LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente -
Dott. PICCININNI Carlo - est. Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. CAMPANILE Pietro - Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
G.M.V. e B.L., - ricorrenti -
contro
C.M., - controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Venezia, Sezione Minorenni, n. 92 del 29.9.2010.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28.3.2012 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;
Uditi gli avv. Panariti con delega per i ricorrenti e A. Mancini con delega per la resistente;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 5.6.2009 il Tribunale per i Minorenni di Venezia dichiarava l'adozione speciale L. n. 184 del 1983, ex art. 44, lett. d, dei minori C.A.T., C.S.R., C.E.S., in favore di C.M., zia dei richiedenti.
La decisione, appellata da B.L. e G.M. V., quali genitori dichiarati decaduti dalla potestà genitoriale con Decreto 18 settembre 2006, veniva confermata dalla Corte di Appello Sezione Minori di Venezia che, accogliendo l'eccezione di difetto di legittimazione degli appellanti formulata da C.M. e dal Procuratore Generale, rilevava l'inammissibilità dell'appello poichè proposto da genitori che, in quanto come detto decaduti dalla potestà, non sarebbero stati legittimati ad impugnare il provvedimento in esame.
Avverso la sentenza G. e B. proponevano ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo, cui resisteva C.M. con controricorso successivamente illustrato da memoria.
La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 28.3.2012.

Motivazione

Con il solo articolato motivo di impugnazione G. e B. hanno denunciato violazione della L. n. 1983 del 1984, art. 56, artt. 313, 317 bis c.c., con riferimento agli artt. 3, 24, 30, 111 Cost., in relazione all'affermato difetto di legittimazione all'impugnazione del genitore decaduto dalla potestà.
La statuizione sul punto invero sarebbe errata, poichè nel processo di impugnazione contro il provvedimento di adozione speciale la qualità di parte del genitore, ancorchè decaduto dall'esercizio della potestà genitoriale, risulterebbe dal complessivo esame della normativa vigente.
In particolare, la L. n. 184 del 1983, art. 56, stabilisce che nel procedimento di adozione le persone di cui all'art. 46 della stessa legge, fra le quali i genitori, devono prestare il loro assenso; detto assenso sarebbe prestato dal genitore in proprio, e non quale legale rappresentante del figlio minore; l'effettività della posizione di diritto - dovere del genitore dovrebbe quindi essere tutelata, in sintonia con la normativa vigente, e più specificamente: a) con l'art. 30 Cost., che per l'appunto segnatamente richiama quello di mantenere, istruire, ed educare i figli; b) con l'art. 317 bis c.c., che conferisce comunque al genitore che non esercita la potestà il potere di vigilare sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del figlio minore; c) con la L. n. 184 del 1983, art. 17, in tema di procedimento per la dichiarazione di adottabilità, che assicura una tutela giurisdizionale articolata al genitore del minore, pur se ipoteticamente decaduto dalla potestà genitoriale.
Per di più le limitazioni all'esercizio della potestà del genitore sul figlio minore non sarebbero definitive, come esplicitamente desumibile dall'art. 332 c.c., e d'altro canto l'art. 111 Cost., imporrebbe comunque lo svolgimento del processo nel rispetto del contraddittorio.
In ogni caso, ove interpretata nel senso indicato dalla Corte di Appello, la normativa si porrebbe in contrasto con i sopra indicati articoli della Costituzione, atteso che il mancato riconoscimento al genitore del diritto di impugnazione del provvedimento di adozione violerebbe il principio di uguaglianza, il diritto di difesa in giudizio nonchè, infine, il complesso dei diritti e dei doveri di spettanza dei genitori nei confronti dei figli.
Il ricorso è fondato.
Al riguardo va osservato che la Corte di Appello ha ritenuto non legittimato all'impugnazione il genitore decaduto dalla potestà, espressamente richiamando, a sostegno della contrastata decisione adottata, uno specifico precedente di questa Corte, e segnatamente la sentenza n. 9689 del 2002, emessa in relazione a controversia avente ad oggetto l'impugnazione di un provvedimento di adozione particolare di una minore da parte della madre, dichiarata decaduta dalla potestà genitoriale.
In detta sentenza, per la parte di interesse, veniva specificamente affrontata la questione relativa alla legittimazione attiva della reclamante, questione nello specifico risolta in termini negativi per quest'ultima sotto un duplice aspetto, e cioè: a) poichè secondo la normativa vigente solo i genitori legali rappresentanti del minore adottando sarebbero legittimati all'impugnazione del decreto di adozione, e quindi non "iure proprio", ma per far valere l'interesse di questo; b) poichè non sarebbe nella specie correttamente evocabile l'art. 111 Cost. in tema di giusto processo, potendo trovare applicazione la detta disposizione soltanto nei confronti delle parti in causa, qualità che non sarebbe riconoscibile in favore di genitore non esercente la potestà genitoriale sul figlio minore.
I due argomenti ora richiamati, posti a base della decisione in esame, ad avviso del Collegio non sono tuttavia condivisibili.
Ed infatti in proposito giova preliminarmente considerare che la L. n. 4 maggio 1983, n. 184, art. 56, in tema di adozione in casi particolari ed applicabile nel caso di specie, oltre a dettare disposizioni in tema di competenza territoriale, prevede la necessità del consenso dell'adottante e dell'adottando, l'audizione del legale rappresentante dell'adottando (così modificata l'originaria disposizione dalla sentenza Corte Cost. n. 182 del 1988), l'assenso dei genitori e del coniuge dell'adottando, e stabilisce inoltre l'applicabilità degli artt. 313 e 314 c.c., il primo dei quali, nel secondo ed ultimo comma, conferisce soltanto all'adottante, all'adottando ed al pubblico ministero il potere impugnatorio avverso i provvedimenti emessi in tema di adozione.
La questione relativa alla legittimità di quest'ultima disposizione, la cui costituzionalità era stata posta in discussione proprio sotto il profilo della ragionevolezza dei limiti al diritto di azione stabiliti dal legislatore in danno dei genitori naturali, è stata poi sottoposta all'attenzione della Corte Costituzionale, che con la sentenza n. 401 del 1999 ne ha affermato l'infondatezza.
In proposito la Corte ha innanzitutto rilevato la necessità di adattare la previsione dell'art. 313 c.c., "dettata espressamente per l'adozione di maggiorenni", alla diversa natura dell'adozione in casi particolari disciplinata, dalla citata L. n. 184.
Nel primo caso, infatti, la normativa oggetto di esame è destinata ad operare in un procedimento in cui l'adottando ha piena capacità processuale, circostanza che da adeguata ragione della mancata indicazione dei genitori fra i soggetti legittimati all'impugnazione;
nel secondo caso, viceversa, l'adozione riguarda soggetti di minore età che, essendo privi della capacità di agire, possono stare in giudizio soltanto in virtù di rappresentante.
In tale ultima ipotesi dunque, a differenza della prima, il legittimato al reclamo deve essere identificato non nell'adottando, perchè minore, ma nel soggetto che lo rappresenta, sicchè una interpretazione della norma conforme a Costituzione necessariamente comporta l'inclusione dei genitori del minore tra i soggetti legittimati all'impugnazione.
Il persistente profilo di opinabilità non riguarda pertanto la determinazione dell'ambito di applicazione dell'art. 313 c.c. nelle ipotesi di cui alla L. n. 1984 del 1983, art. 44, aspetto sul quale si è soffermato come detto, il giudice delle leggi con l'esito sopra riferito, ma piuttosto quello concernente la limitazione o meno del conferimento del potere impugnatorio esclusivamente ai genitori esercenti la potestà genitoriale, secondo quanto già affermato da questa Corte con la citata sentenza n. 9689 del 2002.
Al riguardo il Collegio ritiene che debba pervenirsi a conclusioni difformi da quelle ora riportate, non essendo desumibili dalla normativa vigente, interpretata nel suo complesso, elementi idonei a confortare la detta limitazione.
Ed invero nella più volte richiamata sentenza n. 401 del 1999 la Corte Costituzionale ha fra l'altro chiarito con assoluta puntualità i parametri di riferimento cui deve attenersi il genitore o il tutore nell'attività di rappresentanza del minore, stabilendo innanzitutto l'irrilevanza della distinzione tra l'esercizio dell'azione "iure proprio" e quella "in nomine minoris" e precisando inoltre (riportandosi peraltro a principi già delineati con la precedente sentenza n. 182 del 1988) che i rappresentanti "non si limitano ad esprimere e rappresentare la volontà di un soggetto incapace, bensì esercitano la potestà genitoriale in base ad una propria valutazione circa l'utilità e la convenienza per il minore dell'atto da compiere".
L'attribuzione al genitore (o al tutore) di un'autonomia valutativa in ordine alL'individuazione delle soluzioni di maggiore utilità per il minore è dunque espressione del riconoscimento di una posizione propria (Cass. 2010 n. 260), che mal si concilia con eventuali limitazioni imposte al potere di impugnazione.
D'altra parte le indicazioni contenute nella sentenza n. 401 sono del tutto in sintonia con il dettato costituzionale - e segnatamente con l'art. 30, che stabilisce per i genitori il dovere ed il diritto di mantenere, istruire ed educare i figli - e trovano ulteriore espressione normativa nel disposto della L. n. 184 del 1983, art. 46, secondo il quale per l'adozione è necessario l'assenso dei genitori, oltre che del coniuge dell'adottando.
Tale disposizione appare di significativo rilievo e non già sotto il profilo degli effetti, considerato che il diniego dell'assenso del genitore non esercente la potestà non ha efficacia preclusiva rispetto al sollecitato provvedimento di adozione, ma piuttosto rispetto al ruolo che con la norma in esame viene riconosciuto al genitore, deputato ad esprimere il proprio consenso in rappresentanza della posizione del minore.
Egli infatti nell'ipotesi in questione esprime una posizione propria e può prospettare profili rilevanti ai fini della decisione sull'adozione, che egli giudichi tali nell'interesse del minore e nell'esercizio dei poteri rappresentativi di guest'ultimo a lui conferiti.
Rispetto al ruolo attribuito al genitore dalla normativa vigente per effetto della detta qualità, non vi è dunque ragione di operare una diversità di disciplina fra i casi in cui il genitore abbia la potestà sul minore e quelli viceversa in cui da tale potestà sia stato dichiarato decaduto, distinzione che risulterebbe fra l'altro priva di ragionevolezza anche sotto il profilo della non definitività delle due posizioni cui si è fatto cenno, essendo comunque la decadenza suscettibile di revoca.
Sulle base delle considerazioni sinora svolte può dunque ritenersi che il legislatore abbia inteso comunque privilegiare il soddisfacimento dell'interesse del minore, che costituisce l'elemento prioritario e preminente; che a tal fine il genitore è depositario di diritti ed obblighi, il cui esercizio è finalizzato all'utilità ed alla convenienza del minore; che con riferimento alla valutazione delle dette utilità, e allo scopo di favorirne il conseguimento, egli è titolare di posizione autonoma, da far valere nell'ambito delle relative procedure; che la prospettata diversità di disciplina in tema di impugnazione fra i genitori esercenti la potestà genitoriale nei confronti dei minori (cui solo sarebbe consentita l'impugnativa) e gli altri non solo si pone in contrasto con i diritti - doveri riconosciuti a tutti i genitori indipendentemente dalla titolarità della detta potestà, ma incide negativamente sulla ravvisata esigenza di privilegiare soluzioni che favoriscano l'adozione delle iniziative più utili nell'interesse del minore, esito che non si determinerebbe ove non fosse consentito a colui che è pur deputato ad intervenire nel procedimento, per rappresentare le esigenze di questo, di proporre impugnazione avverso l'eventuale provvedimento ritenuto ingiusto.
Peraltro questa Corte, sia pur con espresso riferimento all'ipotesi di genitore non decaduto dalla potestà, ha già affermato l'incompatibilità "sotto il profilo logico - giuridico" della posizione a lui attribuita "con la negazione al medesimo soggetto della qualità di parte processuale nel relativo giudizio" (C. 08/17445) e, per le ragioni sopra evidenziate, non è ravvisabile alcun motivo che induca ad operare differenziazioni nell'ambito delle due diverse ipotesi oggetto di esame.
Per di più non sembra inutile rilevare come l'esclusione del genitore tra i soggetti legittimati all'impugnazione si porrebbe in contrasto con la disciplina dettata in relazione a fattispecie di minore gravità, nonchè con quella stabilita in favore di altri soggetti.
Quanto al primo punto, si intende segnatamente fare riferimento al procedimento previsto in tema di decadenza dalla potestà (artt. 330, 336 c.c.), che attribuisce ai genitori la qualità di parte necessaria prevedendone inoltre l'assistenza tecnica da parte di difensore (art. 336 c.c., u.c.), e ciò in relazione a provvedimenti di più contenuta incidenza rispetto a quello censurato, poichè attinenti all'esercizio della potestà genitoriale anzichè allo "status" del minore.
Quanto al secondo, appare del tutto chiara la disparità di trattamento che si determinerebbe fra le due posizioni contrapposte di adottante e genitore dell'adottando ove fosse condivisa l'interpretazione della Corte di appello di Venezia, risultando in tal caso solo il primo legittimato all'impugnazione per effetto del disposto dell'art. 313 c.c., richiamato dalla L. n. 184 del 1983, art. 56.
Conclusivamente il ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione per la delibazione del merito della controversia. Il giudice del rinvio provvederà infine anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2008, art. 52.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2012


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.