REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
riunita con l'intervento dei Signori:
DEL MONACO ALBERTO Presidente e Relatore
CERIALE GIORGIO Giudice
MAGGIO FULVIA DARIA Giudice
ha emesso la seguente
SENTENZA
- sull'appello n. 515/2017
depositato il 30/03/2017
- avverso la pronuncia sentenza n. 1693/2016 Sez:4 emessa dalla Commissione Tributaria
Provinciale di GENOVA
contro:
AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE GENOVA
VIA FIUME, 2 16100 GENOVA

proposto dagli appellanti:

difeso da:
GLENDI CESARE
RICCI ROSSELLA
VIA B. BOSCO 31/9 16100 GENOVA GE

Svolgimento del processo

Con separati gravami, poi riuniti, ricorrevano (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, ed i soci Sigg.ri (Omissis), (Omissis) e, quale terzo chiamato in causa, (Omissis), avverso l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate, D.P. di Genova, recuperava a tassazione, per l’anno 2009, costi indebitamente dedotti, nonché maggiori ricavi non dichiarati, il tutto per € 157.314,00, di maggior reddito da imputare alla società ai fini Irap e Iva, ed ai soci, ex art. 5 del TUIR, il tutto oltre sanzioni ed interessi. Veniva assunto, in buona sostanza: illegittimità dell’atto per inesistente e/o nulla e/o carente motivazione per violazione ed errata applicazione delle disposizioni di cui all’art. 42 del DPR. n. 600/73, art. 56 del DPR n. 633/1972 e art. 7 della L. n. 212/2000; illegittimità dell’atto per violazione delle disposizioni ai fini dell’accertamento e delle disposizioni in materia di II.DD. ed Irap, ex artt. 1, 40, 41bis, 42 e 43 del DPR. n. 600/1973, ed artt. da 55 a 66 del TUIR, nonché degli artt. 4, 5, 5bis, 11 e 25 del DPR. n. 446/1997, artt. 13, 19, 20, 21, 54, 56 e 57 del DPR. n. 633/1972; illegittimità delle sanzioni per violazione e falsa applicazione delle disposizioni in materia di irrogazione delle sanzioni amministrative. Concludevano i ricorrenti per l’accoglimento dei gravami, con vittoria di spese ed onorari di causa.

Si costituiva l’Agenzia delle Entrate che, nel confermare la correttezza del proprio operato, chiedeva, in via preliminare, dichiararsi la inammissibilità dell’atto per violazione dell’art. 18, c. 2 del D,lgs. n. 546/1992, stante l’indeterminatezza dell’oggetto della domanda.

Con successiva memoria, la società si costituiva con nuovo difensore, precisamente il Prof. Avv. Cesare Glendi, giusto mandato in atti, contestando, in diritto, l’eccepita inammissibilità del ricorso e, nel merito, per avere l’Ufficio omesso di dare contezza al recupero a tassazione del 67% dell’importo di € 22.333,33 e, precisamente, dell’asserito “gonfiamento” della fatturazione per sponsorizzazioni. Integratosi il contraddittorio, all’udienza del 22 marzo 2016, la Sez. 4^ della CTP di Genova, previa riunione dei ricorsi, con sentenza n. 1693/2016, disattesa l’eccezione di inammissibilità, considerato che dall’esame del ricorso emergessero non solo i rilievi rivolti nei confronti dell’atto impugnato, ma anche le richieste rivolte alla Commissione, ha respinto, nel merito, le doglianze di parte con condanna al pagamento delle spese liquidate in € 600,00. Avverso tale decisione propongono appello la società, nonché (Omissis) e (Omissis)

Assume l’appellante che se corrisponde al vero che M.C. abbia ammesso essere stato fatto tale rigonfiamento di fatturazione per le sponsorizzazioni, tuttavia il medesimo ha escluso che ciò sia avvenuto nel caso di specie; a conferma viene riportato stralcio dell’interrogatorio svoltosi in sede penale.
Pertanto, non avendo la parte pubblica fornito, nello specifico, alcuna prova, neanche presuntiva, ai sensi della previsione dell’art. 2697, c. 1, la pretesa fatta valere dall’Ufficio doveva essere rigettata. Invero, la società ha documentalmente fornito la prova delle sponsorizzazioni in questione, dell’effettuazione delle prestazioni e dei pagamenti effettuati. Viene richiamata a conforto giurisprudenza della Corte di Cassaz. (cfr. Sent. nn. 18210/2005, 27341/2005, 17799/2007 e 21953/2007).
La parte, poi, sottolinea che nella fattispecie, con riguardo alle dichiarazioni rese dal C., non si versa nell’ipotesi di confessione con aggiunzione di circostanze contrastanti o limitative della confessione resa da valutarsi complessivamente, bensì di determinazione delimitativa dei fatti confessati.
D’altronde, l’Ufficio non ha fornito prova che, in effetti, vi sia stata retrocessione sulla base di controlli bancari o altre indagini finanziarie.
Nello stesso P.V.C. non risulta affatto che il Sig. G. abbia consegnato al C. denaro corrispondente ad una quota parte degli importi pagati con assegni alla US. (Omissis).
Conclude, pertanto, la parte appellante per la riforma della sentenza impugnata, previa sospensione dell’esecutività della stessa.

Si costituisce l’Agenzia delle Entrate, confermando la legittimità del proprio operato, fatto proprio dai primi giudici. Preliminarmente, parte pubblica, insiste per l’inammissibilità del ricorso ex art. 18, c.1 lett. d) e 4 del D.lgs. n. 546/92.
Nel merito, poi, sottolinea l’infondatezza della doglianza afferente l’avvenuta retrocessione del denaro, a fronte delle fatture emesse, peraltro introdotta nel giudizio di primo grado soltanto a mezzo di memoria, difettandone ogni deduzione nel ricorso introduttivo. Per quanto concerne la fittizietà delle operazioni poste in essere richiama l’appellato il contenuto del PVC, e precisamente i fogli da 16 a 19 nonché gli allegati da 24 a 29, contenenti l’illustrazione degli elementi corroboranti la tesi prospettata mediante la qualificazione di evasore totale della US (Omissis).
Da ultimo, sottolinea l’Ufficio come parte avversa nulla dimostri né, tantomeno, offra in controprova.
Conclude per la reiezione dell’appello e dell’istanza di sospensione.

Premesso che all’udienza del 10.07.2017, con ordinanza n. 567/2017 è stata respinta l’istanza di sospensione, in assenza dei presupposti di legge, alla odierna data, sentite le parti la causa viene ritenuta in decisione.

Motivazione

Innanzitutto, onde sgombrare il campo da ogni equivoco, è d’obbligo premettere che la materia del contendere è circoscritta al solo recupero dei costi afferenti le spese di sponsorizzazioni, per cui il rilievo concernente i maggiori ricavi di cui alle fatture 14/09 e 22/09, in assenza di motivi di impugnazione, è definitivo, così come dai Primi Giudici evidenziato. Ciò precisato, l’appello, nei limiti di cui sopra è fondato.

Preliminarmente, va respinta l’eccezione di inammissibilità del gravame nuovamente reiterata, in questa sede, dal resistente Ufficio, atteso che, conformemente a quanto rilevato dai Primi Giudici, “…dall’esame del ricorso emergono chiaramente non solo le doglianze rivolte nei confronti dell’atto impugnato, ma anche le richieste rivolte a questa Commissione. Il contenuto del ricorso, pertanto consente di affermare che la ricorrente abbia chiaramente inteso contestare l’operato dell’Ufficio, anche nel merito e non solo nella fase cautelare”

Passando, quindi, al recupero afferente i costi per spese di sponsorizzazione, di cui alle fatture nn. 22 del 3.10.2008, 30 del 30.11.2008 e 14 del 24/7/2009, occorre rilevare che seppure il legale rappresentante della US (Omissis), (Omissis), abbia ammesso che per alcuni documenti gli importi fatturati risultavano “gonfiati”, con conseguente retrocessione, pur tuttavia il medesimo ha anche dichiarato che le fatture emesse nei riguardi della (Omissis) risultavano del tutto corrette sia in relazione alle somme corrisposte, sia per quanto concerne le prestazioni di servizio ivi attestate.

Ebbene, con riguardo ai documenti de quibus, ritiene la Commissione che non sia stata raggiunta, la prova certa della retrocessione degli importi, in assenza dei necessari controlli bancari o altre indagini finanziarie.
Peraltro, correttamente l’appellante, con riferimento alle dichiarazioni rese dal C., ha sottolineato come, nel caso di specie, non si versi nell’ipotesi di confessione con aggiunzione di circostanze contrastanti o limitative della confessione resa da valutarsi complessivamente, bensì di determinazione delimitativa dei fatti confessati.

Corre, allora, l’obbligo di ricordare che le false indicazioni messe al fondo di detrazioni indebite devono essere complessivamente supportate da elementi presuntivi, innanzitutto, forniti dall’amministrazione.

La Corte di Cassazione, ha più volte ribadito (cfr. tra le altre sentenza n. 6943/11) che spetta al fisco dimostrare per primo l’utilizzo di fatture false, in tutto o in parte; solo in un secondo momento il giudice tributario, qualora ritenga tali elementi dotati di gravità, precisione e concordanza è tenuto a dare ingresso alla valutazione della prova contraria, di cui è onerato il contribuente.
Ebbene, nel caso che qui interessa, l’Ufficio, come già innanzi detto, non ha fornito prova in ordine alla effettiva inesistenza delle contestate operazioni, essendosi limitato ad una mera affermazione, priva di riscontri, per cui l’atto impugnato non viene sorretto da quelle presunzioni gravi, precise e concordanti, richieste dalla normativa Iva e delle Imposte Dirette. Invero, in materia di presunzioni applicabili in campo tributario, occorre aver riguardo alla nozione civilistica di cui all’art. 2727 del codice civile: si tratta delle conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto conosciuto per risalire a un fatto ignorato. In ossequio all’art. 2729 c.c., le presunzioni, per avere rilevanza, devono rivestire i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza e, pertanto, è illegittimo valorizzare una presunzione in assenza di un fatto noto per derivare da essa un’altra presunzione (praesumptum de praesumpto).

A maggior conferma di quanto sopra, non può essere sottaciuta la circostanza che il Tribunale di Genova, con sentenza n. 916/2018, pubblicata il 21.03.2018 ha assolto C.M. dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste, sottolineando che “l’unico dato fattuale oggettivamente riscontrato in relazione all’anno 2009 è il prelievo di denaro dai conti correnti dell’associazione sportiva, nei giorni successivi al bonifico del corrispettivo della sponsorizzazione; tale elemento, tuttavia, non è univocamente indicativo della retrocessione del denaro, potendo trovare giustificazioni alternative nella destinazione alle spese correnti della società che, come è noto , molto spesso avvengono in forma tracciabile (compensi ai giocatori e ad altre figure coinvolte nell’attività sportiva, affitto campo, spese trasferta ed altro). In conclusione, per i motivi di cui sopra l’appello di parte va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata. In punto di spese, la particolarità e complessità della questione trattata, giustificano l’integrale compensazione delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.

PQM

La Commissione, in riforma della sentenza impugnata, accoglie l’appello di parte.
Dichiara integralmente compensate le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
Genova lì, 15 ottobre 2020
Il Presidente/estensore
(Dott. Alberto Del Monaco)


 

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