REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo - Presidente -
Dott. VENUTI Pietro - rel. Consigliere -
Dott. MAISANO Giulio - Consigliere -
Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere -
Dott. TRICOMI Irene - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 13457/2009 proposto da:
INARCASSA - CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell'avvocato LUCIANI MASSIMO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti; - ricorrente -
contro
P.V. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell'avvocato MAZZA RICCI GIGLIOLA, rappresentato e difeso dagli avvocati GALASSO ANDREA, GALASSO MICHELE, ANTONUCCI VINCENZO, giusta delega in atti; - controricorrente -
avverso la sentenza n. 633/2008 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 26/05/2008 r.g.n. 772/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;
udito l'Avvocato LUCIANI MASSIMO; udito l'Avvocato ANTONUCCI VINCENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Torino, dopo aver rigettato l'eccezione di prescrizione proposta dall'ing. P.V. nei confronti della INARCASSA - Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, concernente il pagamento di un credito contributivo relativo all'anno 1994, da questa richiestogli, ha condannato l'ing. P. al pagamento, a favore della controparte, della somma di Euro 385.573,36, oltre accessori di legge, ed ha annullato la sanzione di Euro 246.762,42.
Su impugnazione principale dell'ing. P. ed incidentale di INARCASSA, la Corte d'Appello di Torino, con sentenza in data 21-26 maggio 2008, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato prescritto il credito contributivo.
Ha osservato la Corte di merito che, anche a voler ritenere che potesse riconoscersi valenza di atto interruttivo alla richiesta di rettifica del credito inoltrata dall'ing. P. a INARCASSA in data 22 settembre 2004, tale richiesta venne inviata quando già il termine prescrizionale quinquennale era ampiamente decorso, ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, e dell'art. 38 dello Statuto dell'ente previdenziale. Non era, infatti, applicabile la norma di cui alla L. n. 6 del 1981, art. 18, che prevede il termine decennale di prescrizione, posto che, come è stato affermato dalla giurisprudenza di legittimità in casi analoghi, la L. n. 335 del 1995, ha regolato in materia organica e completa l'intera materia della prescrizione dei crediti contributivi degli enti previdenziali con riferimento a tutte le forme di previdenza obbligatorie.
Restava assorbito l'appello incidentale, con il quale INARCASSA aveva chiesto la condanna dell'ing. P. al pagamento delle sanzioni civili, applicandosi ad esse lo stesso termine di prescrizione quinquennale, per avere carattere accessorio del credito principale, del quale seguono la sorte.
Avverso questa sentenza INARCASSA propone ricorso per cassazione, illustrato da successiva memoria. L'ing. P. resiste con controricorso.

Motivazione

1. Il ricorso è articolato in due motivi, cui fanno seguito i relativi quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c., non più in vigore ma applicabile ratione temporis.
2. Con il primo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, e L. n. 6 del 1981, art. 18, la ricorrente deduce che la disciplina dei termini prescrizionali prevista dalla L. n. 335 del 1995, nonostante il contrario avviso della giurisprudenza, non può trovare applicazione nei confronti degli enti previdenziali privati.
Ed infatti tale legge ha introdotto un criterio generale, ma non integrale, di riforma del sistema previdenziale, lasciando fuori l'intera materia della previdenza delle categorie professionali che resta disciplinata dalla normativa anteriore.
Rileva in particolare la ricorrente:
- che l'art. 3 cit., comma 10, disciplina la sospensione dei termini prescrizionali, ma, nel farlo, menziona il D.L. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, nella L. n. 638 del 1983, che non trova applicazione nei confronti delle categorie libere professionali;
- che la riforma generale di cui alla L. n. 335 del 1995, è entrata in vigore negli stessi mesi in cui si è concluso il processo di privatizzazione delle Casse dei liberi professionisti (D.Lgs. n. 509 del 1994), onde "sarebbe.....illogico e incomprensibile se il legislatore fosse intervenuto in materia di prescrizione dei crediti previdenziali dettando norme generali per la previdenza pubblica solo implicitamente estensibili alla previdenza privata delle categorie professionali, come se la (può ben dirsi) rivoluzionaria riforma del 1993-1994 non vi fosse stata";
- che le disposizioni delle leggi speciali sulla previdenza di ciascuna categoria professionale, espressamente fatte salve dal D.Lgs. n. 509 del 1994, rispondono ad uno specifico interesse pubblico al reperimento e alla conservazione delle fonti di finanziamento della previdenza sociale e sono improntate al principio solidaristico. Vigendo il regime di integrale autofinanziamento, ogni episodio di prescrizione diminuisce la provvista delle Casse e dunque mette a rischio l'adempimento dei generali doveri di solidarietà endocategoriale, sicchè una rilevante abbreviazione dei termini prescrizionali non potrebbe che comportare ripercussioni negative sui risultati di bilancio;
- che la L. n. 6 del 1981, art. 18, che prevede la durata decennale del termine di prescrizione, in quanto specificamente riferito alle contribuzioni previdenziali a carico degli ingegneri ed architetti costituisce norma speciale che non è stata abrogata dalla norma generale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, lett. b), che ha ridotto a cinque anni tale termine;
- che l'interpretazione seguita dalla sentenza impugnata consentirebbe ai professionisti che si sono sottratti per anni ai propri doveri di solidarietà categoriale di giovarsi di un termine di prescrizione abbreviato, non conosciuto nè conoscibile dalle Casse al momento degli inadempimenti.
Deduce infine la ricorrente che, ove le disposizioni di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, dovessero ritenersi applicabili alle Casse dei liberi professionisti, esse sarebbero costituzionalmente illegittime, atteso che la riduzione a cinque anni del termine di prescrizione determina la lesione del diritto di difesa dell'ente previdenziale, "al quale verrebbe inopinatamente sottratta la possibilità di far valere in sede giudiziale le sue ragioni". Inoltre l'autofinanziamento dell'ente rende "inaccettabile qualunque intervento legislativo che lo metta in pericolo".

3. Con il secondo motivo, denunziando le stesse violazioni di legge di cui al primo motivo, la ricorrente deduce che la sentenza impugnata è errata anche laddove è stato ritenuto che il regime prescrizionale delle sanzioni civili è analogo a quello dei contributi.
Ed infatti il termine quinquennale introdotto dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, fa riferimento alle sole "contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria" e non anche alle sanzioni civili, le quali costituiscono obbligazioni di natura diversa dall'obbligazione contributiva e pertanto non sono soggette allo stesso regime prescrizionale.

4. Il primo motivo non è fondato.
La questione dedotta dalla ricorrente è stata posta più volte all'esame di questa Corte e decisa in senso sfavorevole all'ente previdenziale.
Con sentenza del 9 aprile 2003 è stato affermato che la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, prevedendo che le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono in dieci anni per quelle di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie - termine ridotto a cinque anni con decorrenza 1 gennaio 1996 (lettera a) - e in cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria (lettera b), ha regolato l'intera materia della prescrizione dei crediti contributivi degli enti previdenziali, con conseguente abrogazione, ai sensi dell'art. 15 preleggi, per assorbimento, delle previgenti discipline differenziate, sicchè è venuta meno la connotazione di specialità in precedenza sussistente per i vari ordinamenti previdenziali.
Tale principio è stato ribadito da questa Corte (cfr. Cass. 13 febbraio 2006 n. 26621; Cass. 29 novembre 2007 n. 24910; Cass. 6 luglio 2011 n. 14864) con specifico riferimento ai crediti contributivi dell'INARCASSA, per i quali è stato ritenuto che dovesse essere applicata la nuova normativa, diversamente da quanto sostenuto dal predetto ente previdenziale, secondo cui doveva continuare ad applicarsi la norma speciale di cui all'art. 18 della legge n. 6 del 1981 e la prescrizione decennale ivi prevista, in forza del principio lex specialis derogat legi generali.
Questa Corte ha pure ritenuto l'applicabilità del nono comma dell'art. 3 cit. ad altre ipotesi di sistemi previdenziali categoriali (geometri e commercialisti): Cass. 1 luglio 2002 n. 9525, Cass. 27 giugno 2002 n. 9408, Cass. 12 gennaio 2002 n. 330, Cass. 16 agosto 2001 n. 11140.
Ritiene questo Collegio di dover dare seguito al suddetto orientamento, non lasciando spazio ad interpretazioni diverse il tenore della disposizione di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9.
Da essa si evince che il legislatore ha inteso regolare l'intera materia della prescrizione dei crediti contributivi degli enti previdenziali, con riferimento a tutte le forme di previdenza obbligatoria, comprese quelle per i liberi professionisti.
Infatti la previsione di cui alla lettera b), riferita a "tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria", è onnicomprensiva e non lascia fuori nessuna forma di previdenza obbligatoria.
Appare irrilevante l'argomentazione della ricorrente, secondo cui l'art. 3, comma 10, contiene il richiamo ad una disposizione in tema di sospensione dei termini di prescrizione (D.L. n. 463 del 1983, art. 2, comma 19, convertito con modificazioni nella L. n. 638 del 1983), che non si applicherebbe ai liberi professionisti.
Tale circostanza, infatti, non esclude la portata generale ed organica della normativa in questione, la quale si applica a "tutte" le contribuzioni di previdenza e di assistenza obbligatorie, comprese quelle relative ai liberi professionisti.
Patimenti inconferente è il richiamo al processo di privatizzazione delle Casse dei liberi professionisti, al loro regime di autofinanziamento, alle ripercussioni negative che una abbreviazione dei termini prescrizionali potrebbe comportare sui risultati di bilancio degli enti previdenziali, al vantaggio che ricaverebbero da un termine di prescrizione ridotto i professionisti non adempienti all'obbligo contributivo.
Trattasi di questioni che concernono profili, in verità di scarsa rilevanza, tutti superati dalla decisiva circostanza che il testo normativo non contiene limitazioni di sorta. Nessuna deroga, in particolare, è prevista dalla norma per gli enti previdenziali c.d. "privatizzati", in quanto il D.Lgs. n. 509 del 1994, mentre ha mutato la natura giuridica delle Casse, trasformandole in enti privati, nulla ha innovato in ordine al rapporto previdenziale tra l'ente e gli iscritti, che resta assoggettato agli stessi principi ed alle stesse regole della previdenza obbligatoria, con le particolarità previste dalla L. n. 335 del 1995.
Manifestamente infondata è infine la questione di legittimità costituzionale della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, ove queste disposizioni dovessero ritenersi applicabili alle Casse dei liberi professionisti.
A prescindere che per i contributi relativi al periodo precedente la data di entrata in vigore della legge - come quelli in esame - è stato mantenuto il termine decennale di prescrizione in presenza di atti interruttivi o di procedure iniziate nel rispetto della normativa precedente, per le contribuzioni successive a detto periodo la situazione delle Casse non appare dissimile da quella degli altri enti di previdenza ed assistenza obbligatoria, onde una eventuale diversità di trattamento con riguardo al termine di prescrizione sarebbe oltre che ingiustificata, irragionevole.

5. Anche il secondo motivo è privo di fondamento.
La ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per avere ritenuto applicabile, anche alle sanzioni civili, il termine di prescrizione quinquennale dettato per le obbligazioni contributive previdenziali dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9.
A sostegno della censura ha richiamato Cass. 10 agosto 2006 n. 18148, secondo cui, costituendo le sanzioni civili una obbligazione di natura diversa dalle obbligazioni contributive, non è ad esse applicabile il regime di prescrizione previsto per queste ultime obbligazioni.
Non ritiene il Collegio di prestare adesione a tale indirizzo, apparendo più convincente il diverso orientamento espresso in più occasioni da questa Corte, secondo cui, in tema di contributi previdenziali, l'obbligo relativo alle somme aggiuntive che il datore di lavoro è tenuto a versare in caso di omesso o tardivo pagamento dei contributi medesimi (cosiddette sanzioni civili) costituisce una conseguenza automatica - legalmente predeterminata - dell'inadempimento o del ritardo ed assolve una funzione di rafforzamento dell'obbligazione contributiva alla quale si somma; ne consegue che il credito per le sanzioni civili ha la stessa natura giuridica dell'obbligazione principale e, pertanto, resta soggetto al medesimo regime prescrizionale (Cass. 4 aprile 2008 n. 8814; Cass. 22 febbraio 2012 n. 2620 e, in precedenza, Cass. 12 maggio 2004 n. 9054; Cass. 15 gennaio 1986 n. 194).

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, previa condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, a favore del resistente, in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2014


 

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