Civile Ord. Sez. 2 Num. 32109 Anno 2019
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: CARBONE ENRICO
Data pubblicazione: 09/12/2019


ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29024/2015 R.G. proposto da
L. N. DI M. s.r.I., F. V., F. E. C. e F. M., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Giovanni Bruno e Massimo Cesàro per procura speciale notarile, elettivamente domiciliati in Roma presso il loro studio alla via Savoia n. 31;
- ricorrenti -
contro
G. B., G. S., G. C., B. B. e B. s.r.I., rappresentati e difesi dall'Avv. Bernardo Serrao per procura in calce al controricorso, elettivamente domiciliati in Roma presso il suo studio alla via Lorenzo il Magnifico n. 110;
- controricorrenti -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma, n. 7059, depositata il 18 novembre 2014.
Udita la relazione svolta dal Consigliere Enrico Carbone nella camera di consiglio del 24 ottobre 2019.

Svolgimento del processo

ATTESO CHE
La controversia trae origine dal preliminare stipulato il 1° dicembre 2001 tra la società promittente venditrice L. N. DI M. e il promissario acquirente B. G., avente ad oggetto un complesso immobiliare e aziendale, che, nelle more del definitivo, sarebbe stato gestito da B. s.r.I., con cessione delle relative quote da V., E. C. e M. F. a S. e C. G. (figli di B.), sotto le garanzie fornite da questi ultimi e da B. B.
Insorto contrasto giudiziale sull'adempimento e la risoluzione del preliminare, il 13 ottobre 2011 interveniva transazione, con pattuizione di cessione delle quote della L. N. DI M., anziché dell'immobile in sua proprietà.
Ritenuta novativa la transazione, la Corte d'appello di Roma, adita dai G.-Bi. e da B. s.r.I., ha dichiarato cessata la materia del contendere, per l'effetto riformando la sentenza del Tribunale di Velletri, che aveva pronunciato la risoluzione del preliminare del 1° dicembre 2001 per inadempimento del promissario acquirente.
L. N. DI M. s.r.l. e i F. ricorrono per cassazione sulla base di quattro motivi, ai quali i G.-B. e B. s.r.l. resistono mediante controricorso.

Motivazione

Il primo motivo del ricorso denuncia violazione degli artt. 1230, 1362, 1363, 1366, 1976 c.c., 100 c.p.c., il secondo violazione degli artt. 1230, 1965 c.c., 100, 112 c.p.c., il terzo violazione degli artt. 1976 c.c., 100 c.p.c., il quarto violazione degli artt. 1230, 1362, 1363, 1364, 1367, 1369, 1976 c.c., 100 c.p.c.
I quattro motivi devono essere scrutinati unitariamente, perché connessi nello stigmatizzare che il giudice d'appello abbia interpretato come novativa la transazione del 13 ottobre 2011 e ne abbia fatto derivare la cessazione della materia del contendere sul giudizio inerente il preliminare del 10 dicembre 2001.
A norma dell'art. 1976 c.c., "la risoluzione della transazione per inadempimento non può essere richiesta se il rapporto preesistente è stato estinto per novazione, salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato"; invero, "se il rapporto preesistente è stato estinto per novazione", la transazione è novativa, elide il rapporto originario e quindi "la risoluzione della transazione per inadempimento non può essere richiesta".

- Con la clausola di chiusura "salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato", il legislatore ha inteso tuttavia precisare che l'inadempimento della transazione novativa "non può far rivivere rapporti definitivamente estinti se non quando la volontà di entrambe le parti abbia subordinato all'effettivo adempimento l'estinzione medesima" (Relazione cod. civ., n. 773); in dottrina, il patto di risolubilità della transazione novativa è inteso come un accordo di "quiescenza", diretto a tenere in sospeso il rapporto originario, sino all'effettivo adempimento della transazione novativa, quiescenza che si correla ad una condizione sospensiva, giacché il rapporto originario si estingue solo se, e quando, la transazione novativa è adempiuta.
In linea generale, la transazione novativa, stipulata tra le parti in causa e avente ad oggetto il rapporto obbligatorio dedotto in giudizio, determina la cessazione della materia del contendere, appunto per l'effetto estintivo che essa ordinariamente dispiega sul rapporto originario (Cass. 10 febbraio 2003, n. 1950; Cass. 17 febbraio 2017, n. 4257).
Quand'anche la transazione abbia carattere novativo, tuttavia, cioè quand'anche essa obiettivamente sostituisca al precedente un nuovo rapporto obbligatorio (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 14 luglio 2011, n. 15444; Cass. 11 novembre 2016, n. 23064; Cass. 13 marzo 2019, n. 7194), non può il giudice far da essa discendere la declaratoria di cessazione della materia del contendere sul rapporto originario, ove le parti abbiano
espressamente stipulato il diritto alla risoluzione, a norma dell'inciso finale dell'art. 1976 c.c.
Occorre assicurare continuità al precedente di legittimità, pur non recente, secondo il quale, ove in una transazione avente carattere novativo sia pattuita la clausola risolutiva espressa per il caso di inadempimento, il verificarsi della condizione risolutiva determina la completa reviviscenza del rapporto originario antecedente alla risolta transazione (Cass. 9 agosto 1969, n. 2974).

Nella specie, il giudice d'appello ha rimarcato la connotazione novativa della transazione del 13 ottobre 2011, desumendola dal mutamento oggettivo della prestazione traslativa rispetto al preliminare del 1° dicembre 2001, prestazione ormai relativa non più all'immobile, bensì alle quote della società proprietaria.
Tuttavia, il giudice d'appello non ha dato il giusto valore interpretativo alla clausola della transazione medesima, secondo la quale "le parti espressamente convengono il diritto di ciascuna di esse di chiedere la risoluzione per inadempimento del presente contratto ai sensi dell'art. 1976 c.c.": patto di risolubilità che, come sopra veduto, ha l'effetto di tenere quiescente il rapporto originario, impedendone l'estinzione immediata, ad onta del
carattere novativo della transazione.
Peraltro, la transazione del 13 ottobre 2011 ospita anche una clausola di salvezza dei giudizi in corso, dei quali si prevede l'abbandono solo ad effettivo adempimento dei nuovi obblighi.
Riflettendo anch'essa la quiescenza del rapporto originario, questa clausola di salvezza deve essere messa a sistema col citato patto di risolubilità.
- Il giudice d'appello, invece, separando l'una clausola dall'altra, si è arrestato ad un'interpretazione "atomistica" del testo negoziale, violando il canone ermeneutico di cui all'art. 1363 c.c. (Cass. 21 febbraio 1995, n. 1877; Cass. 14 aprile 2006, n. 8876; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2267).

- Il ricorso va accolto e la sentenza cassata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, che si uniformerà al seguente principio di diritto: la transazione novativa stipulata tra le parti in causa e avente ad oggetto il rapporto obbligatorio dedotto in giudizio non determina la cessazione della materia del contendere qualora contenga l'espressa pattuizione del diritto delle parti alla risoluzione per inadempimento della transazione medesima, giacché questa pattuizione, secondo l'inciso finale dell'art. 1976 c.c., impedisce l'estinzione immediata del rapporto originario e lo tiene in stato di quiescenza sino all'effettivo adempimento della transazione novativa; solo l'adempimento della transazione determina l'effettiva estinzione del rapporto originario, mentre la risoluzione della stessa per inadempimento comporta la reviviscenza del medesimo rapporto".
Il giudice di rinvio regolerà le spese processuali, anche del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 24 ottobre 2019.
Depositato in cancelleria in data 9 dicembre 2019


 

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