REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CATANIA
QUINTA SEZIONE CIVILE
Il giudice Antonino Fichera ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 11995/14 R.G.,
promossa da
D.V. _____; ricorrente
contro
I. _____; resistente

Motivazione

Con atto di intimazione di sfratto per morosità l’intimante conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale I.
La società intimata, pur non contestando la morosità, proponeva opposizione eccependo che l’immobile locato era dotato di un impianto elettrico non a norma di legge (per tutta una serie di motivi indicati ai punti da uno a sette della comparsa di risposta) e che un soppalco abusivo presente nell’immobile era crollato. Concludeva opponendo l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. ed affermato la legittimità del mancato pagamento dei canoni.
Con ordinanza del 25.07.2014 veniva disposto il rilascio del bene ed il mutamento del rito, assegnando termine per il deposito di memorie integrative degli atti.
Con la memoria integrativa il resistente proponeva domanda riconvenzionale volta ad ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore.

La domanda riconvenzionale è inammissibile.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione afferma che “…. a decorrere da Cass. 13963 del 2005 per indirizzo consolidato di questa Corte è consentito alle parti del procedimento di convalida, nel termine concesso dall'ordinanza di trasformazione del rito da speciale a ordinario - art. 447 bis cod. proc. civ. - a norma degli artt. 667 e 426 cod. proc. civ., di svolgere con le memorie, per l'intimante ai sensi dell'art. 415 cod. proc. civ. e per l'intimato ai sensi dell'art. 416 cod. proc. civ., le attività che, nell'esercizio dei poteri e facoltà del diritto di azione e di difesa, avrebbero potuto svolgere fin dall'atto introduttivo se il processo fosse stato a cognizione piena, non precluse poichè l'intimazione per la convalida esclude espressamente "l'invito o l'avvertimento al convenuto previsti nell'art. 163 c.p.c., comma 3, n. 7" (art. 660 c.p.c., comma 3). Perciò l'intimato, che non ha l'onere di costituirsi in cancelleria potendosi presentare all'udienza fissata per la convalida anche personalmente - art. 660 c.p.c., commi 5 e 6 - con la memoria integrativa potrà proporre domanda riconvenzionale unitamente alla domanda di fissazione di nuova udienza di discussione, ai sensi dell'art. 418 cod. proc. civ......” (così Cass. 3696/12. Sul punto, si vedano anche Cass. Sez. III, 5 marzo 2009, n. 5356, Cass. Sez. III, 23 gennaio 2009, n. 1698, Cass. Sez. III, 29 settembre 2006, n. 21242, Cass. Sez. III, 30 giugno 2005, n. 13963, Cass. Sez. III, 3 maggio 2004, n. 8336, Cass. Sez. III, 26 settembre 1997, n. 9465, Cass. Sez. III, 18 giugno 1993, n. 6806).
Il principio in questione va coordinato con le disposizioni di cui agli artt. 447 bis, 420, 426, 667 e 418 c.p.c.
Dunque, quando l’udienza di cui all’art. 420 c.p.c. viene fissata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 667 e 426 c.p.c., se il locatore o il conduttore propongono per la prima volta con le memorie integrative depositate nel termine assegnato ex art. 426 c.p.c. domande nuove, non proposte con l’intimazione di sfratto o con la comparsa di costituzione per l’udienza di convalida, essi hanno l’onere, ai sensi del 1° comma dell’art. 418 c.p.c., di chiedere al giudice, «con istanza contenuta nella stessa memoria, a pena di decadenza» dalle domande nuove, lo spostamento dell’udienza fissata con l’ordinanza di cui all’art. 667 c.p.c.
Sul punto, fra le altre, Cass. Sez. III, 24 febbraio 2003, n. 2777, che chiarisce che la necessità di chiedere, a pena di decadenza ai sensi dell’art. 418 c.p.c., lo spostamento dell’udienza non sussiste quando la riconvenzionale del conduttore è già stata proposta con la sua comparsa di risposta per l’udienza di convalida dello sfratto, sicché il locatore potrà svolgere le sue difese nel termine assegnato per le integrazioni difensive ex art. 426 c.p.c. e all’udienza di cui all’art. 420 c.p.c..
Infine, ha statuito più volte la Corte Suprema che «nelle controversie soggette al rito di cui agli art. 409 ss. c.p.c. l’inosservanza dell’onere, posto dall’art. 418 c.p.c. a carico del convenuto, di chiedere la fissazione di una nuova udienza comporta la decadenza dalla riconvenzionale e l’inammissibilità di questa, decadenza che non è sanata dall’emissione da parte del giudice, in difetto della specifica istanza, del decreto di fissazione della nuova udienza o dall’accettazione del contraddittorio ad opera della controparte o per aver quest’ultima sollevato l’eccezione esclusivamente nel corso del giudizio di appello e che, attenendo alla regolarità del contraddittorio, è rilevabile anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo; tale principio trova applicazione anche qualora la domanda riconvenzionale sia proposta dall’attore nei confronti del convenuto (cosiddetta reconventio reconventionis), atteso che una corretta lettura dello stesso art. 418 c.p.c. impone di ritenere che in tal caso l’attore è soggetto agli stessi obblighi e alle medesime preclusioni previste per il convenuto che proponga una domanda riconvenzionale» (Cass. Sez. III, 16 novembre 2007, n. 23815. Nello stesso senso, Cass. Sez. lav., 21 luglio 2001, n. 9965, Cass. Sez. lav., 12 agosto 1993, n. 8652). Ciò posto in diritto, non avendo il procuratore della resistente chiesto lo spostamento dell’udienza di cui all’art. 420 c.p.c., fissata con l’ordinanza ex art. 665 c.p.c., la domanda riconvenzionale in esame, proposta per la prima volta con la memoria integrativa depositata il 15.12.2014, va dichiarata inammissibile.

Venendo alla domanda di risoluzione del contratto, il ricorrente ha prodotto copia del contratto di locazione registrato ed allegato l’esistenza della morosità , fatto questo che è stato ammesso anche dal resistente.
Occorre ora stabilire se l’inadempimento all’obbligo di pagamento del canone assuma, nella fattispecie, la caratteristica della gravità, necessaria a determinare la risoluzione del contratto secondo gli ordinari criteri dettati dall’art. 1453 e seguenti cod. civ.
Il rapporto locativo in essere tra le parti rientra nella locazione per uso diverso da quello abitativo e trova, dunque, applicazione il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “L'art. 5 della legge sull'equo canone, per il quale il mancato pagamento del canone, decorsi i 20 giorni dalla scadenza prevista, o degli oneri accessori, quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità, è causa di risoluzione del contratto, si riferisce alle locazioni abitative e non può essere applicato, quindi, alle locazioni non abitative per le quali l'inadempimento del conduttore, ai sensi dell'art. 1455 c.c., può essere causa di risoluzione del contratto solo quando il giudice accerti che non ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse del locatore” (cfr. Cass. n. 12210/90).
Nella fattispecie in esame, l’inadempimento alla data di notifica dell’intimazione di sfratto riguardava una parte del canone del mese di aprile 2014 ed il canone del mese di maggio 2014 per complessivi euro .2.267,75. L’inadempimento è poi proseguito fino alla data del rilascio dell’immobile (04.08.14) a seguito dell’emissione dell’ordinanza di rilascio. Avuto riguardo all’entità dell’inadempimento ed al suo protrarsi nel tempo non sembra potersi dubitare del fatto che il mancato pagamento del canone di locazione e degli oneri accessori costituisca inadempimento “grave” per la inosservanza dell’obbligazione principale che il contratto genera in capo al conduttore (pagamento del corrispettivo) e che incida in modo intollerabile (avuto riguardo all’interesse del locatore) sull’equilibrio contrattuale voluto dalle parti.
Il canone di locazione, infatti, ponendosi in rapporto di corrispettività rispetto alla prestazione del locatore, integra con quest'ultima la causa onerosa del contratto e, pertanto, il mancato pagamento del canone incide in modo intollerabile sul sinallagma negoziale e priva di causa il godimento dell'immobile nel corrispondente periodo, giustificando la risoluzione del contratto (cfr. Cass. n.12769/98).

Pervenuti alla esposta conclusione, occorre ora valutare se i fatti esposti dal resistente possano, in via di eccezione, paralizzare la domanda di risoluzione del contratto e giustificare l’inadempimento del conduttore ex art. 1460 c.c.. Come sopra riferito, il resistente si duole della inidoneità dell’impianto elettrico che renderebbe l’immobile inidoneo all’uso concordato.
In linea di principio deve affermarsi che “La giurisprudenza ha ripetutamente ribadito il principio secondo il quale la principale e fondamentale obbligazione del conduttore di immobili è il pagamento del canone di locazione, sì che non gli è consentito di astenersi dal corrisponderlo anche nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione del godimento del bene, nemmeno nel caso in cui egli assuma che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. Infatti la sospensione dell'adempimento di detta obbligazione, ai sensi dell'art. 1460 cod. civ., è legittima soltanto quando sia giudizialmente accertato che è venuta completamente a mancare la prestazione della controparte, altrimenti costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che altera il sinallagma contrattuale e determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti per effetto di un'unilaterale ragion fattasi del conduttore, che perciò configura inadempimento colpevole all'obbligo di adempiere esattamente e puntualmente al contratto stipulato e all'obbligazione principale per il conduttore.
A ciò deve aggiungersi che per la configurabilità del sopravvenuto difetto funzionale della causa del contratto per impossibilità sopravvenuta di adempimento della controprestazione, la sospensione della prestazione sinallagmatica - secondo il principio "inadimplenti non est adimplendum" - è legittima soltanto se è conforme a lealtà e buona fede, il che è da escludere se il conduttore continua a godere dell'immobile, e al momento in cui gli è chiesto il pagamento del canone, assume l'inutilizzabilità del bene all'uso convenuto, perché in tal modo fa venir meno la proporzionalità tra le rispettive prestazioni. Dunque in tal caso, per conformare il suo comportamento a buona fede, può soltanto chiedere una riduzione del canone proporzionata all'entità del mancato godimento, in analogia al disposto dell'art. 1584 cod. civ. (applicazione del principio dell'art. 1464 cod. civ.) per la diminuita utilizzabilità economica del bene a causa delle riparazioni su di esso, ovvero può chiedere la risoluzione del contratto per sopravvenuta carenza di interesse (Cass. 3341/2001)” (così Cass. 14739/05; conforme Cass. 24779/08).

Sotto altro profilo, l’articolo sei del contratto di locazione contiene espressa dichiarazione dell’idoneità dell’immobile e di tutti gli impianti (analiticamente menzionati) all’uso; al contempo il conduttore si obbligava ad eseguire a proprie spese ogni eventuale opera richiesta dalla legge per rendere idonei i locali all’esercizio dell’attività per la quale venivano locati ed esonerava “… il locatore da qualsiasi responsabilità per vizi palesi e/o occulti dell’immobile ….”.
Alla stregua delle superiori considerazioni, deve concludersi che il conduttore a fronte delle doglianze esposte avrebbe potuto domandare la riduzione del canone (domanda questa non proposta) o la risoluzione del contratto (domanda questa inammissibile) mentre in alcun modo avrebbe potuto sospendere il pagamento del canone. Il contratto di locazione oggetto del contendere va, pertanto, dichiarato risolto per grave inadempimento del conduttore. Non occorre ordinare il rilascio dell’immobile essendo questo già intervenuto a seguito dell’ordinanza di rilascio. La società resistente va, inoltre, condannata al pagamento dei canoni rimasti insoluti che si quantificano in euro 4.999,25 (morosità dal 01.04.2014 al 04.08.2014 data del rilascio. Quota insoluta del canone di aprile euro 902,00 oltre euro 1.365,75 per ciascun mese (da maggio a luglio).
Le spese processuali, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., seguono la soccombenza come liquidate in dispositivo, tenuto conto della natura e del valore della controversia e dell’attività difensiva effettivamente svolta.

PQM

Il tribunale, in persona del giudice Antonino Fichera, definitivamente pronunciando nella causa n. 11995/14 R.G., così statuisce:
dichiara risolto il contratto di locazione stipulato in data ____ avente ad oggetto l’immobile sito in ____;
dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda di condanna al rilascio dell’immobile locato;
condanna I. al pagamento in favore del ricorrente a titolo di canoni locativi della somma di euro 4.999,25 oltre interessi legali dalla domanda sino al momento del pagamento;
condanna il resistente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in complessivi 1.580,00, di cui € 80,00 per spese, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A., come per legge.
Sentenza esecutiva per legge.
Letta in udienza Catania, il 23.03.2016
IL GIUDICE
Antonino Fichera


 

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