Con l'istanza di interpello specificata in oggetto, e' stato esposto il seguente

QUESITO

Alfa ltd (di seguito la "Società" o "Istante") è una società con sede legale nel Regno Unito, identificata direttamente ai fini IVA in Italia, la cui attività consiste nella facilitazione di vendite (principalmente di abbigliamento) attraverso una piattaforma online.

La Società attualmente opera in Italia quale agente senza rappresentanza, acquistando i prodotti (ad esempio, abbigliamento) da fornitori (anche "Partner" nel prosieguo) e rivendendoli a clienti finali (ai sensi dell'art. 2, comma 2, n. 3, del D.P.R. 633 del 1972).

Quando il cliente finale effettua l'ordine di un prodotto sulla piattaforma online della Società, quest'ultima effettua ai fini dell'IVA un acquisto "assimilato" dal Partner, seguito da una vendita "assimilata" al cliente finale, e organizza il trasporto del prodotto a quest'ultimo.

Di conseguenza, anche se la Società non acquista mai la proprietà, sotto il profilo civilistico, dei prodotti, poiché la stessa viene trasferita direttamente dai Partner ai clienti finali, ai soli fini dell'IVA agendo in qualità di commissionario, è considerata (i) il cessionario dei beni forniti dai Partner, e (ii) il cedente dei medesimi beni ai clienti finali. Sia i Partner che i clienti finali possono essere residenti in Italia, in un altro Stato Membro dell'Unione Europea o al di fuori dell'Unione Europea, mentre il luogo da cui sarà spedito il prodotto è sempre l'Italia (per quel che riguarda la presente istanza). La Società: - con riferimento alle operazioni passive, realizza (i) acquisti domestici "assimilati" da Partner italiani; (ii) importazioni di beni ceduti da Partner extraeuropei; (iii) acquisti intracomunitari in Italia da Partner europei; - con riferimento alle operazioni attive, agendo in qualità di commissionario per conto dei Partner, effettua, fra le altre, cessioni all'esportazione non imponibili ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. a) del D.P.R. 633 del 1972 verso consumatori finali stabiliti al di fuori del territorio dell'Unione Europea. Poiché i clienti finali hanno il diritto di restituire la merce acquistata entro 14 giorni dalla relativa data di consegna, l'Istante è tenuto al pagamento dell'IVA all'importazione dei beni restituiti da clienti finali stabiliti al di fuori dell'Unione Europea.

Ciò premesso, in relazione al caso concreto sopra descritto, l'istante, sul presupposto di essere un esportatore abituale, è interessato ad ottenere conferma del suo diritto a re-importare i prodotti restituiti dai clienti senza assolvere l'IVA all'importazione, utilizzando il plafond di cui all'art. 8, comma 1, lettera c) e 8, comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, come integrato dal D.Lgs. 29 dicembre 1983, n. 746 e successive modifiche.

La questione interpretativa deriva dal fatto che: a) il legislatore utilizza la locuzione "se residenti" nel far riferimento ai soggetti beneficiari dell'istituto del plafond, come previsto all'art. 8, comma 2, del D.P.R. 633 del 1972; l'interpretazione letterale della citata disposizione sembra escludere i contribuenti non residenti (come la Società) dalla possibilità di avvalersi dello status di Pagina 2 di 9 esportatore abituale b) la Società, agendo come agente senza rappresentanza/commissionario, effettua solo vendite "assimilate" verso clienti finali, ovvero cessioni "assimilate" solo ai fini dell'IVA.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE

In merito al quesito a) l'istante ritiene di essere legittimato a re-importare la merce resa da paesi extra-UE senza assolvere IVA, nei limiti del plafond disponibile, rivestendo la qualifica di esportatore abituale.
Tale comportamento sarebbe coerente alle indicazioni fornite dalla risoluzione n. 80/E del 4 agosto 2011, che ha esteso la possibilità di avvalersi del regime degli esportatori abituali anche a soggetti non stabiliti in Italia, ma ivi identificati ai fini dell'IVA. Inoltre, le indicazioni fornite dalla citata risoluzione sarebbero conformi all'articolo 164 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, che concede genericamente la possibilità di fruire del regime a qualsiasi "soggetto passivo", senza alcuna limitazione basata sul luogo di stabilimento. L'Istante è del parere che dovrebbe avere il diritto di utilizzare il regime in parola anche dopo l'attuazione della Brexit (quando diventerà un soggetto passivo extra-comunitario), sulla base del fatto che nel chiarire che anche i rappresentanti fiscali hanno diritto al regime degli esportatori abituali, la risoluzione n. 102/E del 21 giugno 1999 faceva riferimento, in generale, alle "società straniere" (quest'ultima espressione includerebbe tutti i soggetti passivi non residenti registrati ai fini IVA in Italia, stabiliti sia all'interno che all'esterno del territorio dell'Unione Europea). La suddetta conclusione non può essere invalidata dal fatto che la Risoluzione n. 102/E del 21 giugno 1999 fa riferimento alla necessità di evitare una "ingiustificata discriminazione nei confronti degli operatori nazionali". Secondo l'istante, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha implicitamente Pagina 3 di 9 riconosciuto l'esistenza di un principio di non discriminazione applicabile, ai fini IVA, anche ai soggetti passivi sia stabiliti che non stabiliti nell'Unione Europea (l'istante cita dei passaggi della sentenza del 16 luglio 2009, causa C-244/08 concernenti il rimborso IVA nei rapporti tra casa madre e stabile organizzazione).

Per quanto concerne il quesito b) l'istante ritiene che le esportazioni da essa effettuate concorreranno alla formazione del suo plafond anche se, nello schema del contratto di commissione ai fini Iva, la Società non acquisisce mai la proprietà dei beni esportati verso clienti finali. Secondo l'istante, in linea generale, le esportazioni possono concorrere a formare il plafond quando sono accompagnate dal trasferimento della proprietà dal cedente al cessionario. Ciò è stato recentemente confermato dalla risposta all'interpello n. 238 del 3 agosto 2020 (che si pone in linea di continuità con i chiarimenti dell'Agenzia delle entrate nelle risoluzioni n. 306 del 21 luglio 2008 e n. 94 del 13 dicembre 2013). Tuttavia, osserva l'istante che sulla base dell'art. 2, secondo comma, n. 3 del D.P.R. 633 del 1972, sussiste una cessione di beni "assimilata" di beni dal Partner alla Società, e una cessione "assimilata" di beni dalla Società al cliente finale (nella fattispecie, due esportazioni).

Ciò sarebbe stato confermato, tra l'altro, dalla Circolare Ministeriale n. 15 del 16 febbraio 1973 succitata e dalla Risoluzione n. 176 del 10 agosto 1996. Inoltre, l'art. 8, comma 1, del D.P.R. 633 del 1972 include espressamente nella categoria delle esportazioni non imponibili anche le vendite "assimilate" effettuate dai commissionari, che provvedono al trasporto delle merci al di fuori del territorio comunitario. Le Istruzioni Ministeriali alla dichiarazione Modello IVA 2020 per l'anno 2019 sembrano confermare (a pag. 74) che anche le esportazioni effettuate dai commissionari concorrono alla formazione del plafond.

PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
Con riferimento al quesito a) si osserva quanto segue. L'articolo 8, secondo comma, del Decreto del Presidente della Repubblica del 26/10/1972 n. 633 (di seguito DPR n. 633 del 1972) consente a coloro che effettuano esportazioni di cui alle lettere a) e b) del primo comma di effettuare, dietro presentazione di una dichiarazione d'intento, acquisti senza il pagamento dell' IVA, nei limiti dell'ammontare complessivo dei corrispettivi delle cessioni di cui alle stesse lettere, fatte nel corso dell'anno solare precedente ovvero nei dodici mesi precedenti, come consentito dall'art. 2, comma 2, della legge 18 febbraio 1997, n. 28 (detto ammortare rappresenta, rispettivamente, il c.d. plafond fisso e il c.d. plafond mobile).

Ciò a condizione che - come stabilito dall'art. 1 del D.L. 29 dicembre 1983, n. 746, convertito dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17 - l'ammontare di tali corrispettivi sia superiore al dieci per cento del volume d'affari; l'art. 41, comma 4, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 stabilisce che i corrispettivi delle cessioni intracomunitarie concorrono alla determinazione del c.d. plafond ed alle relative percentuali necessarie per l'effettuazione di acquisti senza pagamento dell' IVA. L'art. 8, primo comma, lettera c), del DPR n. 633 del 1972 prevede che siano non imponibili le cessioni di beni, diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le prestazioni di servizi rese nei confronti dei soggetti che, come detto, effettuano cessioni all'esportazione ovvero cessioni intracomunitarie e si avvalgano della sopra indicata facoltà di acquistare o importare senza pagamento dell'imposta. Analoga facoltà, di acquistare senza pagamento dell'imposta, viene riconosciuta ai soggetti che effettuano operazioni assimilate alle esportazioni nonché servizi internazionali di cui, rispettivamente, agli artt. 8-bis e 9 del DPR n. 633 del 1972, nei limiti dei corrispettivi afferenti dette operazioni (cfr. ultimo comma di entrambi gli articoli).

Ricorrendo tali circostanze, possono effettuarsi acquisti senza pagamento dell' IVA nei limiti del c.d. plafond maturato nell'anno precedente (o nei dodici mesi Pagina 5 di 9 precedenti) anche quando ad effettuare le operazioni che danno accesso a tale facoltà siano - come precisato nella risoluzione 21 giugno 1999, n. 102 - soggetti esteri identificati ai fini IVA nel territorio dello Stato; l'identificazione fiscale del non residente può avvenire, in assenza di sua stabile organizzazione, direttamente, ai sensi dell'art. 35-ter del DPR n. 633 del 1972 (fattispecie nella quale si trova l'interpellante) ovvero a mezzo di un rappresentante fiscale, ai sensi dell'art. 17, terzo comma, del DPR n. 633 del 1972 (cfr. anche ris. n. 80/E del 4 agosto 2011 nella quale l'utilizzo del plafond riguardava un soggetto stabilito in Svizzera, Stato non Ue, con rappresentante fiscale in Italia).

Alla luce della prassi esistente e sopra citata e nei limiti del presupposto, non oggettivamente riscontrabile in questa sede (fatte salve le considerazioni in punto di diritto nel prosieguo) che l'istante, come dichiarato, assuma la qualifica di esportatore abituale, si ritiene, da un lato, che la disciplina del plafond IVA si applichi al caso concreto, in cui l'istante è un soggetto non residente, stabilito in Gran Bretagna (per il quale, sino al 31 dicembre 2020 opera l'accordo regolatore della c.d. Brexit), identificato direttamente ai fini IVA in Italia e, dall'altro, che tale facoltà continui a sussistere (cfr. su citata risoluzione n. 80/E del 2011) anche dopo la scadenza del periodo "transitorio" individuato dal suddetto accordo. Al riguardo, si rammenta che l'accordo di recesso tra il Regno Unito e l'Unione europea del 18 ottobre 2019 ha stabilito che, dopo il 31 dicembre 2020, il Regno Unito non sarà più parte del territorio doganale e fiscale dell'Unione Europea. L'accordo regola la cd. Brexit in modo ordinato per cittadini e imprese, con un periodo transitorio che va dal 1° febbraio al 31 dicembre 2020. In questo periodo la normativa e le procedure UE in materia di libera circolazione delle persone, dei servizi, dei capitali e delle merci manterranno la propria vigenza nel Regno Unito. Sul piano interno, l'articolo 13, comma 1, del decreto legge n. 22 del 25 marzo 2019 (convertito con modificazioni dalla legge n. 41 del 20 maggio 2019) prevede che "Fino al termine del periodo transitorio si continuano ad applicare le disposizioni fiscali nazionali previste Pagina 6 di 9 in funzione dell'appartenenza del Regno Unito all'Unione europea, ivi incluse quelle connesse con l'esistenza di una direttiva UE. Le disposizioni derivanti dall'attuazione di direttive e regolamenti dell'Unione europea in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) e accise si continuano ad applicare in quanto compatibili".

Con riferimento al quesito b), si osserva quanto segue. Il quesito mira a chiarire se l'istante, nella sua veste di commissionario alla vendita, che effettua, tra l'altro, cessioni all'esportazione di beni che, sino alla consegna ai clienti finali esteri dopo l'effettuazione del trasporto, rimangono di proprietà dei partner/committenti, possa assumere la qualifica di esportatore abituale e dunque utilizzare il plafond maturato. Preliminarmente, giova ricordare che ai sensi dell'art. 1731 e ss. del Codice Civile "il contratto di commissione è un mandato che ha per oggetto l'acquisto o la vendita di beni per conto del committente e in nome del commissionario". Tale contratto rientra, pertanto, nella più ampia categoria del mandato senza rappresentanza, in quanto il commissionario agisce in nome proprio, ma per conto del committente, con la conseguenza che gli effetti giuridici degli atti compiuti dal commissionario non si producono direttamente nella sfera giuridica del committente. Ai fini IVA, nel mandato senza rappresentanza "Le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario" (art. 3, terzo comma, del DPR n. 633 del 1972).
Tale principio è previsto anche nel contratto di commissione dall'art. 2, secondo comma, n. 3) del citato decreto che qualifica, come cessioni di beni "i passaggi dal committente al commissionario o dal commissionario al committente di beni venduti o acquistati in esecuzione di contratti di commissione", ancorché il contratto di commissione non presupponga il passaggio di proprietà dei beni tra committente e commissionario ed anzi ne prescinda completamente (cfr. risoluzione 10/08/1996 n. 176). In sostanza, nella categoria del mandato senza rappresentanza opera una Pagina 7 di 9 "finzione giuridica", in base alla quale i beni oggetto del contratto di commissione sono oggetto di un duplice trasferimento, ossia: - dal committente al commissionario e da quest'ultimo al terzo acquirente (commissione alla vendita); - dal terzo venditore al commissionario e da quest'ultimo al committente (commissione all'acquisto).

Per effetto della suddetta "finzione giuridica", l'art. 13, comma 2, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972 dispone che la base imponibile, per i passaggi di beni dal committente al commissionario o dal commissionario al committente, è costituita, rispettivamente: - dal prezzo di vendita pattuito dal commissionario, diminuito della provvigione; - dal prezzo di acquisto pattuito dal commissionario, aumentato della provvigione.
La "fictio iuris", dunque, implica che i passaggi dei beni tra committente e commissionario, o viceversa, mantengano, in linea di principio, la stessa natura oggettiva e, quindi, anche il medesimo regime impositivo (cfr. risoluzioni 27 agosto 2009, n. 242/E, 23 maggio 2000, n. 67/E, 15 maggio 2002, n. 145/E e 14 novembre 2002, n. 355/E). Tale conclusione si rende applicabile anche alla disciplina IVA delle cessioni all'esportazione. In particolare, l'art. art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972 ricomprende nella nozione di cessione all'esportazione "le cessioni, anche tramite commissionari, eseguite mediante trasporto o spedizione di beni fuori del territorio della Comunità economica europea, a cura o a nome dei cedenti o dei commissionari, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi" (lett. a). Con riferimento alla qualifica di esportatore abituale nella circolare del 11/08/1976 n. 28, viene precisato che "...Nella ipotesi, poi, che le cessioni all'esportazione siano effettuate per il tramite di commissionari, fermo restando la veste di esportatore per il commissionario, il D.P.R. n 687 (n.d.r. del 23/12/1974) riconosce tale qualifica anche al committente. In sostanza, per effetto di tale innovazione, si è consentito anche al committente di considerare tali cessioni tra quelle che concorrono a determinare il volume delle esportazioni ai fini della qualifica di esportatore abituale di cui al successivo terzo comma dello stesso articolo ...".
Il documento di prassi riconosce, in primis, la qualifica di esportatore al commissionario, oltre ad estenderla al committente e ciò corrisponde alla logica del mandato senza rappresentanza in cui ai fini IVA, come osservato in precedenza, sussistono due prestazioni/cessioni, (mandante/mandatario e mandatario/terzo), di eguale rilevanza (la cd. fictio iuris) che sprigionano i loro effetti nella sfera fiscale di entrambi i soggetti passivi.

Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che l'istante sia legittimato ad utilizzare il plafond Iva generato dalle cessioni all'esportazione che effettua per conto del proprio committente, anche se non acquista la proprietà del bene che esporta


 

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