REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIEFFI Severo - Presidente -
Dott. CAPRIOGLIO Piera M.S. - Consigliere -
Dott. LA POSTA Lucia - rel. Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
Dott. BONI Monica - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
V.G.P.D.;
avverso la sentenza n. 1196/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del 23/01/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/03/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Iacoviello Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Torino in data 2.1.2010, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati, tra i quali V.G. P.D., per intervenuta prescrizione, previa qualificazione dei fatti contestati ai capi 1) e 3a) nella fattispecie di bancarotta preferenziale in concorso, ai sensi del R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 3, assolvendoli in relazione al reato di cui al capo 3b) perchè il fatto non sussiste.
Le imputazioni originarie erano relative a più condotte di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione dell'amministratore delegato e dei consiglieri di amministrazione della società Olivetti Personal Computers s.p.a. (OPC), dichiarata fallita il ____, dopo le vicende seguite allo scorporo, a far data dal gennaio 1996, del ramo di azienda che si occupava della produzione e commercializzazione di personal computers dalla Olivetti & C. s.p.a. alla predetta società.
La Corte di cassazione, in data 10.11.2011, aveva annullato con rinvio la predetta decisione ed, in particolare, aveva indicato la necessità di valutare la qualificazione delle condotte ascritte agli imputati nella fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, ovvero nella diversa ipotesi di cui all'art. 223, COMMA 2, L. Fall.
Decidendo sul rinvio, la Corte di appello di Torino, il 23.1.2013, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ivrea dell'11.7.2007 - per quanto qui interessa - ritenute prevalenti sull'aggravante contestata le circostanze attenuanti generiche, riduceva ad anni tre di reclusione la pena inflitta al V. per i reati di bancarotta fraudolenta specificamente contestati.
2. Avverso la citata sentenza il V. ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei difensori di fiducia, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della prova del dolo del reato contestato e ritenuto dal giudice del rinvio.
Rileva che la Corte di appello ha dato atto che le condotte esaminate sono precedenti all'ingresso nella gestione della società del ricorrente e che questi aveva operato ogni sforzo per il salvataggio dell'azienda nell'ottica della salvaguardia dei posti di lavoro e in assenza di alcun tornaconto personale, tanto che ha valutato con giudizio di prevalenza le riconosciute circostanze attenuanti generiche.
Inoltre, la Corte ha ritenuto che le maggiori responsabilità del fallimento fossero da attribuire a coloro che avevano ideato lo scorporo del ramo di azienda per conferirlo ad impresa non dotata delle necessarie risorse, aggiungendo che in altro processo la posizione dell'A. era stata valutata diversamente.
Il ricorrente lamenta, quindi, la contraddittorietà delle argomentazioni del giudice del rinvio in ordine alla configurabilità del dolo, laddove afferma che vi sono necessità di gestione che ispirano determinati comportamenti anche se non apprezzabili in termini giuridici. Contesta, quindi, che la Corte ha ritenuto la sussistenza del dolo della distrazione, benchè l'imputato avesse agito per il meglio per risollevare le sorti del settore, avesse pagato debiti certi e non inesistenti e non avesse effettuato compensazioni.

Motivazione

Il ricorso, ad avviso del Collegio, deve essere dichiarato inammissibile.
Invero, si sostanziano in censure di fatto, per gran parte generiche, le doglianze del ricorrente in ordine alla prova del dolo del reato di bancarotta fraudolenta specificamente contestato, come ritenuta della sentenza impugnata che sul punto ha argomentato in maniera compiuta, logica e coerente, facendo corretta applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte, anche alla luce delle doglianze articolate dalla difesa.
Correttamente, infatti, il giudice del rinvio ha premesso che la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico che non richiede che l'agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, nè che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rossetto, rv. 253932).
Ha, quindi, rilevato - quanto alla posizione specifica del V., ritenuta, peraltro, degna di maggior considerazione per la sua peculiarità - che le condotte distrattive poste in essere erano prive di qualsivoglia elemento di razionalità nell'ottica delle esigenze dell'impresa. In particolare, è stato sottolineato che, pur non avendo concorso alla stipulazione del settlment agreement perchè l'accordo era stato concluso senza che la società vi partecipasse, tuttavia, l'imputato aveva dato attuazione all'accordo e nella sua qualità di delegato ad operare sui conti di OCW Int., aveva firmato i bonifici contestuali con i quali era avvenuta l'esecuzione.
Sempre ai fini della valutazione dell'elemento soggettivo, la Corte territoriale ha ritenuto evidente che l'imputato, per la sua competenza professionale, fosse in grado di rendersi conto del pericolo al quale esponeva la società con le operazioni gestionali poste in essere e del rischio di depauperamento del capitale. Ed, invero, non poteva non avvedersi del fatto che, ancor prima della nascita della società, i bilanci del settore dei pc erano in costante crescente perdita; che senza interventi finanziari consistenti, che non vi sono mai stati, la nuova società non era in grado di produrre utili; che non era possibile ottenere credito in ambito bancario senza specifiche ed idonee garanzie; che in una situazione così grave, come quella in cui versava fin dalle origini la società, dare esecuzione ad accordi negoziali conclusi da altri o palesemente volti a tutelare gli interessi di altri costituiva atto distrattivo non giustificabile con l'intento di mantenere buoni rapporti con un partner inadempiente alle proprie obbligazioni o di salvaguardare il livello occupazionale dell'azienda. Ha aggiunto, altresì, che l'imputato, per sua stessa ammissione, in alcuni periodi aveva anche ricoperto la carica di consigliere di amministrazione di alcune delle agenzie estere di OCW, così che, certamente, era in grado di conoscere la mancanza di liquidità delle società che ne facevano parte, costituite senza mezzi operativi e senza capitale.
A fronte di tale compiuta valutazione il ricorrente, quindi, chiede la mera rivalutazione degli elementi di prova non consentita nel giudizio di legittimità.
Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, in forza del disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2014


 

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