REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CECCHERINI Aldo - Presidente -
Dott. DIDONE Antonio - Consigliere -
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - rel. Consigliere -
Dott. CRISTIANO Magda - Consigliere -
Dott. SCALDAFERRI Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 13726-2009 proposto da:
V.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASETTA MATTEI 239, presso gli avvocati TROPEA SERGIO e PRIMAVERA FRANCESCO, rappresentato e difeso dall'avvocato TARANTO VINCENZO, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO DELLA COOPERTIVA AEDILIA MAGGIO R.L., in persona del Curatore avv. L.L., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato MONACO CREA ANTONINO, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
contro
S.F., + ALTRI OMESSI ;
- intimati -
avverso la sentenza n. 521/2008 della CORTE D'APPELLO di CATANIA, depositata il 16/04/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/09/2014 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Curatore del Fallimento della Cooperativa Aedilia Maggio 1984 a r.l. agiva nei confronti degli amministratori e dei sindaci succedutisi nel tempo, tra cui V.V., chiedendone la condanna in solido al pagamento della somma di L. 134.476.530, pari al passivo ammesso, oltre agli importi delle insinuazioni tardive e con gli interessi di legge, per il danno provocato alla cooperativa violando in particolare il disposto di cui all'art. 2421 c.c., con la mancata ed irregolare tenuta delle scritture contabili, e di cui all'art. 2423 c.c., per la mancata redazione del bilancio degli esercizi relativi agli anni 1985 e 1986. Si costituiva, tra gli altri, il V., eccependo l'infondatezza della domanda.

Disposta ed espletata C.T.U., il Tribunale, con sentenza del 23/11/2000, per quanto qui interessa, condannava il V., in solido con gli altri convenuti indicati, al pagamento della somma di L. 134.476.530, corrispondente allo stato passivo accertato in sede fallimentare, oltre interessi legali dalla domanda.
La sentenza veniva appellata da C.F.; il Fallimento proponeva appello incidentale; il V., tra gli altri, si costituiva e proponeva appello incidentale. La Corte d'appello di Catania, con sentenza depositata il 16/4/2008, ha respinto l'appello principale e quello incidentale proposto da C., L.M. ed A., e condannato l'appellante principale e gli altri appellati, escluso il R., al pagamento dell'ulteriore somma di Euro 257.495,62, oltre interessi sui crediti privilegiati ammessi per Euro 205.718,90, oltre interessi legali sulla somma complessiva dalla domanda al soddisfo; ha regolato le spese tra le parti.
Nello specifico, la Corte d'appello ha rilevato che con il primo motivo dell'appello principale, il C. aveva dedotto la contraddittorietà della sentenza per avere presuntivamente ritenuti provati i fatti costitutivi dell'azione art. 146 l.f., disapplicando il principio dell'onere della prova, non consentendo la verifica della concreta riferibilità delle passività sociali alle violazione addebitate; che "in via adesiva", il V. aveva evidenziato come il positivo riscontro delle gravi inadempienze degli amministratori non potesse costituire la prova presuntiva della responsabilità solidale. Ciò posto, ha ritenuto che correttamente il Tribunale aveva considerato provata presuntivamente la riconducibilità causale del danno alle gravi inadempienze degli amministratori e dei sindaci, integranti gravi violazioni di specifici obblighi di legge (quali la mancata redazione del bilancio degli esercizi 1985 e 1986, l'assoluta inattendibilità sostanziale della documentazione contabile e l'omesso controllo da parte del Collegio sindacale); che le allegazioni della Curatela di mancata redazione del bilancio per gli esercizi 1985 e 1986 e di mancata ed irregolare tenuta della contabilità, provate dalle risultanze della C.T.U., non contestate in primo grado, avevano dato luogo ad un disordine economico e contabile tale da rendere impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali della società e la gestione della stessa, e denotavano univocamente l'esistenza di danno verso la società, riconducibile con incidenza causale diretta ed immediata alla condotta antigiuridica degli amministratori, da cui l'entità del pregiudizio arrecato alla società commisurato alla differenza tra attivo e passivo fallimentare.

La Corte di merito ha svolto le medesime osservazioni per i sindaci, per non avere gli stessi mai denunciato lo stato di degrado gestionale, avallando in tal modo l'operato degli amministratori, assumendo, per contro, Deliberazioni di competenza assembleare.
La Corte ha respinto il secondo motivo dell'appello principale e le argomentazioni "adesive" degli appellati, relative alla mancata diversificazione delle posizioni processuali dei singoli amministratori e sindaci, ritenendo non possibile oggettivamente la differenziazione tra le singole posizioni, e che tutti avevano contribuito ad occultare il dissesto.
Il V. aveva eccepito di non potere ricoprire la carica di sindaco per avere prestato attività lavorativa alle dipendenze della cooperativa sin dal 1/10/1985, da cui la decadenza ex art. 2399 c.c., e che tale circostanza aveva di fatto impedito lo svolgimento di attività di controllo e vigilanza; aveva inoltre fatto valere la raccomandata di dimissioni del 9/7/86 e la lettera di licenziamento del 22/7/86: secondo la Corte del merito, la dedotta nullità non poteva incidere sulla responsabilità conseguente all'accettazione ed allo svolgimento della carica, la lettera di dimissioni provava lo svolgimento dell'attività per il periodo precedente sia pur breve e, incerta l'accettazione delle dimissioni, doveva ritenersi che il V. fosse rimasto in carica successivamente, svolgendo di fatto le funzioni di sindaco.
Avverso detta pronuncia ricorre il V., con ricorso affidato a quattro motivi. Si difende con controricorso il Fallimento. Il Fallimento ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivazione

1.1.- Col primo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell'art. 2400 c.c. e del vizio di motivazione, deducendo che nel corso del giudizio di primo grado, come accertato dal C.T.U., era emerso che presumibilmente i nuovi membri del collegio sindacale avevano deliberato le dimissioni dei sindaci nominati con l'atto costitutivo e si erano autonominati sindaci, da cui l'assoluta inesistenza della Delib. promanante da soggetto non legittimato, rilevabile anche d'ufficio, e quindi l'assenza di ogni responsabilità in capo a chi, nominato sindaco con la Delib. 12 maggio 1986, non aveva nè di fatto nè di diritto ricoperto tale carica.

1.2.- Col secondo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2399 c.c.. Deduce a riguardo di avere dimostrato di essere dipendente della Cooperativa come impiegato, per cui non poteva essere eletto sindaco, da cui la nullità della sua nomina, nè ritiene condivisibile il rilievo a riguardo svolto dalla Corte del merito, di avere accettato la nomina e svolto le funzioni di fatto, per non potersi ritenere la valida assunzione della carica nè ipotizzabile la figura del sindaco di fatto.

1.3.- Col terzo mezzo,in subordine, il V. si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 2401 c.c. da parte della Corte territoriale, atteso che le dimissioni non necessitavano di accettazione ma solo di essere portate a conoscenza degli amministratori ed era possibile l'automatica sostituzione con il sindaco supplente, che era presente, come risulta dal verbale dell'assemblea del 23 maggio 1986.

1.4.- Col quarto motivo, il ricorrente censura la pronuncia impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 2407 c.c. in combinato disposto con gli artt. 2393 e 2394 c.c., e per il vizio di motivazione.
Il V. sostiene che non è stata data la prova delle inadempienze imputabili e dei danni in tesi cagionati dai presunti inadempimenti al patrimonio sociale.

2.1.- Va rapidamente disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta dal Fallimento, atteso che l'ipotizzato vizio relativo alla proposizione fuori termine dell'appello incidentale da parte del V. attiene al giudizio d'appello e non risulta fatta valere in detto grado, di talchè rispetto allo stesso opera la preclusione conseguente al giudicato interno.
Nè assurge a vizio rilevabile in questo giudizio la circostanza che l'appellante principale C.F. non abbia proposto ricorso ex art. 360 c.p.c., come il Fallimento afferma a pag. 2 della memoria ex art. 378 c.p.c., non potendo incidere nel presente giudizio la posizione processuale delle parti nel giudizio d'appello, non resa oggetto nel grado di merito di alcuna eccezione di carattere preliminare.

Il primo motivo del ricorso è inammissibile.
Con riguardo alla dedotta violazione dell'art. 2400 c.c., si deve rilevare che, come risulta dalla stessa espositiva del motivo, il profilo di inesistenza della nomina a sindaco del V., per essere stata assunta non dall'assemblea, ma dagli stessi sindaci "autonominatisi", sarebbe stato evidenziato in primo grado nella relazione del C.T.U.
Il ricorrente deduce altresì di avere dedotto nella comparsa conclusionale di primo grado che, come accertato dal C.T.U., "la Delib. di nomina dei nuovi sindaci non era sottoscritta da nessuno" (profilo che invero non è assimilabile a quello prospettato dalla parte nell'odierno ricorso), ma che nè il Tribunale nè la Corte d'appello hanno ritenuto che detta "nullità" potesse avere una qualche conseguenza nel giudizio, pur trattandosi di rilievo officioso.
Lo stesso V. ammette di non avere sottoposto all'attenzione della Corte del merito il profilo di inesistenza della Deliberazione di nomina alla carica sindacale, nè in ogni caso la questione risulta trattata nella sentenza impugnata.
Orbene, va rilevato che le Sezioni unite, con la pronuncia 14828 del 2012, hanno affrontato il tema del rapporto tra il principio della rilevabilità officiosa, in ogni stato e grado del giudizio, delle nullità contrattuali ed il principio dispositivo correlato al divieto di extrapetizione proprio del giudizio civile, esprimendo un principio di ordine generale, secondo il quale il giudice del merito ha il potere di rilevare, dai fatti allegati e provati o emergenti ex actis, ogni forma di nullità non soggetta a regime speciale (come le nullità di protezione, poste a tutela del contraente consumatore), con il solo vincolo del rispetto del contraddittorio, facendo leva sulla funzione, propria dell'art. 1421 c.c., d'impedire che il contratto nullo, sul quale l'ordinamento esprime un giudizio di disvalore, possa spiegare i suoi effetti, "pur in presenza di un obbligo a carico del giudice di decidere secundum jus e quindi di evidenziare in giudizio la mancanza di fondamento di una domanda che presupponga la sussistenza dei requisiti di validità del contratto".

La parte quindi avrebbe dovuto o riproporre la questione, ove in ipotesi fatta valere in sede di comparsa conclusionale in primo grado, di talchè, in mancanza, avrebbe già operato in secondo grado la preclusione da giudicato interno, o comunque sollevarla avanti al Giudice del merito in secondo grado, sulla scia del principio affermato dalle Sezioni unite sopra riportato, non potendo in ogni caso far valere il vizio nel giudizio di legittimità.
Ed infatti, nel presente grado, la prospettazione fatta valere dal ricorrente, involgente accertamenti di fatto, è da ritenersi nuova e quindi inammissibile, e non potrebbe mai costituire un vizio della sentenza del Giudice del merito, sottoponibile a questa Corte, secondo il disposto di cui all'art. 360 c.p.c.

Quanto al vizio di motivazione, anche a tacere della inconfigurabilità nel caso del vizio, è preclusivo il rilievo dell'assenza del momento di sintesi, necessario ex art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis, omologo del quesito di diritto, che valga a circoscrivere puntualmente i limiti della censura (sul principio, la pronuncia delle sezioni unite 17838/2011, e tra le ultime la pronuncia 14355/2013).

2.2.- Il secondo motivo è fondato.
L'art. 2399 c.c., nella formulazione ratione temporis vigente, prima della riforma del diritto societario, dispone: "Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall'ufficio ...coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate da un rapporto continuativo di prestazione d'opera retribuita".
Il V. era all'epoca dipendente della Cooperativa; secondo la Corte del merito, la decadenza dall'ufficio ex art. 2399 c.c. non sarebbe idonea ad esonerare la parte dalla responsabilità "che invece deriva e sorge dal fatto di aver ...accettato e quindi in concreto svolto le funzioni di sindaco in violazione del doveri imposti dalla legge, non risultando in atti(neppure attraverso elementi indiziari) che il Collegio sindacale nelle sue varie composizioni e per tutta la gestione sociale abbia mai svolto funzioni di controllo e vigilanza sull'operato degli amministratori".
L'assunto della Corte territoriale non è condivisibile. Come affermato nella pronuncia 11554/2008, richiamando le precedenti sentenze 2009/1982, 530/1972 e 1676/1957, la decadenza da sindaco opera automaticamente, in presenza di una delle situazioni ipotizzate dall'art. 2399 c.c., nè a riguardo è ipotizzabile un procedimento accertativo, non previsto normativamente, ed anzi deponendo il successivo art. 2401 c.c. in favore dell'immediato subentro del sindaco supplente, nè vi sono "ragioni decisive per ribaltare ora siffatto orientamento, tanto più dopo che il legislatore - che pure in tema di società quotate ha disposto al riguardo, espressamente stabilendo che la decadenza dei sindaci di tali società debba essere accertata dal consiglio di amministrazione o, in difetto, dalla Consob: D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 148, u.c., come da ultimo modificato - in occasione della riforma organica del diritto societario attuata col D.Lgs. n. 6 del 2003, ha rivisitato la citata disposizione dell'art. 2399 c.c., senza però nulla indicare quanto ad un eventuale procedimento di accertamento della decadenza del sindaco colpito da incompatibilità. Il che suona come conferma della già ritenuta non necessità di un siffatto procedimento accertativo e dell'operare automatico delle ipotizzate cause di decadenza".

L'efficacia ipso iure della causa di decadenza, quale vizio della condizione soggettiva del nominato, priva il V. della qualità di sindaco, che costituisce il presupposto soggettivo della fattispecie costitutiva della domanda di responsabilità esercitata dal Fallimento ex art. 146 l.f.
Nè potrebbe attribuirsi rilevanza all'accettazione dell'incarico, atteso che l'art. 2399 c.c. ricollega tout court all'elezione del soggetto ineleggibile la decadenza. Nè potrebbe valorizzarsi lo svolgimento in concreto delle funzioni (che il Giudice del merito, tra l'altro, collega al "non svolgimento" dell'attività come sindaco), non essendo ipotizzabile lo svolgimento "di fatto" delle funzioni sindacali, che la legge specificamente ricollega all'elezione di soggetto, nei cui confronti non sussista alcuna causa di ineleggibilità, secondo la norma imperativa ed inderogabile di cui all'art. 2399 c.c., intesa ad assicurare l'indispensabile imparzialità collegata alle funzioni di sindaco.

Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: "La decadenza dalla carica di sindaco di chi si trovi nella situazione di ineleggibilità prevista dall'art. 2399 c.c., nella specie, quale dipendente della società, opera automaticamente, da ciò conseguendo che nei confronti della parte, che non ha pertanto mai ricoperto la carica di sindaco, non può esercitarsi l'azione di responsabilità ex art. 14 6 l.f.".

2.3.- L'accoglimento del secondo motivo assorbe gli ulteriori motivi di ricorso.
3.1.- Conclusivamente, respinto il primo motivo, va accolto il secondo, assorbiti gli altri motivi, va cassata la sentenza impugnata e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., comma 2, la causa va decisa nel merito, con la reiezione della domanda del Fallimento nei confronti del V.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. E' appena il caso di specificare che la condanna viene resa a carico del Fallimento, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, atteso che, come ritenuto nelle pronunce 10053/2012, 222381/2012 e 25295/2013, l'ammissione al gratuito patrocinio nel processo civile, la cui istituzione è prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 74, comma 2, non comporta che siano a carico dello Stato le spese che l'assistito dal beneficio sia condannato a pagare all'altra parte risultata vittoriosa, perchè "gli onorari e le spese" di cui all'art. 131 D.P.R. cit. sono solo quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio, che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte - in considerazione delle sue precarie condizioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese - si impegna ad anticipare.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge la domanda del Fallimento.
Condanna il Fallimento alle spese del giudizio, liquidate per il primo grado in Euro 3.200,00 per diritti, Euro 3.800,00 per onorari, oltre Euro 150,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge; per il secondo grado in Euro 2.300,00 per diritti, Euro 5.000,00 per onorari, oltre Euro 180,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge, e per il presente giudizio in Euro 10.000,00 per compenso, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge; pone definitivamente a carico del Fallimento le spese della C.T.U.
Così deciso in Roma, il 18 settembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2014.


 

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