REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI CATANIA
SEZIONE LAVORO
composta dai Magistrati: Dott. Elvira Maltese Dott. Maria Clara Sali Dott. Valeria Di Stefano ha emesso la seguente
Presidente rel. Consigliere Consigliere
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 621/2018 R.G. promossa
da
INPS- ISTITUTO NAZIONALE PER LA PREVIDENZA
SOCIALE (80078750587), in persona del presidente p. t., rappresentato e difeso dall’avv. Riccardo Vagliasindi
contro
(Omissis) rappresentata e difesa dall’avv. Gaetano Trovato

OGGETTO: appello- iscrizione gestione separata. CONCLUSIONI DELLE PARTI: come in atti precisate.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 4 luglio 2018 il Tribunale di Catania, giudice del lavoro, pronunciando sul ricorso proposto dall’odierna appellata nei confronti dell’INPS, accertava l’illegittimità dell’iscrizione d’ufficio dell’avv. (Omissis) alla gestione separata e, per l’effetto, annullava l’impugnato avviso di addebito e condannava l’ente previdenziale al pagamento delle spese di lite. Il primo giudice riteneva che l’INPS non avesse tra l’altro provato lo svolgimento da parte della ricorrente dell’attività di avvocato con carattere di abitualità, non essendo sufficiente a tal fine la mera maturazione di un reddito, per l’anno in contestazione (2010), di modesta entità.
Avverso la suddetta sentenza, con atto depositato il 13 luglio 2018, proponeva tempestivo appello l’INPS, cui resisteva l’appellata.
In data 10 dicembre 2020 la causa è stata posta in decisione ai sensi dell’art. 83, comma 7, lettera h), D.L. n. 18/2020 e succ. mod. e integr., compiuti i termini assegnati alle parti per il deposito telematico di note conclusive. Alla suddetta udienza cartolare hanno partecipato le dott.sse Livia La Rosa e Tania Katia Daniela Scavo ai fini della pratica forense, come da attestazione del difensore dell’ente appellante.

Motivazione

1. Lamenta l’INPS l’errata interpretazione, da parte del primo giudice, della normativa speciale che disciplina l’iscrizione alla gestione separata. Rileva in proposito che, ai fini dell’esclusione di tale obbligo d’iscrizione, ai sensi del comma 12 dell’art. 18 del d.l. n. 98/11, non è sufficiente il versamento alla Cassa di riferimento di qualunque tipologia di contributo - quale, nella specie quello integrativo, avente finalità esclusivamente solidaristica - occorrendo piuttosto il versamento dello specifico contributo di cui al comma 11 dello stesso articolo.
Per l’appellante la sentenza è altresì errata per erronea applicazione della normativa sul requisito dell’abitualità dell’esercizio dell’attività professionale, nella specie evincibile dall’iscrizione dell’appellata all’albo professionale e dalla titolarità di partita IVA.
Indi, l’Istituto ripropone le proprie difese in merito all’eccezione di prescrizione quinquennale, rimasta assorbita, dovendosi a suo dire tener conto, quale dies a quo del relativo termine, del momento di avvenuta comunicazione all’ente, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dei dati attinenti alla dichiarazione dei redditi per l’anno di riferimento, nonché in merito al regime sanzionatorio applicabile. Contesta, per conseguenza, anche la statuizione sul riparto delle spese di lite.

2. L’appello è parzialmente fondato per le ragioni che seguono.
Le questioni oggetto del mezzo d’impugnazione sono state risolte dalla Corte di Cassazione con varie pronunce (a partire da Cass. n. 32166 e n. 32167 del 12.12.2018, sino, più recentemente, a Cass. n. 3799/19, Cass. n. 4608/19), tutte convergenti in senso sostanzialmente conforme alle tesi dell’Istituto previdenziale. A tale orientamento del giudice di legittimità questa Corte ha già prestato adesione nei propri precedenti conformi, non ravvisando ragioni per disattenderlo.
In sintesi, con i citati arresti, la Suprema Corte ha enunciato i seguenti principi:
a) con la creazione, da parte della l. n. 335 del 1995, della nuova gestione separata, il legislatore ha inteso estendere la copertura assicurativa, nell’ambito della cd. “politica di universalizzazione delle tutele”, non solo a coloro che ne erano completamente privi, ma anche a coloro che ne fruivano solo in parte, a coloro cioè che svolgevano due diversi tipi di attività e che erano coperti, dal punto di vista previdenziale, solo per una delle due, facendo quindi in modo che a ciascuna corrispondesse una forma di assicurazione (S.U. n. 3240 del 2010);b) l’art. 2, comma 26, di detta legge 335/1995 assoggetta alla gestione separata due tipologie di lavoro autonomo, entrambe identificate dalla disciplina fiscale dei relativi redditi (l’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, delle attività - arti e professioni - di cui all’art. 49, comma 1, TUIR nel testo all’epoca vigente, oggi art. 53 co.1, nonché le collaborazioni coordinate e continuative di cui all’art. 49, co. 2, lett. a TUIR, oggi art. 50 co. 1 lett. c-bis); ciò induce a ritenere che l’obbligazione contributiva è basata sulla mera percezione di un reddito secondo la disciplina fiscale (Cass. 32166/2018);
c) detto art. 2, comma 26, l. cit. è in linea col principio della universalità delle tutele assicurative obbligatorie, poiché l’articolo 18, comma 12, del d.l. n. 98/11 ne ha chiarito l’interpretazione nel senso - fatto proprio dalla Cassazione in tutti gli arresti sopra richiamati - che l’unica forma di contribuzione obbligatoriamente versata che può inibire la forza espansiva della norma di chiusura contenuta nell’art. 2, comma 26, l. n. 335 del 1995, come chiarita dalla norma d’interpretazione autentica, è quella correlata a un obbligo di iscrizione a una gestione di categoria, in applicazione del divieto di duplicazione delle coperture assicurative incidenti sulla medesima attività professionale (Cass. 3913 del 2019);
d) per tale ragione, la contribuzione integrativa dovuta alla Cassa privata in ragione della mera iscrizione all’albo, che ha solo una funzione solidaristica ma non attribuisce al lavoratore una copertura assicurativa per gli eventi della vecchiaia, dell’invalidità e della morte in favore dei superstiti, non osta all’obbligo di iscrizione alla gestione separata presso l’INPS;
e) è del resto priva di fondamento la pretesa di paralizzare il pieno dispiegarsi del principio di universalizzazione delle tutele - improntato a precisi obblighi derivanti dalla Costituzione - per effetto dell’attribuzione alla cassa professionale del compito di gestire il rapporto assicurativo dei propri associati, con il diverso scopo di rispettare le istanze del gruppo professionale nella gestione della assicurazione obbligatoria senza il concorso finanziario dello Stato; difatti, con il nuovo assetto costituzionale, la copertura assicurativa previdenziale è divenuto un compito diretto dello Stato a cui spetta fissare i limiti delle tutele (sent. n. 32166 del 2018 cit.).

3. Attesa l’obbligatorietà dell’iscrizione alla gestione separata per le ragioni sopra illustrate, quanto al requisito dell’abitualità dell’attività, ritiene la Corte, conformemente ai propri precedenti conformi (cfr. per tutte sentenza del 30 maggio 2019, proc. 616/2018 n. R.G.), che l’avvocato che esercita l’attività libero professionale per la quale è iscritto all’albo, previa apertura della partita IVA, si presume per ciò solo abituale, come si ricava dal combinato disposto degli articoli 35, comma 1, del d.p.r. 633/72 e 5, comma 1, dello stresso D.P.R. Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, sarebbe stato piuttosto onere dell’appellata fornire la necessaria prova contraria ovvero di aver esercitato la professione legale in modo del tutto occasionale.

4. Dovendosi pertanto disattendere le ragioni della sentenza poste a fondamento della decisione, vanno esaminate le eccezioni sollevate nel ricorso introduttivo, rimaste assorbite ed espressamente riproposte dall’appellata, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.
L’eccezione di prescrizione è infondata.
Per principio ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, la prescrizione dei contributi dovuti alla gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il relativo versamento, in quanto il fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva è rappresentato dall’avvenuta produzione, da parte del lavoratore autonomo, di un determinato reddito.
Non rilevano pertanto, a tali fini, né la data di presentazione della dichiarazione dei redditi a opera del titolare della posizione assicurativa (che, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo), né l’atto, eventualmente successivo (avente solo efficacia interruttiva della prescrizione anche a beneficio dell’INPS), con cui l’Agenzia delle Entrate abbia accertato, ex art. 1 del d.lgs. n. 462 del 1997, un maggior reddito (in termini, Cass. nn. 13463/17, 19640/18, 27950/18).
Da ultimo, la Suprema Corte ha ribadito, nella sentenza n. 18950/2020, che “tra il momento di esigibilità del credito ed il successivo momento in cui intervenga la dichiarazione dei redditi o comunque l’accertamento tributario, munito di valenza anche previdenziale, quella che si determina è una difficoltà di mero fatto rispetto all’accertamento dei diritti contributivi” (cfr. Cass. 27950/2018 cit.); vale, dunque, la consolidata regola secondo cui «l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 c. c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, tra le quali, salva l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto, né il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento» (Cass. 26 maggio 2015, n. 10828; Cass. 6 ottobre 2014, n. 21026)”.
Di conseguenza, potendo l’ente esercitare poteri ispettivi sin dal momento in cui scade l’obbligazione, senza attendere la presentazione della dichiarazione dei redditi, non assume rilievo neppure la mancata compilazione del quadro RR.
In proposito vale pertanto la regola, fissata dall’art. 18, comma 4, d. lgs. 9 luglio 1997, n.241, secondo cui “i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi”.
Applicati detti principi al caso di specie, come già evidenziato da questa Corte nei propri precedenti conformi (cfr. sentenza del 30 maggio 2019, resa nel procedimento n. 616/2018 R.G. e numerose successive conformi), considerato che per l’anno di imposta 2010 il versamento del saldo era fissato al 6.07.2011 ex D.P.C.M. del 12.5.2011 per i titolari di partita IVA, quale appunto l’appellata, che esercitavano attività per le quali erano stati approvati gli studi di settore (a prescindere, dunque, dalla loro concreta applicazione), la prima richiesta da parte dell’INPS dei relativi contributi, di cui all’avviso bonario del 22.06.2016, risulta pervenuta all’indirizzo della destinataria l’1 luglio 2016 (cfr. avviso di ricevimento in atti) e dunque allorquando la prescrizione quinquennale di legge non era ancora maturata.
5. È invece fondata l’eccezione, sui cui l’appellata pure ha insistito, di erroneità delle sanzioni, applicate ai sensi dell’art. 116, comma 8, lett. b), della legge n. 388/2000.
Va infatti osservato che la mera mancata compilazione del quadro RR (relativo agli importi dovuti a titolo di contributi previdenziali sul reddito da lavoro autonomo) configura la fattispecie della omissione - e non già della evasione - contributiva, ricadente nella previsione della lettera a) dell’art. 116, comma 8, della legge n. 388/2000, essendo il credito dell’istituto previdenziale comunque facilmente evincibile dalla documentazione di provenienza dal soggetto obbligato (nella specie, dalla compilazione del quadro CM) - inviata a ente (Agenzia delle Entrate) competente in materia di accertamento e liquidazione dei contributi previdenziali - e dovendo dunque escludersi l’occultamento dell’attività lavorativa e del reddito percepito (v. anche in arg. Cass. 5413/2020; 14410/2019; 27950/2018).
L’assenza di dolo di evasione si desume inoltre anche dal contrasto giurisprudenziale in ordine alla sussistenza dell’obbligo contributivo, solo di recente risolto dalla Corte di Cassazione e tale da determinare un intervento interpretativo del legislatore.
Sicché deve concludersi che la professionista non si è iscritta alla gestione separata ritenendo erroneamente, ma in buona fede, di non esservi tenuta e non ha occultato il proprio reddito da lavoro autonomo ma lo ha comunicato all’Agenzia delle Entrate.
6. Conclusivamente, in parziale riforma della sentenza impugnata, va pertanto dichiarata legittima l’iscrizione dell’appellata alla gestione separata sussistendone i presupposti di legge e per l’effetto dovuti i contributi anno 2010 di cui all’avviso di addebito impugnato mentre le sanzioni sono dovute nei limiti di quanto previsto dall’art. 116, comma 8, lett. a), della legge n. 388/2000.
7. Tenuto conto dell’esistenza di contrastanti arresti giurisprudenziali, anche con riferimento alla decorrenza della prescrizione, prima dell’intervento della Corte regolatrice, soccorrono idonei motivi per compensare tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.

PQM

Definitivamente pronunciando:
accoglie parzialmente l’appello e, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiara legittima l’iscrizione dell’appellata alla gestione separata e per l’effetto dovuti i contributi anno 2010 di cui all’avviso di addebito impugnato;
dichiara dovute le sanzioni nei limiti di quanto previsto dall’art. 116, comma 8, lett. a), della legge n. 388/2000;
compensa tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio del 10 dicembre 2020.
Il Presidente est.
Dott. Elvira Maltese


Scarica copia del provvedimento: Corte d'Appello Catania Sez. Lavoro Sentenza 828/2020

 

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