procedimento concluso con la delibera 92/2017, di approvazione dei nuovi modelli tariffari.

Peraltro, con delibera n. 84/2018 si è dato avvio ad un ulteriore procedimento di revisione dei Modelli di regolazione dei diritti aeroportuali vigenti.

Senza quindi proseguire oltre, appare provato come la concreta attività di regolazione sia stata avviata anche antecedentemente alla riforma di cui al d.l. 109 del 2018, momento dal quale il contributo è diventato concretamente esigibile dalle imprese di categoria.

5.3. - Autotrasportatori e operatori della logistica

In merito alla riconduzione delle imprese del settore nel contesto degli ambiti regolati, va rammentato come l’articolo 37, comma 2, lett. a), del d.l. n. 201 del 2011 attribuisca a ART la competenza “a garantire, secondo metodologie che incentivano la concorrenza, l’efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali, nonché in relazione alla mobilità dei passeggeri e delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche collegata a stazioni, aeroporti e porti”. Vi è quindi una espressa indicazione normativa sulla necessità di garantire, tramite la regolazione, l’evocata mobilità delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche collegata a stazioni, aeroporti e porti, che giustifica l’inclusione, per quando qui rilevante, delle imprese del settore nell’ambito dei soggetti beneficiari della regolazione.

In merito agli operatori della logistica va poi aggiunto l’art. 37 del d.lgs. n. 112 del 2015, “Attuazione della direttiva 2012/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico”, ha ulteriormente attribuito a ART le funzioni di regolazione dell’accesso equo e non discriminatorio agli impianti di servizio di cui all’articolo 13, comma 2, del medesimo decreto, ossia “scali merci, scali di smistamento e aree di composizione dei treni, ivi comprese le aree di manovra; aree, impipanti ed edifici destinati a alla sosta al ricovero ed al deposito di materiale rotabile e di merci; infrastrutture portuali, marittime e di navigazione interna collegate ai servizi ferroviari”. Altre competenze riguardanti le dette imprese sono ricavabili dal Reg (UE) n. 1315/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013, sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete Transeuropea dei trasporti, in materia di strategia comunitaria per le reti Transeuropee dei trasporti (Reti TEN-T) che impone una azione regolatoria sull’accesso ai terminali merci presenti all’interno di porti (interni e marittimi) e aeroporti, prescrivendo che sia consentito a tutti gli utenti/operatori in modo non discriminatorio e con l’applicazione di tariffe trasparenti.

In relazione poi all’effettivo esercizio dei poteri regolatori di ART nel settore va notato come la catena logistica si articola in più segmenti funzionali e quindi gli obiettivi di ottimizzazione possono diversificarsi in funzione dei flussi operativi. Nell’ottica del trasporto e dei vari snodi che questo impone, è fondamentale l’intervento sulle modalità di collegamento dei nodi portuali con la rete stradale adeguatamente dimensionata, sulla corretta allocazione degli spazi, sulla gestione delle banchine portuali, ecc.. Insomma, in un settore che si caratterizza per l’intermodalità, la necessità regolatoria emerge quando questa consente ai clienti del processo logistico un’offerta integrata ed ottimizzata di servizi.

Ciò premesso, sono molteplici le delibere di ART che hanno appunto inciso nella regolazione degli aspetti rilevanti della catena logistica e del trasporto intermodale. Ad esempio, in materia di accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture, agli scali merci e di smistamento ed ai servizi ferroviari, si può guardare alla delibera n. 70 del 31 ottobre 2014 e, in particolare, la misura n. 11 che ha disciplinato i servizi di manovra. È parimenti rilevante la delibera n. 18/2017 “Misure di regolazione volte a garantire l’economicità e l’efficienza gestionale dei servizi di manovra ferroviaria”, in tema di disciplina dei servizi di movimentazione del materiale rotabile tra i binari di stazione e gli impianti di movimentazione. Senza quindi proseguire oltre, appare provato come la concreta attività di regolazione sia stata avviata anche antecedentemente alla riforma di cui al d.l. 109 del 2018, momento dal quale il contributo è diventato concretamente esigibile dalle imprese di categoria. Per quanto attiene poi l’attività di trasporto di merci su strada, rientra anch’essa tra i servizi regolati, come risulta dall’articolo 37, comma 2, lettera a), del d.l. n. 201/2011, che attribuisce a ART il compito di garantire l’accesso equo e non discriminatorio alle “infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali” anche in “relazione alla mobilità […] delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche collegata a stazioni, aeroporti e porti”. Inoltre, va evidenziata la disciplina dell’articolo 24, comma 5-bis, del Codice della strada che dispone che “Per esigenze di sicurezza della circolazione stradale connesse alla congruenza del progetto autostradale, le pertinenze di servizio relative alle strade di tipo A) sono previste, secondo le modalità fissate dall'Autorità di regolazione dei trasporti, […] dai progetti dell'ente proprietario ovvero, se individuato, del concessionario e approvate dal concedente, nel rispetto delle disposizioni in materia di affidamento dei servizi di distribuzione di carbolubrificanti e delle attività commerciali e 20 ristorative nelle aree di servizio autostradali di cui al comma 5-ter dell'articolo 11 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, e successive modificazioni, e d'intesa con le regioni, esclusivamente per i profili di competenza regionale”.

Assodata quindi la spettanza ad ART di regolare attività riguardanti il settore del trasporto su strada, si può anche qui rilevare l’effettivo inizio della regolazione negli stessi termini illustrati per la logistica integrata, in quanto i servizi di trasporto di merci regolati sono principalmente quelli connotati da servizi logistici integrati, cioè i servizi di autotrasporto merci integrati con porti, stazioni ferroviarie, aeroporti e nodi di scambio intermodale (interporti). Infatti, l’attività di trasporto si va a connettere con le infrastrutture viarie e logistiche che consentono il carico, lo scarico, il trasbordo, etc., delle merci, in modo che il trasporto possa continuare anche attraverso modalità differenziate.

Ai fini del presente discorso, basterà allora ricordare che con le delibere nn. 18 e 40 del 2017, ART si è dedicata ai servizi di manovra ferroviaria e ha avviato il procedimento inerente metodologie e criteri per garantire l’accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture portuali; con la delibera n. 119/2017 ha approvato gli elementi per la definizione dello schema di concessione e sistema tariffario di pedaggio relativi alle tratte autostradali interessate, individuando altresì, tra gli indicatori di qualità del servizio, anche la “predisposizione di adeguate aree di sosta (rispetto alla superficie complessiva) riservate ai veicoli per l’autotrasporto di merci” come pure l’“impiego di Intelligent Transportation Systems (ITS), anche al fine di efficientare la logistica e perseguire l’ottimizzazione dell’utilizzo dell’infrastruttura da parte dei veicoli pesanti e dei veicoli leggeri”.

Pertanto, anche in relazione al trasporto su strada, appare provato come la concreta attività di regolazione sia stata avviata antecedentemente alla riforma di cui al d.l. 109 del 2018, momento dal quale il contributo è diventato concretamente esigibile dalle imprese di categoria.

5.4. - Conclusivamente, per tutte le categorie in precedenza esaminate, deve ritenersi che la concreta attività di regolazione sia stata avviata antecedentemente alla riforma di cui al d.l. 109 del 2018.

Pertanto, in disparte gli operatori economici già incisi in quanto ricompresi nella previgente nozione di ‘gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati’, tutte le altre imprese possono ritenersi assoggettabili a contributo solo dal momento in cui, a seguito della modifica normativa, il contributo è diventato concretamente esigibile dalle imprese di categoria, ossia dall’anno 2019.

6. - Sulla scorta delle ampie osservazioni appena svolte, possono essere agevolmente esaminati i motivi di ricorso concretamente dedotti nella vicenda qui in esame che, in sintesi, si riferisce alla pretesa di assoggettare al contributo per il funzionamento dell’ART per l’anno 2015 un’impresa operante nel settore del trasporto su strada.

7. - Con un unico motivo di diritto, rubricato “3.Violazione e falsa applicazione dell’art. 37, decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214” viene dedotta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto l’assenza di atti regolatori che abbiano come destinatari gli operatori dei settori in questione.

7.1. - La doglianza è infondata.

Come evidenziato nella parte di inquadramento generale della vicenda, fino alla modifica normativa di cui al d.l. 109 del 2018, le imprese del settore non potevano essere incluse nell’ambito di applicazione dell’art. 37 “Liberalizzazione del settore dei trasporti” del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201 che, fino a quel momento, era applicabile unicamente ai “gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati” e non ai meri operatori economici beneficiari della regolazione. La detta inapplicabilità era stata peraltro oggetto di esplicita censura nel ricorso di prime cure.

Pertanto, il motivo qui in scrutinio, non consentirebbe comunque di superare lo sbarramento determinato dalla inapplicabilità in concreto della disposizione impositiva.

8. - L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalle oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisa (così da ultimo, Cassazione civile, sez. un., 30 luglio 2008 n. 20598) e dalla sua complessità, che ha richiesto addirittura un intervento chiarificatore da parte della Corte costituzionale.

PQM

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 4889 del 2018;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2020 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere, Estensore
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Diego Sabatino Giancarlo Montedoro


 

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