Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 7 febbraio 2020 il Tribunale di Torino ha respinto l'appello cautelare proposto da (omissis) nei confronti dell'ordinanza del 25 novembre 2019 del Giudice per le indagini del medesimo Tribunale, con cui era stata respinta la richiesta di revoca del sequestro preventivo, strumentale alla confisca per equivalente, di due conti correnti bancari, intestati alla S.r.l. (omissis) e alla S.r.l. (omissis), disposto in relazione al reato di cui all'art. 10 quater d.lgs. 74/2000, contestato al (omissis) quale amministratore della S.r.l. (omissis) Consulting, per avere compensato imposte dovute da tale società nell'anno 2017 con crediti inesistenti per un importo complessivo di euro 2.202.149,00. Il Tribunale ha premesso che il sequestro preventivo, in via diretta e per equivalente, era stato inizialmente eseguito su vari depositi bancari per complessivi euro 2.206.504,80 e su un immobile del valore di euro 307.000,00; che, successivamente, il vincolo sulle somme di denaro era stato ridotto della somma di euro 290.000,00, e che, risultando eccedente, per euro 21.805,80, il valore complessivo dei beni sequestrati rispetto al profitto del reato, il Giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta del ricorrente di dissequestro delle somme depositate su due conti correnti bancari intestati alla S.r.l. (omissis) e alla S.r.l. (omissis) (pari a tale somma e sottoposte a sequestro), riducendo a euro 285.664,20 l'ammontare fino alla concorrenza del quale il sequestro era stato eseguito sul bene immobile di proprietà del ricorrente.

Tanto premesso, il Tribunale ha ritenuto corretta la decisione del Giudice per le indagini preliminari, in considerazione sia della irrilevanza della preferenza espressa dall'indagato riguardo ai beni da sottoporre a sequestro, rientrando tale scelta nella discrezionalità del giudice della fase esecutiva del provvedimento cautelare, con l'unico limite, ai sensi dell'art. 517, comma 2, cod. proc. civ., di dover preferire il denaro; sia della legittimità del sequestro limitato a una quota dell'immobile, ritenendo anche privo di interesse il ricorrente a richiedere il dissequestro di conti correnti di terzi, non essendo stato allegato un suo interesse concreto e attuale alla restituzione delle somme depositate su tali conti.

2. Avverso tale ordinanza l'indagato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

2.1. Con un primo motivo ha lamentato, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., la violazione e l'errata applicazione degli artt. 240 cod. pen., 125 e 321, comma 2, cod. proc. pen. e un vizio della motivazione, nella parte in cui era stata affermata la legittimità del dissequestro pro quota dell'immobile assoggettato al vincolo cautelare. Ha censurato, in particolare, l'affermazione, contenuta sia nel provvedimento negativo del Giudice per le indagini preliminari sia nell'ordinanza impugnata, secondo cui le preferenze espresse dall'indagato in ordine ai beni da sequestrare sarebbero irrilevanti, trattandosi di principio applicabile nel momento dell'esecuzione del sequestro e non anche in quello, diverso e successivo, della individuazione dei beni da restituire all'avente diritto, come chiarito nella motivazione della sentenza n. 41049 del 2011; ha criticato anche l'affermazione della legittimità del sequestro pro quota dell'immobile di cui è pieno proprietario per l'intero, in quanto tale bene avrebbe dovuto essere sottoposto a sequestro per l'intero o, in alternativa, se di valore eccedente rispetto all'importo da sottoporre a sequestro, essere restituito, nel rispetto dei principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità delle misure cautelari, compresi i sequestri. Ha sottolineato, richiamando i principi esposti nella sentenza n. 1587 del 2014, la necessità, nella determinazione del valore dei beni da sequestrare (onde evitare la loro sproporzione rispetto all'ammontare da sottoporre a sequestro, in pregiudizio dei diritti dell'indagati), di fare riferimento al valore di mercato del bene nel momento in cui il sequestro viene disposto; poiché nel caso di specie tale valore era pari a euro 307.450,00, il Tribunale non avrebbe potuto ridurre l'ammontare del vincolo apposto sull'immobile al minor valore di euro 285.644,20, al solo scopo di non restituire all'indagato la somma di denaro di euro 21.805,80 dallo stesso richiesta, giacché avrebbe dovuto sottoporre il bene a sequestro per l'intero e restituire al ricorrente la somma in eccesso di euro 21.805,80.

2.2. Con un secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione e l'errata applicazione degli artt. 240 cod. pen. e 321, comma 2, cod. proc. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della propria carenza di interesse alla restituzione delle somme di denaro depositate sui conti correnti della S.r.l. (Omissis) e della S.r.l. Omissis, in quanto soggetti diversi dal ricorrente. Tale diversità era, semmai, di ostacolo alla possibilità di disporre il sequestro per equivalente dei beni di dette società, sia perché non è possibile procedere al sequestro per equivalente dei beni della persona giuridica per reati tributari commessi dai suoi organi; sia perché non è configurabile, per i fatti antecedenti al 24 dicembre 2019, una responsabilità amministrativa dell'ente per reati tributari commessi dai suoi amministratori ai sensi del d.lgs. 231/2001, che non contemplava i reati tributari tra quelli per i quali è prevista la responsabilità amministrativa della persona giuridica.Ha censurato l'affermazione della propria carenza di legittimazione a domandare il dissequestro e la restituzione di tali beni in quanto appartenenti a terzi (la S.r.l. Capri e la S.r.l. Officine Cognitive), essendo comunque consentita l'impugnazione all'imputato, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, ed avendo il ricorrente interesse a domandare tale restituzione, nella sua veste di legale rappresentante di tali società.

Motivazione

1. Il ricorso non è fondato.

2. Il primo motivo, con cui è stata eccepita l'inammissibilità del sequestro pro quota di un immobile in presenza di altri beni sequestrati, di valore superiore al profitto del reato considerando l'intero valore del bene immobile, non è fondato. Il ricorrente si duole del fatto che, una volta accertata l'eccedenza dei beni sequestrati rispetto all'ammontare del profitto del reato da sottoporre a sequestro, in via diretta o per equivalente, la conseguente riduzione del sequestro non avrebbe dovuto essere eseguita sull'immobile, che potrebbe essere assoggettato a sequestro solo per l'intero, ma, fermo il sequestro sull'immobile per l'intero, avrebbe dovuto essere eseguita sulle somme di denaro sottoposte a sequestro, da restituire all'avente diritto per la parte eccedente il profitto confiscabile, tenendo conto dell'intero valore del bene immobile sequestrato. Va, dunque, anzitutto, ricordato che l'ordinamento non esprime, in nessun settore, un principio generale secondo cui, nell'apposizione di vincoli di indisponibilità sui beni del debitore, così come di quello obbligato al risarcimento del danno da delitto, si debba tenere conto, nell'individuazione delle cose da apprendere (o restituire, operando il medesimo principio), delle preferenze espresse da quest'ultimo. Piuttosto, l'individuazione dei beni da sequestrare rientra nell'ambito della discrezionalità del giudice della fase esecutiva del provvedimento cautelare, con l'unico limite - applicabile analogicamente anche al settore penale (per identità di ratio, stante la più agevole soddisfazione delle pretese erariali sulle somme di denaro) - di dover preferire comunque il denaro (come espressamente ora previsto dall'art. 517, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dalla I. n. 52 del 2006, v., in proposito, Sez. 2, n. 41049 del 26/10/2011, Cappa, Rv. 251515). Una volta, poi, che sia stato eseguito il sequestro di somme di denaro, non può, come sostanzialmente richiesto dal ricorrente, procedersi alla sostituzione di tali somme con altri beni, anche se, astrattamente, di valore pari o superiore all'ammontare di dette somme, perché tale operazione comporta la sostituzione di un bene di immediata escussione (e cioè le somme di denaro depositate in banca) con un diritto di proprietà non immediatamente convertibile in un valore che sia con certezza corrispondente al profitto del reato (cfr. Sez. 3, n. 37660 del 17/05/2019, Colosso, Rv. 277833; e Sez. 3, n. 12245 del 17/01/2014, Collu, Rv. 261496). Quanto alla possibilità di disporre il sequestro di un immobile appartenente per intero all'indagato solo per una parte, va osservato che l'apposizione del vincolo preordinato all'ablazione entro tale limite non è affatto illegittima, stante la ricordata preferenza accordata dall'ordinamento al sequestro del denaro, cui consegue la necessità di sequestrare anzitutto il denaro e, per il residuo, gli altri beni, anche non per intero.

Tale sequestro, inoltre, non può neppure dirsi concettualmente errato o astrattamente inammissibile, ben potendo il vincolo cautelare preordinato alla confisca essere apposto su di un bene solo fino alla concorrenza del profitto del reato da sequestrare, cioè pro quota, rimanendo l'eventuale eccedenza di valore nella disponibilità dell'indagato: l'effetto che ne conseguirà, nel caso in cui venga disposta la confisca del bene non per l'intero ma solo per la quota del profitto da assoggettare a sequestro (per mancanza o incapienza di altri beni), sarà il sorgere di una comunione ordinaria su tale bene, tra lo Stato, e per l'esso l'Agenzia del Demanio, partecipante a tale comunione nella misura in cui è stata disposta la confisca, e l'indagato, partecipante in misura pari al valore residuo di tale bene non sottoposto a confisca, assoggettata alla disciplina generale sulla comunione ordinaria (artt. 1100 - 1116 cod. civ.) e al cui eventuale scioglimento potrà procedersi secondo la disciplina dettata dall'art. 1111 cod. civ. Ne consegue l'infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente con il primo motivo, in quanto non vi era alcuna preclusione a ridurre il sequestro sull'immobile solo a una quota dello stesso, né l'obbligo di dissequestrare le somme di denaro eccedenti il profitto del reato, che devono, invece, essere assoggettate a sequestro con preferenza rispetto agli altri beni.

3. Il secondo motivo, mediante il quale il ricorrente ha lamentato l'erroneità della affermazione della propria carenza di interesse a chiedere la restituzione delle somme depositate sui conti correnti intestati alle S.r.l. Capri e Officine Cognitive, è inammissibile, perché l'imputato, pur negando che tali società siano meri schermi delle proprie attività, dunque prospettandone l'autonomia, non ha dichiarato, né nella richiesta di restituzione, né nell'atto d'appello, né nel ricorso per cassazione, di agire in nome e per conto di tali società, cosicché la sua prospettazione, di aver agito per tali enti, risulta contenuta solamente nella esposizione del motivo di ricorso ed è disgiunta sia dalla spendita di tale qualità sia dalla allegazione della procura speciale che deve essere rilasciata a favore del terzo che intenda chiedere in un procedimento penale la restituzione dei beni sequestrati, con la conseguente correttezza della affermazione del Tribunale della sua carenza di legittimazione e di interesse a domandare la restituzione di beni formalmente appartenenti a terzi (che lo stesso ricorrente sostiene essere pienamente autonomi rispetto a lui).

Risulta, poi, legittimo il sequestro per equivalente dei beni di tali società, in quanto diverse da quella (la S.r.l. Omissis) nel cui interesse era stato commesso il reato contestato al ricorrente, nei confronti delle quali, quindi, non avrebbe potuto essere eseguito il sequestro diretto, non avendo beneficiato della condotta illecita, ma solo quello di valore, in quanto ritenute schermi fittizi della persona del ricorrente (che ha contestato in modo generico tale affermazione, prospettando, implicitamente, l'autonomia di dette società, per le quali non era però legittimato a ricorrere e in relazione alle quali non ha allegato un interesse a ricorrere).

4. Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto, stante l'infondatezza del primo motivo e l'inammissibilità del secondo. Consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/7/2020


Scarica copia del provvedimento: Cassazione n.25448/2020

 

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