Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 30 febbraio 2015 la società E. S.r.l. ha proposto appello avverso la sentenza n. 481/03/14, depositata il 5 giugno 2014, con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Ascoli Piceno ha dichiarato cessata la materia del contendere. L'appellante ha impugnato il capo della sentenza relativo alla liquidazione dell'onorario in euro 400,00, lamentandone la non conformità al D.M. n. 140/2012 ed alle tabelle professionali nonché l'iniquità, in relazione al valore dell'accertamento, pari ad euro 551.474,16. Espone che l'Ufficio aveva emesso un avviso di liquidazione ai fini dell'imposta di registro, ma, avendolo ritenuto illegittimo, aveva presentato istanza di autotutela in data 21 novembre 2013; tale istanza non veniva tempestivamente esaminata dall'Ufficio talché era costretto a predisporre il ricorso e nei successivi trenta giorni, non pervenendo alcuna decisione in merito, procedeva alla costituzione in giudizio presso la competente Commissione Tributaria Provinciale, corrispondendo il contributo unificato pari ed euro 1.500,00; soltanto a ridosso della data della pubblica udienza l'Ufficio depositava l'atto di annullamento, senza nemmeno notificarlo ad esso contribuente, che apprendeva soltanto in quella sede che il ricorso era indirettamente andato a buon fine. Pertanto l'appellante ha concluso per la riforma della sentenza, con equa determinazione delle spese giudiziali, da distrarre in favore del difensore dott. F. G., oltre le spese di questo grado. Si è costituita l'Agenzia delle Entrate, con memoria di controdeduzioni ed appello incidentale; in particolare, l'Ufficio, riportandosi a varia giurisprudenza di legittimità, evidenzia la differenza tra estinzione del giudizio per rinuncia al ricorso ed estinzione per cessazione della materia del contendere, ipotesi quest'ultima in cui le spese restano a carico della parte che le ha anticipate; aggiunge che tale affermazione non è in contrasto con la declaratoria di incostituzionalità del terzo comma dell'art. 46 D.Lgs. 546/1992, che rende applicabile, ai fini della regolamentazione delle spese del giudizio estinto, la regola contenuta nell'articolo 15 del medesimo decreto, compresa la compensazione delle spese in presenza delle condizioni previste dall'art. 92, comma 2, del C.P.C. Pertanto l'appellante incidentale ha chiesto il rigetto dell'appello principale e la riforma della sentenza con la compensazione delle spese di lite. Alla pubblica udienza odierna le parti hanno illustrato i motivi a sostegno delle proprie richieste, come in epigrafe trascritte, ed all'esito la Commissione ha deciso la causa come di seguito esposto.

Motivazione

Va premesso che la cronistoria dei fatti - sulla cui base la società appellante reclama la corretta liquidazione dei propri onorari di causa - non è contestata ex adverso e, comunque, è riportata nell'impugnata sentenza nei medesimi termini. Ciò premesso la Commissione ritiene utile, in primo luogo, richiamare i seguenti principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza (n. 274/2005), che ha dichiarato l'illegittimità del terzo comma dell'art. 46 D Lgs. n. 546/1992: " .... Occorre muovere dalla premessa che il processo tributario è in linea generale ispirato - non diversamente da quello civile o amministrativo - al principio di responsabilità per le spese del giudizio, come dimostrano l'art. 15 del decreto legislativo n. 546 del 1992, secondo cui la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese, salvo il potere di compensazione della commissione tributaria (a norma dell'art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile), e l'art. 44 del medesimo decreto legislativo, secondo cui, in caso di rinuncia al ricorso, il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro.... La compensazione ope legis delle spese nel caso di cessazione della materia del contendere, rendendo inoperante quel principio, si traduce, dunque, in un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento (il ritiro dell'atto, nel caso dell'amministrazione, o l'acquiescenza alla pretesa tributaria, nel caso del contribuente) di regola determinato dal riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni, e, corrispondentemente, in un del pari ingiustificato pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi, nella nuova disciplina del processo tributario, dell'assistenza tecnica di un difensore e, quindi, costretta a ricorrere alla mediazione (onerosa) di un professionista abilitato alla difesa in giudizio ... " Analogamente la Suprema Corte, in fattispecie di notifi9a di un erroneo avviso di accertamento, ha affermato che: " .... l'attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell'art. 2043 c.c., .... Il comportamento tenuto dalla convenuta non può che ravvisare violazione del suddetto principio; infatti, nonostante le diffide, mai l'Agenzia delle Entrate di ... ha provveduto a verificare quanto dall'attore lamentato, e cioè che esso non era tenuto al pagamento delle somme richieste con gli avvisi di accertamento notificati... " (così sent.n.5120/2011). Orbene osserva la Commissione che il contesto di fatto in cui si è svolta la vicenda processuale in esame - cioè il ritardo nell'esame dell'istanza di autotutela, che ha costretto parte contribuente ad avvalersi dell'assistenza di un difensore per predisporre il ricorso e, poi, a costituirsi in giudizio - non è affatto quello previsto dalle norme invocate dall'appellante incidentale e, quindi, non consente la compensazione delle spese processuali, possibile soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate~ come espressamente previsto dall'art. 15 del codice tributario. Ed infatti i primi giudici hanno proceduto a liquidare le spese processuali a carico dell'Ufficio, applicando, appunto, il principio della soccombenza e non ricorrendo ragioni per la loro compensazione, invero, non addotte nemmeno in questa sede dal suddetto appellante. Pertanto l'appello incidentale deve essere rigettato siccome infondato. È, invece, fondato l'appello principale, atteso che l'importo di euro 400,00 liquidato in sentenza per spese ed onorario è ben al di sotto del minimo di legge, osservandosi che il solo contributo unificato, che parte contribuente ha dovuto versare per iscrivere a ruolo la causa, è ammontato ad euro 1.500,00. Orbene il compenso professionale in questione, liquidato secondo il riquadro 10.3 della tabella C del D.M. n. 140/2012, sulla base del valore della controversia (euro 551.474,16), ammonta ad euro 11.000,00. Tale onorario, però, va equamente ridotto del 50%, ai sensi dell'art. 18 del suddetto D.M., tenuto conto della natura prettamente documentale della questione oggetto del ricorso, che non ha implicato la soluzione di rilevanti questioni di diritto; compete, inoltre, il rimborso delle spese documentate e degli oneri accessori, come per legge. Quanto alle spese di questo giudizio esse vanno poste a carico della parte soccombente e sono liquidate come in parte dispositiva.

PQM

la Commissione, rigettato l'appello incidentale ed accolto l'appello principale, riforma l'impugnata sentenza in punto di spese giudiziali, liquidando l'onorario professionale di euro 5.500,00, oltre il rimborso delle spese documentate ed oneri accessori, come per legge. Determina in euro 900,00, oltre accessori di legge, le spese di questo giudizio, condannando l'Ufficio a corrispondere le somme così liquidate al difensore antistatario.


 

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