REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano TRIBUNALE DI CATANIA SEZIONE LAVORO Il Giudice onorario del Lavoro dott. Antonino A. M. Milazzo all’udienza di discussione del 17 ottobre 2022 ha pronunciato, ex art. 429 c.p.c., provvedendo al deposito ai sensi dell’art. 221 c. 4 D.L. 19 maggio 2020 n. 34, la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 4378/22 R.G. Sez. Lavoro, promossa DA T nata a , nella sua qualità di legale rappresentante/responsabile della società “P in liquidazione”, C.F., residente in San Giovanni la punta, via n. 50, elettivamente domiciliata in Catania, via Carmelo Patanè Romeo 28 presso lo studio dell’Avv. Orazio Esposito, giusta procura in atti;
-Ricorrente -
CONTRO
INPS – Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura generale in atti, dall’avv. Riccardo Vagliasindi;
-resistente-

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 30/05/2022, T proponeva opposizione avverso le seguenti ordinanze ingiunzioni: n. OI-000080268 notificata in data 28.04.2022, con la quale viene ingiunto al ricorrente di pagare la somma di €. 21.000,00 per violazione dell'art. 2, comma 1-bis, del Decreto-legge 12 settembre 1983, n.463, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n.638, e ss.mm.ii. (omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali); n. OI-000099256 notificata in data 28.04.2022, con la quale viene ingiunto al ricorrente di pagare la somma di €. 27.500,00 per violazione dell'art. 2, comma 1-bis, del Decreto-legge 12 settembre 1983, n.463, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n.638, e ss.mm.ii. (omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali). Eccepisce parte ricorrente l’omessa notificazione dei prodromici atti di accertamento; illegittimità nel merito e sproporzione delle sanzioni. Si costituiva in giudizio Inps, eccependo l’infondatezza in fatto e in diritto del ricorso, chiedendone il rigetto. All’udienza odierna la causa viene discussa, sulla base della note depositate dalle parti, e decisa con sentenza con motivazione contestuale depositata ai sensi dell’art. 221 c. 4 D.L. 19 maggio 2020 n. 34.

Motivazione

Le domande proposte dal ricorrente sono fondate e vanno accolte per quanto di ragione. Ritiene il giudicante di non procedere all'esame delle questioni preliminari e di fare applicazione del principio processuale della "ragione più liquida" - desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. - in virtù del quale deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale (Sezioni Unite, n. 9936 dell'8 maggio 2014). 

Il principio della "ragione più liquida", imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare, di cui all'art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall'art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione - anche se logicamente subordinata - senza che sia necessario esaminare previamente le altre (Cass. 12002 del 28 maggio 2014). 

Appare doveroso, prima di procedere all’esame del caso de qua, ricostruire la natura giuridica del giudizio di opposizione a sanzioni amministrative e sul relativo riparto dell’onere probatorio. 

L’oggetto di siffatto giudizio consiste non già e, comunque, non solo, nell’accertamento della legittimità dell’atto amministrativo impugnato, ma finanche della stessa pretesa sanzionatoria esercitata attraverso l’emissione del medesimo provvedimento, sulla base dei medesimi principi consolidatisi nella giurisprudenza di merito e di legittimità in ordine al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. 

In sostanza, il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa si configura come un giudizio rivolto all’accertamento del fondamento della pretesa sanzionatoria ed il suo oggetto è delimitato, quanto alla posizione dell’opponente, dalla causa petendi fatta valere con l’opposizione e, quanto alla posizione della P.A., dal divieto di dedurre, a sostegno della propria pretesa, motivi diversi da quelli enunciati nell’ordinanza-ingiunzione (o, comunque, nel provvedimento sanzionatorio considerato equipollente), di modo che il giudizio in questione investe la legittimità formale e sostanziale di detto provvedimento, con l’esclusione del potere del giudice di rilevare d’ufficio, fuori dei limiti dell’oggetto dello stesso giudizio così delimitato, eccezioni relative a vizi del provvedimento o del procedimento che ne ha preceduto l’emanazione, salvo che essi incidano sull’esistenza dell’atto impugnato. 

Sulla scorta di questa impostazione, si rileva che sull’amministrazione resistente, che viene a rivestire – dal punto di vista sostanziale – la posizione di ricorrente (ricoprendo, invece, sotto quello formale, il ruolo di parte resistente-opposta), incombe l’obbligo di fornire la prova adeguata della fondatezza della sua pretesa. All’opponente, al contrario, qualora abbia dedotto fatti specifici incidenti o sulla legittimità formale del procedimento amministrativo sanzionatorio espletato o sull’esclusione della sua responsabilità relativamente alla commissione dell’illecito, spetta provare le circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall’amministrazione resistente (Cfr., ex pluribus, Cass. n. 3837/2001, n. 3837; Cass. n. 2363/2005; Cass. n. 5277/2007; Cass. n. 12231/2007; Cass. n. 27596/3008; Cass. S.U. n. 20930/2009; Cass. n. 5122/2011, Cass. n. 4898/2015). 

In proposito è opportuno ribadire che mentre l’onere dell’allegazione è a carico dell’opponente, il quale deve indicare quali sono gli elementi della fattispecie carenti in fatto e/o in diritto, per quanto concerne l’onere della prova si applica la regola ordinaria sancita dall’art. 2697 c.c. 

Tuttavia, a questo riguardo, assume rilevanza la riferita precisazione in base alla quale di fronte al giudice, una volta formulata l’opposizione, non si discute propriamente dell’atto ma della fattispecie produttiva dell’effetto, perchè nei limiti in cui la parte opponente abbia sollevato le relative contestazioni spetta alla P.A. dimostrare i fatti costitutivi ed all’opponente comprovare i fatti impeditivi, modificativi e/o estintivi dell’effetto giuridico del provvedimento sanzionatorio oggetto del giudizio. 

Pertanto alla modificazione delle regole normali dell’allegazione non corrisponde una modificazione delle regole ordinarie in tema di onere probatorio: se l’opponente ha sollevato contestazioni sull’esistenza dei fatti costitutivi del suo obbligo, tali contestazioni non onerano l’opponente anche alla prova dell’inesistenza dei fatti costitutivi del suo obbligo; al contrario, la prova dell’esistenza dei fatti costitutivi dell’obbligo si pone a carico della P.A.: del resto il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, l’attuale comma 11 e art. 7, l’attuale comma 10 – così come prima la L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 11 – recitano: “Il giudice

accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente”. 

Orbene, sulla scorta di tale sistematica premessa, consegue che alla P.A., nel predetto giudizio, incombe – ove costituiscano oggetto di contestazione ad opera del ritenuto trasgressore – sia l’assolvimento della prova relativa alla legittimità dell’accertamento presupposto dal provvedimento irrogativo della sanzione amministrativa sotto il profilo dell’osservanza degli adempimenti formali previsti dalla legge, sia quello della piena prova della legittimità del susseguente procedimento sanzionatorio fino al rituale compimento dell’atto finale che consente la valida conoscenza del provvedimento applicativo della sanzione alla parte che ne è destinataria (v. Cassazione civile sez. VI, Ord. n.1921 del 24.01.2019). 

Questo giudicante, sulla scorta del predetto insegnamento giurisprudenziale, ritiene che non vi siano prove sufficienti in ordine alla responsabilità dell’opponente ai sensi dell’art. 6 co.11 del D.Lgs. 150/2011, in quanto l’INPS non ha dato prova della legittimità del procedimento sanzionatorio, evidentemente tardivo per violazione dell’art.14 L.689/1981, che impone, pena l’estinzione dell’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, alla P.A. di notificare gli estremi della violazione entro 90 giorni agli interessati ove residenti nel territorio dello Stato Italiano. 

Difatti, posto che, la potestà sanzionatoria era incontestatamente esercitabile dall’Istituto sin dal 6.2.2016, data di entrata in vigore della normativa di cui al D.Lgs. 8/2016, la quale ha previsto la depenalizzazione in illecito amministrativo della fattispecie criminosa concretantesi nell’omissione contributiva inferiore alla soglia di € 10.000,00. 

Inoltre, è indubbia l’applicazione delle norme di cui alla L.689/1981 in relazione all’applicazione delle sanzioni amministrative derivanti dalla depenalizzazione delle fattispecie criminose prevista dal D.Lgs. 8/2016, per espressa previsione dell’art. 6 del D.Lgs. 8/2016, che recita quanto segue: «Nel procedimento per l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto si

osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689”. 

Ciò premesso, occorre rilevare che l’INPS non ha dimostrato di aver rispettato il termine di cui all’art.14 L.689/1981, pacificamente decorrente dal 06.02.2016, in quanto in merito alla documentazione prodotta in allegato da Inps emerge come gli atti di accertamento, atti prodromici alle impugnate ordinanze ingiunzioni, non siano mai stati notificati alla ricorrente. Invero, la parte resistente ha prodotto due avvisi di accertamento (su quattro avvisi di accertamento) notificati “per temporanea assenza del destinatario” senza la produzione in giudizio del necessario avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (c.d. CAD), pertanto manca la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio, con conseguente estinzione dell’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione ai sensi dell’ultimo comma dell’art.14 cit. 

In assenza di tempestiva notifica dell’atto di accertamento, avente la duplice valenza interruttiva sia del termine di decadenza di cui all’art. 14 L.689/1981 sia del termine prescrizionale di cui all’art. 28 L.689/1981, l’ordinanza ingiunzione deve essere annullata in quanto il diritto di riscuotere la sanzione amministrativa da parte dell’INPS si era già estinto, decorsi 90 giorni dal 06.02.2016, e questo pur considerando le date di notifica, come da atti prodotti da Inps, del 15.05.2017 e 27.05.2017. 

Alla luce di quanto prospettato, il ricorso deve essere accolto. 

L’accoglimento del ricorso solo dal punto di vista procedurale e non nel merito, giustifica la compensazione integrale delle spese. 

PQM

Il Giudice, disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, così provvede:
 ACCOGLIE il ricorso e per l’effetto ANNULLA gli atti impugnati;
 COMPENSA per intero le spese tra le parti.
Catania, 17 ottobre 2022.
IL GIUDICE DEL LAVORO
Dott. Antonino A. M. Milazzo


Scarica copia del provvedimento: Tribunale Catania Sentenza 3493/2022

 

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