REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI LOCRI
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, in persona del Giudice dott. Alessandro Rago, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. 100032/2012 promossa
da
B. D. rappresentato e difeso dall'avv. G. S. giusta mandato a margine dell'atto di citazione ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in _______;
ATTORE
contro
COMUNE DI RIACE, C.F. e P.I. 01268330808, in persona del Sindaco pro tempore; rappresentato e difeso dall'avv. Paola Dimasi giusta mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta e delibera G.M. n. 24 del 17.04.2012 ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Monasterace (RC), via Nazionale Jonica n. 174;
CONVENUTO

OGGETTO: risarcimento danni ex art. 2051 c.c.
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza.

Svolgimento del processo

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
1. Con atto di citazione ritualmente notificato, B. D. proponeva azione di risarcimento dei danni nei confronti del Comune di Riace, esponendo che, in data 15.6.2007, egli stava percorrendo a bassissima velocità, lato monte, il c.d. Viale della/e Libertà (strada parallela alla SS 106) a bordo di un ciclomotore, quando improvvisamente aveva impattato contro un tombino posto in un profondo dislivello con la sede stradale, non illuminato né segnalato o altrimenti visibile a causa della uniformità cromatica con l'asfalto, rovinando in terra e riportando lesioni personali diagnosticate come "ferita lacero ginocchio dx con lesione tendine rotuleo, contusioni abrase multiple, trauma cranico non commotivo, sindrome ansioso-depressiva".
Ascriveva l'accadimento dannoso a responsabilità esclusiva del Comune di Riace, quale ente proprietario e custode del tratto di strada interessato dal sinistro, per carente manutenzione della res.
Domandava, pertanto, la condanna dell'Ente convenuto ex artt. 2051 e/o 2043 c.c. al risarcimento dei danni patiti in conseguenza del sinistro stradale, quantificati nella somma complessiva di Euro 22.300,44, oltre interessi e rivalutazione monetaria, ovvero in quella somma maggiore o minore da accertarsi a mezzo di consulenza medico-legale.

2. Si costituiva il Comune di Riace e, rilevato che nel luogo dell'occorso era presente l'illuminazione pubblica, contestava la dinamica e la veridicità del sinistro (evidenziava, in particolare, che, mentre nell'atto introduttivo non era stato specificato l'orario in cui sarebbe avvenuto l'occorso, nella richiesta stragiudiziale di risarcimento l'allora difensore dell'attore aveva collocato il sinistro nella mattinata del 15.06.2007), imputando il verificarsi dell'evento lesivo in via esclusiva alla condotta colposa del B., il quale, presumibilmente, stava imprudentemente viaggiando ad alta velocità e senza casco.
Domandava dichiararsi la nullità dell'atto di citazione per genericità della domanda ed, in subordine, rigettarsi la domanda attorea, perché infondata in fatto ed in diritto, ed, in via ulteriormente gradata, chiedeva che l'importo risarcitorio fosse determinato ad una somma ritenuta di giustizia.

3. La causa era istruita, oltre che documentalmente, mediante l'escussione dei testi C. D., C. N. V., Z. D., C. D. e C. C. A. (udienza del 22.04.2013); era altresì disposta C.T.U. tecnico-modale, con incarico affidato all'Ing. ____, il quale, prestato il giuramento di rito all'udienza del 27.06.2013, depositava l'elaborato peritale in data 2.12.2013 e rendeva i chiarimenti richiesti dal giudice all'udienza del 10.04.2015.
Dopodiché, la causa - ritenuta matura per la decisione - subiva alcuni rinvii ed all'udienza odierna le parti precisavano le rispettive conclusioni e si svolgeva una breve discussione orale.

Motivazione

4. Va preliminarmente respinta l'eccezione di nullità dell'atto di citazione per genericità dello stesso, avendo parte attrice chiaramente precisato i fatti principali addotti a sostegno della richiesta risarcitoria (i.e. luogo e dinamica del sinistro): causa petendi e petitum erano, cioè, fin dalle prime fasi del giudizio agevolmente comprensibili da parte dell'Ente convenuto, il quale, come peraltro dimostrato dal tenore della comparsa costitutiva, non ha subìto alcun vulnus al proprio diritto di difesa.

5. La domanda è infondata e, dunque, deve essere rigettata, per le seguenti ragioni.

5.1. In punto di qualificazione giuridica, si osserva che parte attrice ha espressamente dichiarato di invocare la responsabilità extracontrattuale disciplinata dall'art. 2051 c.c. (responsabilità per danni da cosa in custodia) ed, in effetti, sulla scorta delle allegazioni in fatto e in diritto svolte dall'attore, l'azione va ricondotta allo specifico campo di applicazione di tale norma, sussistendone tutti i presupposti di operatività.
L'attore, infatti, ha espressamente allegato di aver impattato contro un tombino presente nel tratto di strada denominato "viale della/e Libertà" nel Comune di Riace mentre era alla guida di un ciclomotore e che detto tombino non era segnalato in maniera idonea né altrimenti visibile dal centauro.
Com'è noto, con orientamento tuttora maggioritario (cfr. ex multis, Cass., Sez. III, 05702/2013, n. 2660; Cass., Sez. III, 07/04/2010, n. 8229; Cass., Sez. III, 05/12/2008, n. 28811; Cass. Sez. III, 19/2/2008, n. 4279; Cass., Sez. III, 25/07/2008, n. 20427; Cass., Sez. III, 13/02/2002, n. 2075), la giurisprudenza di legittimità afferma che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall'art. 2051 cod. civ. ha carattere oggettivo e, affinché sia configurabile in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza; si argomenta, da un lato, sulla nozione di custodia, che non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e, dall'altro, sulla funzione della norma, che è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, con la conseguenza che deve considerarsi custode chi, di fatto, ne controlla le modalità d'uso e di conservazione,e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta.

Ne consegue che questo tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, da intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, fattore che attiene non già ad un comportamento del custode, che è irrilevante, bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno, avente i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità.

Sulla scorta dei sopra riportati principi, la Corte di Cassazione ha poi precisato che, qualora agisca per il risarcimento del danno ai sensi del citato art. 2051 c.c., l'attore ha l'onere di provare, oltre al verificarsi dell'evento dannoso, l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere quel nesso causale.

Con specifico riferimento al "caso fortuito" consistente nel fatto del danneggiato, il suo rilievo dev'essere valutato tenendo conto della possibilità che questi abbia avuto, in concreto, di percepire o prevedere con l'uso dell'ordinaria diligenza la situazione di pericolo: quanto più il pericolo è suscettibile di essere previsto e superato attraverso l'adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all'ente e l'evento dannoso (cfr. Cass. Sez. III, 13/01/2015, n. 287; Cass., Sez. III, 22/10/2013, n. 23919).

Sull'argomento, la più recente giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente ribadito che "allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito" (cfr. Cass., Sez. VI, 08/05/2018, n. 10938, la quale, in motivazione ha richiamato sia la precedente pronuncia della Cass., Sez. III, 22/06/2016, n. 12895 del 22/06/2016, relativa ad una fattispecie in cui è stata rigettata la domanda di risarcimento dei danni conseguenti ad una caduta, ritenuta causalmente attribuibile alla disattenzione dello stesso danneggiato, sia l'ordinanza della Cassazione, Sez. VI, 22/12/2017, n. 30775, relativa ad una fattispecie in cui è stato escluso che la vittima fosse caduta per un difetto di custodia del marciapiede comunale e fosse, invece, imputabile una sua disattenzione).

Dopo alcune oscillazioni, la Suprema Corte è oramai giunta all'approdo che la presunzione di responsabilità del custode di cui all'art. 2051 c.c. trova applicazione anche nei confronti della Pubblica Amministrazione per i danni arrecati da beni demaniali, ovvero con riferimento a danni causati da beni di ampie dimensioni o comunque destinati ad uso pubblico da parte della generalità dei consociati, ribadendo - anche in riferimento a questa specifica fattispecie - che per l'affermazione della responsabilità aquiliana prevista da tale norma non rileva la natura giuridica del bene che ha causato il danno, né la qualifica soggettiva del proprietario e nemmeno le modalità di uso da parte del pubblico.
Infatti, dovendosi il rapporto di custodia configurare come relazione di fatto tra un soggetto e la cosa, per invocare la responsabilità in questione ciò che rileva è unicamente che, al momento dell'evento, la cosa fonte di danno potesse o meno costituire oggetto di custodia, intesa, quest'ultima, come possibilità per l'ente pubblico proprietario o gestore di esercitare sul bene un effettivo "potere di governo" (da intendersi come potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa).
Si tratta, insomma, di una questione di fatto, da accertarsi alla stregua delle risultanze del caso concreto.

Il Supremo Collegio ha affermato, inoltre, che la ricorrenza della custodia deve essere esaminata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche assumono rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti.
In giurisprudenza, sono stati poi introdotti alcuni temperamenti all'applicabilità dell'art. 2051 c.c., distinguendo tra pericoli strutturali, connessi alla struttura della cosa, e pericoli causati da un uso dell'utente o da una repentina e non prevedibile alterazione della cosa tale da esplicare la loro potenzialità offensiva prima che sia ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode: "affinché la P.A. possa andare esente dalla responsabilità di cui all'art. 2051 cod. civ., per i danni causati da beni demaniali, occorre avere riguardo non solo e non tanto all'estensione di tali beni od alla possibilità di un effettivo controllo su essi, quanto piuttosto alla causa concreta (identificandosene la natura e la tipologia) del danno. Se, infatti, quest'ultimo è stato determinato da cause intrinseche alla cosa (come il vizio costruttivo o manutentivo), l'amministrazione ne risponde ai sensi dell'art. 2051 cod. civ.; per contro, ove l'amministrazione - sulla quale incombe il relativo onere - dimostri che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi (come ad esempio la perdita o l'abbandono sulla pubblica via di oggetti pericolosi), non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, essa è liberata dalla responsabilità per cose in custodia in relazione al cit. art. 2051 cod. civ." (così, Cass., Sez. III, 06/06/2008, n. 15042; Cass., Sez. III, 25/07/2008, n. 20427; Cass. Sez. III, 03/04/2009, n. 8157).

In altri termini, l'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l'evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile (in terminis, Cass., Sez. III, 18/10/2011, n. 21508; nello stesso senso, si veda anche Cass., ord. 27/03/2017, n. 7805, Cass., Sez. III, 12/03/2013, n. 6101; Cass., Sez. III,
20/11/2009; Cass., Sez. III, 19/11/2009, n. 24419).
In tal modo, non soltanto si è definitivamente superato l'orientamento restrittivo, che escludeva l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. nelle fattispecie di danni cagionati da beni demaniali, ma si è anche rimodulato quell'indirizzo interpretativo che, individuando il discrimine nell'esistenza o meno del potere di controllo e di vigilanza sul bene, riteneva che tale norma non potesse trovare applicazione nelle sole ipotesi in cui sul bene demaniale, soggetto ad un uso ordinario generale e diretto da parte dei cittadini, non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le sue modalità d'uso - un continuo ed efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (cfr. Cass., Sez. III, 26/11/2007, n. 24617; Cass., Sez. III, 12/07/2006, n. 15779).

Infine, va chiarito che, ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c. (e a fortiori di quella ex art. 2051 c.c.), concetti come quelli di insidia e trabocchetto assumono rilievo soltanto nell'ambito della c.d. prova liberatoria gravante sul custode, quali elementi sintomatici della mancata adozione di tutte le misure idonee a prevenire il danno (cfr. Cass., Sez. III, 20/02/2009, n. 4234, in motivazione: "In materia di responsabilità civile da manutenzione di strade pubbliche statali, l'insidia o trabocchetto determinante pericolo occulto non è elemento costitutivo dell'illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., sicché della prova della relativa sussistenza non può onerarsi il danneggiato, risultandone altrimenti, a fronte di un correlativo ingiustificato privilegio per la P.A., la posizione inammissibilmente aggravata, in contrasto con il principio cui risulta ispirato l'ordinamento di generale favore per colui che ha subito la lesione di una propria posizione giuridica soggettiva giuridicamente rilevante e tutelata a cagione della condotta dolosa o colposa altrui, che impone a chi questa mantenga di rimuovere o ristorare, laddove non riesca a prevenirlo, il danno inferto. A tale stregua l'insidia o trabocchetto può ritenersi assumere semmai rilievo nell'ambito della prova da parte della P.A. di avere, con lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto, adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presenti per l'utente una situazione di pericolo ed arrechi danno, al fine di far valere la propria mancanza di colpa o, se del caso, il concorso di colpa del danneggiato").

5.2. Tanto premesso, e venendo al merito della controversia, occorre rilevare, innanzitutto, come l'ente convenuto, in comparsa costitutiva, non abbia contestato la propria legittimazione passiva e dunque la natura pubblica del bene a cagione del quale si è verificato il sinistro de quo.
Ritiene, quindi, lo scrivente che, nel caso di specie, ricorrano in concreto i presupposti per l'astratta operatività dell'art. 2051 c.c., permanendo in capo all'Ente convenuto l'effettivo potere di governo e manutenzione della res.

5.3. La ricostruzione del sinistro - affidata al racconto dei testi oculari C. D. e C. N. V. - è da ritenersi provata nei seguenti termini.
Nella mattinata del 15 giugno 2007 (il teste C. ha collocato il sinistro intorno alle ore 12:00, mentre il teste C. intorno alle ore 10:30: la discrasia non appare rilevante, considerato il notevole lasso di tempo - quasi sei anni - tra i fatti e la
deposizione, tanto più che, come risulta dalla certificazione rilasciata dall'Ospedale Civile Basso Ionio Soverato, il ragazzo è stato ricoverato alle ore 14:05, ossia in un orario compatibile con entrambe le versioni fornite dai testimoni), B. D., mentre stava percorrendo il viale delle Libertà nel Comune di Riace con direzione Catanzaro-Reggio Calabria alla guida di un ciclomotore, ha impattato contro un tombino presente al centro della strada, cadendo in terra e provocandosi lesioni sul lato destro del corpo.
Non sono emerse circostanze tali da far dubitare della attendibilità del racconto dei testi, tenuto anche conto che questi hanno descritto la dinamica del sinistro in modo convergente e conforme alla condizione dei luoghi, per come risultante dalle emergenze documentali e dalle risultanze peritali.
È provato, inoltre, che il tombino che ha causato il sinistro stradale per cui è causa non era segnalato (cfr. deposizioni dei testi C. D. e C. N. V.) ed era profondo circa due centimetri e mezzo (cfr. chiarimenti resi dal CTU, Ing. ___, all'udienza del 10.04.2015).
Come accertato dal C.T.U. in sede di sopralluogo, e peraltro visibile anche dalle fotografie prodotte (riconosciute dai testi C. N. V., Z. D., C. D. e C. C. A.), il sinistro è avvenuto in un tratto di strada quasi completamente rettilineo (largo circa otto metri per entrambi i sensi di marcia oltre il marciapiede), che precede un restringimento della carreggiata dovuto dalla presenza di attraversamenti di canali e sottopassi che portano alla via marina; il tratto di strada è a doppio senso di marcia sia prima che dopo il restringimento (cfr. chiarimenti resi dal C.T.U.).
Dalle immagini fotografiche allegate al fascicolo di parte attrice (v. in particolare la foto n. 1) ed alla C.T.U. si nota che il B. è caduto in un punto della strada ove è presente una sequenza di almeno cinque tombini di analoghe caratteristiche (profondità di circa due centimetri e mezzo), collocati l'uno rispetto all'altro ad una distanza di meno di quattro metri (nello specifico, 3,80 metri: v. chiarimenti resi dall'Ing. ______), che si succedono obliquamente dal centro della strada fino alla corsia destra, percorsa dall'attore al momento dell'impatto.
Il Consulente ha altresì chiarito che "la scia di tombini inizia circa m 70 prima del restringimento della carreggiata, restringimento stabile dovuto alla conformazione planimetrica della strada".

5.4. La caduta è senza dubbio riconducibile all'impatto del ciclomotore condotto dall'attore contro uno dei tombini presenti al centro della strada teatro del sinistro, come comprovato dalla prova orale espletata.
In altri termini, nella specie, la caduta causativa delle lesioni personali riportate dall'attrice è da attribuirsi causalmente al tombino - custodito dall'Ente convenuto - contro il quale è impattato il mezzo guidato dal B.
I beni pubblici, esposti all'uso generale e diretto da parte della collettività, sono caratterizzati da notevoli dimensioni che rendono più difficoltoso l'esercizio del potere-dovere di custodia, ma non per ciò solo lo rendono impossibile; in ogni caso, la natura pubblica non può costituire a priori una causa di giustificazione di tale mancato esercizio in assenza di qualsivoglia prova positiva dell'assoluta impossibilità di vigilare o intervenire.

5.5. Facendo applicazione dei principi generali enunciati dalla richiamata giurisprudenza di legittimità, si ritiene che parte attrice abbia adeguatamente assolto l'onus probandi incombente sulla stessa, avendo dimostrato la sussistenza del rapporto causale tra l'allegato evento lesivo ed il bene soggetto alla "custodia" dell'Ente convenuto.
Le circostanze di fatto e i dati oggettivi sopra illustrati sono dotati di una tale precisione, concordanza e reciproca compatibilità logica e cronologica da offrire, nel loro complesso, piena prova delle allegazioni svolte dall'attore.

5.6 Sennonché, ritiene lo scrivente che anche l'ente proprietario e, quindi, custode della strada su cui si è verificato il sinistro in esame abbia soddisfatto, a sua volta, l'onere probatorio gravante sullo stesso al fine di liberarsi dalla presunzione di responsabilità sancita dall'art. 2051 c.c., dimostrando che l'evento dannoso è casualmente da attribuirsi in via esclusiva ad un comportamento incauto dell'attore, tale da interrompere il nesso eziologico tra la res in custodia all'ente ed il danno.
Nell'utilizzare i beni pubblici, l'utente può legittimamente contare su una condizione della res conforme al suo uso naturale, ma è tenuto ad adeguare la propria condotta allo stato concreto della strada e delle sue pertinenze, onde evitare di imbattersi in pericoli visibili e, quindi, evitabili con l'ordinaria diligenza.
In linea di principio, egli è in grado di avvedersi delle insidie presenti lungo il suo percorso, sicché può prevederle ed evitarle e conseguentemente adeguare la propria condotta alla situazione pericolosa.
Insomma, è ragionevole attendersi che l'utente della strada mantenga un comportamento accorto e prudente, adeguato allo stato dei luoghi.
Nondimeno, la valutazione di prevedibilità ed evitabilità deve essere inevitabilmente condotta in considerazione delle circostanze concrete in cui l'azione lesiva si realizza.
Le emergenze istruttorie comprovano che il B. ha tenuto un comportamento tutt'altro che cauto e prudente.
Dal compendio probatorio acquisito, infatti, emerge che il Comune di Riace ha fornito la prova liberatoria del c.d. fortuito incidentale, consistente nella riconducibilità causale dell'occorso alla esclusiva condotta colposa del danneggiato.
In sede di chiarimenti, il C.T.U. ha precisato:
- che "per cadere colpendo un singolo tombino il conducente avrebbe dovuto moderata ed essere distratto", aggiungendo che "diversamente, colpendo in successione più tombini lo scarto del mezzo sarebbe stato più pericoloso
quanto maggiore fosse stata la velocità di percorrenza";
- che "andando alla velocità massima consentita su quel tratto di strada (50 Km/h) l'intervallo temporale tra un impatto e l'altro sarebbe stato di circa un secondo e mezzo";
- che "alla velocità di circa 50 Km/h l'intervallo di circa un secondo e mezzo tra un impatto e l'altro non sarebbe stato sufficiente al controllo del mezzo";
- che "l'impatto si è verificato al quart'ultimo tombino prima del restringimento" e che "se l'attore avesse proceduto sulla sua destra avrebbe impattato, procedendo in modo rettilineo, sull'ultimo tombino prima del restringimento".
In altri termini, dall'istruttoria espletata è emerso che l'attore, procedendo a velocità moderata, ha impattato contro un tombino presente al centro della carreggiata e ha perso il controllo del mezzo, senza riuscire a recuperarlo a causa della presenza dei successivi tombini posti in successione a distanza ravvicinata di poco meno di 4 metri l'uno dall'altro.
La dinamica del sinistro, da ritenersi provata nei termini anzidetti, dimostra che l'evento si è verificato per effetto di una condotta di guida altamente imprudente da parte del B., il quale, pur potendo procedere regolarmente nella propria corsia di marcia (non risulta che sussistessero ostacoli che abbiano impedito all'attore di restare sulla corsia destra), si è incautamente accentrato fino a raggiungere il centro della strada, impattando soltanto allora in uno dei tombini posti nel mezzo della carreggiata.
Si rileva che, come evidenziato dal Consulente, l'attore non sarebbe caduto qualora avesse tenuto un'andatura regolare, rimanendo sulla corsia di marcia destra, giacché in questo caso, egli avrebbe impattato contro l'ultimo dei tombini ed, alla velocità (contenuta) con cui stava procedendo e senza distrazioni, sarebbe stato in grado di governare il mezzo, evitando la caduta.
Egli, insomma, qualora avesse circolato - come era ragionevole attendersi - nella direzione di marcia prescritta ed avesse prestato maggiore attenzione alla presenza dei tombini (senza dubbio visibili, considerate le circostanze di tempo e di luogo in cui si è avvenuto il sinistro: l'orario ed il mese dell'occorso comprovano che le condizioni di
visibilità erano ottimali), l'evento lesivo per cui è causa non si sarebbe verificato.
La condotta del B. si è rivelata talmente spericolata, eccezionale ed abnorme da assumere i caratteri dell'imprevedibilità, non essendovi alcuna spiegazione logica alla decisione dell'attore di dirigersi al centro della strada, così correndo il rischio - concretizzatosi nel caso concreto - di imbattersi in uno dei tombini presenti nel mezzo della carreggiata, anziché procedere comodamente in linea retta, lungo un tratto di strada - eccettuato l'ultimo tombino (privo, tuttavia, di autonomo rilievo causale, in condizioni di guida normale) - privo di ostacoli.

Alla luce delle circostanze concrete (ricostruzione della dinamica del sinistro, condizioni di visibilità ottimali, comportamento imprudente del centauro ed assenza di rilevanza causale della condotta di guida alternativa che era ragionevole aspettarsi dall'attore), deve concludersi nel senso che l'evento dannoso sia eziologicamente riconducibile, in via esclusiva, alla colposa condotta di guida del B.

In breve, la condotta di guida imprudente ed imprevedibile del B. è risultata tale da integrare il caso fortuito quale fattore esterno alla sfera soggettiva del custode, interruttivo del nesso di causalità e scriminante la responsabilità dell'Ente convenuto.
Essendo raggiunta la prova liberatoria del caso fortuito, prevista dall'art. 2051 c.c. quale fattore esimente della responsabilità del custode, ne consegue il rigetto della domanda attorea di risarcimento del danno.

6. Le anticipazioni pari a totali Euro 8,60 (spese di intimazione testi) e le spese seguono la soccombenza e si liquidano a carico di parte attrice come in dispositivo alla stregua dei criteri dettati dal D.M. 37/2018. In particolare: a) si applica lo scaglione relativo a controversie di valore compreso tra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00; b) le fasi da prendere in considerazione sono quelle di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale; c) la liquidazione è operata secondo i parametri medi per tutte le suddette fasi, non ravvisandosi motivi per discostarsi dai valori mediani.
7. In ragione della soccombenza, vanno poste definitivamente a carico dell'attore le spese di C.T.U. che si liquidano in favore dell'Ing. ___ come da separato decreto di liquidazione.

PQM

Il Tribunale di Locri, in persona del Giudice Unico dott. Alessandro Rago, definitivamente pronunciando, ogni diversa e ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattesa, così giudica:
1. rigetta la domanda di risarcimento del danno proposta da B. D. nei confronti del Comune di Riace;
2. condanna B.D. alla refusione, in favore del Comune di Riace, delle anticipazioni per totali Euro 8,60 e delle spese di lite, che si liquidano nella somma complessiva di Euro 4.835,00, oltre rimborso forfettario in misura del 15%, CPA e IVA come per legge;
3. pone definitivamente a carico di B. D. le spese di C.T.U., come liquidate da separato decreto di liquidazione.
Così deciso in Locri, il 06.06.2018.
Il Giudice
Alessandro Rago


 

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