REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO Domenico - Presidente -
Dott. PETRUZZELLIS Anna - Consigliere -
Dott. MICCOLI Grazia - Consigliere -
Dott. ROSI E. - rel. Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D.Z.G.;
D.T.D., responsabile civile;
avverso la sentenza del 14/09/2015 della CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/08/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dr. ELISABETTA ROSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. Cuomo Luigi, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Udito il difensore avv. Giurgola Paola, per D.Z., che ha chiesto l'accoglimento.

Svolgimento del processo

1. La Corte d'Appello di Lecce con sentenza del 14 settembre 2015, depositata il 23 ottobre 2015, ha confermato la condanna di D.Z.G. (unitamente a D.T.L., C.A. e R.G., ricorrenti nel medesimo procedimento dal quale il presente ricorso è stato stralciato per difetto di notifica) alla pena di mesi sei di reclusione, con sospensione condizionale e non menzione, nonchè in solido con il responsabile civile D.T.D., al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali alle parti civili costituite, da liquidarsi in separata sede, concedendo provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 50 mila per ciascuna parte civile, oltre spese, per il delitto di omicidio colposo (art. 110 c.p., art. 40 c.p., comma 2 e art. 589 c.p.), il D.Z., in qualità di dipendente della ditta Technos sas, con la quale P.V. aveva sottoscritto un contratto per l'effettuazione della manutenzione e dei controlli di legge della propria caldaia, nell'effettuare il controllo di tale caldaia in data 9 dicembre 2004, nel rapporto di controllo tecnico n._____, in violazione di quanto prescritto nella normativa UNIT1729 e dal D.Lgs. n. 192 del 2005, allegato G, spuntava come positive le seguenti voci di verifica: "idoneità locale di installazione", "Adeguate dimensioni delle aperture di ventilazione", Aperture di ventilazione libere da ostruzioni", "Verifica efficienza evacuazione fumi", nonostante la caldaia fosse di tipo B (aperta), e fosse ubicata in un locale chiuso da vetrate con superficie di aereazione permanente provvista di griglia ostruita da grassi e polvere e nonostante fosse stato riscontrato un valor. 2. di CO pari 198 ppm, relativamente alto, ed ometteva altresì nello spazio "Raccomandazioni e prescrizioni" di prescrivere un qualche tipo di intervento in merito alla tipologia del locale, inadatto per caldaie tipo B, e tale condotta veniva altresì reiterata per il D.Z., in data _____, con il rapporto di controllo tecnico n. ______, con ciò in cooperazione con gli altri o comunque con condotte autonome ed indipendenti, per colpa consistita in imprudenza, imperizia e negligenza, e nella violazione delle disposizioni di cui alla L. n. 10 del 1991, del D.P.R. n. 412 del 1993, del D.P.R. n. 660 del 1996, del D.Lgs. n. 192 del 1995, della Circolare del Ministero delle attività produttive n. 8895 del 23 maggio 2006, del Regolamento del Comune di Brindisi per l'esecuzione dei controlli sugli impianti termici approvato con Delib. 16 novembre 2006 n. 114 (artt. 5,12 e 16) e delle norme Uni 10389 e UNI 17129, cagionavano il decesso di P.V., avvenuto a seguito di collasso cardiorespiratorio terminale da asfissia acuta da inibizione dei centri del respiro da intossicazione di monossido di carbonio, intossicazione causata dall'esalazione dalla caldaia installata nel vano cucina dell'abitazione del P., sita in ____, di una quantità di monossido di carbonio che, a causa del cattivo funzionamento della caldaia stessa e dell'inidoneità del locale in cui la caldaia era ubicata, risultava in quantità estremamente elevata e superiore alla soglia di letalità e, precisamente, pari a circa 51.200 ppm; evento avvenuto in Brindisi il ______.

2. Il Collegio di appello aveva confermato il giudizio di colpevolezza del Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica, emesso con sentenza in data 3 maggio 2013 e depositata il 31 luglio 2013, ritenendo innanzitutto sussistente una condotta inosservante delle regole tecniche del settore, come stabilite dalla specifica normativa (D.Lgs. n. 192 del 2005, D.P.R. n. 412 del 1993 e relativi allegati, costituenti attuazione della direttiva 2002/91/CE) e, in particolare, quanto alla posizione di D.Z., veniva sottolineato che nel primo rapporto tecnico dell'1 luglio 2005, egli aveva attestato che il locale di installazione non era idoneo per caldaie tipo B", senza esercitare il potere di diffida o la messa fuori servizio espressamente previsto dalla normativa vigente.
La Corte di appello confermava altresì la condanna al pagamento dei danni patrimoniali e non da liquidarsi in separata sede del responsabile civile D.T.D., socio accomandatario responsabile della Tecnos s.a.c.

3. L'imputato D.Z.G. ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l'annullamento della decisione, sulla premessa che la Corte di appello, appiattendosi sulla posizione del giudice di primo grado, avrebbe erroneamente ritenuto che i tecnici manutentori abbiano il potere e l'obbligo di ordinare al proprietario della caldaia di interromperne l'esercizio allorchè rilevino l'immediato pericolo alle persone, agli animali alle cose, senza indicare quale sia la situazione idonea ad integrare tale pericolo immediato: mancherebbe infatti una norma prescrittiva di riferimento. Nella sostanza, la posizione di D.Z. sarebbe stata non adeguatamente valutata e non sarebbe stata data risposta al fatto che l'1 luglio 2005 egli, nella sua qualità di tecnico, nel compilare l'allegato H, aveva segnalato l'inidoneità del locale ove era istallata la caldaia di tipo 13, dando però attestazione, al punto 2 dell'allegato, dell'adeguatezza delle aperture di ventilazione, tenuto conto che i vetri scorrevoli, essendo luglio, erano stati di certo lasciati aperti e quindi tale adeguatezza era stata correttamente considerata dall'imputato. Di conseguenza mancherebbe la prova che la situazione verificata nel _____ dal D.Z., fosse la stessa ipotizzata dalla pubblica accusa, invece che quella correttamente attestata dallo stesso negli allegati all'attestato ______.

4. Il responsabile civile D.T.D., per il tramite del proprio procuratore speciale, ha, parimenti, proposto ricorso per Cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza deducendo i seguenti motivi:
1. violazione ex art. 606 c.p.p., sub b), per inosservanza od erronea applicazione della legge penale di cui all'art. 40 c.p., comma 2, laddove la Corte di appello salentina ha ritenuto sussistere la responsabilità penale degli imputati, tecnici Technos, quali titolari di una posizione di garanzia per non avere impedito che l'evento si verificasse. Infatti l'allegato al D.P.R. n. 412 del 1993, che riporta il modello che il tecnico verificatore deve compilare, laddove stabilisce la messa fuori servizio dell'apparecchio si riferisce certamente al soggetto pubblico fornito di poteri autoritativi, ossia all'ente pubblico comunale, che opera tramite il concessionario di pubblico servizio, nel caso di specie l'(OMISSIS). Quindi sarebbe erroneo ritenere sussistenti in capo al tecnico manutentore poteri autoritativi ed esecutivi, come del resto confermato dallo stresso CT del PM, ing. T., in udienza dibattimentale.
Pertanto titolare della posizione di garanzia era il Comune.

2. Violazione dell'art. 606 c.p.p., sub b) ed e) per erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità nella parte in cui i giudici di merito hanno omesso di considerare la responsabilità colposa del P. in ordine alla condotta tenuta: infatti, come emerso nel corso del giudizio, nel novembre 2001, il balconcino veranda ove era collocata la caldaia era stato chiuso e il sig. P. era stato edotto sin dalla relazione dell'1 luglio 2015 della inidoneità della caldaia tipo B a quel locale di istallazione.

3. Violazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) con riferimento all'art. 41 c.p., mancanza ed illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello non ha ritenuto sussistenti decorsi causali alternativi idonei ad interrompere il nesso causale tra gli eventi manutentivi effettuati e l'evento mortale. Nel corso del processo, dalla dichiarazione del figlio della vittima, P.D., è emerso che la caldaia aveva dei problemi di spegnimento e infatti il padre si era rivolto ad altra ditta (___ con sede in ____), la quale aveva risolto il problema, ed ha poi prodotto un documento indicante l'appuntamento del giorno _____ per verifica dei fumi; da tale elemento la Corte di appello ha ritenuto mancante la prova di un intervento di tale diversa ditta in data antecedente all'evento mortale, escludendo la possibilità di un'altra causa idonea a cagionare l'evento. Analoga illogicità della motivazione si evidenzierebbe nella mancata considerazione della circostanza della copertura con piastrelle della canna fumaria, intervento posto in essere per iniziativa della stessa vittima P.V., con lo scopo di limitare l'ingresso del vento e lo spegnimento della caldaia, che doveva essere riconosciuta invece quale condotta di interruzione del nesso causale tra l'evento mortale ed i comportamenti ascritti agli imputati.

4. Violazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), per motivazione illogica, laddove la Corte di appello ha escluso la necessità di verificare con un'apposita misurazione i fumi, dopo la rimozione dell'ostruzione della canna fumaria, ritenendola superflua, in maniera manifestamente illogica, sulla base della considerazione che il monossido di carbonio si era sprigionato direttamente dalla caldaia in quantità enormemente superiore alle soglie di respirabilità indipendentemente dall'ostruzione ed al tiraggio della canna fumaria. Invece l'accertamento avrebbe potuto dimostrare che il monossido si era sprigionato proprio per l'ostruzione della canna fumaria, con conseguente esclusione di responsabilità dei tecnici manutentori Technos per interruzione del nesso causale. Difatti il CT del pm, all'udienza del 6 luglio 2012, aveva sottolineato come la copertura della canna fumaria ne limitasse l'azione al 75% e tale circostanza non poteva essere conosciuta dai tecnici, i quali non erano tenuti ad effettuare un sopralluogo anche al terrazzo sovrastante l'abitazione, per controllare la canna fumaria.

5. La posizione di D.Z., il cui ricorso era stato posto in trattazione all'udienza del 22 giugno 2016 innanzi alla Quarta Sezione, unitamente ai ricorsi dei coimputati D.T.L. e C.A., veniva stralciata per omessa notifica, unitamente alla relativa posizione del responsabile civile, e se ne disponeva la fissazione innanzi a questa Sezione feriale, considerata la prossimità del decorso dei termini di prescrizione (19 agosto 2016).

Motivazione

1. I ricorsi sono infondati.
Va premesso che i vizi della motivazione dedotti attengono principalmente a censure afferenti l'impianto della motivazione nella quale i giudici di merito hanno espresso la valutazione di dati probatori, con argomentazioni esaustive, congrue e privi di smagliature logiche o contraddittorietà rilevabili.

E' principio consolidato che in tema di sindacato della motivazione il compito del giudice di legittimità, che non deve certo sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, è esclusivamente quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

2. In relazione alla specifica posizione di D.Z., va evidenziato che la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi affermati in giurisprudenza in tema di pluralità di posizioni di garanzia e non contestualità delle condotte. Tale tematica è contenuta sia nella doglianza proposta dal difensore dell'imputato che nei motivi nn. 2, 3 e 4, del responsabile civile, relative specificamente all'asserita interruzione del nesso causale a seguito dell'esistenza di decorsi causali alternativi e delle concorrenti responsabilità o della stessa vittima o di altri soggetti (il Comune di Brindisi e la concessionaria Energeko Gas Italia).

3. La giurisprudenza di legittimità ha infatti stabilito che "quando l'obbligo di impedire l'evento ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di un altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 1.
In questa ipotesi, la mancata eliminazione di una situazione di pericolo (derivante da fatto commissivo od omissivo dell'agente), ad opera di terzi, non è una distinta causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento, ma una causa/condizione negativa grazie alla quale la prima continua ad essere efficace (affermazione resa nell'ambito di un procedimento penale per i reati di omicidio colposo e di lesioni personali colpose provocati dal malfunzionamento di una caldaia installata in un appartamento, addebitato alla condotta colposa di colui che aveva rilasciato erroneamente la dichiarazione di idoneità dell'impianto e di coloro che avevano eseguito in modo analogamente erroneo alcuni lavori di manutenzione che non avevano rimosso la condizione di pericolo derivante dalle condizioni dell'impianto)"
(in tal senso, Sez. 4, n. 43078 del 28/4/2005, Poli ed altri, Rv. 232416).

4. Tale principio ha trovato applicazione anche in una fattispecie similare a quella oggetto del presente giudizio: Sez. 4, n. 37992 del 11/7/2012, De Angelis, Rv. 254368 e prende le mosse dall'importante arresto (Sez. 4, n. 4793/1991 del 6/12/1990, estensore Battisti, Rv.191805, che stabilì: "In tema di responsabilità per un evento che si aveva obbligo di evitare, per escludere, nel caso di successione di garanti, la responsabilità di uno dei precedenti garanti, che abbia violato determinate norme precauzionali, non è sufficiente che il successivo garante, o uno dei successivi, intervenga, ma è indispensabile che, intervenendo, sollecitato o meno dal precedente garante, rimuova effettivamente la fonte di pericolo dovuta alla condotta (azione od omissione) di quest'ultimo, con la conseguenza che, ove l'intervento risulti incompleto, insufficiente, tale da non rimuovere quella fonte, il precedente garante, qualora si verifichi l'evento, anche a causa del mancato rispetto, da parte sua, di quelle norme precauzionali, non può non risponderne (ciò è una conseguenza logica dei principi in tema di prevedibilità ed evitabilità dell'evento, in tema di dominabilità della fonte di pericolo e in tema di affidamento)".

5. In riferimento alla condotta più risalente nel tempo, rispetto all'evento lesivo, la recente giurisprudenza ha ribadito che il nesso di causalità tra la condotta omissiva del titolare della posizione di garanzia, tenuto per primo ad intervenire, non viene meno per effetto del mancato intervento da parte di altro garante, "sempre che la posizione di pericolo non si sia modificata, per effetto del tempo trascorso o di un comportamento del secondo garante, in modo tale da escludere la riconducibilità al primo garante della nuova situazione creatasi" (così Sez. 4, n. 1194/2014 del 15/11/2013, Braidotti e altro, Rv. 258232).

6. Orbene la Corte di appello ha considerato irrilevante il tempo trascorso tra la condotta riferibile al ricorrente e l'evento, proprio in applicazione dei summenzionati principi, in quanto la mancata eliminazione della situazione di pericolo da parte degli altri tecnici che ebbero ad effettuare le manutenzioni successive a quelle poste in essere dal D.Z. non aveva costituito una causa sopravvenuta, da sola sufficiente a cagionare l'evento mortale.

Ciò ha desunto valutando gli elementi di prova acquisiti e quindi verificando la mancanza di elementi ulteriori che rendessero plausibile ipotizzare decorsi causali alternativi od elementi di fatto idonei a considerare interrotto il nesso causale, posto che dalla perizia era risultato confermato che la propagazione di monossido di carbonio all'interno dell'appartamento era stata provocata dall'errata collocazione della caldaia di quella tipologia (B) in un locale interno all'appartamento, mentre aveva influito solo in minima parte il cattivo funzionamento della canna fumaria.

7. Tale ultimo elemento di fatto e le mancate eliminazioni della situazione di pericolo da parte dei successivi tecnici o dello stesso P. o da parte degli enti di controllo non avevano costituito perciò - come coerentemente argomentato nella parte motiva dell'impugnata sentenza - altrettante distinte cause sopravvenute, idonee da sole a cagionare l'evento, ma mere condizioni negative, grazie alle quali ogni singola condotta, posta in essere autonomamente ed in violazione delle norme cautelari di riferimento, aveva continuato ad essere efficace.

8. Infatti, a risposta della eventuale responsabilità del P., adombrata nel ricorso del responsabile civile, discendente dal fatto di avere disposto l'installazione della caldaia da esterno nell'appartamento (luogo non idoneo per quel tipo di caldaia) e per averla ivi mantenuta, va richiamato l'orientamento di questa Corte che ha ritenuto che la condotta imprudente delle vittime non costituisca fatto eccezionale ed atipico idoneo ad interrompere il nesso di causalità (a tale proposito cfr. Sez. 4, n. 37992 del 11/7/2012, De Angelis, Rv. 254368). Inoltre l'incidenza nel decorso causale dell'evento dell'asserita otturazione della canna fumaria (dovendosi prescindere dalla riferibilità o meno alla stessa vittima dell'intervento volto a limitare le infiltrazioni di aria dall'esterno) è stata esclusa dalla Corte di merito con un percorso argomentativo immune da vizi logici e, come si è detto, insindacabile in questa sede.

8. Parimenti infondata anche la censura sollevata nella prima parte del ricorso di D.Z., di contenuto sostanzialmente analogo alle doglianze del primo motivo proposto dal responsabile civile D.T.D., con cui si è lamentata l'erronea applicazione dell'art. 40 c.p. per la mancanza di fonte giuridica dei poteri autoritativi connessi alla messa fuori servizio dell'impianto, i quali dovrebbero essere individuati in capo ad un soggetto pubblico, piuttosto che al tecnico manutentore nonostante le indicazioni del modello di controllo delle caldaie contenuto nell'allegato al D.P.R. n. 412 del 1993, modello poi riprodotto e sviluppato nell'allegato G del D.Lgs. n. 192 del 2005.

9. Va infatti osservato dall'analisi della menzionata fonte normativa (D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, Regolamento recante norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione della L. 9 gennaio 1991, n. 10, art. 4, comma 4, vigente al momento dei due accessi di D.Z.), emerge che l'allegato H contiene non solo il modulo relativo al "Rapporto di controllo tecnico" (obbligatorio in forza dell'art. 11), ove è prevista un'apposita sezione relativa alle Prescrizioni, ma anche la guida alla compilazione delle stesse specifiche sezioni, ove al punto 6 è indicato: "Nello spazio PRESCRIZIONI il tecnico, avendo riscontrato e non eliminato carenze tali da compromettere la sicurezza di funzionamento dell'impianto, dopo aver messo fuori servizio l'apparecchio e diffidato l'occupante dal suo utilizzo, indica le operazioni necessarie per il ripristino delle condizioni di sicurezza". La dizione utilizzata evidenzia che la "messa fuori servizio" dell'apparecchio doveva essere effettuata dal tecnico che riscontrasse l'inidoneità, che avrebbe dovuto anche diffidare il proprietario dell'impianto dall'utilizzarlo ed indicare le prescrizioni necessarie per la messa a norma dello stesso.

10. L'analisi dei predetti doveri, gravanti sul tecnico manutentore, è stata svolta nella parte motiva della sentenza di appello che ha affermato la penale responsabilità con una tenuta argomentativa immune da censure (pp. 11 e 12): sono stati evidenziati sia gli aspetti di colpa specifica, connessa all'obbligo del tecnico di chiudere l'impianto controllato, nel caso di inidoneità funzionale ovvero, come nel caso di specie, logistica, ossia di situazione "pericolosa per la sicurezza delle persone, degli animali domestici e dei beni" (secondo quanto previsto nel modulo H) ed anche sia i profili di colpa generica, ossia l'imperizia ed anche la negligenza, ascrivibili all'imputato.

Di conseguenza i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 agosto 2016.
Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2016.


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.