Svolgimento del processo

1. con decreto 6 ottobre 2016, il Tribunale di Napoli rigettava l'opposizione proposta, ai sensi dell'art. 98 I. fall., dall'ing. Andrea Castaldo avverso lo stato passivo del Fallimento Castaldo Costruzioni s.r.l. in liq., dal quale era stato escluso, per difetto di prova, il credito insinuato in via privilegiata di C 100.504,00 per differenze retributive e di C 23.793,27 a titolo di T.f.r., quale dirigente per il periodo dal 13 febbraio 2008 al 30 giugno 2014, per oggettiva impossibilità della sua prestazione in pendenza di concordato preventivo della società poi fallita, di natura liquidatoria e pertanto, in quanto esclusivamente finalizzato alla dismissione dei beni, incompatibile con l'attività tipica dirigenziale, di direzione dell'attività produttiva aziendale (appunto cessata prima della sua assunzione): a nulla valendo al riguardo la prestazione di un'attività accessoria e strumentale alla liquidazione, eventualmente remunerabile a titolo diverso di collaborazione e coadiutela del liquidatore, dal quale era stato in effetti incaricato; 2. avverso il decreto, con atto notificato il 7 novembre 2016, il lavoratore ricorreva per cassazione con due motivi, cui resisteva il Fallimento con controricorso e memoria ai sensi dell'art. 380bis 1 c.p.c.;

Motivazione

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 95 I. fall., 2697 c.c., 112, 115 c.p.c., nullità del decreto per vizio di ultrapetizione e vizio motivo, per erroneo rigetto della censura di ultrapetizione della decisione di esclusione del credito insinuato allo stato passivo del fallimento, sul rilievo officioso del giudice delegato di assenza di prova della prestazione lavorativa e della sua necessità, in epoca successiva all'omologazione (non già all'apertura) del concordato, oltre che di compensazione con il credito restitutorio del fallimento per ingiustificati rimborsi di spesa corrisposti dalla società (integrante eccezione in senso stretto), nonostante il parere favorevole del curatore alla sua ammissione in sede di verifica (e pertanto in violazione del principio di non contestazione, applicabile anche in sede di accertamento dello stato passivo); ma vizio di ultrapetizione del decreto impugnato anche perché fondato sulla ritenuta impossibilità di svolgimento della prestazione lavorativa dopo l'apertura del concordato preventivo: circostanza diversa da quella suindicata, oggetto del fatto estintivo posto a base del provvedimento del giudice delegato; con inosservanza pure del corretto regime di ripartizione dell'onere probatorio, in merito al riferimento dei crediti retributivi insinuati ad un periodo successivo al concordato (primo motivo); 2. esso è infondato; 2.1. non ricorre la violazione del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, tanto sotto il profilo di ultra che di extra petizione, che si sostanzia nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di ultra o extra petizione sussiste quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell'azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori ricorrente (Cass. 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. 21 marzo 2019, n. 8048); 2.2. in particolare, non incorre nella violazione dell'art. 112 c.p.c. il tribunale che, esercitando il proprio potere d'ufficio di accertare la fondatezza della domanda (,\À proposta, rigetti l'opposizione allo stato passivo proposta dal creditore, dovendo l'accertamento sull'esistenza del titolo dedotto in giudizio essere compiuto dal giudice ex officio in ogni stato e grado del processo, nell'ambito proprio di ognuna delle sue fasi, in base alla risultanze rite et recte acquisite nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali (Cass. 6 novembre 2013, n. 24972, con specifico riguardo al rilievo del tribunale, nella vigenza del regime introdotto dal d.lg. 5/2006 e dal dig. 169/2007, applicabili ratione temporis, della mancata prova del rapporto di lavoro subordinato, in difetto di eccezione sul punto dalla curatela fallimentare: Cass. 12 novembre 2019, n. 29254); 2.3. in tema di verificazione del passivo, il principio di non contestazione, che pure rileva(va) rispetto alla disciplina previgente quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, non comporta l'automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perché non sia stato contestato dal curatore (o dai creditori eventualmente presenti in sede di verifica), competendo al giudice delegato (e al tribunale fallimentare) il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove (Cass. 6 agosto 2015, n. 16554; Cass. 8 agosto 2017, n. 19734; Cass. 24 maggio 2018, n. 12973); 2.4. neppure sussiste, per le stesse ragioni suindicate, un vizio di ultrapetizione del decreto del Tribunale, rispetto alla ragione a fondamento del decreto di esclusione del credito del giudice delegato: ben corrisponde, infatti, la pronuncia (sempre di rigetto) alla domanda di ammissione del credito allo stato passivo, basata come è su elementi allegati (quali il periodo di prestazione lavorativa e le ulteriori specificazioni del creditore nella domanda di insinuazione allo stato passivo) e comunque ritualmente acquisiti al giudizio (quali le vicende concorsuali della società poi fallita); e con essa il Tribunale ha adeguatamente argomentato l'interpretazione del provvedimento di esclusione del giudice delegato (nella soltanto più chiara esplicitazione del difetto di prova della "stessa necessità" della prestazione lavorativa post omologazione del concordato, ritenuto dal giudice delegato, nella "incompatibilità fra la natura liquidatoria del concordato e l'attività tipica di un dirigente aziendale": ai primi due capoversi di pg. 3 del decreto);

3. il ricorrente deduce quindi violazione e falsa interpretazione degli artt. 1218, 1256 c.c., 112 c.p.c., nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ribadito il vizio di ultrapetizione per il rigetto dell'opposizione allo stato passivo per una ragione diversa da quella di esclusione del credito ad opera del giudice delegato, avendone il Tribunale negato la riconoscibilità sull'assunto erroneo di un'oggettiva impossibilità di prestazione dell'attività lavorativa dirigenziale, in pendenza di concordato preventivo liquidatorio della società poi fallita, in assenza dei presupposti di: a) non imputabilità del fatto generatore della supposta impossibilità alla società, per la dipendenza da una sua scelta volontaria tanto della liquidazione, quanto della domanda di apertura del concordato preventivo, quali soluzioni rernediali alla condizione di crisi; b) impossibilità di svolgimento dell'attività dirigenziale per la cessazione dell'attività d'impresa, invece proseguita per effetto della deliberazione di liquidazione volontaria della società con esercizio provvisorio, al fine di completamento degli appalti pubblici in corso, in funzione di dismissione dei rami d'azienda ad essi relativi; c) rifiuto datoriale della prestazione lavorativa, invece regolarmente svolta ed accettata, fino al licenziamento intimato il 30 giugno 2014 ed avente ad oggetto mansioni proprie del dirigente, come anche offerto di provare con capitolazione probatoria per testi, non ammessa e trascritta in funzione della sua reiterazione, siccome rilevante (secondo motivo);

4. esso è invece fondato;

4.1. preme sottolineare che il credito di lavoro insinuato dal dirigente è stato escluso dallo stato passivo del fallimento dell'impresa Castaldo Costruzioni s.r.l. in liq., consecutivo al concordato preventivo per cessio bonorum cui era stata ammessa dal Tribunale di Napoli con decreto 19 novembre 2008 (ed omologato con decreto dello stesso Tribunale 25 febbraio 2009), sull'essenziale rilievo di oggettiva impossibilità della sua prestazione per la pendenza dì un concordato preventivo di natura liquidatoria e pertanto, in quanto esclusivamente finalizzato alla dismissione dei beni, incompatibile con l'attività tipica dirigenziale, di direzione dell'attività produttiva aziendale, nella ravvisata irrilevanza della prestazione di un'attività comunque resa su incarico del liquidatore;

4.2. tuttavia, il rapporto di lavoro subordinato è regolarmente proseguito, per espressa inapplicabilità ad esso del regime di eventuale sospensione e scioglimento previsto dall'art. 169bis I. fall., a norma del suo quarto comma, con la conseguente applicazione del regime di diritto comune (esattamente come secondo la disciplina previgente alla sua introduzione, con l'art. 33, primo comma, lett. d) d.l. 83/2012 conv. con mod. in I. 134/2012, in assenza di alcuna norma di deviazione concorsuale dai principi del diritto comune, nella ravvisata inapplicabilità per analogia degli artt. 72 ss. I. fall., regolanti i rapporti giuridici pendenti nel fallimento, a quelli pendenti nel concordato preventivo: Cass. 3 dicembre 1968, n. 3868; Cass. 15 luglio 1980, n. 4538; Cass. s.u. 27 luglio 2004, n. 14083);

4.3. in linea generale poi, la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro, in base agli artt. 1218 e 1256 c.c., è giustificata e lo esonera dall'obbligazione retributiva, soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile né evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato; sicché, la legittimità della sospensione va verificata in riferimento all'allegata situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa: così essendo giustificato il rifiuto del datore di lavoro di ricevere la prestazione lavorativa svolta dal lavoratore soltanto nella ricorrenza del duplice profilo della impossibilità della stessa e di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti (Cass. 9 agosto 2004, n. 15372);

4.4. in particolare, l'ammissione dell'imprenditore alla procedura concorsuale di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, pur potendo integrare il giustificato motivo di recesso del datore di lavoro, non comporta, di per sé, l'impossibilità giuridica della continuazione dei rapporti di lavoro, che permangono fino al recesso di una delle parti; e ciò neppure nell'ipotesi in cui il rapporto sia stato temporaneamente sospeso per l'ammissione dei lavoratori alla cassa integrazione, non essendo pertanto giustificato il rifiuto del datore di lavoro di accettare la prestazione lavorativa del dipendente alla cessazione del periodo di cassa integrazione (Cass. 18 febbraio 1997, n. 1476; Cass. 18 gennaio 2001, n. 673);

5. pertanto il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, rigettato il primo, con la cassazione del decreto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Napoli in diversa composizione;

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo, rigettato il primo; cassa il decreto, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Napoli in diversa composizione.
Così deciso nella Adunanza camerale del 24 giugno 2020


 

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