Svolgimento del processo

1. Con ordinanza emessa il 20/03/2020 il Tribunale della libertà di Lecce ha rigettato l'istanza di riesame proposta da Buscicchio Debora avverso l'ordinanza del Gip del Tribunale di Lecce applicativa della misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di cui agli artt. 416 bis cod. pen. e 73 d.P.R. 309/90, per la partecipazione all'associazione per delinquere di tipo mafioso denominata "clan Pepe", articolazione della Sacra Corona Unita operante nel territorio leccese (capo A) e per diversi episodi di detenzione illecita di sostanze stupefacenti destinate allo spaccio (capo C 3).

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Buscicchio Debora, Avv. Donata Perrone, deducendo tre motivi, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione ed erronea applicazione degli artt. 266 e ss. cod. proc. pen. e 13 d.l. n. 151 del 1991, convertito in legge n. 203 del 1991, e la nullità e comunque l'inutilizzabilità delle intercettazioni a mezzo captatore informatico (c.d. trojan), nonché l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione.
Il ricorrente premette che le proprie censure sono dirette in particolare nei confronti del decreto autorizzativo delle intercettazioni n. rit 454 del 2018.
2.1.1. Sarebbe errata l'operazione esegetica svolta dal Tribunale, allorché, nel rispondere a quanto dedotto con il riesame, aveva ritenuto che il d.lgs. n. 216 del 2017 si sarebbe limitato ad estendere a fattispecie diverse da quelle di criminalità organizzata i principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità in merito all'utilizzo del captatore informatico, mentre aveva riguardato anche questi ultimi delitti, indicando rigorosi requisiti per le intercettazioni mediante trojan. Il contenuto della riforma, pertanto, non poteva essere ignorato. E comunque, anche a non voler ritenere applicabile ai delitti in materia di criminalità organizzata i requisiti individuati dalla novella, quanto meno questi ultimi andavano tenuti in conto come indicatori ermeneutici.
2.1.2. La difesa aveva osservato che l'art. 7 della legge di riforma avrebbe consentito di conoscere e quindi controllare il procedimento e le regole osservate, ma, nel caso di specie, detti elementi erano rimasti del tutto incomprensibili e inaccessibili, posto che in atti vi era solo un'offerta economica della Lutech e una nota del pubblico ministero in cui si autorizzava la polizia giudiziaria ad avvalersi del personale e delle apparecchiature della predetta società. Sarebbe stato al contrario necessario comprendere come era stato inoculato il captatore, trattandosi di attività non delegabile a semplici ausiliari di polizia giudiziaria. Il Tribunale aveva superato la questione valorizzando la circostanza che il pubblico ministero aveva disposto l'esecuzione delle operazioni per mezzo degli impianti installati presso la Procura della Repubblica di Lecce con le
apparecchiature di cui si sarebbe dotata la polizia giudiziaria. Tale risposta era tuttavia errata, in quanto — sostiene la ricorrente — le deduzioni difensive afferivano alla fase introduttiva e preliminare dell'intercettazione e non era accettabile rinviare esclusivamente al mezzo "intercettativo" disciplinato in relazione ad altre realtà, trattandosi di un'attività "intercettativa" connotata da un sostanziale, determinante mutamento di potenzialità ed effetti. Non era neanche valida l'argomentazione del Tribunale secondo cui, oltre alla correttezza e legittimità del decreto autorizzativo, si era riguardata anche la constatata efficienza dello strumento quale efficace modalità investigativa.
2.1.3. Altra questione riguarda le riprese video, consentite solo in luogo pubblico, in relazione alle quali il Tribunale aveva osservato che esse erano legate al posizionamento di telecamere in alcune via di Lecce, disposta con provvedimento del pubblico ministero; ciò non lasciava comprendere perché il decreto autorizzativo delle intercettazioni telematiche - provvedimento diverso da quello che aveva autorizzato le riprese video cui aveva fatto riferimento il Tribunale - riguardasse la captazione delle conversazioni non solo audio ma anche video, queste ultime non consentite dalla giurisprudenza di legittimità.
2.1.4. Sotto altro profilo, il motivo di ricorso si dirige poi verso la motivazione dei provvedimenti autorizzativi, nel cui dispositivo il Giudice per le indagini preliminari aveva esclusivamente annotato, quale oggetto delle autorizzazioni, "le operazioni di intercettazione delle conversazioni e/o comunicazioni come sopra indicate", mentre alcuna autorizzazione espressa si rinveniva quanto all'ulteriore richiesta del pubblico ministero, vale a dire quella di autorizzare "l'intercettazione delle conversazioni e comunicazioni tra presenti, audio e/o video, che avverranno nei pressi dei predetti apparecchi per la durata di giorni 40...".
Il Tribunale non aveva contestato quanto dedotto dalla difesa, ma aveva erroneamente osservato che, correlando il dispositivo con la premessa del decreto in cui era riportata l'intera richiesta del pubblico ministero, il provvedimento si riferiva a tutte le intercettazioni, anche quelle mediante captatore informatico.
Tale risposta sarebbe sbrigativa, perché non terrebbe conto del fatto che, nel corpo del provvedimento autorizzativo, non vi era alcun riferimento all'intercettazione mediante captatore, tanto più che quella del decreto n. 454 del 2018 rappresentava la continuazione di un'intercettazione telefonica già autorizzata.
2.1.5. Altra questione concerne la motivazione circa l'indispensabilità del ricorso all'intercettazione a mezzo captatore informatico.
Leggendo la richiesta del pubblico ministero cui si era collegato il provvedimento autorizzativo del Giudice per le indagini preliminari, emergeva che le motivazioni poste a base del provvedimento erano le stesse che avevano consentito l'intercettazione a carico di Stefano Monaco, che quest'ultimo era già monitorato con intercettazioni ambientali e telefoniche, e che tali intercettazioni, ancora in corso, avrebbero già consentito
l'acquisizione di elementi investigativi utili rispetto al tema di indagine. Anche in questo caso il Tribunale del riesame aveva fatto ricorso ad una giustificazione postuma circa l'efficacia del sistema "intercettativo", e senza
assolvere all'onere di motivazione rafforzata.
2.1.6. Ulteriore questione in tesi erroneamente liquidata dal Tribunale della libertà sarebbe quella, pure posta nei motivi di riesame, concernente il fatto che il decreto autorizzativo per l'utilizzo del captatore informatico era stato emesso per 40 giorni, mentre, poiché esso interveniva alla scadenza di precedenti decreti sui medesimi apparecchi, si doveva trattare di una proroga, come tale avente efficacia per soli 20 giorni e non, come aveva sostenuto il Tribunale del riesame, di un nuovo e autonomo mezzo di ricerca della prova.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione e violazione di legge in relazione ai gravi indizi di colpevolezza concernenti il reato associativo e l'illecita detenzione di stupefacenti. Con riferimento alla partecipazione al reato associativo sostiene che il contenuto delle conversazioni intercettate, richiamate a fondamento della valutazione di gravità indiziaria, non sia univoco, in quanto in alcune conversazioni la Buscicchio non interviene (quando viene informata dell'estorsione ai danni dei De Vergori), ovvero, in altre, non parla in prima persona, riportando espressioni profferite da altri (a proposito dell'affronto subito da Pepe Marco e dell'ordine di punire Montinari Fabio); ella inoltre partecipava alle conversazioni riguardanti le vicende criminali del sodalizio in quanto familiare degli interlocutori, per i rapporti di contiguità familiare. Con riferimento al capo C3, lamenta che sia stato escluso il reato di favoreggiamento senza un adeguato approfondimento critico
2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alle esigenze cautelari: difetta la valutazione dell'attualità e concretezza del pericolo di reiterazione, e la considerazione dello stato di incensuratezza dell'indagata, e della contestazione di condotte accidentalmente collegate alle attività dei prossimi congiunti; si tratta, inoltre, di fatti risalenti al 2018, e non è stato valutato il c.d. tempo silente.

Motivazione

1. Il ricorso è nel suo complesso infondato e va, pertanto, rigettato.
2. Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte una serie di questioni concernenti le intercettazioni mediante captatore informatico, poste a fondamento del quadro indiziario che ha determinato l'emissione del titolo cautelare.2.1. La prima doglianza è infondata, e comunque generica, nella parte in cui sostiene che la riforma introdotta dal d.lgs. 216 del 2017 debba fornire le coordinate ermeneutiche per vagliare la legittimità delle intercettazioni svolte in questo procedimento. Giova al riguardo osservare che la predetta novella non trova applicazione al caso di specie, in quanto, ai sensi dell'art. 9 d.lgs. 216 del 2017 come ripetutamente modificato - da ultimo dal dl. 30 aprile 2020, n. 28 -, la nuova disciplina trova applicazione ai procedimenti penali iscritti dal 1 settembre 2020.
In virtù del principio tempus regit actum, invece, alle intercettazioni per procedimenti iscritti anteriormente a questa data - quale è quello in esame -, si applicano le regole già in vigore, le cui coordinate ermeneutiche sono state chiarite dalla giurisprudenza di questa Corte, ed in particolare dalle Sezioni Unite 'Scurato', che ha legittimato l'utilizzo del captatore informatico nei processi per reati di criminalità organizzata, affermando il seguente principio:
"L'intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante l'installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico è consentita nei soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata per i quali trova applicazione la disciplina di cui all'art. 13 del D.L. n. 151 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, che consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione ed indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto" (Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, Rv. 266905).
Nel caso in esame, il procedimento riguarda i reati di "criminalità organizzata" di cui agli artt. 416 bis cod. pen. e 74 d.P.R. 309/1990, sicché deve ritenersi legittimo l'utilizzo del captatore informatico anche in luoghi di privata dimora.
2.2. La seconda doglianza, concernente le modalità attuative delle intercettazioni, è inammissibile, non soltanto in quanto non dedotta con il riesame (nella parte in cui lamenta la violazione dell'art. 7 d.lgs. 216/2017), ma anche perché manifestamente infondata e generica, limitandosi a contestare le modalità di inoculazione senza muovere tuttavia una censura precisa in punto di utilizzabilità delle captazioni e, soprattutto, sostenendo l'applicazione delle modifiche introdotte alle disposizioni di attuazione del codice di rito dall'art. 7 del d.lgs. 216 del 2017 che, tuttavia, come già precisato, non è tesi accoglibile; anche l'invocazione di ulteriori precisazioni in relazione all'iter operativo dell'inoculazione del captatore concerne requisiti che neanche la nuova disciplina - non applicabile nella fattispecie - prevede. L'art. 7 prevede, infatti, l'adozione di decreti ministeriali per stabilire i requisiti tecnici dei programmi informatici funzionali all'esecuzione delle intercettazioni mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, secondo misure idonee di affidabilità, sicurezza ed efficacia al fine di garantire che i programmi informatici utilizzabili si limitano all'esecuzione delle operazioni autorizzate, e per le modalità di accesso all'archivio riservato di cui all'articolo 89-bis disp.att. cod. proc. pen. La doglianza risulta, pertanto, generica e fondata su un presupposto giuridicamente errato; né rileva che il Tribunale abbia motivato il rigetto delle eccezioni sulla rilevanza investigativa della captazione apprezzata a posteriori, che, invero, è stata richiamata a proposito del requisito della indispensabilità.
2.3. La terza doglianza, concernente l'autorizzazione alle intercettazioni
anche video, è manifestamente infondata, in quanto perplessa.
Pur avendo preso atto della motivazione del Tribunale del riesame, che,
rispondendo ad analoga censura, aveva chiarito che le uniche riprese video in
atti erano quelle sulla pubblica via, che dovevano ricondursi non già ai decreti autorizzativi delle intercettazioni, ma ad autonomi provvedimenti del pubblico
ministero, nondimeno la ricorrente ha reiterato identica censura.
2.4. Le doglianze concernenti la motivazione dei provvedimenti autorizzativi sono manifestamente infondate, in quanto la motivazione del Tribunale del riesame è esauriente e non contestata, nella parte in cui ha evidenziato che il dispositivo del provvedimento autorizzatorio del Giudice per le indagini preliminari andava correlato alla sua premessa, laddove era precisato quale fosse la richiesta del pubblico ministero. In particolare, ha osservato il Tribunale che la richiesta del P.M. concerneva anche le intercettazioni delle conversazioni tra presenti chesarebbero avvenute nei pressi degli apparecchi intercettati; operazione che -
giova evidenziarlo - non può che avvenire mediante l'inoculazione del virus
trojan nell'apparecchio telefonico.
Sicché non rileva la deduzione secondo cui, nel corpo del provvedimento,
non vi sarebbe stato accenno alle intercettazioni mediante captatore, giacché
il portato decisorio del decreto del Giudice era sufficientemente specificato
dalla combinazione epigrafe/motivazione/dispositivo.
2.5. Le doglianze concernenti la motivazione relativa all'indispensabilità
ed alla postulata necessità di una motivazione rafforzata sulle ragioni del
ricorso al captatore informatico sono infondate.
E', innanzitutto, priva di pregio l'argomentazione del ricorrente secondo
cui l'esigenza di una specifica motivazione relativa a tale presupposto sarebbe
sancita dalle Sezioni Unite 'Scurato', giacché quest'ultima pronunzia si è limitata a rimarcare la necessità di un'adeguata e compiuta motivazione del
provvedimento autorizzativo nel suo complesso, senza ricollegare uno
specifico onere argomentativo all'utilizzo del captatore (§ 10.1.: "Deve
dunque ritenersi che - in relazione a procedimenti di criminalità organizzata,
una volta venuta meno la limitazione di cui all'art. 266, comma 2, cod. proc.
pen. per quel che riguarda i luoghi di privata dimora - l'installazione del
captatore informatico in un dispositivo "itinerante", con provvedimento di
autorizzazione adeguatamente motivato e nel rispetto delle disposizioni
generali in materia di intercettazione, costituisce una delle naturali modalità di
attuazione delle intercettazioni al pari della collocazione di microspie
all'interno di un luogo di privata dimora").
Né l'esigenza di una particolare motivazione quanto all'impiego del
captatore informatico emerge dalla legislazione applicabile alle intercettazioni
utilizzate nei confronti di Buschiccio.
Non trova, infatti, applicazione al presente procedimento l'art. 267,
comma 1, come modificato dal d.lgs. 216 del 2017 e segg., circa la necessità
di indicazione delle «ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo
svolgimento delle indagini», giacché, come sopra ricordato, a norma dell'art. 9
d.lgs. 216 del 2017 (come ripetutamente modificato, da ultimo dal d.l. 30
aprile 2020, n. 28), la nuova disciplina trova applicazione ai procedimenti
penali iscritti dal primo settembre 2020; in virtù del principio tempus regit
actum, invece, alle intercettazioni per procedimenti iscritti anteriormente a
questa data, si applicano le regole precedentemente in vigore, che, nel caso di
utilizzo del captatore informatico per intercettazioni autorizzate per reati di
criminalità organizzata, non prevedeva una motivazione rafforzata quanto alle
ragioni del ricorso a tale modalità captativa.
Già tale argomentazione sarebbe sufficiente a rigettare la censura relativa
all'assenza di motivazione rafforzata; tuttavia, va rilevata altresì l'aspecificità
della doglianza, in quanto il Tribunale del riesame, in relazione alla
corrispondente doglianza proposta, ha fornito una risposta specifica circa la
motivazione offerta dal Giudice per le indagini preliminari nel decreto
autorizzativo n. 454/2018, evidenziando la necessità di ulteriori riscontri
soprattutto in relazione all'accertamento delle direttive emanate dai capiclan
in stato di detenzione, essendo Stefano Monaco uno "stretto fiancheggiatore
di Antonio Pepe" (uno dei capi del sodalizio), coinvolto direttamente nel
traffico di stupefacenti; su tale motivazione la ricorrente ha omesso
qualsivoglia confronto argomentativo.
2.6. Anche il motivo relativo alla durata dell'utilizzo del captatore
informatico è infondato, perché è immune da censure la motivazione del Tribunale del riesame secondo cui l'intercettazione mediante inoculazione del
trojan è strutturalmente diversa da quella concernente "solo" le comunicazioni
telefoniche; sicché è corretto che il Giudice per le indagini preliminari abbia
emesso nuova autorizzazione e non abbia semplicemente prorogato quella già
in corso sull'utenza di interesse. L'apparecchio telefonico sul quale era
installato il captatore solo accidentalmente era utilizzato dall'utenza già
sottoposta ad intercettazione, ma si tratta di due tipi di intercettazione
distinti, aventi oggetto e presupposti normativi diversi.
3. Il motivo di ricorso che concerne la gravità indiziaria è inammissibile
sotto diversi profili, perché propone doglianze di fatto, dirette a sollecitare una
non consentita rivalutazione del merito, mediante una lettura alternativa del
compendio probatorio, oltre che del tutto prive di specificità, omettendo
qualsivoglia concreto confronto argomentativo con la motivazione
dell'ordinanza impugnata, e con il poderoso materiale indiziario in essa
richiamato, e manifestamente infondate.
3.1. Sotto il primo profilo, le doglianze concernenti la partecipazione della
ricorrente Buscicchio Debora all'associazione di tipo mafioso sono
eminentemente di fatto, sollecitando, in realtà, una rivalutazione di merito
preclusa in sede di legittimità, sulla base di una "rilettura" degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità
la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997,
Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi
riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge,
ai sensi dell'art. 606 c.p.p., sono ictu ()culi dirette a richiedere a questa Corte
un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale
(Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del
30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina,
Rv. 214794).
In particolare, va ribadito il consolidato insegnamento di questa Corte
secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione
che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle
esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche
norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento,
ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei
fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal
giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628); in sede di giudizio di legittimità sono rilevabili esclusivamente i vizi
argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del
discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della
decisione; sicché il controllo di logicità deve rimanere all'interno del
provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa
valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi
materiali e fattuali delle vicende indagate e, nel ricorso afferente i
procedimenti "de libertate", a una diversa valutazione dello spessore degli
indizi e delle esigenze cautelari (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, Martorana,
Rv. 210019; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo, Rv. 265244; Sez. U,
n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391).
Va, altresì, osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il
richiamo recettizio dell'ordinanza genetica, che qui si contesta, è una modalità
di redazione della motivazione, da parte del Tribunale del riesame,
pienamente legittima, data la fisiologica integrazione delle due motivazioni,
ferma restando la necessità che le eventuali carenze giustificative dell'una
risultino sanate dalle argomentazioni utilizzate dall'altra (Sez. 6, n. 566 del
29/10/2015, dep. 2016, Nappello, Rv. 265765; Sez. 6, n. 48649 del
6/11/2014, Beshaj, Rv. 261085). In particolare, tale tecnica redazionale
appare vieppiù legittima quando manchino specifiche deduzioni difensive,
formulate con l'istanza originaria o con successiva memoria difensiva, ovvero
articolate oralmente in udienza (Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, Falduto, Rv.
272628; Sez. 6, n. 56968 del 11/09/2017, Ghezzo, Rv. 272202; Sez. 1, n.
54607 del 02/11/2016, Milo, Rv. 268591).
Tanto premesso, con le censure proposte la ricorrente non lamenta una
motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi
della motivazione proponibili ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen.
mauna decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione
asseritamente sbagliata del compendio probatorio (in particolare delle
intercettazioni telefoniche ed ambientali) posto a fondamento
dell'affermazione, a livello di gravità indiziaria, della partecipazione
all'associazione di tipo mafioso; gli elementi indiziari, sostiene la ricorrente,
sulla base tuttavia di un'argomentazione del tutto assertiva ed avulsa dalla
base indiziaria richiamata nell'ordinanza impugnata, non sarebbero idonei a
fondare la cautela, in quanto non risulterebbero interventi diretti della
Buscicchio nelle conversazioni captate o la stessa si limiterebbe a riportare
espressioni proferite da altri.
Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e
decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso percassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato
ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a
fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione sottesa,
che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo
e valutativo della Corte di Cassazione.
Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della
motivazione, non già della decisione, ed esclusa l'ammissibilità di una
rivalutazione del merito cautelare, va al contrario evidenziato che l'ordinanza
impugnata, come più ampiamente si dirà, ha fornito logica e coerente
motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, con
argomentazioni prive di illogicità (tantonneno manifeste) e di contraddittorietà.
3.2. Le doglianze concernenti la partecipazione di Buscicchio Debora al
sodalizio criminale sono in ogni caso estremamente generiche, per l'assertività
ed il tenore meramente contestativo.
La ricorrente sostiene, infatti, che la sua partecipazione non sia
desumibile dal materiale probatorio, e che sarebbe stata erroneamente
desunta da una errata interpretazione e valutazione delle conversazioni
intercettate.
Ebbene, nel rammentare che, in tema di intercettazioni di conversazioni o
comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti
intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, r ■
rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in
relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di
legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), giova
altresì ribadire che, in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di
partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica
compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare,
più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in
esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo,
rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini
criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670, che, in
motivazione, ha osservato che la partecipazione può essere desunta da
indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza
attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa
logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purché si tratti di
indizi gravi e precisi, tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle
pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l'affiliazione rituale, l'investitura
della qualifica di "uomo d'onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a
molteplici, e però significativi "facta concludentia"), e che, comunque, ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad un'associazione di tipo
mafioso, l'investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli
interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile
ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo
del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica ma
unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all'interno dello
stesso che emergono emergere anche da significativi "facta concludentia"
(Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, Capraro, Rv. 273571).
Tanto premesso, va evidenziato che, contrariamente a quanto pur
genericamente dedotto dalla ricorrente, dalla motivazione dell'ordinanza
impugnata, aderente agli univoci elementi indiziari in essa richiamati (in
particolare, alle plurime intercettazioni), risulta che Buscicchio Debora ha
assunto un ruolo operativo nel sodalizio criminale, attivo sia nella
intermediazione tra i sodali liberi e quelli detenuti, sia nell'attività diretta al
sostentamento dei detenuti.
La condotta partecipativa di Buscicchio Debora è stata desunta dalle
molteplici conversazioni captate (soprattutto in ambientale), dalle quali si
evince che la giovane donna veniva informata, o comunque prendeva
attivamente parte alle discussioni concernenti importanti vicende criminali del
sodalizio, quali: l'estorsione ai danni di De Vergori; l'affronto subìto da Pepe
Marco e l'ordine di punire Montinari Flavio, 'reo' di avere intrattenuto una
relazione con la ex fidanzata del figlio del capo, nei cui confronti viene
eseguita una spedizione punitiva di cui è a conoscenza fin nei dettagli; la
decisione se uccidere Ivan Spedicati, che la Buscicchio ritiene pronto a
'pentirsi'; il favoreggiamento della latitanza di Michele Sterlicchio.
La ricorrente, inoltre, informava Marco Pepe se qualcuno non versava le
somme per il mantenimento dei sodali detenuti, ricevendo altresì i "pizzini" da
consegnare ai sodali liberi.
Tanto premesso, appare dunque immune da censure l'ordinanza
impugnata, che ha escluso la pur invocata qualificazione come mero concorso
esterno, evidenziando, al contrario, che il contributo fornito dalla Buscicchio al
sodalizio è stato stabile, e non occasionale, essendosi messa a disposizione
dello stesso, condividendone le finalità e le azioni di intimidazione,
partecipando a riunioni con esponenti di rilievo dell'associazione (lo zio Totti
Pepe e Stefano Monaco), e adoperandosi per occultare denaro e droga nel
corso di una perquisizione.
Va osservato che è da escludere che un soggetto estraneo al sodalizio
mafioso possa essere messo a conoscenza delle dinamiche segrete del clan, come quelli contenuti nei "pizzini" scambiati con il vertice dell'associazione, o
come quelli concernenti propositi di omicidio o di intimidazioni o di estorsioni.
3.3. La doglianza concernente il reato di illecita detenzione di sostanze
stupefacenti (capo C3) è inammissibile, in quanto del tutto generica,
limitandosi a contestare il mancato riconoscimento della diversa fattispecie di
favoreggiamento, senza un concreto confronto argomentativo con l'ordinanza
impugnata.
Peraltro, va osservato che la motivazione del Tribunale del riesame è del
tutto immune da censure: nel corso di una perquisizione eseguita il 10.7.2018
nell'abitazione di Via Ungaro n. 8 - base logistica del sodalizio, anche per la
custodia ed il confezionamento delle sostanze stupefacenti -, le donne del
clan, Lo Deserto Anna, Buscicchio Debora e Buscicchio Manola, si disfacevano
di 300 grammi di cocaina e di una ingente somma di denaro provento dei
traffici illeciti, gettandole dalla finestra prima che la polizia facesse ingresso;
dalle intercettazioni captate la sera e la mattina seguente, emergeva che era
stata Debora Buscicchio ad andare a riprendere la droga e il denaro,
occultandole in una macchina.
Ciò posto, va rammentato che il reato di favoreggiamento non è
configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti,
in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque
agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia
cessata, si risolve - salvo che non sia diversamente previsto - in un concorso
nel reato, quanto meno a carattere morale (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012,
Biondi, Rv. 25315; Sez. 6, n. 2668 del 07/12/2016, dep. 2017, Spera, Rv.
268973, che ha ritenuto integrare il concorso nel delitto di cui all'art.73 d.P.R.
n.309 del 1990, anziché il reato di favoreggiamento, la condotta del soggetto
che aveva accompagnato il detentore dello stupefacente a recuperare la
sostanza, della quale quest'ultimo si era precipitosamente disfatto, sul
presupposto che il precedente abbandono dello stupefacente non comportasse
la perdita di ogni potere di fatto sulla droga); in tema di illecita detenzione di
stupefacenti, il discrimine tra il concorso nel reato e l'autonoma fattispecie di
favoreggiamento personale va rintracciato nell'elemento psicologico
dell'agente, da valutarsi in concreto, per verificare se l'aiuto da questi
consapevolmente prestato ad altro soggetto, che ponga in essere la condotta
criminosa costitutiva del reato permanente, sia l'espressione di una
partecipazione al reato oppure nasca dall'intenzione - manifestatasi attraverso
individuabili modalità pratiche - di realizzare una facilitazione alla cessazione
della permanenza del reato (Sez. 4, n. 28890 del 11/06/2019, Merolla, Rv.
276571, che ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna a titolo di concorso per la detenzione di stupefacente, desumendo l'elemento
soggettivo dalla condotta dell'imputata, tesa a disfarsi dello stupefacente
mentre era sola in casa, sapendo dove la droga fosse custodita, e così
dimostrando la sua autonoma disponibilità della sostanza).
Nel caso in esame, l'ordinanza impugnata ha escluso la qualificazione del
fatto come mero favoreggiamento, in quanto Buscicchio Debora viveva
nell'immobile di via Ungaro n. 8, ed era perfettamente a conoscenza del luogo
ove era detenuta la sostanza stupefacente, e le concrete modalità della
condotta hanno evidenziato che la giovane donna si è immediatamente
attivata per andare a recuperare l'involucro che la zia aveva lanciato dalla
finestra, occultandolo in una autovettura, così dimostrando il suo interesse
alla sostanza stupefacente ed il suo concorso nella detenzione. La condotta
non fu, dunque, animata dal mero scopo di occultare lo stupefacente alle forze
di polizia che stavano per eseguire la perquisizione, ma fu ispirata dal fine di
un successivo recupero della droga lanciata dalla finestra, in modo che,
cessata la perquisizione, la detenzione potesse proseguire.
4. Il terzo motivo, concernente le esigenze cautelari, è inammissibile,
perché generico, nella parte in cui omette qualsivoglia confronto
argomentativo con la motivazione dell'ordinanza impugnata, e
manifestamente infondato.
4.1. Invero, è assorbente rilevare che il titolo cautelare concerne il reato
di cui all'art. 416 bis cod. pen., in ordine al quale è sancita la 'doppia'
presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza,
prevista dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
In tale ipotesi, dunque, è la stessa presunzione di sussistenza delle
esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, salvo 'prova
contraria', sancita dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., a fondare un
giudizio, formulato in astratto ed ex ante dal legislatore, di attualità e
concretezza del pericolo; tale, cioè, da fondare una valutazione di costante ed
invariabile pericolo 'cautelare', salvo 'prova contraria'.
L"antinomia' tra l'art. 275, comma 3, e l'art. 273 cod. proc. pen., non
può essere risolta, interpretativamente, in favore della prevalenza della
seconda norma, che è generale, laddove la prima norma, che sancisce la
presunzione relativa, è speciale; secondo il tradizionale criterio interpretativo
cronologico lex specialis derogat legi generali, lex posterior generalis non
derogat priori speciali, dunque, la presunzione di cui all'art. 275, comma 3,
cod. proc. pen., sia nella dimensione della 'sussistenza delle esigenze
cautelari', sia nella dimensione della 'adeguatezza della custodia in carcere', deve ritenersi prevalente sulla norma di cui all'art. 273 cod. proc. pen., nel
senso che l'attualità" e la "concretezza" delle esigenze cautelari deve
intendersi, salvo 'prova contraria', insita proprio nel giudizio di astratta e
costante 'pericolosità cautelare' formulato ex ante dal legislatore.
Di conseguenza, nel caso in cui il titolo cautelare riguardi i reati indicati
nell'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (tra i quali quelli di cui all'art. 74
d.P.R. 309/90), la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari deve
ritenersi, salvo 'prova contraria' (recte, salvo che emergano elementi di segno
contrario), integrare i caratteri di attualità e concretezza del pericolo.
In tal senso si è espressa la pressoché unanime giurisprudenza di questa
Corte, che, per la rilevanza della questione, merita di essere, sia pur
succintamente, richiamata: Sez. 3, n. 33051 del 08/03/2016, Barra, Rv.
268664: "La presunzione di sussistenza delle esigenze caute/ari e di
adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all'art. 275, comma
terzo, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma
generale stabilita dall'art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che se il titolo
cautelare riguarda i reati previsti dall'art. 275, comma terzo, cod. proc. pen.
detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, i caratteri di
attualità e concretezza del pericolo"; Sez. 5, n. 35848 del 11/06/2018,
Trifiro', Rv. 273631: "In tema di custodia cautelare in carcere applicata nei
confronti di indagato per delitto aggravato dall'art. 7, legge n.203 del 1991, la
doppia presunzione di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere
superata solo dalla prova della rescissione dei legami con l'organizzazione
criminosa, non essendo invece richiesto un giudizio di attualità delle esigenze
cautelari già insito nella disposizione speciale di cui all'art. 275, comma 3,
cod. proc. pen."; Sez. 5, n. 35847 del 11/06/2018, C, Rv. 274174: "In tema
di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato per delitto
aggravato dall'art. 7, legge n. 203 del 1991, la presunzione relativa di
pericolosità sociale di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere
superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga che
l'associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l'organizzazione
criminosa. In assenza di tali elementi, il giudice della cautela non ha l'onere di
argomentare in ordine alla sussistenza o permanenza delle esigenze caute/ari
ancorché sia decorso un notevole lasso di tempo tra i fatti contestati in via
provvisoria all'indagato e l'adozione della misura cautelare"; Sez. 1, n. 23113
del 19/10/2018, dep. 2019, Fotia, Rv. 276316: "In tema di custodia cautelare
in carcere applicata nei confronti di indagato per delitto aggravato dall'art. 7,
d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora
art. 416-bis.1 cod. pen.), la doppia presunzione di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo dalla prova della rescissione dei
legami con l'organizzazione criminosa, non essendo invece richiesto un
giudizio di attualità delle esigenze caute/ari già insito nella disposizione
speciale di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen."; Sez. 1, n. 24135 del
10/05/2019, Castorina, Rv. 276193: "La presunzione di sussistenza delle
esigenze caute/ari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui
all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale,
rispetto alla norma generale stabilita dall'art. 274 cod. proc. pen., sicché se il
titolo cautelare riguarda i reati previsti dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, i caratteri di
attualità e concretezza del pericolo".
La dimensione consolidata dell'interpretazione appena richiamata non
appare ridimensionata dall'orientamento, rimasto del tutto minoritario, e non
condiviso da questo Collegio, secondo cui, in tema di custodia cautelare in
carcere applicata nei confronti dell'indagato per uno dei delitti per i quali l'art.
275, comma 3, cod. proc. pen. pone una presunzione relativa di sussistenza
delle esigenze cautelari, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo
tra l'emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all'indagato e
si tratti, in particolare, di un reato non permanente, il giudice ha l'obbligo di
motivare puntualmente in ordine all'attualità delle esigenze cautelari (Sez. 5,
n. 25670 del 13/03/2018, Gullo, Rv. 273805, in una fattispecie in tema di
omicidio aggravato ai sensi dell'art. 7 dl. 13 maggio 1991 n, 153, conv. in
legge 12 luglio 1991, n. 203); orientamento secondo cui, in tema di misure
cautelari, quando si procede per i reati di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc.
pen., pur operando una presunzione "relativa" di sussistenza delle esigenze
cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui
alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di una esegesi costituzionalmente orientata
della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice,
ove si tratti di un rilevante arco temporale non segnato da condotte
dell'indagato sintomatiche di perdurante pericolosità (cd. tempo silente), che
può rientrare tra gli "elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze
cautelari", cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 1,
n. 42714 del 19/07/2019, Terminio, Rv. 277231).
Sia sufficiente, al riguardo, osservare che, ribadendo la correttezza e la
condivisibilità dell'interpretazione sistematica affermata dall'orientamento
assolutamente prevalente, un'interpretazione costituzionalmente orientata è
comunque consentita soltanto nelle ipotesi in cui il perimetro semantico della
norma la consenta, dovendo altrimenti percorrersi la diversa opzione della
questione di illegittimità costituzionale. 4.2. Pur essendo l'orientamento richiamato infra § 4.1. assorbente della
questione della pretesa mancanza di attualità e concretezza nei casi di
presunzione di pericolosità, merita comunque di essere precisato che
l'ordinanza impugnata ha nondimeno motivato 'in positivo' sulla sussistenza
delle esigenze cautelari, atteso che all'indagata sono contestati fatti commessi
sino a luglio 2018 con permanenza, che gli è addebitato un ruolo associativo
operativo, che non vi sono segnali di allontanamento dal sodalizio che
possano far ritenere rescisso il vincolo associativo e venuto meno il rischio di
recidiva: la pericolosità dell'odierna ricorrente, desunta dalla condotta tenuta
in occasione della perquisizione domiciliare, ed il ruolo assunto nel sodalizio
criminale sono stati infatti ritenuti indici univoci di un pericolo concreto ed
attuale di reiterazione di reati della stessa specie, in assenza di qualsivoglia
rescissione del legame associativo.
Del resto, nel rammentare che, in tema di esigenze cautelari, il pericolo di
reiterazione di reati della stessa specie non va inteso come pericolo di
reiterazione dello stesso fatto reato, atteso che l'oggetto del "periculum" è la
reiterazione di astratti reati della stessa specie e non del concreto fatto reato
oggetto di contestazione (Sez. 5, n. 70 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato,
Rv. 27440302), va altresì evidenziato che la deduzione con cui si sostiene la
risalenza nel tempo (2018) dei fatti oggetto del titolo cautelare è
manifestamente infondata, trattandosi di epoca non distante dall'adozione
della cautela.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese
processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 co.1-ter
disp.att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 28/09/2020


Scarica copia del provvedimento: Corte di Cassazione Sentenza n. 33138 del 25 novembre 2020

 

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