REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo - Presidente -
Dott. MANNA Felice - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. PICARONI Elisa - Consigliere -
Dott. FALASCHI Milena - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 26582/08) proposto da:
CONSORZIO "LE VILLE DI NEMI", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall'Avv.to MARIOTTI RICCARDO del foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via dell'Amba Aradam n. 24;
- ricorrente -
contro
L.G., rappresentato e difeso dall'Avvio PERICA GIUSEPPE del foro di Velletri (Roma), in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv.to Giuseppe Fiorino in Roma, via Premuda n. 6;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
Nonchè sul ricorso incidentale subordinato proposto dallo stesso L.G. nei confronti del Consorzio;
avverso la sentenza del Tribunale di Velletri n. 1814 depositata l'11 settembre 2007;
Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 3 ottobre 2014 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti Riccardo Mariotti, per parte ricorrente, e Giuseppe Perica, per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale ed ti rigetto di quello incidentale condizionato.

Svolgimento del processo

Il Consorzio "Le Ville di Nemi" chiedeva ed otteneva dal Giudice di pace di Genzano di Roma il decreto ingiuntivo n. 36 in data 2.4.2001, notificato il 12 aprile 2001, nei confronti di L.G. relativamente al pagamento degli oneri consortili non corrisposti dallo stesso per L. 4.825.350 da riferire al consuntivo dell'anno 1999 ed al preventivo dell'anno 2000 per la prima, seconda, terza e quarta rata, oltre a sette rate per la potatura dei pini interni al Consorzio, il quale veniva opposto dall'intimato, con atto di citazione notificato il 21 maggio 2001, per avere egli formalizzato il recesso dal Consorzio nel 1997, alla scadenza prevista nell'atto costitutivo, da interpretarsi anche quale c.d. abbandono liberatorio.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell'intimante Consorzio, il giudice adito respingeva l'opposizione e per l'effetto confermava il d.i.

In virtù di rituale appello interposto dal L., con il quale si doleva che il giudice di prime cure avesse ritenuto di non pronunciarsi sulla legittimità o meno del recesso, assumendo la propria incompetenza, il Tribunale di Velletri, nella resistenza dell'appellato, accoglieva l'appello e in riforma della decisione di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo, condannando il Consorzio alla restituzione di quanto percepito in virtù del titolo monitorio.
A sostegno della decisione adottata il giudice unico evidenziava che nella specie si verteva in ipotesi di consorzio di urbanizzazione, figura atipica, caratterizzata dall'esistenza di una stabile organizzazione di soggetti funzionale al raggiungimento di uno scopo non lucrativo, la cui disciplina discendeva direttamente dalla volontà manifestata nello statuto e soltanto ove esso nulla disponeva con riguardo alla revoca, occorreva verificare la normativa più confacente al caso.
Nella specie l'art. 22 dello Statuto consortile rinviata, per analogia, alle norme sul condominio e sulla comunione, con la conseguenza che trovava applicazione l'art. 1104 c.c., laddove prevedeva che il partecipante alla comunione potesse liberarsi dell'obbligo di contribuire alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune, nonchè delle spese deliberate a maggioranza, rinunziando al suo diritto, ciò che l'appellante aveva fatto con il recesso esercitato nel 1997.
Avverso la indicata sentenza del Tribunale di Velletri ha proposto ricorso per cassazione il Consorzio, articolato su due motivi, al quale ha replicato il L. con controricorso, contenente anche ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo.
Il solo L. ha depositato memoria illustrativa.

Motivazione

Con il primo motivo il Consorzio lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1104 c.c., in relazione agli artt. 22 e 7 dello Statuto consortile, nonchè dell'art. 1118 c.c., in quanto pur avendo il giudice del gravame correttamente inquadrato la fattispecie, richiamando l'insegnamento della corte di legittimità, ne ha tratto conseguenze errate, essendo norma più confacente alla specie non l'art. 1104 c.c. in materia di comunione, bensì l'art. 1118 c.c., in materia di condominio. In tal senso peraltro depone l'art. 7 dello Statuto consortile, il quale prevede che "per tutta la durata del Consorzio, i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo consortile". A conclusione del mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto: "è legittima l'applicazione ad un consorzio di urbanizzazione, quale quello in esame, della norma di cui all'art. 1104 c.c. (in materia di comunione), per cui al consorziato sarebbe consentito di liberarsi dagli obblighi di contribuzione alle spese consortile rinunciando al suo diritto, invece della norma di cui all'art. 1118 c.c. (in materia di condominio), secondo cui il consorziato non potrebbe, rinunziando al suo diritto sulle cose comuni, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione?".

Il complesso motivo, focalizzato sull'inapplicabilità dell'art. 1104 c.c., ai consorzi di urbanizzazione, e sull'esclusione della possibilità del consorziato di sottrarsi al pagamento degli oneri consortili attraverso il recesso ovvero la rinuncia ai beni comuni, è fondato. Premesso che qui in discussione non è il recesso dal consorzio (nè, quindi, la rinuncia ai servizi offerti dal consorzio), ma l'esistenza e l'efficacia del diritto al recesso del consorziato e l'incidenza del suo eventuale esercizio sull'obbligazione di corrispondere i contributi consortili, la soluzione accolta dal giudice di merito, che ha applicato l'art. 1104 c.c., al recesso del singolo consorziato dal Consorzio, risulta inadeguata. Essa, infatti, postula la qualificazione della proprietà comune dei beni consortili alla stregua di una comunione ordinaria, e trascura il dato - essenziale nella costituzione e nella vita dei consorzi di quel tipo - che i beni comuni sono posti al servizio delle proprietà esclusive dei singoli consorziati, secondo un modello riconducibile non già alla comunione ordinaria, ma al condominio.

Il problema dell'individuazione delle norme applicabili ai consorzi di urbanizzazione, istituti atipici con aspetti sia associativi che di realità, (derivanti, questi ultimi, dall'osservanza di obblighi propter rem o dalle costituzioni di reciproche servitù), è stato già ripetutamente affrontato da questa Corte, quantunque più spesso sotto il profilo dell'applicabilità, alternativamente, delle norme in materia di condominio o di associazioni non riconosciute. E dall'atipicità del rapporto consortile in questione è stata argomentata, innanzi tutto, la necessità di tener conto dell'atto costitutivo o dello statuto, al fine di rispettare la volontà espressa dai consorziati medesimi sui vari aspetti della disciplina del rapporto, onde passare, soltanto ove questo nulla disponga al riguardo, all'individuazione della normativa più confacente alla regolazione degli interessi implicati dalla controversia (Cass. 21 marzo 2003 n. 4125); e, conseguentemente, in tema di recesso del socio, l'inammissibilità di un recesso ad nutum nel caso di consorzio a tempo determinato (Cass. 14 ottobre 1992 n. 11218), ma anche di consorzio a tempo indeterminato, laddove sia ravvisabile un'esclusione statutaria di tale facoltà anche solo implicita (Cass. n. 4125 del 2003 cit.).

Dovendosi, nel caso in esame (nel quale si verte in tema di recesso dal consorzio, prospettata anche quale ipotesi di c.d. abbandono liberatorio, in assenza di una disciplina contrattuale specifica sul punto, fondata solo sul rinvio per analogia alle norme del codice civile sul condominio e sulla comunione), ricercare piuttosto le norme da applicare in ragione del predetto aspetto di realità del rapporto consortile, non si può prescindere, nell'alternativa tra norme sulla comunione e norme sul condominio, dall'elemento caratteristico ed essenziale sopra indicato, costituito dal nesso funzionale esistente tra beni comuni e beni in proprietà esclusiva.

Deve, pertanto, confermarsi l'insegnamento offerto dalle precedenti sentenze di questa corte, che hanno ritenuto le disposizioni in materia di condominio legittimamente applicabili al consorzio costituito tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale (Cass. 14 marzo 2001 n. 3665; Cass. 14 maggio 2002 n. 6966), con la conseguente esclusione delle norme sulla comunione, laddove esista una specifica disciplina in tema di condominio (art. 1139 c.c).
In una fattispecie per molti versi analoga a quella presente, si è ritenuto che qualora si verta in tema di consorzi di urbanizzazione finalizzati alla costruzione, manutenzione e ripristino di opere stradali, nonchè di quelle per la distribuzione dell'acqua e dell'energia elettrica (svolgendo, ancora, tutte le altre attività comunque utili al comprensorio), va esclusa ogni possibilità di recesso degli associati - se non per effetto di trasmissione a terzi del diritto di proprietà immobiliare (evidentemente esclusiva, la quale comporta altresì il trasferimento delle pertinenze, tra le quali le quote delle cose comuni asservite alla proprietà esclusiva) (Cass. 21 marzo 2003 n. 4125).

Nella fattispecie in esame, il giudice unico ha ritenuto di dare prevalenza al dato della comunione piuttosto che a quello del condominio in ragione dell'art. 22 dello Statuto consortile, ricavato dal rinvio, per analogia, alle norme del codice civile in materia. Il Consorzio ricorrente ha censurato la completezza e la congruità di tale ragionamento, sostenendo che il giudice unico - pur avendo congruamente inquadrato la fattispecie - ha valorizzato le norme sulla comunione, a discapito di quelle sul condominio, non tenendo in alcun conto l'art. 7 del medesimo Statuto, per il quale per tutta la durata del Consorzio i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo consortile e secondo il quale nessuno può pretendere di liberarsi dagli oneri connessi a determinati beni o servizi ove continui a trovarsi in una situazione tale da beneficiare comunque degli stessi.
Orbene la complessità di tale struttura, affidata all'autonomia privata, rende necessario accertare puntualmente quale sia la volontà manifestata nello statuto (Cass. n. 3665 del 2001), al fine di determinare la normativa applicabile, se prevalga quella in materia di condominio ovvero quella in materia di comunione, anche in tema di ricadute sui diritti esercitabili dal consorziato e sugli effetti prodotti dal recesso ovvero dalla rinuncia ai beni comuni sull'obbligo di contribuire alle spese per la manutenzione degli stessi e per la gestione dei servizi relativi, non potendo trovare applicazione l'art. 1104 c.c., comma primo, richiamato nell'impugnata sentenza, per il quale l'obbligo del partecipante di contribuzione alle spese cessa con la rinuncia al proprio diritto, bensì l'art. 1118 cpv. c.c., per il quale il condomino non può, rinunziando alle cose di proprietà comune, sottrarsi alle spese per la loro conservazione laddove lo statuto ovvero l'atto costitutivo non manifestino espressamente una volontà in tal senso.
L'accoglimento di questo motivo determina la cassazione della sentenza impugnata, la quale nel motivare il proprio convincimento non si è attenuta al principio che, nei consorzi di urbanizzazione per la disciplina dei beni in proprietà comune ai consorziati, e posti al servizio delle proprietà esclusive dei medesimi, in difetto di diversa disciplina contenuta nell'atto costitutivo o nello statuto, trovano applicazione le norma sul condominio, e, tra esse, l'art. 1118 cpv. c.c., ad esclusione dell'art. 1104 c.c.

L'annullamento della sentenza comporta l'assorbimento dell'altro motivo (il secondo, con il quale si deduce l'erronea applicazione della normativa in materia di abbandono liberato ex art. 1104 c.c., per non avere il L. indicato i beni da abbandonare, oltre ad essere previsto nella clausola di cui all'art. 7 dello Statuto la possibilità di abbandonare i beni comuni solo con l'abbandono del lotto di loro proprietà).
Passando all'esame del ricorso incidentale condizionato del L., con il quale viene dedotta la omessa motivazione quanto alla sostenuta legittimità del recesso quale facoltà concessa al socio di una associazione non riconosciuta dall'art. 24 c.c., comma 2, anche a volere ritenere formulato il c.d. quesito di fatto (necessario per essere la controversia, ratione temporis, soggetta alla disciplina di cui alla L. n. 40 del 2006), esso è inammissibile per carenza di interesse essendo rimasto definitivamente accertato che la normativa applicabile alla specie è quella relativa al condominio ovvero alla comunione.
Conclusivamente va accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, e per l'effetto cassata la decisione impugnata, con rinvio al Tribunale di Velletri, in persona di diverso magistrato, anche per la liquidazione delle spese della fase di legittimità, che dovrà riesaminare la controversia alla luce dei principi sopra enunciati.

PQM

La Corte, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, inammissibile il ricorso incidentale condizionato;
cassa la sentenza impugnata in relazione a motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, al Tribunale di Velletri, in persona di diverso magistrato.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2014


 

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