REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENTILE Mario - Presidente -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.C.;
avverso la sentenza n. 3501/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del 09/10/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/01/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Sante Spinaci, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione;
Udito il difensore Avv. Emanuele Tringali, che si è riportato al ricorso e alla memoria, chiedendone l'accoglimento.

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Catania, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente D.C., con sentenza del 9/10/2012 depositata il 8/11/2012, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Siracusa Sezione distaccata di Avola in data 18/2/2011, determinava la misura della pena in mesi due di arresto ed Euro 10.000 di ammenda. Confermava nel resto la sentenza impugnata.
Il giudice di prime cure, aveva dichiarato l'imputato colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), per avere abusivamente realizzato, in assenza del permesso di costruire, un ampliamento del fabbricato originario di cui è proprietario, sito in Avola, del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 95, per aver omesso di dare preavviso alle competenti autorità delle opere edilizie da realizzare in zona sismica e del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 95, in relazione al D.M. 3 marzo 1975, per aver iniziato le opere edili in zona sismica, in assenza della prescritta autorizzazione preventiva. Reati accertati in _____.
Concesse le attenuanti generiche e ritenuta la continuazione tra i reati, l'imputato veniva condannato alla pena di mesi otto di arresto ed Euro 10.000,00 di ammenda, pena sospesa e al pagamento delle spese processuali, con ordine di demolizione dell'opera abusiva.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, con l'ausilio del proprio difensore, l'imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1: a. violazione ed errata applicazione del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 43 bis, commi 1 e 2; esercizio da parte di un giudice ordinario di una potestà riservata ai giudici togati; difetto di motivazione.
Il ricorrente lamenta che il Giudice di Appello avrebbe rigettato il primo motivo di gravame, sull'incompetenza del Giudice onorario, richiamando l'art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), per erronea applicazione della legge penale; per inosservanza delle norme processuali e per mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
Rileva che sul punto vi sarebbe un contrasto della giurisprudenza di questa Corte tra Cass. pen. 13573/09 richiamata dalla Corte territoriale e la più recente giurisprudenza della Cassazione civile (cita Cass. civ. sez. 2 n. 18002/2010). Deduce non solo la violazione dell'art. 43, comma 1, o.g., ma anche quella del secondo comma della medesima norma ordinamentale, rilevando che in tal caso il Got non ha giudicato in assenza del giudice professionale impedito, ma perchè gli è stato assegnato un ruolo proprio.
La Corte territoriale sul punto non avrebbe risposto.
b. Motivazione insufficiente ed illogicità in relazione all'esistenza di presunti elementi probatori circa la riferibilità delle opere abusive realizzate all'imputato e l'epoca di realizzazione delle stesse.
Il ricorrente contesta il punto della motivazione in cui la Corte d'Appello afferma, a suo dire senza chiarire quali, che vi sono "univoci elementi emersi dall'istruttoria dibattimentale che consentono di individuare nel D. il committente dei lavori abusivi.
Si duole altresì di come non si spiegherebbe - risultando a suo dire dagli atti il contrario - da cosa la corte d'appello abbia desunto che le opere siano state realizzate in "epoca prossima all'accertamento".
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, con ogni consequenziale statuizione.
Reitera il rilievo incidentale di incostituzionalità dell'art. 43 bis, comma 2, o.g. ritenuto dalla Corte territoriale manifestamente infondato "per ragioni organizzative".
Prima dell'udienza, il ricorrente depositava in atti una breve memoria illustrativa dei motivi di ricorso.

Motivazione

1. Il ricorso non appare manifestamente infondato nella parte in cui ci si duole della mancata motivazione da parte della Corte territoriale circa il lamentato eccesso di funzioni in capo al giudice onorario per violazione del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 43 bis, comma 2. laddove la norma prevede che "i giudici onorari di tribunale non possono tenere udienza se non nei casi di impedimento o di mancanza dei giudici ordinari".
2. Ed invero, la stessa Corte d'Appello da atto in sentenza dell'esistenza di tale motivo di ricorso, ma poi motiva esclusivamente richiamando la giurisprudenza di questa Corte, in sede penale, che con sent. 13573/09 la sez. 1 ha ricordato che non è causa di nullità la trattazione da parte del giudice onorario di un procedimento penale diverso da quelli indicati dall'art. 43 bis, comma 3, lett. b) dell'O.G. e cioè per reati non previsti dall'art. 550 c.p.p.
Non viene fornita una risposta, invece, alla doglianza, oggi riproposta, riguardante la legittimità che ad un giudice onorario venga affidato un ruolo proprio, senza cioè che lo stesso operi, come prevede la norma ordinamentale, nei soli casi di impedimento o mancanza del giudice professionale, con un'interpretazione estensiva dei concetti di "impedimento" o "mancanza" che oggi tende a ricomprendere anche i casi di carenza di organico o quelli in cui si ritiene di adibire il giudice professionale, che pure c'è, ad altre attività, come, ad esempio, la celebrazione dei processi collegiali.
Va peraltro evidenziato, per completezza espositiva, che effettivamente pare sussistere una diversità di valutazioni, pur in situazioni analoghe, tra le sezioni penali e le sezioni civili di questa Corte di legittimità circa il ruolo dei giudici onorari di tribunale.
In sede penale vi è ormai una giurisprudenza costante secondo cui la trattazione, da parte del giudice onorario, di un procedimento penale diverso da quelli indicati dall'art. 43 bis, comma 3, lett. b), dell'ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941 n. 12), e cioè riferito a reati non previsti nell'art. 550 c.p.p., non è causa di nullità, in quanto la disposizione ordinamentale introduce un mero criterio organizzativo di ripartizione dei procedimenti tra i giudici ordinari e quelli onorari. (così sez. 1, n. 13579 del 4.2.2009, Fidone, rv. 243142, fattispecie relativa a convalida d'arresto ed emissione di misura cautelare della custodia in carcere disposte da tribunale in composizione monocratica; conf. sez. 4, n. 41988 del 15.11.2006, Tamburello, rv. 235544; sez. 4 n. 9323 del 14.12.2005 dep. 17.3.2006, Iannacco, rv. 233911; sez. 4 n. 20187 del 19.2.2004, Suriel, rv. 228663; sez. 6 n. 20517 del 21.3.2013, Ragosa, rv. 226058).

E' stato anche affermato che la partecipazione di un giudice onorario alla composizione di un collegio giudicante del Tribunale non è causa di nullità assoluta, ai sensi del combinato disposto dell'art. 178 c.p.c., comma 1, lett. a), e art. 179 c.p.c., comma 1, non incidendo sulle condizioni di capacità del giudice (sez. 3, n. 21772 del 16.2.2011, M., rv 250373). E, ancora che l'integrazione di un collegio da parte di un giudice onorario in veste di supplente non viola il R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 43 bis, che si riferisce all'esercizio delle funzioni del Tribunale in composizione monocratica, nè è causa di nullità processuale, atteso che detta previsione introduce un mero criterio organizzativo di ripartizione dei procedimenti tra i giudici ordinari e quelli onorari (sez. 6. n. 7200 dell'8.2.2013, Koci, rv. 254505).
Altra recente pronuncia ha ricordato che in tema di capacità del giudice, in caso di assenza o mancanza del giudice professionale, i giudici onorari, in base all'art. 43 bis ord. giud., possono trattare tutti i processi di cui al l'art. 550 c.p.p., senza alcuna distinzione tra fase di cognizione e fase di esecuzione (sez. 1, n. 22716 del 22.3.2013, Berardi, rv. 256478).

In sede civile, invece, come rileva il ricorrente, si va facendo strada, invece, una giurisprudenza di legittimità più rigorosa.
E' stato infatti affermato che ai sensi del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 43 bis, i giudici onorari chiamati ad integrare i collegi nei tribunali ordinari, mentre possono svolgere anche funzioni di appello, non possono, invece, trattare i procedimenti cautelari "ante causam" e quelli possessori, altrimenti derivandone un vizio di costituzione del giudice e la conseguente nullità, ai sensi dell'art. 158 c.p.c., e art. 161 c.p.c., comma 1, del provvedimento pronunciato (così Cass. civ. Sez. 2, n. 18002 del 2.8.2010, Valente (D'Urgolo) contro Fedele (Sparagna), rv. 614711).
E' stato anche affermato che le circolari con le quali il Consiglio Superiore della Magistratura disciplina gli incarichi che possono essere affidati ai giudici onorari di tribunale, in quanto fonti normative di secondo grado, non possono introdurre ipotesi di nullità processuali non previste dalla legge. Pertanto la circostanza che un G.O.T. abbia pronunciato una sentenza in materia non consentita dalle suddette circolari non è causa di nullità della sentenza stessa, se non risulti altrimenti violato il R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 43 bis, (introdotto dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, art. 10), che disciplina le attività delegabili ai giudici onorari (Cass. civ. sez. 3, n. 1376 del 31.1.2012, Di Gangi (Iacopino) contro Zampini, rv. 621257; conf. Cass. civ. sez. 6, ord. n. 727 del 14.1.2013, Msh-reef (Rubino) contro Min. Interno (Avv. Gen. Stato), rv 625421).

3. Manifestamente infondati appaiono, invece, i motivi di ricorso laddove si deduce l'insufficienza ed illogicità della motivazione in relazione all'esistenza di presunti elementi probatori circa la riferibilità delle opere abusive realizzate all'imputato e l'epoca di realizzazione delle stesse.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa Sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, RV. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti nè all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542).
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c'è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto (circa la non riferibilità all'imputato delle realizzate opere edilizie abusive e la loro datazione), senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve essere evincibile dal testo del provvedimento impugnato. Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica "rispetto a sè stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova" che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione.
In altri termini, vi sarà stato "travisamento della prova" qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell'imputato). Oppure dovrà essere valutato se c'erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma - occorrerà ancora ribadirlo - non spetta comunque a questa Corte Suprema "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova.
Per esserci stato "travisamento della prova" occorre che sia stata inserita nel processo un'informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia.
In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l'atto che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto, sconfinerebbe nel merito.
Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Catania alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, dato conto, a pag. 3 del provvedimento impugnato, degli univoci elementi emersi dall'istruttoria dibattimentale e di come, contrariamente alla generica doglianza difensiva sul punto, tenuto anche conto della presenza della moglie e del figlio del D. all'atto dell'accertamento dell'abuso, sia provata la riferibilità all'imputato del manufatto costruito in assenza di permesso per costruire. Manufatto che, come si rileva in motivazione, risultava realizzato in epoca prossima all'accertamento.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perchè trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.

4. La non manifesta infondatezza del motivo di ricorso indicato in premessa sub a) impone tuttavia a questa Corte di legittimità di valutare l'intervenuta prescrizione, alla data odierna, dei reati in contestazione.
Si tratta di reati contravvenzionali accertati in data 17.10.2006, per i quali, dunque, va computato un tempo di prescrizione massimo, tenuto conto degli intervenuti atti interruttivi, di cinque anni.
Vanno tuttavia aggiunti i seguenti periodi di sospensione della prescrizione, per un totale di mesi 11 e gg. 24:
- in primo grado:
- dal 3.4.2009 al 30.10.2009 per l'astensione degli avvocati (mesi 6 e gg. 27);
- dal 26.2.2010 al 5.3.2010 per richiesta di termini a difesa (7 gg);
- dal 5.3.2010 al 24.9.2010 per rinvio causa impedimento per motivi di salute del difensore (60 gg);
- in secondo grado:
- dal 10.7.2012 al 18.9.2012 per rinvio su richiesta della difesa (60 gg.).
- da 18.9.2012 al 9.10.2012 per rinvio per l'astensione degli avvocati (21 gg.).
In proposito va ricordato che la sospensione del termine di prescrizione, come conseguenza della sospensione del processo, è limitata al periodo di sessanta giorni, altre al tempo dell'impedimento, nel caso di rinvio dell'udienza per impedimento di una delle parti o di uno dei difensori, ma non anche in caso di rinvio dell'udienza a seguito di richiesta dell'imputato o del suo difensore (così sez. 1, n. 5956 del 4.2.2009, Tortorella, rv. 243374).
Tuttavia vi è ormai univoca e condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'impedimento del difensore per contemporaneo impegno professionale, quantunque tutelato dall'ordinamento con il riconoscimento del diritto al rinvio dell'udienza, non costituisce un'ipotesi di impossibilità assoluta a partecipare all'attività difensiva e non da luogo pertanto ad un caso in cui vengono in applicazione i limiti di durata della sospensione del corso della prescrizione previsti dall'articolo 159, comma primo, numero tre, del codice penale, nel testo introdotto dall'articolo 6 della legge 5 dicembre 2005 numero 251 (cfr. per tutte sez. 2, n. 17344 del 29.3.2011, Ciarlante, rv. 250076; conf. sez. 1 n. 44609 del 14.10.2008, Errante, rv. 242042).
In particolare, quanto all'astensione degli avvocati, è stato precisato che la richiesta del difensore di differimento dell'udienza, motivata dall'adesione all'astensione collettiva dalle udienze, quantunque tutelata dall'ordinamento mediante il riconoscimento del diritto al rinvio, non costituisce, tuttavia, impedimento in senso tecnico, in quanto non discende da un'assoluta impossibilità a partecipare all'attività difensiva, conseguendone che in tale ipotesi non si applica il limite massimo di sessanta giorni di sospensione al corso della prescrizione, che resta sospeso per tutto il periodo del differimento (così sez. 1, n. 25714 del 17/06/2008, Arena, 240460; conf. sez. 2 n. 20574 del 12.2.2008, Rosano, rv. 239890; sez. 4, n. 46359 del 24.10.2007, Antignani, rv. 239020; sez. 5 n. 18071 dell'8.2.2010, Piacentino e altri, rv. 247142; sez. 4 n. 10621 del 29.1.2013, M., rv. 256067).
Nel caso in esame i reati in contestazione sono prescritti l'11.10.2012.
S'impone pertanto l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza per essersi i reati ascritti all'odierno ricorrente estinti per intervenuta prescrizione.
Ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 101, copia della sentenza andrà comunicata, a cura del cancelliere, nei termini di legge, al competente ufficio tecnico della regione.

PQM

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio, perchè i reati sono estinti per prescrizione Copia della sentenza alla Regione Siciliana.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2014


 

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