REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo - Presidente -
Dott. CAVALLO Aldo - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -
Dott. MINCHELLA Antonio - rel. Consigliere -
Dott. CAIRO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D.C.M.;
avverso la sentenza n. 4904/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del 01/10/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO MINCHELLA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GAETA Piero che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore l'Avv. FASSARI Claudio, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

In data 23.05.2008 il Tribunale di Milano condannava D.C. M. alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione per il delitto di cui alla L.F. art. 223, consistito nell'avere concorso, nella qualità di consigliere di amministrazione dal _____ al _____, a cagionare il dissesto e il fallimento della "EFI spa" con azioni consistite nella rappresentazione di una consistenza patrimoniale inesistente e nella falsificazione di bilanci della società, contabilizzando un fittizio aumento di capitale e un prestito obbligazionario la cui emissione era illecita.

Con sentenza in data 13.04.2010 la Corte di Appello di Milano confermava quella sentenza, ma in data 11.07.2012 la Corte di Cassazione annullava la sentenza: rilevava la Corte Suprema che il Giudice dell'appello aveva errato nel ritenere la sussistenza di una bancarotta fraudolenta impropria basata su falsi in bilancio privi, però, di tutti i connotati capaci di renderli penalmente rilevanti; la Corte non condivideva che il richiamo della L.F. art. 223 ai fatti e non ai reati di falso in bilancio bastasse a fondare un reato autonomo quale la bancarotta ed enunciava il principio per cui la configurabilità del reato di cui alla L.F. art. 223 in relazione all'art. 2621 c.c. presuppone, oltre al nesso causale tra condotta e dissesto, anche il superamento delle soglie di punibilità previste dal nuovo testo del citato art. 2621 c.c., altrimenti detta condotta andrebbe ritenuta penalmente irrilevante.
Questo motivo accolto era assorbente rispetto agli altri motivi, per cui vi era il rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano; in data 01.10.2014 veniva emessa la nuova sentenza dalla Corte di Appello, con la quale si procedeva ad una parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminando la pena in anni due di reclusione: la Corte di Appello aveva incaricato un perito di verificare se le operazioni di falsificazione avessero o meno comportato le variazioni del risultato economico e le variazioni del patrimonio corrispondenti alle soglie di penale rilevanza di cui all'art. 2621 c.c.; gli esiti peritali avevano appurato che il fittizio aumento di capitale mediante conferimento di titoli "Euro Corporate Bonds", privi di valore, nel bilancio chiuso al 31.12.2000 ed i finanziamenti fittizi dei soci nell'esercizio dell'anno 2001 avevano superato le soglie di rilevanza penale. Si rilevava che dette attività di contabilizzazione erano state effettuate originariamente in epoca precedente alla nomina del D.C. quale consigliere di amministrazione, ma che gli effetti della contabilizzazione erano stati mantenuti nei bilanci successivi: così il Giudice concludeva che al D.C. non poteva attribuirsi la materiale esecuzione delle operazioni falsamente riportate, bensì la persistenza e il mantenimento di quegli artificiosi elementi contabili nei bilanci successivi durante la sua carica; si riteneva che egli fosse persona tecnicamente competente, capace di rendersi conto della non avvenuta valutazione degli "Euro Bonds" e dei rilievi dei Sindaci, ma, ciononostante, aveva approvato incondizionatamente il bilancio; questa inerzia e questa omessa vigilanza avevano fondato un giudizio di responsabilità, basato su una consapevolezza della situazione di criticità e sulla approvazione di un bilancio che riproponeva anomalie; si respingevano le deduzioni difensive relative alle richieste avanzate dall'imputato circa la possibilità di visionare le scritture contabili ed alle sue dimissioni, affermando che il suo obbligo giuridico era quello di attivarsi tempestivamente e di non approvare un bilancio di cui asseritamente ignorava l'assetto economico, consentendo così il radicarsi di una situazione altamente pregiudizievole. La grave alterazione della realtà, secondo la Corte di Appello, era valsa a mascherare l'incapienza patrimoniale, agevolando un artificioso aumento di capitale e lo svolgimento di attività strumentali dirette allo sfruttamento della società.

Avverso detta sentenza propone ricorso il D.C., a mezzo del suo Difensore: si deduce la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il mancato accertamento del nesso causale, la carenza della motivazione. Si sostiene che soltanto all'approvazione del bilancio del luglio 2002 furono sollevati dubbi dal collegio dei Sindaci, ma ciò era avvenuto quando il D.C. aveva già rassegnato le sue dimissioni, per cui difettava la consapevolezza della situazione di criticità; la motivazione non evidenzierebbe gli elementi di fatto che egli avrebbe ignorato nè dimostrerebbe che vi fosse in lui la rappresentazione di quanto era accaduto; si sostiene che il profilo individuato dalla Corte di Appello si avvicina di più ad una colpa e non al dolo, il quale sarebbe stato tratto soltanto per via presuntiva giacchè egli non ha posto in essere atti gestori e giacchè non vi erano segnali di allarme sulla situazione societaria in quanto gli atti di falsificazione erano avvenuti prima del suo subentro nel consiglio di amministrazione. Si sostiene che egli, di fronte alla mancata consegna della contabilità, si era dimesso. Si sostiene, parimenti, che un falso in bilancio non possa causare il dissesto di una società, ma che, al più, possa aggravare lo stesso; si sostiene che, se anche il ricorrente avesse espresso un parere contrario all'approvazione del bilancio, non avrebbe impedito la formazione della volontà societaria. In udienza, il P.G. ha concluso per l'infondatezza del ricorso, sostenendo l'esigibilità di un comportamento alternativo da parte del D.C., atteso che era in grado di individuare gli artifici contabili.

Il Difensore del ricorrente avv. Claudio Fassari ha contestato che si potesse parlare di consapevolezza di un fatto noto, giacchè la lettera dai Sindaci invitava soltanto a controllare e giacchè il ricorrente non era stato posto nella condizione concreta di poter comprendere quanto era accaduto.

Motivazione

Il ricorso deve essere rigettato perchè infondato.

La vicenda procedimentale è stata sopra riassunta ed appare superfluo ripercorrerla. Può quindi procedersi al vaglio della decisione impugnata, tenendo presente che, nello svolgimento del processo di merito, non è stata mossa censura alcuna su alcune salienti premesse in fatto accolte dalle sentenze del Tribunale prima e della Corte territoriale dopo.

Tuttavia giova ribadire alcuni punti di una realtà oggettiva che dunque il ricorso non pone in discussione: 1) il dissesto della società "EFI spa" è stato cagionato da azioni consistite nella rappresentazione di una consistenza patrimoniale inesistente e nella falsificazione dei bilanci della società, nell'ambito dei quali era stato contabilizzato un fittizio aumento di capitale e un prestito obbligazionario la cui emissione non era lecita; 2) il D.C. ha rivestito la qualità di consigliere di amministrazione della medesima "EFI spa" dal _____ al _____; 3) il fittizio aumento di capitale era stato realizzato mediante il conferimento di titoli "Euro Corporate Bonds", privi di valore, nel bilancio chiuso al 31.12.2000 e mediante finanziamenti fittizi dei soci nell'esercizio dell'anno 2001; 4) le operazioni ora rammentate avevano superato le soglie di rilevanza penale; 5) il ricorrente aveva approvato incondizionatamente il bilancio, pure a fronte di alcuni rilievi mossi dai Sindaci.

A fronte delle risultanze dibattimentali, il Giudice di appello ha concluso, prendendo atto delle conclusioni cui era giunto il perito incaricato, che le attività di contabilizzazione de quibus erano state effettuate in epoca precedente alla nomina del D.C. quale consigliere di amministrazione, ma che gli effetti della contabilizzazione medesima erano stati mantenuti nei bilanci successivi, per cui, se era vero che al D.C. non poteva attribuirsi la materiale esecuzione delle operazioni falsamente riportate, era anche vero che egli, nel corso della sua carica specifica, aveva contribuito a far persistere ed a mantenere quegli artificiosi elementi contabili nei bilanci successivi.

Il ricorso del D.C. si articola sostanzialmente sui seguenti argomenti: 1) la circostanza che gli atti di contabilizzazione infedele fossero anteriori all'esercizio della sua carica dovrebbe eliminare ogni possibilità che egli potesse sapere quanto era accaduto; 2) i rilievi mossi dai Sindaci erano più nel senso di stimolare un controllo che non di denunziare falsità vere e proprie; 3) la sua carica era durata un arco temporale piuttosto breve, nel corso del quale egli non aveva potuto effettuare controlli effettivi; 4) in ogni caso, nemmeno un suo aperto dissenso sull'approvazione del bilancio avrebbe impedito il formarsi di una volontà societaria.

Ma questi motivi non possono trovare accoglimento.

Occorre ribadire che il reato de quo è proprio e plurioffensivo.
Esso infatti può essere commesso soltanto da chi abbia una determinata qualità o si trovi in determinate relazioni con l'interesse tutelato e si consuma tanto con l'offesa degli interessi strettamente economici, alla cui salvaguardia presiede l'ordinamento giuridico delle società commerciali, quanto con l'offesa dell'interesse di ogni cittadino alla genuinità e veridicità di particolari fonti di prova al fine di determinarsi, con sicurezza, nella propria vita di relazione e nella conclusione dei propri affari. Soggetto attivo di tale reato è anche chi ricopre la carica di consigliere di amministrazione giacchè la norma incriminatrice, attesa la sua posizione rispetto all'interesse protetto, rivolge anche a lui il comando di astenersi dal compimento dell'attività delittuosa in essa prevista.


Ne consegue che il potere/dovere di ciascun amministratore di chiedere e di ottenere informazioni, la posizione di garanzia e l'obbligo di intervento del consigliere non operativo postulano, dunque, ai fini di un'affermazione di responsabilità, la rappresentazione dell'evento nella sua portata illecita e la volontaria omissione nell'impedirlo, per cui è responsabile colui che abbia avuto la rappresentazione del fatto pregiudizievole, quantomeno sotto il profilo eventuale, accettandone il rischio (si veda: Cass. 13-2-06 n. 9807 Rv. 234232; Cass. 4-5-07 n. 23838 Rv. 237251).
D'altro canto, la rappresentazione eventuale dell'evento e l'accettazione del rischio deve risultare, al di là ed anche in contrasto con le informazioni date dall'amministratore e/o dagli amministratori operanti, da segnali perspicui, peculiari nonchè anomali.

Venendo alla fattispecie concreta, nelle pronunce di cognizione sono stati accertati i fatti descritti in sintesi in precedenza: rispetto ai menzionati dati, la conclusione adottata, circa la presenza di segnali significativi in relazione all'evento illecito e quindi in ordine alla sussistenza in capo al consigliere di amministrazione del dato soggettivo quale sopra illustrato, si palesa del tutto consequenziale e pertanto sottratta a possibilità di sindacato in sede di legittimità (sul punto, Sez. 5, n. 9736 del 10.02.2009, Rv 243023).

Del resto, va notato che nemmeno il ricorso nega che vi siano state segnalazioni di anomalie da parte dei Sindaci. La sentenza impugnata bene spiega (dopo avere ricostruito i fatti, richiamandosi alle dinamiche societarie e riportando gli esiti di una apposita perizia in merito) che questi segnali di anomalia erano di tenore inequivocabile e non potevano essere sfuggiti al D.C., in virtù appunto della qualità soggettiva dell'imputato, tecnicamente competente per via della professione legale esercitata: nonostante ciò, e quindi nonostante i rilievi dei Sindaci e la nota integrativa del bilancio (dalla quale risultava la non avvenuta valutazione degli "Euro Bonds" con i quali si era incrementato il capitale), egli non si adoperava in alcun modo e approvava il bilancio incondizionatamente. Ma spiega adeguatamente il Giudice - proprio per le qualità soggettive del ricorrente, a lui non poteva essere sfuggito un cospicuo aumento di capitale fondato sul conferimento di titoli obbligazionari privi di adeguata valutazione e rivelatisi privi di valore economico: viene richiamata la massima di esperienza secondo la quale la rappresentazione di un evento dannoso a seguito di un aumento di capitale talmente inconsistente, attuato con titoli non valutati, è, in via ragionevolmente certa, non solo probabile ma inevitabile. E si tratta di una conclusione che non presente lacune logiche o salti ingiustificati.

Infatti, in tema di responsabilità - ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p., L.F. art. 223, comma 2, n. 1 - l'inerzia del soggetto agente assume valenza di rilievo penale non soltanto nell'inerzia doverosa per evitare il danno temuto, ma anche quando l'omissione si traduca nella mancata acquisizione di informazioni necessarie a configurare con esattezza l'evento dannoso per la società. Pertanto, se la norma consente di escludere la responsabilità dell'amministratore che incolpevolmente (per ragioni di legittimo affidamento) si sia avvalso della notizia pervenutagli, non può ritenersi esente l'amministratore che abbia accolto il deficit informativo passivamente (essendo a conoscenza della sua insufficienza). Infatti, l'art. 2381 c.c., comma 6 esprime l'obbligo di puntuale informazione nello svolgimento del mandato gestorio, obbligo che è oggi nitidamente articolato nella norma formulata con la riforma portata dal D.Lgs. n. 6 del 2003. Ma esso era agevolmente rinvenibile anche in precedenza nel più generico dovere di impedire l'evento pregiudizievole di cui si erano riscontrati segnali perspicui, come rilevabile dal dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione (menzionato dall'abrogato art. 2392 c.c., comma 3; cfr. in giurisprudenza, Cass. Sez. 5, 27 maggio 1996, Perelli, Rv. 205058).

La fattispecie propria degli artt. 2621 e 2622 c.c., come richiamata dalla L.F. art. 223, comma 2, n. 1, suppone una volontà protesa al dissesto, intesa non già quale intenzionalità di insolvenza (che, anzi, di essa è assai raro riscontro, se non in episodi di intenzionale causazione del fallimento di cui alla prima parte della L.F. art. 223, comma 2, n. 2), bensì quale consapevole rappresentazione della probabile - ma ciononostante perseguita diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico.

Da queste premesso di diritto è stata correttamente fatta discendere la responsabilità del ricorrente, incentrata sull'inerzia e sulla omessa vigilanza a fronte di una situazione nota. Qualora un consigliere di amministratore formuli invano richieste di conoscere l'effettiva situazione della società, la sua reazione non può essere una tardiva dimissione, ma da lui può esigersi un comportamento alternativo, quale appunto la manifestazione della volontà di non approvare il bilancio: una condotta diversa equivale ad una sostanziale inerzia nè in considerazione del profilo personale della responsabilità penale - può valere l'argomentazione della volontà societaria che si sarebbe comunque formata.

L'approvazione incondizionata del bilancio corrisponde al mantenimento degli artifici contabili prima indicati ed al radicarsi di una situazione anomala e gravemente pregiudizievole.

Ogni altra considerazione del ricorso si risolve in una non accettabile sollecitazione rivolta al Giudice della legittimità a sostituire il proprio apprezzamento di merito alla valutazione, dello stesso genere, già effettuata in maniera completa e plausibile nella sede competente e pertanto non ulteriormente sindacabile: così, nel constatare la predisposizione di una motivazione completa, logica e plausibile, il compito di questa Corte non può che arrestarsi essendo doveroso rilevare che non le è demandato di valutare nuovamente emergenze istruttorie che hanno formato oggetto di debita considerazione da parte della Corte territoriale.

Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2016.


 

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