REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana - Presidente -
Dott. FUMO Maurizio - Consigliere -
Dott. BRUNO Paolo Antonio - Consigliere -
Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere -
Dott. CAPUTO Angelo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
R.M.;
avverso la sentenza n. 3350/2010 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 13/11/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/04/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO;
Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di Cassazione Dott. G. Volpe, che ha concluso per l'annullamento con rinvio in relazione al reato di cui al capo A) e per il rigetto nel resto.
Udito altresì per l'avv. Frattini L. che si è riportato al ricorso, concludendo per l'annullamento con rinvio.

Svolgimento del processo

1. A R.M. sono stati imputati i seguenti reati: 1) bancarotta documentale, perchè, quale amministratore unico fino al 12/12/2005 della S. E. s.r.l. - dichiarata fallita il _____ - e amministratore di fatto della stessa fino al fallimento, in concorso con P.V. (alias B. V.), giudicato separatamente, amministratore unico dal 12/12/2005 al fallimento, al fine di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, distruggeva o comunque sottraeva i libri e le scritture contabili, così rendendo altresì impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; 2) reato di cui all'art. 110 c.p., art. 479 c.p., commi 1 e 2, in relazione alla redazione - in concorso con il notaio R. A. - di un verbale di assemblea straordinaria della Studio Erre s.r.l. non corrispondente al vero data l'assenza di due soci ( R.G.M. e C.F.); 3) reato di cui all'art. 110 c.p., art. 479 c.p., commi 1 e 2, in relazione alla formazione - sempre in concorso con il notaio R. A. - di una falsa autenticazione delle firme apposte in calce all'atto di cessione delle quote della società; reati, questi ultimi, commessi il ____. Con sentenza del 13/04/2010, il Tribunale di Brescia ha assolto dalle due imputazioni a suo carico il notaio R. A., ai sensi dell'art. 48 c.p., perchè il fatto non costituisce reato e ha giudicato R.M. colpevole dei reati a lui ascritti: ritenuta la continuazione tra i reati e individuato come più grave il reato di bancarotta fraudolenta, la pena base veniva fissata in tre anni di reclusione, ridotta per le circostanze attenuanti generiche e aumentata di quattro mesi di reclusione per ciascuno dei due reati di falso, con determinazione della pena finale in due anni e otto mesi di reclusione.

2. Con sentenza deliberata il 13/11/2012, la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado e ha revocato il beneficio dell'indulto concesso a R.M. con ordinanza del G.U.P. presso il Tribunale di Brescia il 15/12/2006.
Con riferimento all'imputazione di bancarotta documentale, la Corte di merito rileva quanto segue: è errato l'assunto difensivo secondo cui il teste L. avrebbe confermato il passaggio delle scritture contabili (presenti almeno fino all'esercizio finanziario del 2003 e non rinvenute da curatore) dall'imputato al sedicente B., posto che il testimone indicato ha solo riferito di avere consegnato degli scatoloni chiusi al soggetto poi riconosciuto in foto nel P.; il curatore si è trovato nella condizione di ricostruire in modo assai difficoltoso il patrimonio e il movimento degli affari; la scrittura prodotta dalla difesa indicante come consegnata la documentazione societaria al sedicente B. - il che condurrebbe ad attribuire solo a questi la sparizione degli atti societari - nulla prova, in quanto, come correttamente esposto dalla sentenza di primo grado, la vicenda va letta nel suo complesso proprio per le particolari circostanze relative alla cessione da parte dell'imputato dell'ufficio di amministratore unico della società poi fallita al sedicente B., con parallela cessione - in un momento in cui la società era assolutamente in stato di decozione - a favore del medesimo della titolarità delle partecipazioni sociali attraverso atti risultati falsi; l'obiettivo dell'intestazione delle quote della società e del conferimento dell'ufficio di amministratore a persona inesistente comportava indiscutibilmente l'impossibilità di rintracciare l'unico socio e amministratore della società; anche qualora le scritture fossero state consegnate effettivamente al sedicente B., ciò si sarebbe compiuto proprio nell'ambito di un disegno predeterminato a disperdere le scritture contabili; nell'ottobre del 2007, ossia successivamente alla dichiarazione di fallimento, R.M. ha incassato crediti verso terzi della società per un ammontare non specificato, nè mai chiarito; sul punto l'imputato aveva dichiarato che vi era un accordo scritto con il nuovo amministratore, ma tale accordo non è mai stato esibito; la tesi difensiva secondo cui i conti bancari della società sarebbero privi di irregolarità formali è del tutto inconsistente a fronte del complessivo comportamento dell'imputato, che, oltre a cedere a soggetto inesistente la propria carica sociale e le quote sociali, disponeva, anche dopo le apparenti cessioni, dei crediti della società senza traccia alcuna degli atti compiuti; tale condotta concorre provare che, dopo le false cessioni, l'imputato è da ritenersi amministratore di fatto della società; la sentenza di primo grado ha dato conto dell'esistenza del dolo generico, avendo l'imputato tenuto condotte riferibili all'amministratore anche dopo la cessione delle quote e della carica sociale e volte a non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, nell'ambito del più ampio di disegno criminoso concretizzatosi con le condotte di falso; correttamente la sentenza di primo grado ha escluso l'applicabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 219 L. Fall., in quanto, come riferito dal curatore, le irregolarità-carenza della documentazione societaria ha impedito l'esatta individuazione delle "immobilizzazioni materiali", apparentemente elevate fino all'ultimo bilancio presentato, e della sorte dei fatturati per gli anni fino al 2004, senz'altro importanti, nè in senso contrario può argomentarsi sulla base del fatto che l'insinuazione al passivo non abbia evidenziato crediti molto rilevanti; sintomatico è anche che R.M. non abbia saputo giustificare, secondo la logica e la prudenza comuni, come e perchè la scelta del cessionario delle quote e della carica di amministratore unico sia caduta sul sedicente B.

Con riferimento alle due imputazioni di falso ideologico, la Corte di appello rileva quanto segue: dopo il tentativo di formare i due atti falsi presso il notaio F., che non concluse mai il verbale di assemblea straordinaria inizialmente predisposto proprio per i seri dubbi nutriti sull'identità del cessionario, ossia il sedicente B., l'imputato si era rivolto ad altro notaio, R. A., che, a differenza del primo, non aveva mai avuto in precedenza contatti con i soci R.G.M. e C.F., sostituendoli con soggetti non identificati che avevano falsamente apposto sull'atto notarile la sottoscrizione dei due soci; nessun significato ha l'errore nella firma di R.G.M., spiegabile proprio con la circostanza che fu un soggetto che falsamente lo sostituiva ad apporre la relativa sottoscrizione. Con specifico riferimento alla terza imputazione, la condotta illecita addebitata all'imputato nella sentenza impugnata è quella di concorso nella falsa formazione dell'atto con l'ausilio di soggetti rimasti non identificati e non già quella di avere personalmente apposto le apparenti sottoscrizioni dei veri soci; non sussiste la lamentata violazione dell'art. 521 c.p.p., poichè non si è verificato uno stravolgimento dei fatti contestati, ma una specificazione degli stessi sulla quale la difesa ha avuto ampia possibilità di difendersi e di replicare, come dimostrato ampiamente dai verbali dibattimentali e dalla documentazione offerta dalla stessa difesa.
La Corte di merito, ritiene, infine sussistenti i presupposti per la revoca dell'indulto ex L. n. 241 del 2006 concesso con ordinanza del G.U.P. del Tribunale di Brescia in 15/12/2006.

3. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione, nell'interesse di R.M., il difensore avv. Luigi Frattini articolando cinque motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
3.1. In riferimento al primo capo di imputazione, inosservanza dell'art. 2639 c.c., erronea applicazione della L. Fall., art. 223 e art. 216, comma 1, n. 2), manifesta illogicità della motivazione.
La motivazione della sentenza impugnata è manifestamente illogica in ordine alla mancanza di prova della consegna da parte dell'imputato al nuovo amministratore delle scritture contabili, in quanto la difesa ha prodotto copia del verbale di consegna della documentazione a B.V., che solo successivamente risulterà essere P.V., in data 30/12/2005 e il teste L. ha riferito di avere trasportato faldoni contenenti documenti e non già scatoloni chiusi come affermato dalla Corte di appello. La sentenza impugnata ha attribuito a R.M. il ruolo di amministratore di fatto della società in ragione della riscossione di alcuni crediti per estinguere debiti con istituti bancari, ma non è ravvisabile l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici dell'amministratore di fatto richiesto dall'art. 2639 c.c. All'imputato è ascritto il reato di bancarotta documentale per aver distrutto o comunque sottratto i libri e le scritture contabili: per tale ipotesi è necessario il dolo specifico, che non è stato accertato dalla Corte di appello, la quale ha erroneamente ritenuto sufficiente il dolo generico.
3.2. In riferimento al primo capo di imputazione, inosservanza della L. Fall., art. 219, u.c.. La sentenza impugnata non ha in alcun modo accertato se vi siano stati creditori e per quali importi, nè se qualche creditore non abbia potuto chiedere l'ammissione al fallimento a causa del mancato reperimento delle scritture contabili.
3.3. In riferimento al secondo capo di imputazione, erronea applicazione dell'art. 479 c.p. e mancanza di motivazione. La sentenza impugnata non ha indicato per quale ragione l'imputato avrebbe potuto commettere un reato proprio del notaio, assolto in primo grado, nè quale condotta di rilevanza penale abbia tenuto l'imputato in occasione di tale assemblea.
3.4. In riferimento al terzo capo di imputazione, inosservanza degli artt. 521 e 522 c.p.p., art. 604 c.p.p., comma 1.
R.M. e P.V. erano accusati di avere sottoscritto l'atto di cessione delle quote sociali apponendovi oltre alle proprie sottoscrizione, quelle apocrife di R.G. M. e di C.F.; il giudice di primo grado, tuttavia, ha condannato R.M. per aver indotto altre persone, rimaste ignote, ad apporre le false firme delle persone indicate. Sul punto, l'argomentazione della Corte di appello - secondo cui il giudice di primo grado non avrebbe effettuato uno stravolgimento dei fatti contestati, ma una loro specificazione - è priva di fondamento, trattandosi di condotte diverse e non già di una specificazione di quella in origine contestata.
3.5. Erronea applicazione della L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 3, e mancanza di motivazione. La Corte di appello non ha motivato in ordine alla revoca dell'indulto applicato con ordinanza del 15/12/2006. La statuizione della sentenza impugnata è fondata sull'erronea applicazione della L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 3, poichè la condotta attribuita a R.M. in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale non risulta commessa dopo l'entrata in vigore della L. n. 241 del 2006, non potendo essere addebitata all'imputato la dichiarazione di fallimento successiva a tale legge.

Motivazione

1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Il primo motivo, articolato in varie censure, non è fondato.
Sotto un primo profilo, relativo alla mancanza di prova della consegna da parte dell'imputato al nuovo amministratore delle scritture contabili, il motivo è inammissibile. Sul punto, infatti, la sentenza impugnata - oltre a rilevare che il teste L. ha solo riferito di avere consegnato scatoloni chiusi al soggetto poi identificato come P. - ha affermato che anche qualora le scritture fossero state consegnate effettivamente al sedicente B., ciò sarebbe avvenuto nell'ambito di un disegno predeterminato alla dispersione delle scritture contabili, ossia di quel disegno che ha visto la cessione da parte dell'imputato dell'ufficio di amministratore unico della società poi fallita al sedicente B., con parallela cessione a favore del medesimo della titolarità delle partecipazioni sociali attraverso atti risultati falsi, sicchè l'obiettivo dell'intestazione delle quote della società e del conferimento dell'ufficio di amministratore a persona inesistente comportava indiscutibilmente l'impossibilità di rintracciare l'unico socio e amministratore della società, la cui sede nel frattempo era stata trasferita a _____, con conseguente impossibilità di ritrovare beni e scritture contabili. Il ricorrente non affronta questa argomentazione della sentenza impugnata, limitandosi a censurare la parte relativa alla mancata consegna della documentazione, sicchè la censura è inammissibile, per difetto di specificità, essendosi limitata alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, essendo entrambe autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011 - dep. 27/07/2011, F., Rv. 250972).

La doglianza relativa al ruolo di amministratore di fatto attribuito all'imputato non è fondata. La Corte di merito ha sottolineato l'esistenza di plurimi elementi dai quali trarre la prova della gestione o cogestione della società da parte dell'imputato, anche dopo la falsa cessione delle quote e della carica, rilevando che nell'ottobre del 2007, ossia successivamente alla dichiarazione di fallimento, R.M. ha incassato crediti verso terzi della società per un ammontare non specificato, nè mai chiarito e che, sul punto, l'imputato aveva dichiarato che gli era un accordo scritto con il nuovo amministratore, ma tale accordo non è mai stato esibito: sulla base di queste premesse, la sentenza impugnata ha valorizzato il complessivo comportamento dell'imputato non solo preordinato a cedere a un soggetto inesistente la propria carica sociale e le quote sociali, ma che disponeva, anche dopo le apparenti cessioni, dei crediti della società senza documentazione adeguata e dunque senza traccia alcuna degli atti compiuti; tale condotta, nel percorso argomentativo della sentenza impugnata, concorre a provare che, dopo le false cessioni, l'imputato è da ritenersi amministratore di fatto della società. Ora, premesso che, in tema di reati fallimentari, l'accertamento degli elementi sintomatici in grado di rivelare la gestione o la cogestione della società da parte di un amministratore di fatto è apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, qualora sostenuto da motivazione congrua e logica (Sez. 5, n. 35249 del 03/04/2013 - dep. 21/08/2013, Stefanini e altro, Rv. 255767), la motivazione della Corte di merito, coerenti ai dati probatori richiamati ed immune da cadute di conseguenzialità logica, non è scalfita dalle critiche prospettate dal ricorso.
Parimenti disattesa deve essere la censura relativa all'elemento soggettivo. A fronte di una contestazione alternativa, la sentenza impugnata ha ricostruito il fatto facendo riferimento alla seconda ipotesi della L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2, rimarcando la finalità della condotta di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; del resto, come questa Corte ha già affermato, "nel momento in cui si parla di scritture occultate ma al contempo non tenute regolarmente, è evidente che l'addebito realmente mosso può essere solo quest'ultimo" (Sez. 5, n. 44241 del 16/01/2013 - dep. 30/10/2013, Pellegrini). E', pertanto, corretta l'individuazione dell'elemento psicologico operata dalla Corte di merito.

3. Il secondo motivo non è fondato.
La sentenza impugnata ha ritenuto privo di rilievo il fatto che l'insinuazione nel passivo non abbia evidenziato crediti rilevantissimi verso la società (essendo indicate richieste dei creditori per complessivi 131.000 Euro), posto che, come affermato dal curatore, il passivo potrebbe risultare maggiore, rilevando altresì che il mancato rinvenimento della documentazione societaria ha impedito l'esatta individuazione, oltre che delle "immobilizzazioni materiali", della sorte dei fatturati, senz'altro importati, per gli anni fino al 2004. La motivazione resa dal giudice di appello è in linea con l'orientamento di questa Corte secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta documentale, la particolare tenuità del fatto di cui alla L. Fall., art. 219, comma 3, deve essere valutata in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all'incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori (Sez. 5, n. 19304 del 18/01/2013 - dep. 06/05/2013, Tumminelli, Rv. 255439; conforme, in tema di bancarotta semplice, Sez. 5, n. 24325 del 18/05/2005 - dep. 28/06/2005, Piati, Rv. 232206) e si sottrae, pertanto, alla critica del ricorso.

4. Il terzo motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata ha richiamato la sentenza di primo grado, ove si è dato conto che: è incontestato - ed ammesso dallo stesso imputato, oltre che confermato da molteplici elementi di prova - che R.G.M. e C.F. non erano presenti dinanzi al notaio R.; il coinvolgimento dello stesso R. nei fatti è escluso dalla consulenza grafologica, secondo cui le firme di R.G.M. e di C. F. non erano state apposte nè da R.M., nè da P., ma da due soggetti diversi, sicchè quel giorno si erano presentate dinanzi al notaio quattro persone, di cui tre con falsi documenti; il R. ha agito senza consapevolezza e volontà del falso, mentre la responsabilità di R.M. è configurabile a norma dell'art. 48 c.p. A fronte di tali argomentazioni, la Corte di merito ha altresì richiamato il precedente tentativo, non riuscito, di formare i due atti falsi presso un diverso notaio e la successiva scelta del notaio R. che, a differenza del primo, non aveva mai avuto contatti con i soci R.G.M. e C.F.. La sentenza impugnata, dunque, ha dato diffusamente conto delle ragioni, in fatto e in diritto, della ritenuta responsabilità dell'imputato, ragioni con le quali il ricorrente omette di confrontarsi, sicchè il motivo è inammissibile per genericità, in quanto privo di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 1, n. 4521 del 20/01/2005 - dep. 08/02/2005, Orrù, Rv. 230751).

5. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. Un. n. 36551 del 15/07/2010, dep. 13.10/2010, Carelli, rv 248051; nello stesso senso: Sez. Un. n. 16 del 19/06/1996, dep. 22/10/1996, Di Francesco, rv 205620). Nel caso di specie, come rilevato dalla Corte di merito, vi è stata una specificazione dei fatti contestati, specificazione connessa alla verifica dibattimentale del ruolo del notaio Ro, coimputato assolto in primo grado, sicchè è di tutta evidenza come l'imputato sia stato in condizione di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione, non essendosi in presenza di una assoluta e reale difformità tra l'accusa e la statuizione del giudice, nel senso che i fatti devono essere diversi nei loro elementi essenziali, idonea a determinare un'incertezza sull'oggetto della imputazione, con conseguente pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 5, n. 7581 del 05/05/1999 - dep. 11/06/1999, Graci, Rv. 213776).

6. Il quinto motivo non è fondato.
La pena base per il più grave reato di bancarotta - commesso il ____ - è stata individuata in due anni di reclusione, sicchè correttamente la Corte di merito ha ritenuto perfezionata la fattispecie di revoca di diritto dell'indulto di cui alla L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 3.
La conclusione è in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la data di commissione del reato di bancarotta fraudolenta coincide normalmente, tranne che per le ipotesi di bancarotta postfallimentare, con quella di dichiarazione del fallimento, che è un elemento costitutivo del reato e non una condizione oggettiva di punibilità (Sez. 1, n. 1825 del 06/11/2006 - dep. 22/01/2007, Iacobucci, Rv. 235793; conf.: Sez. 5, n. 306 del 17/11/1989 - dep. 15/01/1990, Sargenti, Rv. 183026). Il principio ha trovato puntuale conferma con riguardo al termine di efficacia dei provvedimenti demenziali, alla luce del principio di diritto in forza del quale il tempo di commissione dei reati di cui alla L. Fall., artt. 216, 217, 223 e 224, è quello che decorre dalla pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, e questo è il tempo che va rapportato al termine di efficacia dell'amnistia o dell'indulto, se non altrimenti specificato dalla legge di previsione (Sez. 5, n. 7814 del 22/03/1999 - dep. 16/06/1999, Di Maio ed altri, Rv. 213867; conforme: Sez. 1, n. 46023 del 29/10/2004 - dep. 26/11/2004, Marusi Guareschi, Rv. 230162), soluzione, questa, più volte ritenuta costituzionalmente legittima (Corte cost. ord. n. 636 del 1987; sentt. n. 110 e 190 del 1972).
7. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2014


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.