Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa in data 05/04/2019, depositata in data 03/05/2019, la Corte di appello di Bologna riformava parzialmente la pronuncia del Tribunale di Modena, dichiarando non doversi procedere nei confronti di Luca Martino Giardi quanto all'anno di imposta 2009, essendo il reato estinto, con conseguente rideterminazione della pena inflitta allo stesso per il reato di cui all'art. 10-ter D.Igs. n. 74/2000, in 10 mesi di reclusione. Ordinava, inoltre, il dissequestro e la restituzione all'imputato della somma di euro 2.532.445 (pari alla somma di euro 1.001.357 relativa all'annualità 2009 e di euro 1.395.445 pari all'imposta di cui al capo C). Confermava nel resto la sentenza appellata. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il Giardi, a mezzo dei difensori fiduciari cassazionisti, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) c.p.p. in relazione all'art. 51 c.p., ovvero, in subordine, degli artt. 42, 43 e 59 c.p. La difesa lamenta la sussistenza nell'ordinamento giuridico di una contraddizione ove, se da un lato è lecito e possibile per il contribuente adempiere l'obbligazione tributaria mediante pagamento rateale anche in cinque anni (o dieci in certi casi), dall'altro lo Stato punirebbe chi non vi provvede entro una scadenza diversa ed anticipata rispetto alla prima. Per tale ragione, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere integrato il reato addebitato ritenendo che "la rateizzazione del debito interviene in una fase nella quale l'illecito penale si è già consumato ed esplica i suoi effetti sul piano tributario", sicché la possibilità di procedere in tale sede al pagamento dilazionato "non è idonea a legittimare la convinzione...di poter legittimamente ritardare il versamento, la cui omissione consuma istantaneamente il reato". Sotto il profilo soggettivo, il giudice di secondo grado non avrebbe inoltre tenuto conto della ragionevole convinzione del contribuente (la GCM, della quale il Giardi era il legale rappresentante) di poter pagare lecitamente il debito tributario anche a rate, il che dimostrerebbe la volontà dello stesso di adempiere e non di evadere le imposte, e non la "consapevole e volontaria" omissione "riconducibile ad una scelta imprenditoriale dell'agente".Tale scelta, afferma il ricorrente, sarebbe stata adottata nell'ambito delle regole tributarie, e quindi nella convinzione di esercitare un diritto. La fattispecie dovrebbe essere scriminata ai sensi dell'art. 51 c.p. ovvero ai sensi dell'art. 59, co.4, c.p., ponendo in rilievo il ragionevole, seppur errato, convincimento, ingeneratosi nel contribuente. 2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. e), c.p.p., per mancanza di motivazione in ordine all'ammontare della somma di denaro di cui è stata disposta la confisca. In sede di appello l'imputato avrebbe richiesto non solo di ridurre l'ammontare dei beni sequestrati per effetto dell'assoluzione pronunciata dal Tribunale, ma anche di provvedere in modo analogo per i reati prescritti (capo A - anno di imposta 2009). Sul punto, la sentenza sarebbe errata in quanto non avrebbe tenuto conto di quanto versato ratealmente dall'imputato, il che era stato fatto oggetto di istanza depositata al Tribunale di Modena quale giudice dell'esecuzione e trasmessa alla Corte territoriale. Quest'ultima nulla avrebbe disposto in merito, limitandosi ad affermare, sbagliando, la "necessità di provvedere prima sui beni della società", sebbene nessun bene di questa fosse stato sequestrato, disponendo il dissequestro di quanto relativo all'annualità 2009 (1.001.357 euro), senza alcun cenno alla differenza sopra evidenziata, con conseguente mancanza di motivazione. 2.3. Con ulteriori motivi, depositati in data 11.02.2020, il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe disatteso il testo dell'art. 59, ultimo comma, c.p. Il Giardi avrebbe fatto ricorso alla rateizzazione nella convinzione, seppur erronea, dell'esistenza di una circostanza di esclusione della pena, quale quella prevista all'art. 13 D.Igs. n. 74/2000. Il mancato pagamento delle rate sarebbe poi da ricondurre a cause estranee alla volontà del Giardi, ossia al terremoto e, successivamente, al fallimento della società. Si censura, infine, la sentenza in punto di confisca: nel caso in esame non vi sarebbe stato alcun accrescimento del patrimonio personale, potendo l'omesso versamento IVA consentire la realizzazione di un illecito risparmio di spesa del quale, tuttavia, avrebbe beneficiato solo il debitore dell'imposta, ossia la G.C.M. s.r.l. Nulla invece avrebbe potuto essere sequestrato e confiscato alla persona fisica, presupponendo l'art. 12bis D.Igs. n. 74/2000 e l'art. 322ter c.p. la necessaria pertinenza tra il bene ed il profitto/prezzo del reato. Quest'ultimo deve essere oggetto di accertamento, il quale non sarebbe stato operato dalla Corte di appello, omettendo anche di verificare l'esistenza del suddetto nesso di pertinenzialità. Quel "risparmio" non sarebbe confluito nel patrimonio del Giardi, rimanendo invece in quello della società.

Motivazione

3. Il ricorso, comprensivo dei motivi nuovi, è inammissibile.

4. L'art. 3bis D.Igs. n. 462/1997 prevede la possibilità per il contribuente, successivamente al ricevimento della comunicazione di cui all'art. 36bis D.P.R. 600/73 e all'art. 54bis D.P.R. 633/72, di procedere al pagamento dell'imposta non precedentemente versata mediante un determinato numero massimo di rate trimestrali, a seconda dell'importo (dal 22.10.2015, 8 o 20 rate qualora la somma superi i 5.000 euro). Tale facoltà viene pertanto esercitata successivamente ai controlli operati dall'Amministrazione finanziaria e, dunque, in un momento successivo all'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto. 4.1. Il reato di cui all'art. lOter D.Igs. n. 74/2000 configura una particolare fattispecie delittuosa di tipo omissivo proprio, avente come presupposto necessario l'inadempimento alla condotta dovuta in forza delle norme tributarie, ed il quale si consuma - in quanto reato istantaneo - alla scadenza del termine fissato per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo (ossia il 27 dicembre dell'anno successivo al periodo di imposta di riferimento, giusta quanto disposto dall'art. 6, comma secondo, della legge 29 dicembre 1990, n. 405: v., tra le tante Sez. 3, n. 38619 del 14/10/2010 - dep. 03/11/2010, Pg in proc. Mazzieri, Rv. 248626). Tale delitto, diversamente da altre fattispecie criminose previste nel medesimo decreto legislativo, è riconducibile alla tipologia di reato a dolo generico (Cass., S.U., 28 marzo 2013, n.37424), sicché è necessario il solo elemento soggettivo della coscienza e volontà di non versare all'erario le imposte dovute entro i termini stabiliti, non rilevando in alcun modo il fine specifico consistente nella volontaria evasione delle imposte. Ciò consente di ritenere inammissibile una difesa fondata sull'assenza del dolo di evasione in capo all'autore dell'omissione, ritenendosi altresì non accettabile il tentativo di corroborare siffatta tesi adducendo problematiche di tipo economico alla base della determinazione del soggetto obbligato al versamento a favore dell'Erario. 4.1.1. L'irrilevanza dello specifico fine di evasione, con accentuazione del profilo di offensività della condotta omissiva, è d'altronde corroborata dall'art. 13 D.Igs. n. 74/2000, in base al quale, nella nuova formulazione in vigore dal 2015 (art. 11, co.1, D.Igs. n. 158/2015): "I reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10- quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso [...]Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell'applicabilità dell'articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo...". Il Legislatore, come risulta chiaramente dal dato testuale, ha escluso la punibilità per le ipotesi di omesso versamento di imposta laddove, entro il termine indicato (prima dell'apertura del dibattimento di primo grado) la lesione del bene giuridico leso (rectius l'interesse patrimoniale dello Stato a riscuotere ciò che allo stesso è dovuto, nell'ambito e nei limiti del diritto tributario), venga de facto ad essere eliminata, così riconoscendo rilevanza penale ad una condotta successiva alla consumazione del reato, in linea con il generale e fondamentale principio di offensività. L'esclusione della sanzione penale è disposta anche per le ipotesi in cui l'estinzione del debito tributario da parte del contribuente non sia avvenuta in un'unica soluzione, bensì con pagamento rateizzato, anche a seguito di procedure conciliative, tra le quali sembra pacificamente potersi ricondurre l'ipotesi regolata all'art. 3bis D.Igs. n. 462/1997. Tuttavia, in ragione dell'evidente differenza tra le due situazioni - non essendo ancora stato eliminato il pregiudizio derivante dalla precedente omissione - la legge non dispone la non punibilità tout court, ma richiede, successivamente alla concessione di un termine prorogabile una sola volta dal giudice, l'estinzione integrale del debito tributario. La ragione di tale differenziazione è palmare: la rateizzazione del pagamento presenta una aleatorietà assente nell'ipotesi di versamento unitario, in quanto l'obbligato potrebbe venire meno all'impegno assunto con l'Amministrazione finanziaria, così vanificando la ratio alla base della causa di non punibilità di cui all'art. 13 sopracitato.

4.2. Nel caso in esame, il ricorrente ha invocato l'art. 51 c.p., asserendo l'esistenza di una contraddizione interna all'ordinamento giuridico ove, in estrema sintesi, se da un lato concede al contribuente la possibilità di estinguere il debito tributario mediante rateizzazione successivamente all'omissione del versamento, dall'altro non esclude la rilevanza penale di tale ultima condotta nonostante l'impegno assunto. Subordinatamente, il ricorrente sostiene l'applicabilità del comma quarto dell'art. 59 c.p. in quanto la richiesta del pagamento rateale, e la sua concessione da parte dell'Amministrazione competente, sarebbe idonea ad ingenerare nel contribuente la convinzione, seppure errata, di esercitare una facoltà lecita, immune pertanto da possibili sanzioni penali.

5. Nonostante la suggestività delle argomentazioni, la difesa non sembra confrontarsi con la giurisprudenza di questa Suprema Corte: in tema di omesso versamento dell'IVA, infatti, l'accordo fra il contribuente e l'amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito, anche ove precedente alla scadenza del termine entro il quale l'adempimento dovrebbe essere effettuato, quantunque comporti la rimodulazione della scadenza del debito la quale viene scansionata nel tempo in corrispondenza ai termini delle singole rate, non esclude che, una volta verificatasi detta scadenza senza la soddisfazione totale del debito tributario, il reato resti comunque configurabile, e ciò indipendentemente dalla riconoscibilità o meno di un'efficacia novativa all'accordo medesimo. In queste ipotesi potrebbe operare soltanto la causa di non punibilità di cui all'art. 13 D.Igs. n. 74/2000, qualora il debito d'imposta venga integralmente soddisfatto nei termini ivi indicati (Cass., Sez. III, 13 luglio 2018, n. 48375). L'accordo di rateizzazione, dunque, produce senz'altro i suoi effetti nell'ambito tributario e, nei limiti indicati dal legislatore dall'art. 13, comma terzo, d. Igs. n. 74 del 2000, anche in quello penai-tributario. Ciò trova dimostrazione nella previsione legislativa della speciale causa di non punibilità sopra richiamata: solo per effetto della espressa previsione normativa, il pagamento integrale del debito tributario, alle condizioni previste, esclude l'applicazione della sanzione penale al reato di omesso versamento dell'imposta, consumatosi alla data di scadenza per l'adempimento. Deve evidenziarsi, infatti, che, a seguito della riforma legislativa del 2015, quanto costituiva una circostanza attenuante è stato elevato a causa di non punibilità del reato, la quale tuttavia non incide sulla struttura della fattispecie incriminatrice né sulla illiceità della condotta tipica, rappresentando piuttosto una causa sopravvenuta in ragione della quale - sulla base di valutazioni di opportunità di politica legislativa - un reato già consumato non viene punito. In altri termini, la previsione della non punibilità del fatto lascia immutata l'illiceità della condotta, di talché non può sostenersi l'assenza di una lesione del bene giuridico, né potrebbe ritenersi scriminata la condotta ai sensi dell'art. 51 c.p.

5.1. Altrettanto erroneo è il richiamo all'art. 59, co.4, c.p. Nel caso di specie, infatti, l'errore del ricorrente ricadrebbe sostanzialmente su una norma penale, ossia sugli artt. lOter e 13 D.Igs. n. 74/2000 (senza considerare che quest'ultimo, all'epoca dei fatti, disponeva unicamente un'attenuazione della pena, e non la sua esclusione) con conseguente applicazione dell'art. 5 c.p. (Cass., Sez. V, 1 ottobre 2008, n. 38596; Cass., Sez. IV, 5 giugno 1991, n. 12137). Assorbente, d'altronde, deve ritenersi il fatto che, all'epoca in cui era stata accordata la rateizzazione, il pagamento integrale del debito tributario avrebbe potuto rilevare esclusivamente come circostanza attenuante della pena, non invece come causa di esclusione della stessa, sicché, in forza del primo comma dell'art. 59 c.p., essa avrebbe potuto operare a favore dell'imputato solo ove oggettivamente esistente, il che non può essere affermato nel caso de quo, essendo incontestato il pagamento di sole alcune rate da parte dell'obbligato. E, in relazione a tale ultimo profilo, va aggiunto che per le dilazioni concesse a partire dal 22 ottobre 2015, la rateazione viene meno nel caso di mancato versamento di cinque rate del piano, anche non consecutive (v. infra § 6.2). Dunque, una ragione in più per evidenziare l'infondatezza del motivo.

6. Sotto il profilo strettamente soggettivo è necessario ricordare che il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento di operazioni imponibili, sicché ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già dall'acquirente del bene o del servizio l'imposta dovuta, con obbligo di accantonarla nell'interesse dell'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da potere, alla scadenza, adempiere all'obbligazione tributaria (Cass., S. U., 28 marzo 2013, n. 37424). Secondo l'orientamento consolidato di questa Suprema Corte - si ripete - l'elemento soggettivo del reato de quo è costituito dal dolo generico, inteso quale mera consapevolezza dell'illiceità della condotta omissiva finale, senza cioè essere caratterizzato da una specifica finalità di evasione, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato. Elemento fattuale rilevante, piuttosto, è l'esistenza di una concreta della possibilità di adempiere il pagamento, costituita dalla riscossione dell'IVA nelle modalità sopra indicate ed il connesso doveroso accantonamento in vista della scadenza del debito erariale. Ciò solo costituisce, infatti, un indefettibile presupposto della sussistenza della volontà in capo al soggetto obbligato (ex plurimis: Cass., Sez. 111,21 marzo 2019, n. 23796; Cass., Sez. III, 23 gennaio 2018, n. 38594; Cass., Sez. III, 1 dicembre 2017, n. 29873; Cass., Sez. III, 24 giugno 2014, n. 8352).

6.1. Il ricorrente non ha indicato cause impeditive non allo stesso imputabili determinanti l'impossibilità di adempimento dell'obbligazione nel termine legale, limitandosi a fare riferimento all'avvenuta rateizzazione del debito, disposta, tra l'altro, successivamente all'omissione del versamento IVA, il che lo rendeva perfettamente consapevole della volontaria omissione, senza considerare che all'epoca del fatto (27.12.2011 -annualità 2010; 27/12/2012 - annualità 2011) il pagamento integrale del debito tributario costituiva unicamente una circostanza attenuante. Nessuna rilevanza ai fini dell'applicazione dell'art. 45 c.p. può essere riconosciuta agli eventi indicati dal ricorrente, essendo essi successivi al termine massimo per l'adempimento dell'obbligo tributario (il sisma si è verificato nel 2012, quindi successivamente al 27.12.2011, relativamente all'annualità 2010, mentre la dichiarazione del fallimento è intervenuta solo nel 2013). Si rammenta, inoltre, che per consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di omesso versamento dell'IVA, l'imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l'azienda, sia l'aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto (Cass., Sez. III, 8 aprile 2014, n. 20266). In altri termini, occorre la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Cass., Sez. 111,27 marzo 2018, n. 20725; Cass., Sez. III, 9 novembre 2017, n.11035;Cass., Sez. 8 III, 9 settembre 2015, n. 43599; Cass., Sez. III, 24 giugno 2014, n. 8352Cass., Sez. III, 8 aprile 2014, n. 20266; Cass., Sez. III, 5 maggio 2013, n. 5467). Sul punto nessuna difesa è stata spesa dal ricorrente. Le doglianze devono, pertanto, ritenersi prive di pregio.

6.1.1. Come rilevabile dalla sentenza di primo e di secondo grado, la decisione di accedere alla rateizzazione del debito tributario concerne un momento successivo alla consumazione del reato e, nello specifico, all'accertamento dei mancati versamenti da parte dell'Amministrazione finanziaria. Per le ragioni sopra esposte tale determinazione del contribuente-imputato non può incidere sull'esistenza del reato di cui all'art. lOter D.Igs. n. 74/2000, sia sotto il profilo oggettivo, essendosi storicamente realizzata la condotta tipica per le annualità 2010 e 2011, sia sotto quello soggettivo, dovendosi fare riferimento, ai fini dell'accertamento della sussistenza del dolo generico, al tempo in cui il delitto è stato consumato. L'imputato, in qualità di legale rappresentante della società GCM, risulta essersi volontariamente posto nelle condizioni di non adempiere all'obbligo tributario privando l'ente dell'unica fonte di denaro, ossia cedendo il 14.09.2009 i crediti derivanti dal contratto di locazione con Eni alla Unicredit Leasing, sebbene all'epoca, rispetto a quest'ultima, la GCM non fosse inadempiente. Correttamente i giudici di merito hanno tenuto conto di tale scelta adottata dall'imputato la quale, congiuntamente all'effettivo omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, ha consentito l'accertamento circa la volontà e la coscienza della condotta omissiva penalmente rilevante.

6.2. In ogni caso, è opportuno evidenziare che il comma quarto dell'art. 3bis D.Igs. n. 462/1997, rinviando all'art. 15ter D.P.R. 602/73, prevede che: "il mancato pagamento della prima rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, ovvero di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l'iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena". Nel caso in esame il ricorrente risulta essere decaduto dall'ammissione all'istituto della rateizzazione, avendo provveduto al pagamento solo di alcune rate, cessando di pagare le successive.

7. Anche il secondo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Dall'esame della richiesta di dissequestro presentata dal ricorrente in data 18 luglio 2019 innanzi alla Corte di appello di Bologna, risulta, per tabulas, che l'istanza aveva ad oggetto le somme sequestrate in relazione al capo c) ed al capo b), limitatamente all'annualità 2009. Su tali punti, tuttavia, il giudice di secondo grado risulta aver risposto già nel dispositivo della sentenza impugnata con l'odierno ricorso. Né con la suddetta istanza, né con l'atto di appello, il ricorrente risulta aver fatto riferimento alle asserite somme già versate in ragione della rateizzazione, senza, tra l'altro, fornire alcuna prova documentale che consenta di rilevare ictu ocu/i l'errore di calcolo del giudice di merito. Sembra, in ogni caso, opportuno evidenziare che il dissequestro disposto dalla pubblica accusa (datato 21.12.2018), in ragione dei pagamenti rateali effettuati dal Giardi, risulta essere stato determinato nel quantum sulla base delle prove documentali disponibili, disponendosi la detrazione dal profitto conseguito, ed il conseguente venire meno della misura ablatoria, della somma pari a C 174.586,56.

7.1. Sotto il profilo dell'illiceità della confisca per equivalente dei beni appartenenti al Giardi, si ricorda che, in più occasioni, questa Suprema Corte ha evidenziato che, laddove si proceda per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una società, il quale abbia operato in tale sua qualità, avvantaggiando in prima battuta l'ente giuridico amministrato, può essere disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in danno del soggetto persona fisica allorché, valutata allo stato degli atti la condizione patrimoniale della persona giuridica, sia risultato impossibile il sequestro diretto del profitto del reato presso l'ente (Cass., Sez. IV, 7 marzo 2018, n. 10418). Tuttavia, la verifica di tale impossibilità non deve comportare la preventiva infruttuosa "escussione" del patrimonio della società, essendo sufficiente l'esistenza di indicazioni logicamente contrarie alla affermazione della disponibilità di beni in capo alla persona giuridica, non essendo la pubblica accusa tenuta ad una preventiva ricerca di liquidità ovvero di altri cespiti riferibili all'ente ove, ex actis, emerga una situazione di incapienza del patrimonio sociale (Cass., Sez. V, 23 giugno 2017, n. 31450; Cass., Sez. III, 11 febbraio 2015, n. 6205). Deve ritenersi piuttosto essere un onere dell'indagato persona fisica, in quanto destinatario del sequestro preventivo, quello di indicare in sede di impugnazione della misura cautelare l'esistenza e la consistenza di beni patrimoniali, riferibili alla persona giuridica, sui quali disporre il sequestro nella forma diretta (Cass., Sez. III, 28 settembre 2016, n. 40362; Cass., Sez. III, 2 settembre 2018, n.3591). 7.2. Nel caso di specie, il sequestro preventivo (disposto dal P.M. in data 17.06.2013) risulta aver interessato non soltanto conti correnti ovvero depositi riconducibili al Giardi, ma anche alla società G.C.M. s.r.I., la quale, successivamente (dicembre 2013) verrà dichiarata fallita. Conseguentemente, il successivo provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 12-bis, D.Igs. 74/2000, non avrebbe potuto essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare (Cass., Sez. III, 29 maggio 2018, n. 45574). Le doglianze di cui al secondo motivo risultano, pertanto, del tutto prive di fondamento.

8. Alla pronuncia di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di euro 2000 in favore della Cassa delle Ammende.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.


Scarica copia del provvedimento: Cassazione Sez. 3 Sentenza n.16472/2020

 

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