REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI CALTANISSETTA SEZIONE 3
riunita con l'intervento dei signori:
MONTELEONE NICOLO -Presidente-
PORRACCIOLO ANTONINO LIBERTO -relatore-
PULLERONE RITA -Giudice-
ha emesso la seguente
SENTENZA
sul ricorso n.696/13
depositato il 8/07/2013
- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO N._____ IRPEF – ADD. REG. 2007
- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO N._____ IRPEF – ADD. COMM. 2007
- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO N._____ IRPEF – ALTRO 2007
- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO N._____ IRPEF – ADD. REG. 2008
- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO N._____ IRPEF – ADD. COMM. 2008
- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO N._____ IRPEF – ALTRO 2008

contro: AG. ENTRATE DIR. PROV. UFF. CONTROLLI CALTANISSETTA
proposto dal ricorrente
M. G. F.
Difeso da:
DOTT NASTASI MARCO VALERIO QUARTO
STUDIO DOTT. NASTASI
VIA VENEZIA 369 93012 GELA CL

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato l'8 luglio 2013, M. G. F. ha chiesto la declaratoria di nullità degli avvisi di accertamento indicati in epigrafe, con cui l'Agenzia delle Entrate ha rideterminato sinteticamente il reddito dello stesso M. per gli anni 2007 e 2008.
L'Agenzia delle Entrate ha domandato il rigetto della domanda.
All'udienza del 25 settembre 2014 il procedimento è stato quindi posto in decisione.

Motivazione

Con il primo motivo di opposizione il ricorrente deduce che gli atti impugnati sono nulli perchè non sottoscritti dal titolare dell'ufficio.
L'eccezione è infondata.
Al riguardo si osserva che, ai sensi del 1° comma dell'art. 42 Dpr 600/1973, gli accertamenti in rettifica e gli accertamento d'ufficio devono essere portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell'ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.
Ora, gli atti impugnati in questa sede sono sottoscritti dal dr. Michele Mondo, Capo team accertamento (come si legge in quegli atti), che all'uopo – come tutti gli altri Capi Team Accertamento – con atto del 3 dicembre 2012 (e dunque di data precedente al 12 dicembre 2012, indicata nei due avvisi) aveva ricevuto dal Direttore Provinciale dell'Agenzia delle Entrate di Caltanissetta una delega generale alla firma, fra l'altro, degli accertamenti sino a un milione di euro (importo non raggiunto nel caso di specie). Per quanto precede, deve quindi escludersi – si ripete – la sussistenza dell'eccepità nullità, giacchè gli atti impugnati sono stati sottoscritti da un funzionario titolare del relativo potere.

Con il secondo motivo, il ricorrente eccepisce la nullità degli avvisi de quibus "per effetto della mancata attivazione del contraddittorio preventivo", e dunque per violazione dell'art. 41 Cedu nonchè delle disposizioni contenute nella legge 212/2000.
La doglianza va respinta.
L'art. 22 DL 78/2010 (convertito nella legge 122/2010) ha, sì, introdotto nell'art. 38 Dpr 600/1973 la previsione per cui "l'ufficio che procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l'obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento"; tuttavia, lo stesso articolo 22 ha altresì disposto che tale previsione abbia "effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione" non fosse ancora scaduto alla data di entrata in viugore di quel decreto. Di talchè – in conclusione – la normativa de qua non può applicarsi nel caso sottoposto al vaglio di questa Commissione, dal momento che gli avvisi di cui si discute sono relativi al 2007 e al 2008, e dunque ad anni d'imposta per i quali il relativo termine di dichiarazione (che scadeva, ovviamente, rispettivamente nel 2008 e nel 2009) era già decorso al momento dell'entrata in vigore del Dl 78/2010.

Con il terzo motivo di ricorso, il M. eccepisce la nullità degli avvisi di accertamento in conseguenza di un'omessa valutazione delle memorie e dei documenti presentati nella fase dell'accertamento con adesione.
L'eccezione va respinta.
Invero, l'ultimo comma dell'art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000) – richiamato dal ricorrente a pag. 12 dell'atto introduttivo del giudizio – dispone che, "dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori". Ora, a prescindere dall'approfondimento della vexata quaestio relativa alle conseguenze della mancata considerazione di tali "osservazioni e richieste" del contribuente (è noto, infatti, che la giurisprudenza di merito è divisa tra Commissioni che da tale omissione fanno discendere la nullità dell'avviso di accertamento e altre che escludono siffatta sanzione), è comunque evidente (ciò emergendo dal dato testuale della trascritta disposizione), che la normative de qua riguarda specificamente la mancata valutazione di osservazioni e richieste che siano avanzate successivamente al "rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni (...) di controllo" e prima, quindi, dell'emissione dell'avviso di accertamento.
Ciò non ricorre nel caso di specie, dal momento che la contestata omissione si sarebbe verificata con riguardo al contenuto di memorie e documenti presentati – come si legge a pag. 11 del ricorso – nei mesi di gennaio e febbraio 2013 in occasione dell'istanza di accertamento con adesione, e dunque quando l'avviso era già stato emesso. Per quanto precede, in conclusione, il contenuto della normativa richiamata non è applicabile alla vicenda de qua e quindi non può fondare la chiesta declaratoria di nullità.

Con il quarto motivo di impugnazione, il ricorrente deduce la nullità degli avvisi de quibus per illegittimità delle disposizioni in materia di accertamento sintetico, e, in particolare per contrasto con la riserva di legge contenuta nell'art. 23 Cost. (il quale dispone, appunto, che "nessuna prestazione personale o pèatrimoniale può essere imposta se non in base alla legge").
Il motivo va respinto.
Va premesso che, con la sentenza 283/87 la Corte Costituzione ha dichiarato non fondata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 38, 4° comma, Dpr 600/1973, che attribuisce, appunto, all'amministrazione finanziaria il potere di determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d'imposta.
Va quindi evidenziato che secondo la pacifica giurisprudenza della Corte Suprema, "il potere dell'ufficio di determinare sinteticamente il reddito sulla scorta di elementi e circostanze di fatto certi, utilizzabili anche dal Ministro delle Finanze per la fissazione di coefficienti presuntivi ai sensi dell'art. 38, 4° comma, del Dpr 600/1973, consente il riferimento a redditometri contenuti in decreti ministeriali emanati successivamente al periodo d'imposta da verificare, senza porre problemi di retroattività, poichè il potere in concreto disciplinato è quello di accertamento, rispetto al quale non viene ad incidere il momento dell'elaborazione (. anche Cass. 2510/00, con ulteriori richiami). Nè la soluzione è destinata a mutare – nonostante la contraria opinione talora espressa dalla giurisprudenza tributaria di merito -, con riguardo ai "redditometri" successivi alla citata legge 413/1991, non risultando, in particolare, ipotizzabile la violazione della riserva di legge in maniera impositiva (art. 23 Cost.) e del generale principio d'irretroattività della legge (art. 11 disp. legge in generale)": ciò, infatti, perchè "deve distinguersi fra i contenuti dell'obbligo di dichiarazione del contribuente – in realtà innovati dall'art. 1 legge cit. attraverso la modifica dell'art. 2, 2° comma, Dpr 600/73 – e la individuazione di ulteriori elementi indicativi della capacità contributiva. Difatti, l'obbligo del contribuente, appositamente sanzionato (artt 46 segg. Dpr 600/1973 cit.) è quello di presentare una dichiarazione corretta e fedele, rispetto a cui il potere di rettifica in via sintetica dell'ufficio risulta normativamente limitato dal riferimento ad elementi e circostanze di fatto certi; e sono questi ultimi che, come "possono" essere considerati dai decreti ministeriali per ricavarne coefficienti presuntivi di redditività, così "possono" essere tenuti presenti dall'ufficio impositore, in un contesto normativo che si rivela, per l'aspetto in esame, in realtà immutato. Tutto ciò, come ben s'intende, sotto il profilo probatorio, con salvezza per il contribuente di offrire la prova del contrario, anche limitatamente al quantum" (in questi termini la motivazione di Cass. 11607/01).
In altri termini, e conclusivamente: l'accertamento sintetico non viola la riserva di legge contenuta nell'art. 23 Cost., dal momento che esso, non avendo ridefinito i presupposti dell'imposta (che vanno individuati nell'esistenza del reddito), resta pur sempre un mezzo di accertamento e non uno strumento di determinazione del reddito, e dunque non preclude il diritto del contribuente a interloquire in vista della determinazione della sua reale situazione reddituale.

Con il quinto motivop d'impugnazione, il ricorrente eccepisce la nullità degli impugnati avvisi di accertamento per illegittimità del metodo sintetico come assunto e applicato nel caso di specie. Ciò perchè, secondo il ricorrente medesimo, l'amministrazione ha interpretato le norme in materia di redditometro "come se l'accertamento sintetico fosse una conseguenza automatica ed inevitabile di ogni scostamento (superiore al 25%) del reddito denunciato rispetto al presumibile", e non ha motivato circa le ragioni del ricorso al metodo sintetico.

Con il sesto motivo, poi, lo stesso ricorrente àncora l'eccezione di nullità alla "mancanza della prova sulla quale si fonda la pretesa tributaria" (con richiamo, quindi, alla previsione contenuta nell'art. 2967 c.c.).

Al settimo motivo si deduce quindi che il vizio di nullità discenderebbe dall'inesistenza della pretesa tributaria nonché dall'errone e/o falsa applicazione del Dm 10 settembre 1992: questo perchè l'Ufficio avrebbe proceduto all'accertamento in base a uno solo degli indicatori considerati in tale decreto. In ogni caso, il M. Riconosce di aver, sì, acquistato, nel 2008, una nuova autovettura, ma aggiunge di avere contemporaneamente ceduto quella già in uso; sicchè detraendo dall'importo necessario all'acquisto (€. 29.250,00) quello ricavato dalla cessione (€. 20.000) si ottiene un incremento patrimoniale di 9.250,00 euro. Lo stesso ricorrente sostiene, ancora, che al suo reddito imponibile andavano aggiunti gli oneri figurativi, e precisamente gli ammortamenti, pari a € 8.896,00, nonchè l'importo di €703,57, corrispondente all'accantonamento per Tfr a favore dei dipendenti.
L'Agenzia delle Entrate contesta tali motivi, osservando, fra l'altro, che la quota di ammortamento costituisce un costo figurativo per l'impresa e, come tale, "non rende disponibile alcun reddito al contribuente trattandosi appunto di valore".

I tre motivi vanno trattati congiuntamento, rappresentando, più che distinte censure all'operato dell'Agenzia delle Entrate, il logico sviluppo di un unico motivo.
Mette conto di evidenziare, innanzi tutto, che, in materia di accertamento dell'imposta sui redditi e al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo ai sensi del richiamato art. 38 Dpr 600/1973, il pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente (nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione il pagamento era stato effettuato per l'acquisto di un bene immobile ma il principio piò estendersi – com'è di tutta evidenza – agli acquisti di beni mobili registrati, specie se di non trascurabile valore) può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito posseduto da quel contribuente, e ciò mediante l'applicazione di presunzioni semplici che l'ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l'accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto a quello ignoto (Cass. 8665/02 e 17805/12).
Và altresì evidenziato che, come si legge nella motivazione di Cass. 2656/07, il dettato dell'art. 38 Dpr 600 del 1973, che disciplina i criteri di rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche, "prevede che il controllo della congruità delle stesse venga effettuato partendo da dati certi e utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione (cosiddetto redditometro), il reddito presuntivamente necessario a garantirla.
Quando il reddito determinato in tal modo si discosta da quello dichiarato per almento due annualità l'ufficio può procedere all'accertamento con metodo sintetico determinando il reddito induttivamente e quindi utilizzando i parametri indicati a condizione che il reddito così determinato sia superiore di almeno un quarto a quello dichiarato. (...) Dunque l'unico onere dell'ufficio è quello di individuare elementi certi indicatori di capacità di spesa (nella fattispecie: auto, immobile, mutuo ecc.), mentre i coefficienti presuntivi vengono utilizzati sia al fine di accertare l'incongruità del reddito dichiarato sia al fine di determinare sinteticamente il reddito da accertare, ferma restando la possibilità per il contribuente, oltre che, ovviamente, di contestare il possesso degli indicatori di capacità di speca (...), di provare, con idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, posto che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora il contribuente, in sede di risposta ad apposito questionario, ammetta la proprietà e l'utilizzazione di determinati beni, indici di capacità contributiva, ha l'onere di provare in modo rigoroso che detti beni appartengono a terzi – e sono da questi utilizzati -, restando altrimenti esposto alle conseguenze, in tema di accertamento presuntivo del reddito della propria dichiarazione (Cassazione civile, sez. Tributaria, 18 giugno 2002, n.8738)"
.

Ciò premesso, si rileva che dalla dichiarazione dei redditi del 2009, relativa all'anno d'imposta 2008, emerge che il M. Indicò l'importo di €8.896,00 quali quote di ammortamento.
Ora, secondo Ctp Alessandria 128/1/2014, per effetto della deduzione su vari anni delle quote di ammortamento, il contribuente viene di fatto a beneficiare di una maggiore liquidità rispetto a quanto emerge dalla dichiarazione dei redditi. Parimenti, secondo Ctp Bari 201/21/2011, il reddito imponibile del contribuente- imprenditore risente di costi dedotti che, sebbenedi competenza, non sono di natura monetaria, il che significa che le potenzialità finanziarie dell'imprenditore stesso sono maggiori di quelle desunte dal reddito imponibile.
In altri termini – e come osservato in dottrina – per rideterminare, in aumento, il reddito finanziario disponibile del contribuente, occorre prendere in considerazione non solo i redditi esenti (o imponibili in parte), ma anche elementi di natura non finanziaria che possano aver influenzato, sul fronte delle componenti negative, l'ammontare del reddito dichiarato dal Fisco. Ci si è riferito, per esempio, a tutte quelle voci negative del conto economico delle imprese (e in parte anche dei professionisti) che costituiscono il cosiddetto "autofinanziamento da costi", tra cui proprio gli ammortamenti nonchè gli accantonamenti al Tfr. Queste, infatti, sono componenti di natura tipicamente non finanziaria, nel senso che, a fronte delle stesse, non vi è in contropartita una uscita monetaria dalla casse aziendali, sicchè le stesse sono in grado di influenzare negativamente l'ammontare del reddito imponibile del contribuente senza però intaccarne al tempo stesso la capacità di spesa.
In altri termini – e come osservato da altra dottrina - con riferimento al reddito d'impresa si assiste a una scissione tra reddito soggetto a tassazione (determinato secondo la competenza economica) e reddito disponibile. Il primo infatti, può risultare anche di molto inferiore all'altro proprio per effetto della detrazione di oneri figurativi, e cioè di quegli elementi negativi del reddito d'impresa ai quali non corrisponde alcuna uscita finanziaria, tra cui – si ripete – gli importi relativi agli ammortamenti e agli accantonamenti al Tfr.
Proprio questi costi figurativi possono dunque costituire quella prova contraria a cui la giurisprudenza fa riferimento per bloccare i risultati della (ri)determinazione induttiva del reddito del contribuente: si tratta infatti di un ammontare di danato che apparentemente riduce il potere d'acquisto del contribuente, ma che di fatto non incide su tale potere appunto perchè non è costituito da un effettivo esborso di somme.

Tutto ciò premesso in punto di diritto, si osserva quanto segue.
Il ricorrente ha prodotto la propria dichiarazione dei redditi relativi al periodo d'imposta del 2008, nel cui rigo RG16, concernente le "Quote di ammortamento", è indicato l'importo di €.8.896,00.
Ora, sommando tale importo a quello imponibile di €.11.262,00, relativo ai redditi del M. per il 2008, si ottiene l'ammontare complessivo di €20.158,00, che ascende a €25.197,50 a seguito dell'aumento di un quarto. E poichè il contribuente e l'Agenzia delle Entrate concordano nell'affermare che il reddito da redditometro per l'anno 2008 è pari a €21.838,32, è dunque evidente che, tenendosi conto – per le ragioni supra esposte, che questo collegio condivide – anche dell'importo corrispondente all'ammortamento, si ha che per l'anno 2008 il reddito da redditometro (€. 21.838,32) non supera per più di un quarto quello disponibile (€.20158,00: si è visto infatti che, a seguito dell'aumento di un quarto di tale importo, si perviene a €.25.197,50).
Di conseguenza, e fermo restando il superamento per l'anno 2007, poichè tale superamento non può ritenersi intervenuto anche per l'anno 2008, deve quindi concludersi che è insussistente la condizione prevista dal 4° comma dell'art. 38 Dpr 600/73 (nella sua formulazione ratione temporis applicabile al caso di specie, quella, cioè, precedente al testo introdotto dal Dl 78/2010, convertito – come si è detto supra – nella legge 122/2010), e cioè il fatto che il reddito complessivo netto del M. si sia discostato per almeno un quarto da quello dichiarato per due o più periodi di imposta.
Gli impugnati avvisi vanno dunque annullati.
Quanto, infine, alle spese di lite, considerato che sono state respinte le varie eccezioni di rito sollevate dal condominio convenuto, e tenuto conto della controvertibilità della questione di merito, si stimano ricorrenti gravi ed eccezionali motivi per disporsene l'intera compensazione tra le parti.

PQM

La Commissione annulla gli avvisi di accertamento indicati in epigrafe;
compensa interamente tra le parti le spese del giudizio.
Caltanissetta, 25 settembre 2014
Depositata insegreteria il 13 ottobre 2014


 

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