REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Presidente -
Dott. MATERA Lina - rel. Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -
Dott. PICARONI Elisa - Consigliere -
Dott. SCALISI Antonino - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 16739-2009 proposto da:
M.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell'avvocato LAURO Massimo, rappresentata e difesa dall'avvocato MIGLIACCIO BENEDETTO;
- ricorrente -
contro
L.G., C.R., C.O., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE ZANARDELLI 34, presso lo studio dell'avvocato BIANCONI CINTHIA, rappresentati e difesi dall'avvocato DI DONATO Fabrizio;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 2934/2008 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/07/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/12/2014 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;
udito l'Avvocato ORNELLA CUTAYAR, con delega del difensore FABRIZIO DI DONATO difensore dei resistenti, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso in subordine, per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 22-9-1998 M.D., assumendo di essere proprietaria, per acquisto fattone da C.A. con atto per notaio Cascini del 12-6-1986, di un appartamento su due livelli in _____, lamentava, per quanto ancora rileva in questa sede, infiltrazioni dal lastrico di copertura al quale, per l'esecuzione dei necessari lavori di riparazione, non aveva potuto accedere attraverso la scala a chiocciola esterna per l'impedimento frapposto da L.G., C.O. e C.R., eredi di C.M.
Tanto premesso, l'attrice conveniva in giudizio i predetti L.G., C.O. e C.R., per sentir accertare che la scala a chiocciola, la quale insisteva sull'area comune, collegava parti comuni dell'edificio ed era destinata a godimento comune, aveva natura comune, nonchè per sentir condannare i convenuti al rimborso di metà delle spese sostenute per l'esecuzione dei lavori di riparazione del manto della copertura, al pagamento esclusivo delle maggiori spese sostenute per il montaggio del ponteggio e al risarcimento dei danni subiti.

Nel costituirsi, i convenuti rivendicavano la proprietà esclusiva della scala a chiocciola, la diversa causale delle infiltrazioni, l'inutilità dei lavori eseguiti e chiedevano, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni derivanti dalla indebita collocazione, da parte dell'attrice, di sedie, tavolini ed altri oggetti negli spazi comuni, in violazione del regolamento e della riservatezza.
Con sentenza in data 10-1-2006 il Tribunale di Torre Annunziata riteneva, anche per titolo, beni comuni la scala a chiocciola e il ballatoio al primo piano antistante la porta d'ingresso dell'unità dei convenuti, e condannava questi ultimi a rimuovere i catenacci impeditivi; accertava che le infiltrazioni e i danni da disgregazione degli intonaci derivavano dalla scadente impermeabilizzazione della copertura, e condannava i convenuti a rimborsare all'attrice la metà della spesa di Euro 3.715,00 relativa a lavori di rifacimento del manto bituminoso, nonchè al rimborso della somma di Euro 984,00 per le spese relative a ponteggio; condannava, inoltre, gli stessi convenuti al pagamento della somma di Euro 2.000,00 a titolo di risarcimento dei danni subiti dall'appartamento dell'attrice, della somma di Euro 5.000,00 per gli ulteriori danni subiti dalla M., nonchè della somma di Euro 2.038,00 per le spese di accertamento tecnico preventivo. Il giudice di primo grado rigettava, invece, la domanda riconvenzionale, ritenendo la condotta dell'attrice non in contrasto con il regolamento.

Avverso la predetta decisione proponevano appello i convenuti, sostenendo che la scala a chiocciola era di loro proprietà esclusiva, in quanto insisteva su un terrazzino da essi posseduto da oltre un ventennio e non conduceva al lastrico comune, bensì al lastrico esclusivo degli stessi appellanti, che lo possedevano dal 1974. Gli appellanti, inoltre, affermavano che i lavori in questione non erano urgenti, trovandosi il manto bituminoso della copertura in buone condizioni ed essendo dovute le macchie alle pareti a fenomeni di condensa per mancata areazione dei locali; lamentavano l'ingiusta condanna al risarcimento dei danni e chiedevano l'accoglimento della domanda riconvenzionale.

Con sentenza in data 22-7-2008 la Corte di Appello di Napoli, in accoglimento per quanto di ragione del gravame e in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda della M. diretta all'affermazione della proprietà comune della scala; dichiarava gli appellanti tenuti a contribuire, a norma degli artt. 1104 e 1123 c.c., alla metà della spesa di rifacimento del lastrico solare mediante impalcatura esterna, riducendo ad Euro 4.780,58, inclusi interessi legali dal 22-9-1998 all'attualità, l'importo complessivamente dovuto dagli appellanti; rigettava la domanda risarcitoria proposta dall'attrice; accoglieva per quanto di ragione la domanda riconvenzionale dei convenuti, dichiarando la M. responsabile della violazione dell'art. 1 del regolamento condominiale e condannando la stessa attrice in via risarcitoria al pagamento della somma equitativa e onnicomprensiva di Euro 100,00; compensava interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio; condannava l'attrice alla restituzione dei maggiori importi pagati dai convenuti in esecuzione della sentenza di primo grado. La Corte territoriale, in particolare, escludeva la natura condominiale della scala a chiocciola, rilevando che tale manufatto, che poneva in collegamento il ballatoio comune con il lastrico comune, prima non accessibile, era stato installato da C.M. nel 1974, dopo l'atto di divisione del 1970, e che la sua realizzazione era avvenuta per un uso intensivo, secondo la facoltà concessa dall'art. 1102 c.c., senza alterare la destinazione della cosa comune nè impedire al contitolare di farne parimenti uso; sicchè l'attrice ben avrebbe potuto installare a sua volta un scala per godere anch'essa in modo intensivo del lastrico, senza però poter pretendere l'utilizzo della scala a chiocciola di pertinenza dei convenuti, i quali, pertanto, avevano diritto ad opporsi a tale utilizzo. Il giudice del gravame, inoltre, rilevava che la situazione lesiva lamentata dall'attrice, dovuta alle cattive condizioni di impermeabilizzazione del manto di copertura, protraendosi da anni non presentava il carattere dell'indifferibilità, tale da giustificare l'intervento diretto del singolo condomino con diritto al rimborso ex art. 1134 c.c.; e che, conseguentemente, la M. avrebbe dovuto convocare l'assemblea dei condomini, ammissibile anche in presenza di due soli condomini, per l'adozione dei necessari provvedimenti, rivolgendosi, in caso di paralisi dell'assemblea, al Tribunale, con le forme della procedura camerale di volontaria giurisdizione di cui all'art. 1105 c.c. La Corte di Appello, tuttavia, rilevava che, poichè il lastrico interessato dalle infiltrazioni copriva le unità immobiliari di tutte le parti in causa, le quali avevano quindi l'onere di attivarsi per le spese conservative necessarie, la M. aveva diritto al rimborso di metà delle spese sostenute - comprese quelle relative al ponteggio -, in forza del principio generale in materia di comunione per cui comoda eum sequuntur quem incomoda. Secondo il giudice del gravame, al contrario, nessun risarcimento poteva essere riconosciuto in favore dell'attrice, in quanto l'inconveniente era da ascrivere a un processo dannoso non improvviso nè inopinato, per il quale andava seguita la tempestiva procedura di cui all'art. 1105 c.c., in modo da evitare o ridurre l'inconveniente dannoso. La Corte territoriale, infine, in relazione alla domanda riconvenzionale, riteneva acclarato che l'appellata occupava con sedie e tavolini le aree comuni a giardino, in contrasto con l'art. 1 del regolamento condominiale.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M. D., sulla base di tre motivi.
L.G., C.O. e C.R. hanno resistito con controricorso, e successivamente hanno depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivazione

1) Con il primo motivo la ricorrente lamenta l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c., artt. 1117 e 1102 c.c.
Deduce, in particolare, che, mentre gli appellanti, nell'atto di appello, avevano negato la comproprietà della scala a chiocciola in base al solo presupposto che la stessa era stata costruita sul ballatoio di loro proprietà esclusiva, la Corte di Appello, attraverso un ragionamento immotivato, basato su documenti mai ritualmente acquisiti, ma spediti direttamente al giudice con una corrispondenza privata dalla L., ha affermato la proprietà esclusiva di detta scala, pur riconoscendo che il ballatoio e il lastrico solare rientravano tra le parti comuni dell'edificio. Rileva che il giudice del gravame non ha considerato che la scala a chiocciola in questione è stata sempre utilizzata dalla famiglia di C.A. e dalla stessa M. fino al 1996.
Sostiene che detta scala, insistendo su parti comuni dell'edificio (ballatoio, lastrico e muri perimetrali) ed essendo necessariamente destinata all'uso comune, in assenza di titolo che disponga il contrario, deve essere considerata bene comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c.
Deduce che la facoltà attribuita dall'art. 1102 c.c. a ciascun condomino di apportare miglioramenti alla cosa comune purchè non impedisca agli altri partecipanti alla comunione di farne uso secondo il loro diritto, non implica l'esclusività della proprietà e dell'utilizzo della struttura realizzata, quando serva a determinare un più comodo godimento della cosa comune, ma comprende in sè il diritto degli altri condomini di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi dell'innovazione, eventualmente contribuendo alle spese di installazione e di manutenzione.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al ricorso in esame: Voglia la Corte chiarire, in relazione all'art. 1117 c.c. ed all'art. 1102 c.c., se il manufatto, nella specie una scala che mette in comunicazione parti comuni dell'edificio ed utilizza il muro perimetrale anch'esso comune per la sua installazione, realizzato da un solo condomino sia di proprietà esclusiva di colui che l'ha materialmente realizzato. Se costui possa legittimamente impedire l'accesso dell'altro condomino dal ballatoio comune al lastrico solare comune attraverso la detta scala. Chiarisca la Corte se il giudice di appello abbia fatto corretta applicazione degli articoli citati quando afferma che l'altro condomino avrebbe dovuto costruire un accesso autonomo per godere anch'esso del lastrico solare.

1a) Il motivo, nella parte in cui denuncia la violazione di norme procedimentali, è inammissibile, non concludendosi con la formulazione di un quesito di diritto, cosi come prescritto dall'art. 366 bis c.p.c. Allo stesso modo, nel motivo in esame non è dato cogliere, come richiesto sempre a pena d'inammissibilità dalla stessa norma di rito, una sintetica e chiara esposizione riassuntiva del fatto controverso in relazione al quale sussisterebbero i dedotti vizi motivazionali ex art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè delle ragioni della ritenuta inidoneità della motivazione a sorreggere la decisione adottata.

1b) Nella parte in cui lamenta la violazione degli artt. 1102 e 1317 c.c., invece, il motivo è fondato.
Secondo quanto accertato con apprezzamento in fatto non censurabile in sede di legittimità dalla Corte di Appello, la scala a chiocciola per cui è causa insiste sul ballatoio comune e conduce al lastrico solare comune, posto a copertura dei vani al primo piano di proprietà L. - C. e dei vani a piano terra di proprietà M..
Ciò posto, si rammenta che, negli edifici in condominio, le scale, con i relativi pianerottoli, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, fra le parti di questo che, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni nella loro interezza a tutti i partecipanti alla collettività condominiale, in virtù del dettato dell'art. 1117 c.c., n. 1. (Cass. 22-2-1996 n. 1357; Cass. 12-2-1998 n. 1498).

Ne discende che la scala in contestazione, insistendo sul ballatoio comune e servendo da accesso al lastrico solare comune, in mancanza di un titolo contrario deve essere considerata un bene comune, ai sensi del citato art. 1117 c.c.
La circostanza che tale opera sia stata materialmente realizzata da uno solo degli originari comproprietari ( C.M., dante causa dei resistenti), in epoca successiva alla divisione del fabbricato con C.A. (dante causa della ricorrente), non può valere ad attribuire ai convenuti, in difetto di un titolo idoneo a determinare la sua sottrazione al regime della condominialità, la proprietà e il diritto di uso esclusivo di detto manufatto, stante la sua oggettiva attitudine al godimento di tutti i condomini; ma può giustificare solo la pretesa dei convenuti di vedersi riconoscere dall'attrice un contributo per le spese di installazione e manutenzione.
Nè, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, la costruzione della scala in questione, che ha determinato la stabile occupazione di una parte del ballatoio comune, potrebbe considerarsi espressione di un uso intensivo della cosa comune (il lastrico solare), ai sensi dell'art. 1102 c.c., tale da attrarre il bene nella sfera della proprietà esclusiva dei convenuti e legittimare questi ultimi ad opporsi alla sua utilizzazione da parte dell'attrice.

Secondo i principi affermati in materia dalla giurisprudenza, infatti, poichè l'uso della cosa comune è sottoposto dall'art. 1102 c.c., ai due limiti fondamentali consistenti nel divieto per ciascun partecipante di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, esso non può estendersi alla occupazione di una parte del bene comune, tale da portare, nei concorso degli altri requisiti di legge, alla usucapione della parte occupata (Cass. 14-12-1994 n. 10699; Cass. 5-2- 1982 n. 693). Le limitazioni poste dall'art. 1102 c.c. al diritto di ciascun partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, rappresentate dal divieto di alterare la destinazione della cosa stessa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, inoltre, vanno riguardate in concreto, cioè con riferimento alla effettiva utilizzazione che il condomino intende farne e alle modalità di tale utilizzazione, essendo, in ogni caso, vietato al singolo condomino di attrarre la cosa comune o una parte di essa nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarla in tal modo alla possibilità di godimento degli altri condomini (Cass. 28-4-2004 n. 8119).
Per le ragioni esposte, la sentenza impugnata, nella parte in cui ha negato la natura condominiale della scala in oggetto e ritenuto la stessa di pertinenza esclusiva dei convenuti, risulta viziata dagli errori di diritto denunciati dalla ricorrente.

2) Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., 1110 e 1105 c.c.
Deduce che la Corte di Appello ha errato nell'escludere il diritto dell'attrice al risarcimento dei danni, sul presupposto che nella specie debba trovare applicazione l'art. 1134 c.c., secondo cui il condomino che ha di propria iniziativa sostenuto spese per la cosa comune ha diritto al rimborso solo se si tratti di spesa urgente. Sostiene che, al contrario, con riguardo al rimborso delle spese fatte da un condomino per le cose comuni, nel caso di edificio composto da due soli soggetti, trova applicazione la disposizione dettata in tema di comunione dall'art. 1110 c.c., secondo cui il comunista che abbia sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune ha diritto al rimborso nei confronti degli altri partecipanti, alla sola condizione che l'amministratore o gli altri partecipanti trascurino di provvedere. Afferma che, nel caso in esame, dalla documentazione prodotta in giudizio si evince che i convenuti, a seguito dell'invio del preventivo da parte dell'attrice, hanno contestato la necessità di procedere alle riparazioni de manto bituminoso. Rileva, pertanto, che all'attrice andava riconosciuto il risarcimento dei danni.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: Chiarisca la Corte se, nel caso di condominio formato da due soli condomini, in ipotesi di inerzia di uno ad effettuare i lavori, l'altro, dopo aver invitato alla realizzazione delle opere, possa di sua iniziativa provvedere alle stesse e pretenderne il rimborso, ai sensi dell'art. 1110 c.c., oppure debba preventivamente attivare la convocazione dell'assemblea ed in caso di inerzia della stessa, debba introdurre il procedimento di volontaria giurisdizione per la nomina di un amministratore terzo. Dica la Corte se, in caso di impedimento dei lavori, sia dovuto a carico del condomino non collaborativo il risarcimento del danno in favore dell'altro.

2a) Il motivo, nella parte in cui lamenta la violazione di norme procedurali e vizi di motivazione, è inammissibile per ragioni analoghe a quelle esposte con riferimento al primo motivo, non essendo corredato rispettivamente dalla formulazione di un quesito di diritto e dall'indicazione del momento di sintesi.

2b) Le censure inerenti alla violazione di norme sostanziali sono prive di fondamento.

La Corte di Appello ha correttamente ritenuto applicabile alla fattispecie in esame l'art. 1134 c.c., in luogo dell'art. 1110 c.c..
La soluzione adottata si pone in linea con il principio affermato dalla giurisprudenza, secondo cui la diversa disciplina dettata dagli artt. 1110 e 1134 c.c. in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell'altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell'urgenza, trova fondamento nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni costituiscono l'utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicchè la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione. Ne discende che, istaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, poichè tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell'urgenza, ai sensi dell'art. 1134 c.c. (Cass. Sez. Un. 31-1-2006 n. 2046; Cass. 12-10-2011 n. 21015).

3) Con il terzo motivo la ricorrente si duole dell'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, nonchè della violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e dell'art. 345 c.p.c. Deduce che la Corte di Appello non ha sufficientemente motivato l'accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dai convenuti ed ha basato il proprio convincimento sulla documentazione fotografica irritualmente prodotta dagli appellanti in grado di appello.
Il quesito di diritto posto è il seguente: Chiarisca la Corte se con l'atto di appello è possibile proporre nuovi mezzi di prova, e nello specifico nuova documentazione fotografica, mai depositata nel giudizio di primo grado. Dica, inoltre, se è possibile accogliere una domanda senza idoneo supporto probatorio, ovvero se la sua affermazione possa prescindere da prove testimoniali, documentazione ecc. in primo grado e possa fondarsi solo su documentazione esibita con l'atto di appello.

3a) Anche tale motivo, nella parte in cui denuncia vizi di motivazione, è inammissibile, per difetto del prescritto momento di sintesi.

3b) Per il resto, il motivo non si confronta con le ragioni della decisione. Le censure mosse, infatti, partono dal presupposto secondo cui la Corte di Appello avrebbe desunto la prova dei fatti posti a base della domanda riconvenzionale da rilievi fotografici prodotti dagli odierni resistenti in grado di appello. 11 giudice del gravame, al contrario, non ha affatto basato il proprio convincimento su fotografe prodotte dagli appellanti; ma ha ritenuto provata, in quanto non contestata dalla M., la circostanza dell'occupazione, da parte della stessa, delle aree comuni a giardino con sedie e tavolini; occupazione che, secondo quanto accertato nella sentenza impugnata con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, si pone in contrasto con l'art. 1 del regolamento condominiale.

4) In definitiva, il primo motivo di ricorso appare meritevole di accoglimento nei limiti innanzi precisati, mentre gli altri motivi vanno rigettati.
In relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli, la quale procederà a nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati. Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente grado di legittimità.

PQM

La Corte accoglie nei limiti precisati in motivazione il primo motivo di ricorso; rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2015


 

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