Svolgimento del processo

La Finrami s.r.l. propone ricorso articolato in dieci motivi avverso la sentenza n. 5055/2014 della Corte d'appello di Napoli, depositata il 19 dicembre 2014. Resiste con controricorso il Condominio Monti-Maggio di Piazza Vanvitelli 25, Caserta. La Finrami s.r.l. impugnò la deliberazione assembleare 13 luglio 2005 del Condominio Monti-Maggio di Piazza Vanvitelli 25, Caserta, in cui era stato deciso di non accettare la proposta transattiva dell'avvocato del Gaiso e di proporre ricorso per cassazione in un giudizio risarcitorio corrente tra il Condominio ed i condomini Del Gaiso e Pepe. Con sentenza n. 455 del 2010 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigettò la domanda. Proposto gravame dalla Finrami s.r.I., lo stesso venne respinto dalla Corte d'appello di Napoli. La sentenza dei giudici di secondo grado evidenziò che: il riferimento contenuto nell'ordine del giorno dell'assemblea del 13 luglio 2005 al giudizio civile cui ineriva la proposta transattiva dell'avvocato Del Gaiso rendeva prevedibile uno sviluppo della discussione diretto a deliberare la proposizione del ricorso per cassazione; non rilevava, ai fini delle modalità di convocazione, il richiamo agli artt. 40 e 41 del regolamento condominiale; la condomina Finrami s.r.I., stando alle difese dell'appellato, aveva partecipato comunque alla discussione e così sanato ogni eventuale irregolarità dell'ordine del giorno; non occorreva la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 4, c.c. per le liti esorbitanti dalle attribuzioni dell'amministratore, trattandosi di causa per risarcimento dei danni provocati da cose comuni, e comunque, al di là delle contestazioni sulla presenza dei condomini Del Gaiso, Parente, Zampilla o Finrami, risultava comunque raggiunto il quorum ex art. 1136, comma 4, c.c.; quanto all'art. 40 del regolamento di condominio (secondo cui "l'amministratore ha la rappresentanza legale del condominio e può agire e resistere in giudizio sia contro i condomini, sia contro i terzi. Per agire e resistere in giudizio deve, però, essere autorizzato dall'assemblea, tranne che si tratti di agire contro il condomino moroso e nei casi di urgenza"), esso neppure implicava la necessità della maggioranza di cui all'art. 1136, comma 4, c.c. Venne rinviata l'udienza pubblica inizialmente fissata per il giorno 12 maggio 2020. Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

Motivazione

1.Il primo motivo di ricorso della Finrami s.r.l. deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 132 c.p.c., nonché degli artt. 1130, 1131, 1135, 1136 e 1138 c.c., e degli artt. 40 e 41 del regolamento di condominio, essendo stata disattesa l'eccezione della Finrami sulla non corretta costituzione in giudizio del condominio, stante la prescrizione regolamentare che obbliga l'amministratore, che voglia agire o resistere, a conseguire l'autorizzazione dell'assemblea, tranne che si tratti di agire contro il condomino moroso e nei casi di urgenza. Si evidenzia, peraltro, come la "vertenza base" attenesse al risarcimento dei danni subiti dai proprietari e dagli occupanti di una unità immobiliare a causa di infiltrazioni di acqua.
1.1.Questo primo motivo denota profili di inammissibilità. Esso è strutturato con richiamo in rubrica di nove norme di diritto asseritamente violate o inosservate, ma nel suo contenuto non reca poi la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con ciascuna delle medesime norme individuate come regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina. In realtà, la censura mira a dimostrare che la Corte d'appello non abbia osservato quanto stabilito dall'art. 40 del regolamento del Condominio Monti-Maggio, ma il regolamento di condominio non ha natura di atto normativo generale e astratto, ed è perciò inammissibile il motivo del ricorso per cassazione col quale si lamenti la violazione o falsa applicazione delle norme di tale regolamento ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (Cass. Sez. 2, 07/06/2011, n. 12291; Cass. Sez. 6 - 2, 07/08/2018, n. 20567). Peraltro, la medesima censura mescola considerazioni inerenti alla valida costituzione del convenuto e poi appellato Condominio Monti-Maggio in questo giudizio, che consiste nella impugnazione della deliberazione assembleare 13 luglio 2005, e considerazioni inerenti alla valida proposizione del ricorso per cassazione approvato con quella delibera, in diverso giudizio avente ad oggetto il risarcimento dei danni cagionati da beni condominiali. Sul primo punto, la decisione della questione di diritto operata dalla Corte d'appello di Napoli, circa l'autonoma legittimazione dell'amministratore a resistere all'impugnazione della delibera assembleare, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte e il primo motivo di ricorso non offre argomenti per mutare orientamento, sicché la censura è inammissibile ai sensi dell'art. 360 bis n. 1 c.p.c. L'interpretazione di questa Corte sostiene che spetta in via esclusiva all'amministratore del condominio la legittimazione passiva a resistere nei giudizi promossi dai condomini per l'annullamento delle delibere assembleari, ove queste non attengono a diritti sulle cose comuni (Cass. Sez. 2, 20/04/2005, n. 8286; Cass. Sez. 2, 14/12/1999, n. 14037; Cass. Sez. 2, 19/11/1992, n. 12379). Essendo l'amministratore l'unico legittimato passivo nelle controversie ex art. 1137 c.c., in forza dell'attribuzione conferitagli dall'art. 1130, n. 1, c.c., e della corrispondente rappresentanza in giudizio ai sensi dell'art. 1131 c.c., allo stesso spetta altresì la facoltà di gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea (Cass. Sez. 2, 23/01/2014, n. 1451; Cass. Sez. 2, 20/03/2017, n. 7095; Cass. Sez. 2, 10/03/2020, n. 6735). Va peraltro considerato come anche l'eventuale difetto di valida costituzione del condominio per difetto di autorizzazione assembleare non avrebbe inciso sulla regolarità del rapporto processuale, ma rileverebbe unicamente ove la non rituale presenza del convenuto ed appellato nel processo avesse recato pregiudizio all'attrice ed appellante (eventualmente per la condanna alle spese che quest'ultima non avrebbe subito se l'appellato non avesse partecipato al giudizio; arg. da Cass. Sez. L, 05/12/1998, n. 12363).
Del pari corretta è la statuizione della Corte d'appello secondo cui sussiste la legittimazione passiva dell'amministratore (e quindi anche quella a proporre impugnazione avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio), senza necessità di autorizzazione dell'assemblea a costituirsi nel giudizio, rispetto alla controversia relativa alla domanda di risarcimento dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione di un bene condominiale, essendo l'amministratore comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio ai sensi dell'art. 1130, n. 4, c.c. Il Collegio intende, invero, dare seguito all'orientamento interpretativo secondo cui il potere - dovere di "compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio", attribuito all'amministratore di condominio dall'art. 1130, n. 4, c.c., implica in capo allo stesso la correlata autonoma legittimazione processuale attiva e passiva, ex art. 1131 c.p.c., in ordine alle controversie in materia di risarcimento dei danni, qualora l'istanza appaia connessa o conseguenziale, appunto, alla conservazione delle cose comuni (Cass. Sez. 2, 22/10/1998, n. 10474; Cass. Sez. 2, 18/06/1996, n. 5613; Cass. Sez. 2, 23/03/1995, n. 3366; Cass. Sez. 2, 22/04/1974, n. 1154; cfr. anche Cass. Sez. 2, 15/07/2002, n. 10233; Cass. Sez. 3, 21/02/2006, n. 3676; Cass. Sez. 2, 21/12/2006, n. 27447; Cass. Sez. 3, 25/08/2014, n. 18168; Cass. Sez. U, 10/05/2016, n. 9449). In tal senso, è infondata la supposizione della ricorrente, che postulava la necessità dell'autorizzazione dell'assemblea, presa con la maggioranza prescritta dall'art 1136, commi secondo e quarto, c.c., per deliberare validamente sulla proposizione del ricorso per cassazione nella lite risarcitoria. Né assume rilievo l'invocazione dell'art. 40 del regolamento di condominio, secondo cui "l'amministratore ha la rappresentanza legale del condominio e può agire e resistere in giudizio sia contro i condomini, sia contro i terzi. Per agire e resistere in giudizio deve, però, essere autorizzato dall'assemblea, tranne che si tratti di agire contro il condomino moroso e nei casi di urgenza". Va all'uopo riaffermato che il potere dell'amministratore di rappresentare il condominio nelle liti proposte contro il medesimo di cui all'art. 1131 c.c., nell'ambito delle attribuzioni conferitegli a norma dell'art. 1130 c.c., deriva direttamente dalla legge e non può soffrire limitazioni né per volontà dell'amministratore né per deliberazione della assemblea. Ne deriva che la clausola contenuta in un regolamento condominiale (ancorché deliberato per mutuo accordo tra tutti gli originari condomini), secondo cui l'autorizzazione a stare in giudizio debba essere deliberata dall'assemblea, semmai a maggioranza qualificata, non ha efficacia giuridica, poiché il quarto comma dell'art 1138 c.c. prevede che le norme regolamentari non possono derogare alle disposizioni ivi menzionate, fra le quali è appunto compresa quella di cui all'art 1131 citato (così Cass. Sez. 2, 15/04/1970, n. 1047; Cass. Sez. 2, 09/04/1968, n. 1068). 2.11 secondo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 132 c.p.c., nonché degli artt. 1130, 1131, 1135, 1136 e 1138 c.c., e degli artt. 40 e 41 del regolamento di condominio, essendo stata disattesa l'eccezione della Finrami sulla non corretta convocazione dell'assemblea del 13 luglio 2005, per inesistenza nell'ordine del giorno del deliberato "ricorso per cassazione".
2.1. Anche questo motivo denota alcuni profili di inammissibilità, comuni a quelli ravvisati in ordine al primo motivo. La decisione della questione di diritto operata dalla Corte d'appello di Napoli, circa la preventiva informazione sull'ordine del giorno, è comunque conforme alla giurisprudenza di questa Corte e il secondo motivo di ricorso non offre argomenti per mutare orientamento, sicché la censura è inammissibile ai sensi dell'art. 360 bis n. 1 c.p.c. L'interpretazione di questa Corte, consolidatasi prima dell'entrata in vigore dell'art. 66, comma 3, disp. att. c.c. (introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, e perciò qui non applicabile ratione temporis), afferma che, affinché la delibera di un'assemblea condominiale sia valida, è necessario che l'avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso, specificamente gli argomenti da trattare sì da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla partecipazione alla deliberazione. La disposizione dell'art. 1105, comma 3, c.c. - che si riteneva applicabile anche in materia di condominio di edifici, in difetto di una analoga prescrizione quale quella ora contenuta nel richiamato art. 66, comma 3, disp. att. c.c. -, la quale stabilisce che tutti i partecipanti debbano essere preventivamente informati delle questioni e delle materie sulle quali sono chiamati a deliberare, non comporta che nell'avviso di convocazione debba essere prefigurato lo sviluppo della discussione ed il risultato dell'esame dei singoli punti da parte dell'assemblea (cfr. Cass. Sez. 2, 27/03/2000, n. 3634; Cass. Sez. 2, 22/07/2004, n. 13763; Cass. Sez. 2, 10/06/2014, n. 13047; Cass. Sez. 2, 25/10/2018, n. 27159). In ogni modo, l'accertamento della completezza o meno dell'ordine del giorno di un'assemblea condominiale - nonché della pertinenza della deliberazione dell'assemblea al tema in discussione indicato nell'ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione - rimane demandato all'apprezzamento del giudice del merito insindacabile in sede di legittimità se, come nel caso della sentenza impugnata, adeguatamente motivato, essendo stato chiarito come la decisione di proporre ricorso per cassazione costituiva possibile sviluppo della discussione e dell'esame dello specifico punto all'ordine del giorno "procedura civile Luongo - Pepe, proposta transattiva dell'Avv. Del Gaiso...".

3. Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 132 c.p.c., nonché degli artt. 1130, 1131, 1135, 1136 e 1138 c.c., e degli artt. 40 e 41 del regolamento di condominio, essendo stata disattesa l'eccezione sulla insufficienza del quorum deliberante dell'assemblea del 13 luglio 2005. La censura espone che la lite esulasse dai limiti delle attribuzioni dell'amministratore di condominio.
3.1. Il motivo è infondato per le ragioni già esposte a proposito della prima censura: la controversia relativa alla domanda di risarcimento dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione di un bene condominiale vede quale legittimato passivo l'amministratore (il quale può perciò anche proporre impugnazione avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio), senza necessità di autorizzazione dell'assemblea a costituirsi nel giudizio (tanto meno con la maggioranza prescritta dall'art 1136, commi secondo e quarto, c.c.), avendo l'amministratore il potere dovere sostanziale di "compiere atti conservativi", il quale si riflette, sul piano processuale, nella legittimazione inerente alle domanda di risarcimento dei danni, qualora connessa con la conservazione dei diritti sulle parti comuni.

4. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell'art.112 c.p.c. con riferimento all'art. 2909 c.c., avendo la Corte di Napoli "ignorato il giudicato formatosi su alcuni punti fondamentali della controversia" con la sentenza n. 1949/2014 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, articolazione territoriale di Caserta, anche in relazione alla sentenza n. 2363/2012 della Corte di cassazione. Si ha riguardo ad allegazione che il ricorrente espone di aver operato all'udienza collegiale del 5 luglio 2013 davanti alla Corte d'appello di Napoli e poi nella comparsa conclusionale del giudizio di appello. Il giudicato esterno dedotto attiene, per quanto riferito, all'impugnativa della delibera condominiale del 28 ottobre 2005 da parte della condomina Rosa Monti. Il quinto motivo di ricorso deduce l'omesso esame di un punto decisivo, in relazione agli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c., nonché dell'art. 2909 c.c., sempre con riferimento al giudicato già illustrato nel quarto motivo di ricorso. Il sesto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c., nonché all'art. 2909 c.c., per aver la Corte d'appello trasgredito al giudicato emergente dalle sentenze indicate nel quarto motivo, dalle quali risulta che competente a decidere sulla proponibilità del ricorso per cassazione dovesse essere l'assemblea "generale" del condominio, e non l'assemblea dei soli condomini della scala D, né tanto meno l'amministratore in autonomia. Il settimo motivo di ricorso allega la violazione dell'art. 112 c.p.c. per avere la Corte d'appello "ignorato i verbali assembleari" del 14 giugno 2011, 18 febbraio 2013 e 17 giugno 2013. L'ottavo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c., nonché dell'art. 2909 c.c., per aver la Corte d'appello deciso contraddicendo i verbali assembleari del 14 giugno 2011, 18 febbraio 2013 e 17 giugno 2013, che, in occasione di precedenti contenziosi, avevano ravvisato l'esigenza che tutti i condomini partecipassero all'assemblea per approvare l'autorizzazione dell'amministratore a costituirsi in giudizio. Il nono motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 132 c.p.c., in relazione al principio di non contestazione, non avendo il Condominio Monti-Maggio contestato in alcun modo le argomentazioni poste a fondamento delle precedenti censure.
4.1. I motivi dal quarto al nono sono da esaminare congiuntamente, in quanto connessi, rivelandosi tutti inammissibili o comunque infondati. In particolare, il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso assumono che, per effetto dell'attività difensiva svolta dall'appellante Finrami s.r.l. all'udienza del 5 luglio 2013 davanti alla Corte di Napoli e poi nella comparsa conclusionale di secondo grado (cfr. pag. 34 di ricorso), con la produzione di copia della sentenza n. 1949/2014 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, articolazione territoriale di Caserta, e della sentenza n. 2363/2012 della Corte di cassazione, i giudici di appello avrebbero dovuto pronunciare sulla eccezione di giudicato esterno così formulata, o comunque verificare l'effettiva esistenza di una pronuncia avente tale valenza.
Le censure in oggetto suppongono, in particolare, che l'appellante all'udienza del 5 luglio 2013 (data che appare di per sé contraddittoria rispetto all'anno di pubblicazione della sentenza in questione, che è il 2014) e nella comparsa conclusionale di appello non si fosse limitata alla mera allegazione della precedente pronuncia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, da cui intendeva trarre giovamento, ma avesse così dedotto che la materia del contendere era coperta dal giudicato formatosi in altro giudizio già intercorso tra le parti. Avendo i giudici di merito trascurato di considerare la predetta eccezione di giudicato esterno, intervenuto in separato giudizio prima della pronuncia della sentenza impugnata, ricorre un vizio denunciabile per cassazione ex art. 360 c.p.c., e non invece l'ipotesi di revocazione prevista dall'art. 395, n. 5, c.p.c., dovendosi intendere l'inciso esistente in tale disposizione "purché la sentenza non abbia pronunciato sulla relativa eccezione" nel senso che si versa nell'ambito della revocazione se si siano verificati l'omessa proposizione dell'eccezione o l'omesso rilievo d'ufficio del giudicato nel giudizio che ha pronunciato la sentenza, e non invece quando il giudice abbia trascurato di considerare la predetta eccezione (cfr. Cass. Sez. U, 20/10/2010, n. 21493; Cass. Sez. 1, 14/03/1996, n. 2131).
Tuttavia, i motivi in esame si limitano ad invocare l'effetto del giudicato contenuto nella sentenza n. 1949/2014 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, mediante mera allegazione della decisione da cui la ricorrente vuol trarre giovamento, senza dedurre in modo specifico, ai sensi dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le statuizioni di quella pronuncia che diano fondamento all'opponibilità dell'invocato effetto preclusivo derivante dal giudicato formatosi nell'altro giudizio, in maniera da consentire al giudice di legittimità le indagini e gli accertamenti necessari, anche di fatto. L'omessa pronuncia sull'eccezione di giudicato esterno come l'omesso esame dei documenti indicati sottendono, comunque, una questione di diritto che appare manifestamente infondata, senza richiedere ulteriori accertamenti di fatto, e perciò renderebbero comunque inutile il ritorno della causa nella fase di merito (arg. da Cass. Sez. U, 02/02/2017, n. 2731). Non può rivestire alcuna efficacia di giudicato nel presente giudizio, avente ad oggetto la impugnazione della deliberazione assembleare 13 luglio 2005 del Condominio Monti-Maggio di Piazza Vanvitelli 25, Caserta, proposta dalla Finrami s.r.I., la sentenza resa in giudizio avente ad oggetto l'impugnazione di diversa delibera proposta da altro condomino (nella specie, la delibera assembleare del 28 ottobre 2005, impugnata da Rosa Monti, su cui si pronunciò la sentenza n. 1949/2014 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, depositata il 26 maggio 2014 e recante declaratoria di cessazione della materia del contendere). Va considerato, del resto, come pure la pronunzia di annullamento di una delibera assembleare riveste unicamente un effetto caducatorio, e non anche un effetto costitutivo per l'assemblea o per l'amministratore. In tal senso, può dirsi che l'efficacia preclusiva e precettiva del giudicato di annullamento di una delibera condominiale è meramente negativa, in quanto essa pone soltanto un limite all'esercizio dell'attività di gestione dell'assemblea, impedendole di riapprovare un atto affetto dagli stessi vizi, atto che sarebbe altrimenti a sua volta invalido. Un'efficacia più intensa può essere riconosciuta soltanto al giudicato di invalidità caduto su una deliberazione avente contenuto negativo, che abbia, cioè, respinto proposte o richieste (parimenti impugnabile ai sensi dell'art. 1137 c.c.: Cass. Sez. 2, 14/01/ 1999, n. 313), dovendo da esso discendere un obbligo di assumere la decisione illegittimamente rigettata. Pertanto, la sentenza di annullamento resa ai sensi dell'art. 1137 c.c. ha effetto nei confronti di tutti i condomini, anche se non abbiano partecipato direttamente al giudizio di impugnativa promosso da uno o da alcuni di loro, ma con riguardo alla specifica deliberazione impugnata. L'ampliamento dell'efficacia del giudicato a tutti i componenti dell'organizzazione condominiale è coerente col disposto del primo comma dell'art. 1137 c.c., per cui le deliberazioni prese dall'assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini, essendo inconcepibile che la delibera annullata giudizialmente venga rimossa per l'impugnante e rimanga invece vincolante per gli altri comproprietari. Viceversa, si spiega in giurisprudenza come l'annullamento, con sentenza passata in giudicato, di una deliberazione dell'assemblea, impugnata da un condomino per violazione di una norma del regolamento condominiale, non determina, al di fuori dei casi e dei modi previsti dall'art. 34 c.p.c., nemmeno il giudicato sulla validità della stessa disposizione regolamentare, la cui conformità, o meno, a norme imperative di legge può essere oggetto di un successivo giudizio tra le medesime parti (Cass. Sez. 2, 29/11/2017, n. 28620; Cass. Sez. 2, 11/05/2012, n. 7405).
Ne consegue che la pronuncia relativa alla validità della deliberazione dell'assemblea dei condomini concernente la costituzione in giudizio del condominio non costituisce giudicato esterno con riguardo a distinte delibere del medesimo consesso aventi analogo oggetto (sicché essa non è assimilabile ad un elemento normativo, che fissa la regola del caso concreto, obbligando il giudice davanti al quale venga invocata ad accertarne, in ogni stato e grado, l'esistenza e la portata), ma vale, al più, come precedente giurisprudenziale, del quale il giudice non deve dimostrare esplicitamente l'infondatezza o la non pertinenza rispetto al nuovo caso da decidere, poiché i motivi della decisione in tanto possono essere viziati, in quanto siano di per sé erronei, in fatto o in diritto, in relazione alla fattispecie concreta, non già perché eventualmente in contrasto con quelli addotti in decisioni riguardanti altre fattispecie analoghe, simili o addirittura identiche. Ancora minore decisività (ovvero, idoneità a determinare un esito diverso della controversia) rivestono i verbali di altre riunioni assembleari del Condominio Monti-Maggio che avevano affrontato il profilo delle maggioranze occorrenti per la costituzione in giudizio. Torna nuovamente dirimente quanto affermato a proposito del primo motivo di ricorso, in ordine alla autonoma legittimazione dell'amministratore per la controversia relativa alla domanda di risarcimento dei danni derivati al singolo condomino o a terzi dal difetto di manutenzione di un bene condominiale, senza necessità di autorizzazione dell'assemblea. E', infine, inammissibile, ai sensi dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., il nono motivo di ricorso, il quale deduca l'erronea applicazione del principio di non contestazione, prescindendo del tutto dalla specifica indicazione degli atti con cui l'attrice aveva ottemperato all'onere di puntuale allegazione dei fatti posti a base delle sue domande, nonché degli atti delle difese del convenuto Condominio, sulla cui base il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere integrata la non contestazione.

5. Il decimo motivo di ricorso deduce la violazione e Falsa applicazione degli artt. 91, 92, 112, 115, 116 e 132 c.p.c., per avere la Corte d'appello condannato illegittimamente la soccombente Finrami s.r.l. alle spese processuali senza considerare la peculiarità della vicenda, gli orientamenti giurisprudenziali e l'evoluzione del processo.
5.1. Il decimo motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell'art. 360 bis n. 1 c.p.c. Secondo consolidata interpretazione Ric. 2016 n. 02404 sez. 52 - ud. 18-11-2020 -15- giurisprudenziale, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. fra le tante, Cass. Sez. 6 - 3, 26/04/2019, n. 11329; Cass. Sez. U, 15/07/2005, n. 14989).
6. Consegue il rigetto del ricorso, regolandosi le spese del giudizio di cassazione secondo soccombenza in favore del controricorrente nell'importo liquidato in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi C 3.700,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo


Scarica copia del provvedimento: Cassazione Sentenza 2127/2021

 

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