REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi - Presidente -
Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere -
Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere -
Dott. MATERA Lina - rel. Consigliere -
Dott. SCALISI Antonino - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 1087/2010 proposto da:
C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo studio dell'avvocato FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI, rappresentato e difeso dall'avvocato ZIPOLINI ROMANO;
- ricorrente -
contro
G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCRINO 5, presso lo studio dell'avvocato TAMBURRO LUCIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato FRANCESCO FRATI;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1604/2008 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 18/11/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/04/2015 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;
udito l'Avvocato Tamburro Lucio difensore del controricorrente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l'accoglimento del primo e secondo motivo, l'assorbimento dei restanti motivi del ricorso.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 23-10-1996 C.L. conveniva dinanzi al Tribunale di Lucca G.F., per sentirlo condannare a chiudere la finestra dal medesimo aperta nella vetrata installata nel muro divisorio dei due fondi confinanti, di rispettiva proprietà.
Nel costituirsi, il G. resisteva alla domanda, deducendo che la situazione lamentata era tale da tempo immemorabile.
Con sentenza in data 27-6-1995 il Tribunale adito rigettava la domanda, ritenendo che il convenuto aveva acquistato per usucapione la servitù di veduta, essendo la configurazione dei luoghi tale sin dal 1964.

Con sentenza in data 27-4-2000 la Corte di Appello di Firenze rigettava il gravame proposto avverso tale decisione dall'attore, rilevando, in particolare, che la finestra in questione costituiva veduta e non luce, in quanto l'altezza del parapetto consentiva a qualunque persona di statura normale di inspicere sul fondo altrui, e che dalle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio e delle deposizioni testimoniali si evinceva che l'apertura datava dal 1964- 1965.

Avverso la predetta pronuncia proponeva ricorso per cassazione il C.
Con sentenza in data 4-8-2004 la Corte di Cassazione riteneva fondato il primo motivo di ricorso, rilevando che ai fini della sussistenza di una veduta è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio, in relazione al quale, in violazione dell'art. 901 c.c., nulla era stato detto nella sentenza impugnata.
Il giudice di legittimità, pertanto, cassava tale sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze, ai fini della valutazione anche della possibilità di affaccio, invitando altresì il giudice del rinvio ad esaminare la questione afferente al parametro utilizzato dell'altezza media, sul quale pure si era appuntata la critica del ricorrente.
A seguito della riassunzione della causa, con sentenza in data 18-11- 2008 la Corte di Appello di Firenze, pronunciando quale giudice di rinvio, rigettava l'appello, rilevando che l'apertura in oggetto, posta ad un'altezza di cm. 155 dal pavimento, consentiva ad una persona di media altezza non soltanto di vedere al di là di essa, ma anche di affacciarsi e di guardare sia di fronte che lateralmente sul fondo del vicino, nella stessa misura in cui lo consentiva il parapetto che in passato delimitava il terrazzo successivamente chiuso dal G. per realizzare un ulteriore volume. Di conseguenza, secondo la Corte territoriale, rimaneva confermata la validità dell'impianto motivazionale che aveva indotto il giudice di primo grado ad affermare l'intervenuta usucapione.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso C. L., sulla base di quattro motivi.
G.F. ha resistito con controricorso, e in prossimità dell'udienza ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivazione

1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 901 e 902 c.c.
Deduce che il giudice del rinvio, ignorando la contraria giurisprudenza di legittimità e lo specifico invito rivoltogli dalla Corte di Cassazione a tener conto delle critiche mosse dal ricorrente in ordine al criterio dell'altezza media utilizzato nella sentenza cassata, per stabilire se il parapetto per cui è causa può consentire o meno il prospicere in alienum, senza l'ausilio di mezzi artificiali, ha erroneamente applicato il parametro dell'altezza media, in luogo di quello dell'altezza media.
Sostiene che, applicando il criterio di normalità, invece di quello di medietà, non può che giungersi alla conclusione secondo cui un parapetto alto m. 1,55 + 2 non consente ad una persona normale di poter prospicere in alienum. Rileva, pertanto, che nella specie l'apertura deve essere considerata come luce e non veduta e, in quanto luce irregolare, è soggetta all'azione di cui all'art. 902 c.c., u.c..
L'illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al ricorso in esame: "Se nella distinzione tra luce e veduta ex artt. 900 e 902 c.c., tenuto conto che i requisiti per l'esistenza di una veduta sono non soltanto la inspectio ma la prospectio, la possibilità di affacciarsi sul fondo del vicino deve essere determinata con riferimento a una persona di altezza normale e non di statura media, posto che il concetto di statura media, essendo indicativo di un unico valore numerico, intermedio fra una minimo e un massimo, non si identifica con quello di altezza normale che comprende una serie di valori di diversa entità matematica entro suddetti limiti".

2) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, anche in relazione all'art. 384 c.p.c., comma 2.
Deduce che la Corte di Appello, nel richiamare apoditticamente il parametro dell'altezza media, senza preoccuparsi minimamente della problematica segnalata dalla Corte di Cassazione in ordine alla distinzione tra il parametro dell'altezza media e quello dell'altezza normale, ha violato il principio posto dal citato art. 384 c.p.c., secondo cui il giudice di rinvio deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte. Rileva, infatti, che la Suprema Corte, nell'accogliere il primo motivo di impugnazione del ricorrente e nel ritenere assorbita ogni altra questione, aveva specificato che il giudice di rinvio avrebbe dovuto "pure...esaminare" "ogni altra questione afferente al parametro utilizzato" e cioè "la statura media, su cui la critica pure si appunta". Sostiene, inoltre, che, poichè i requisiti indispensabili per poter affermare l'usucapione devono sussistere sin dall'inizio, e cioè da almeno venti anni prima della introduzione del giudizio, non ha senso logico nè giuridico sostenere che "una persona di media altezza...oggi non è più quella di un tempo, come gli studi statistici del dopoguerra hanno posto in rilievo", poichè non è l'altezza di oggi quella che rileva, ma quella del tempo trascorso.

Il quesito posto è il seguente: "Se la motivazione dell'affermazione dell'usucapione di un diritto di servitù di veduta possa essere fondata su un dato di fatto venuto ad esistenza in data successiva all'inizio del decorso dei venti anni e se non debba ritenersi sussistere il vizio di motivazione là dove la sentenza non esamina "ogni altra questione afferente al parametro utilizzato", come disposto dalla Corte di Cassazione, nel rispetto dell'art. 384 c.p.c., comma 2".

3) Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione ai principi che disciplinano l'onere probatorio. Deduce che la Corte di Appello, nell'affermare che l'attuale apertura consente di vedere "nella stessa misura in cui lo consentiva il parapetto che delimitava il terrazzo che è stato successivamente chiuso dal G. per realizzare un ulteriore volume", ha affermato un fatto che il convenuto non ha mai provato nè chiesto di provare. Sostiene, infatti, che il G. ha chiesto di provare a mezzo testi l'esistenza di una parete vetrata da un tempo sufficiente ad acquistare per usucapione la servitù di veduta, ma non ha mai asserito nè, tanto meno, chiesto di provare che, prima della installazione della parete vetrata - ove è stata realizzata l'apertura oggetto di causa - si potesse esercitare in qualche modo una veduta.

4) Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 1061, 900 e 902 c.c.. Deduce che il giudice di appello, nel far decorrere il termine utile per l'usucapione dalla realizzazione (non dimostrata) del solo parapetto della terrazza, a suo dire posto già nel 1965 all'altezza di m. 1,55, non ha considerato che la presenza di un parapetto di quell'altezza, dal quale nessuno, nel 1963-1964, poteva inspicere nè, tanto meno, prospicere, costituiva elemento inidoneo ai fini dell'usucapione, perchè privo del requisito dell'apparenza e della inequivocità.

A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito: "Se il requisito dell'apparenza, che condiziona l'usucapibilità di una servitù, non consiste soltanto nell'esistenza di segni visibili e di opere permanenti, ma richiede altresì che queste ultime, come mezzo necessario all'esercizio della servitù medesima, siano in pari tempo un indice non equivoco del peso imposto al fondo servente, in modo da fondare la presunzione che il proprietario di questo ne sia a conoscenza e se non sia indispensabile che la sussistenza o meno di quei requisiti sia idoneamente motivata".

5) I primi due motivi, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, appaiono fondati, nei limiti di seguito precisati.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia resa in data 4-8-2004, ha cassato con rinvio la sentenza del 27-4-2000 della Corte di Appello di Firenze, osservando che ai fini della sussistenza di una veduta è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio, dovendo l'apertura consentire non solo di guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, e quindi di guardare anche obliquamente e lateralmente, in modo da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale; laddove nella sentenza impugnata, mentre si sosteneva che qualunque persona di statura media è in grado di inspicere sul fondo altrui da un parapetto alto 155 cm., nulla si diceva riguardo alla prospectio, e cioè all'affaccio.
Il giudice di legittimità, di conseguenza, nel rilevare che tale omissione integrava la violazione, ai fini della distinzione tra luci e vedute, dell'art. 901 c.c., ha disposto che la situazione venisse nuovamente presa in esame alla luce dell'esposto principio di diritto, affinchè fosse valutata anche la possibilità di affaccio; con la precisazione che il giudice di rinvio avrebbe dovuto "pure......esaminare" la "questione afferente al parametro utilizzato", e cioè "la statura media, su cui la critica pure si appunta".

Così statuendo, il giudice di legittimità ha chiaramente invitato il giudice di rinvio ad attenersi, nella valutazione del requisito della prospectio, al criterio seguito dalla giurisprudenza prevalente, secondo cui la possibilità di affacciarsi sul fondo del vicino deve essere determinata con riferimento a una persona di altezza normale e non di statura media, posto che il concetto di statura media, essendo indicativo di un unico valore numerico, intermedio fra un minimo e un massimo, non si identifica con quello di altezza normale, che comprende una serie di valori di diversa entità matematica entro i suddetti limiti (Cass. 5-11-2012 n. 18910; Cass. 17-11-2003 n. 17343; Cass. 23-2-1983 n. 1382).

Il giudice di rinvio, senza recepire l'effettiva portata del decisum e discostandosi dal richiamato indirizzo giurisprudenziale, nel valutare se la finestra realizzata dal G. consentisse la possibilità non soltanto di inspicere, ma anche di prospicere sul fondo dell'attore, ha ancora una volta utilizzato il parametro della persona di altezza "media", omettendo ogni indagine circa la possibilità di affaccio da parte di una persona di altezza "normale".
Di conseguenza, in accoglimento dei motivi in esame, s'impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze, la quale, alla luce dei principi di diritto innanzi enunciati, dovrà accertare se la finestra oggetto di causa, per le sue caratteristiche, consenta un comodo affaccio sul fondo dell'attore, con riferimento a una persona di statura normale e non di statura media.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.

PQM

La Corte accoglie per quanto di ragione i primi due motivi di ricorso; dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 29 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2015


 

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