Svolgimento del processo

Il Tribunale di Catania con sentenza del 18 maggio 2010
condannò la Banca Popolare di Lodi s.p.a. alla restituzione in favore di
Lucio Laudani della somma di C 30.077,63, quale saldo positivo di
conto corrente, oltre interessi dalla domanda, ritenuta la nullità delle
clausole di determinazione del tasso degli interessi uso piazza e di
capitalizzazione trimestrale.
Con sentenza del 21 dicembre 2015, la Corte d'appello di Catania,
in parziale riforma della decisione di primo grado, ha respinto la
domanda di ripetizione dell'indebito, proposta da Lucio Laudani,
confermando per il resto l'impugnata decisione ed accogliendo la
domanda della banca, volta alla restituzione di quanto corrisposto a
controparte in esecuzione della sentenza di primo grado. La sentenza
è stata oggetto di correzione, avendo indicato in epigrafe il nome di
un diverso istituto bancario.
Ha ritenuto il giudice d'appello, per quanto ancora rileva, che
l'ordine di esibizione impartito alla banca dal giudice di primo grado
ex art. 210 c.p.c., avente ad oggetto gli estratti conto del rapporto,
fosse illegittimo, in quanto privo dei suoi presupposti; che la
produzione dei documenti ad opera del medesimo attore direttamente
al momento dell'inizio delle operazioni peritali fosse tardiva ed
inammissibile; di conseguenza, dall'inadempimento all'ordine di esibizione alla banca non può trarsi la conseguenza del diritto alla
rimessione in termini del cliente; ne consegue l'inutilizzabilità della
c.t.u., redatta sulla base di documenti illegittimamente acquisiti.
Né, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., potrebbe trarsi alcuna
conseguenza probatoria dal comportamento omissivo della banca
circa l'entità del credito vantato, posto che la norma contempla solo
"argomenti di prova", meri elementi secondari del convincimento del
giudice (probatio inferior), a valutazione di altre risultanze acquisite;
pertanto, il giudice può trarne solo un riconoscimento implicito circa
le dedotte nullità negoziali, ma mai l'ammissione di un saldo creditore
a favore del correntista, neppure indicato dal medesimo nella
citazione introduttiva.
Pertanto, ha ritenuto non provata la domanda di ripetizione
dell'indebito, accogliendo la domanda di restituzione di quanto pagato
dalla banca in esecuzione della sentenza di primo grado.
Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il
soccombente, sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la banca.
Le parti hanno depositato la memoria.

Motivazione

1. - I motivi del ricorso possono essere come di seguito riassunti:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 210
c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto tardiva la
documentazione prodotta dall'attore all'inizio delle operazioni peritali,
mentre comunque l'art. 345, comma 3, c.p.c. permette la produzione
anche in appello di documenti, nonostante il verificarsi di preclusioni
in primo grado, ove indispensabili alla decisione, e, quindi, tanto più
deve ammettersi analogo potere officioso in primo grado; del resto, il
giudice ben può affidare al c.t.u. anche l'incarico di accertare i fatti mediante una consulenza percipiente, ed il consulente può in
generale acquisire ogni elemento utile per rispondere ai quesiti, salvo
solo il diritto al contraddittorio;
2) violazione e falsa applicazione degli artt. 190 e 345 c.p.c., per
avere la sentenza impugnata ritenuto tempestiva ed accolto la
domanda di restituzione delle somme corrisposte in adempimento
della prima sentenza, sebbene proposta solo in comparsa
conclusionale, la quale, invece può avere solo contenuto illustrativo.
2. - Il primo motivo è infondato, sotto entrambi i profili che
propone.
2.1. - La possibilità per il giudice di appello, secondo l'art. 345
c.p.c., nel testo contenente le parole «che il collegio non li ritenga
indispensabili ai fini della decisione della causa» (poi soppresse
dall'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in I. 7 agosto 2012, n.
134), di ammettere documenti reputati indispensabili per la decisione
non vale ad estendere automaticamente detto potere al giudice di
primo grado, pena l'obliterazione dell'intero sistema delle preclusioni
processuali.
Dall'ammissibilità dei documenti nuovi in appello, sia pure
nell'ampia accezione del presupposto della indispensabilità fatta
propria dalle Sezioni unite (cfr. Cass., sez. un., 4 maggio 2017, n.
10790), che hanno svincolato l'ammissibilità della nuova prova da
ogni eventuale preclusione maturata in primo grado, non può invero
trarsi il principio radicale dell'ammissibilità allora, anche per tutto il
corso del giudizio di primo grado, di prove nuove.
Se la tesi della cd. indispensabilità ristretta è stata respinta dalle
Sezioni unite, in quanto capace di svuotare di significato la prima
delle due ipotesi di prove nuove consentite in appello - identificandola
con la stessa fattispecie della non imputabilità, tanto da produrre un sostanziale effetto abrogativo dell'art. 345, comma 3, c.p.c.
previgente, là dove parlava di prove indispensabili - analogo effetto
abrogativo degli artt. 163, 167, 183 e 184 c.p.c., in parte qua,
avrebbe l'estensione della possibilità di produrre per tutto il giudizio
di primo grado prove nuove, secondo la tesi perorata dal motivo.
Neppure il principio della ricerca della verità materiale, invocato ai
propri fini dalle citate Sezioni unite, potrebbe indurre il giudice a
vanificare per intero il regime delle preclusioni istruttorie del giudizio
di primo grado.
2.2. - Quanto al profilo della pretesa ammissibilità di ogni
produzione documentale in sede di espletamento delle operazioni del
consulente tecnico d'ufficio, esso non coglie nel segno.
È bensì vero che la c.t.u. può avere ad oggetto non solo l'incarico
di valutare i fatti accertati (cd. consulenza deducente), ma anche di
accertare i fatti stessi (cd. consulenza percipiente): tuttavia, ciò può
avvenire solo quando gli elementi oggettivi siano rilevabili
esclusivamente con il concorso di cognizioni tecniche (per tutte, Cass.
30 maggio 2007, n. 12695; 14 febbraio 2006, n. 3191; 19 gennaio
2006, n, 1020), non potendo, in nessun caso, la consulenza d'ufficio
avere funzione sostitutiva dell'onere probatorio delle parti; e, pur
quando essa sia percipiente, l'ausiliario non può avvalersi, per la
formazione del suo parere, di documenti non prodotti dalle parti nei
tempi e modi permessi dalla scansione processuale, pena
l'inutilizzabilità, per il giudice, delle conclusioni del consulente fondate
sui detti documenti in violazione delle regole di riparto dell'onere
probatorio (Cass. 23 luglio 2020, n. 18152; Cass. 30 ottobre 2019, n.
27776; Cass. 12 aprile 2019, n. 10373; Cass. 15 dicembre 2017, n.
30218; Cass. 26 settembre 2016, n. 18770; Cass. 10 settembre
2013, n. 20695). Il motivo, invece, trascura del tutto di censurare il secondo iter
argomentativo della corte del merito, laddove essa ha escluso la
possibilità per il giudice di trarre argomenti di prova dalla condotta
processuale di una parte, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., sino
a fondare esclusivamente su di essi la decisione.
3. - Il secondo motivo è infondato.
Questa Corte ha già chiarito (Cass. 12 febbraio 2016, n. 2819)
come l'art. 336 c.p.c., disponendo che la riforma o la cassazione della
sentenza estenda i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti
dalla decisione riformata o cassata, comporti che, non appena sia
pubblicata la sentenza di riforma, vengano meno immediatamente sia
l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l'efficacia degli
atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa,
rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di
restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione
precedente. In sostanza, è sufficiente l'accoglimento
dell'impugnazione perché sorga l'obbligo restitutorio.
L'esistenza, peraltro, di un credito certo, liquido ed esigibile non
comporta un'implicita condanna a pagare, e la necessità di una
pronuncia restitutoria espressa rende ammissibile la relativa
domanda; la quale, tuttavia, non costituisce neppure un presupposto
indefettibile della pronuncia stessa.
Infatti, è ammissibile la pronuncia anche d'ufficio sulle restituzioni
conseguenti alla riforma della sentenza: nel giudizio di appello, il
ripristino può, cioè, essere disposto anche di ufficio dal giudice, il
quale ha il potere di adottare direttamente i provvedimenti a tal fine
necessari.
Ne deriva che certamente la domanda restitutoria può essere
proposta anche in appello, ove non integra una domanda nuova exart. 345 c.p.c.: dal momento, infatti, che l'istanza di restituzione delle
somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado è
conseguente alla stessa richiesta di modifica della decisione
impugnata, essa non costituisce domanda nuova (sin da tempi
lontani: e multis, Cass. 21 luglio 1981, n. 4684; Cass. 6 novembre
1995, n. 11527; Cass. 16 giugno 1998, n. 6002).
Ne consegue che, ove il pagamento sia intervenuto durante il
giudizio di impugnazione, l'istanza restitutoria può essere formulata
in qualunque momento, come all'udienza di discussione della causa in
sede di precisazione delle conclusioni (come statuito da Cass. 5
agosto 2013, n. 18611, e Cass. 16 maggio 2006, n. 11491) od anche
nella comparsa conclusionale.
4. - Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese di lite, che liquida in C 3.200,00, di cui C 200,00 per
esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi
ed agli accessori come per legge.
Dichiara che, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115
del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, I. n. 228 del 2012,
sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
richiesto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13,
comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 ottobre


Scarica copia del provvedimento: Cassazione 23792 del 29 ottobre 2020

 

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