Svolgimento del processo

1. L'Agenzia delle entrate notificava alla società Sea Marconi Technologies di Vender Tumiatti s.a.s. avviso di accertamento, per l'anno 2005, con il quale procedeva al recupero di IRAP e I.V.A. ed all'applicazione della sanzione di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 471 del 1997 per infedele dichiarazione. La contribuente, riconosciuta la fondatezza dei rilievi mossi dall'Amministrazione, provvedeva al pagamento delle sanzioni ed al versamento rateizzato dell'imposta.

2. Con distinto atto di contestazione l'Ufficio, rilevando la violazione generale di omesso versamento dell'I.V.A. per il medesimo anno d'imposta, irrogava l'ulteriore sanzione di cui all'art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 ed avverso tale atto ricorreva la contribuente, eccependo che questo aveva l'effetto di duplicare la sanzione già irrogata con il primo avviso di accertamento.

3. La Commissione tributaria provinciale di Torino accoglieva il ricorso con sentenza che veniva impugnata dall'Ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale che la confermava. In particolare, i giudici d'appello osservavano che si era in presenza di un unico comportamento omissivo in ordine al quale era applicabile una sola sanzione e che, secondo quanto stabilito dall'art. 29 del d.l. n. 78 del 2010, la sanzione prevista dall'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 non si applicava nei casi di omesso, carente o tardivo versamento delle somme dovute, nei termini previsti, sulla base di accertamenti esecutivi.

4. L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta decisione, affidandosi a tre motivi, cui resiste la società contribuente mediante controricorso.

Motivazione

1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, 3 del d.lgs. n. 472 del 1997 e 29 del d.l. n. 78 del 2010.

Essendo pacifico che la contribuente aveva dichiarato un imponibile I.V.A. inferiore a quello risultante dalla stessa contabilità, sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dalla C.T.R., sono ravvisabili due distinti comportamenti: uno consistito nella presentazione della dichiarazione con l'indicazione di un'imposta dovuta inferiore a quella reale, meritevole di sanzione ex art. 5 d.lgs. n. 471 del 1997, applicata con l'avviso di accertamento, e l'altro, radicalmente diverso, consistito nell'omesso versamento — nei termini di legge — dell'I.V.A. dovuta in base alla contabilità ed alle conseguenti liquidazioni periodiche.

Ad avviso della ricorrente a nulla vale richiamare l'art. 29 d.l. n. 78 del 2010, che si limita a statuire che l'omesso (ritardato, insufficiente) versamento delle somme accertate dovute e richieste con accertamento esecutivo (o impo-esattivo) nei termini di legge previsti per il versamento delle somme non è sanzionato ex art. 13 citato, in quanto tale disposizione vale solo a dire che l'omesso versamento delle somme accertate con avviso «esecutivo» entro il termine fissato dalla legge per detto versamento non è sanzionato ai sensi dell'art. 13 citato, ma non vale ad affermare che qualora l'imposta I.V.A. sia richiesta con accertamento esecutivo non sia applicabile la sanzione di cui all'art. 13 in caso di omesso versamento nei termini di legge.

2. Con il secondo motivo la difesa erariale censura la decisione impugnata per motivazione omessa od insufficiente su fatto decisivo della controversia, lamentando che la C.T.R. ha apoditticamente affermato che si è in presenza di un unico comportamento omissivo, disattendendo le deduzioni dell'Ufficio che aveva, invece, sostenuto che sussistevano due distinti contegni di infrazione chiaramente evincibili dalla motivazione dell'avviso di accertamento e dell'atto di contestazione.

3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 29 del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui la Commissione regionale ha affermato che la disposizione normativa citata faccia venire meno la sanzione per l'omesso versamento, nel termine previsto dalla legge, dell'imposta risultante dovuta in base alle liquidazioni periodiche.

4. I motivi, che possono essere trattati unitariamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.

4.1. Risulta incontestato che l'Agenzia delle entrate ha applicato, con l'avviso di accertamento, la sanzione prevista dall'art. 5 del d.lgs. n. 471 del 1997, che viene irrogata nella ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione annuale dell'imposta sul valore aggiunto, e, con l'atto di contestazione, l'ulteriore sanzione, pari al 30 per cento di ogni importo non versato, prevista dall'art. 13 dello stesso decreto legislativo, che colpisce chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o saldo dell'imposta risultanti dalla dichiarazione.

4.2. Il tenore letterale delle due norme sanzionatorie evidenzia chiaramente che con la prima viene punita la «dichiarazione infedele», che si realizza quando il contribuente indica nella dichiarazione una imposta inferiore a quella effettivamente dovuta, omettendo di conseguenza di dichiarare somme dovute e di versare le relative imposte, mentre con la seconda viene sanzionato il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate dal contribuente nella propria dichiarazione. 4.3. L'art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 si riferisce, in particolare, sia ai casi di omesso versamento dell'imposta risultante dalla dichiarazione, sia ai casi in cui, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile.

La disposizione in esame non sanziona, dunque, il mero «omesso versamento» dell'imposta, ma piuttosto la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dell'imposta risultante dalla dichiarazione e presuppone, pertanto, che dalla dichiarazione redatta dal contribuente emerga un preciso importo come imposta dovuta e che l'importo dichiarato non sia stato successivamente versato. E' evidente, pertanto, che, ai fini dell'irrogazione della sanzione in esame, non rileva il fatto che l'imposta dovesse risultare dalla contabilità del contribuente, richiedendo espressamente l'art. 13, come detto, che l'imposta risulti «dalla dichiarazione» e dai dati in essa contenuti, poiché è soltanto con la dichiarazione che il contribuente comunica all'Erario l'imposta dovuta.

4.4. Da quanto detto discende che, laddove il mancato versamento dell'I.V.A. sia diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione dell'importo dell'imposta effettivamente dovuto, tale comportamento integra dichiarazione infedele, per la quale è prevista la sanzione ben più grave di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 471 del 1997, che copre non solo la violazione formale dell'infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata, recante un importo inferiore a quello realmente dovuto, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell'imposta effettivamente dovuta, non potendo ovviamente, in tal caso, la parte contribuente provvedere materialmente al versamento dell'importo corretto, atteso che il pagamento corrisponde al dato indicato nella stessa dichiarazione. Ciò comporta che la sanzione meno favorevole prevista dall'art. 5 d.lgs. n. 471 del 1997 assorbe anche l'omesso versamento dell'imposta ed osta all'applicazione di quella prevista dall'art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997. 5. Nella fattispecie in esame, sulla base di quanto emerge dalla sentenza impugnata, l'Amministrazione non ha contestato alla società contribuente di avere dichiarato importi dovuti a titolo di imposta che non sono stati successivamente versati, ma ha piuttosto accertato, come si evince dalla stessa motivazione dell'avviso di accertamento — prodotto unitamente al ricorso per cassazione — che la contribuente aveva dichiarato (a suo dire per mero errore materiale) un imponibile inferiore a quello reale risultante dalla contabilità e dichiarato I.V.A. a debito minore di quella reale, con conseguente omesso versamento di I.V.A. per euro 331.000,00. L'Ufficio, quindi, con il primo atto impositivo ha rilevato che la dichiarazione annuale presentata dalla contribuente non riportava l'esatto importo dell'I.V.A. dovuta, tanto che ha irrogato la sanzione per dichiarazione infedele, e, con l'atto di contestazione, ha contestato l'omesso versamento dell'I.V.A. effettivamente dovuta, ossia dell'I.V.A. non indicata nella dichiarazione annuale, pur trattandosi di omissione già sanzionata con il primo accertamento.

6. Non sono dunque ravvisabili, come asserisce la ricorrente, due distinte violazioni autonomamente sanzionabili, ma un unico comportamento, al quale non può che essere applicata un'unica sanzione. La insussistenza di due infrazioni trova d'altro canto ulteriore conforto, come correttamente rilevato dalla C.T.R., nell'art. 29 del d.I n. 78 del 2010 — che ha previsto la esecutorietà degli avvisi di accertamento, senza necessità di iscrizione a ruolo e notifica di cartella di pagamento — come integrato dall'art. 7, comma 2, lett. n), del d.l. n. 70 del 2011, convertito dalla legge n. 106 del 2011, che stabilisce espressamente che la sanzione prevista dall'art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 «non si applica nei casi di omesso, carente o tardivo versamento delle somme dovute sulla base degli avvisi di accertamento esecutivi».

Tale disposizione normativa, sicuramente applicabile alla fattispecie in esame in forza dell'art. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997 — che, ispirandosi al principio del favor rei, stabilisce che se in un momento successivo a quello in cui è stato commesso il fatto viene prevista, attraverso una modifica legislativa, una sanzione più tenue, oppure viene meno del tutto la norma sanzionatoria, il contribuente deve poter beneficiare del nuovo regime anche se al momento in cui ha commesso il fatto quel determinato comportamento era espressamente sanzionato — impone, in ogni caso, di ritenere che l'art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 non si applica in caso di omesso versamento delle imposte sul reddito e di I.V.A. nei termini indicati negli avvisi di accertamento.

La decisione impugnata si sottrae, pertanto, alle censure ad essa rivolte. 7. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo. Stante la non debenza da parte delle Amministrazioni pubbliche del versamento del contributo unificato, non deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ai fini del raddoppio del contributo per il caso di impugnazione integralmente respinta (Cass., sez. U, 25/11/2013, n. 26280; Cass., sez. U, 8/05/2014, n. 9938).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge


 

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