Svolgimento del processo

l. - Il Tribunale di Milano, su ricorso di MPS Gestione Crediti s.p.a., ingiungeva a (Omissis) s.p.a. e ai fideiussori (Omissis) il pagamento della somma di euro 1.605.739,10:
tale importo costituiva oggetto del credito vantato dalla banca per uno scoperto di conto corrente, per il saldo debitore di un conto anticipi e per il mancato rimborso di un finanziamento.
Gli intimati proponevano opposizione domandando, in via riconvenzionale, la quantificazione del saldo del conto corrente, previo accertamento dell'illegittimità delle clausole relative agli interessi, asseritamente convenuti facendo rinvio agli usi su piazza, alle commissioni di massimo scoperto e alla capitalizzazione.
Nella resistenza di MPS, il Tribunale di Milano, a seguito dell'espletamento di consulenza tecnica contabile, revocava il decreto ingiuntivo e condannava l'opponente al pagamento della somma di euro 384.127,98, oltre interessi.
2. - La pronuncia di primo grado era impugnata sia dalla banca, sia dalla società correntista, sia dai fideiussori. L'appello principale di MPS era respinto, mentre, in accoglimento del gravame incidentale, la condanna nei confronti degli originari intimati era contenuta nella somma di euro 372.984,18, oltre interessi.
Per quanto qui rileva, la Corte di Milano, nel rigettare l'appello principale, rilevava come MPS avesse l'onere di produrre la documentazione necessaria ai fini della ricostruzione del saldo del conto corrente, avendo la stessa assunto, nel giudizio, la posizione sostanziale di attrice: per il che reputava corretta l'applicazione del criterio basato sull'azzeramento del saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti; la stessa Corte, nel rigettare il secondo motivo di impugnazione della banca, osservava, poi, che l'accertata illegittimità della capitalizzazione posta in atto dalla stessa MPS nel periodo di vigenza della delibera CICR del 9 febbraio 2000 trovava fondamento nel rilievo per cui, pur avendo essa comunicato ai correntisti, con i propri estratti conto, la modificazione delle condizioni contrattuali relative agli interessi (mutamento attinente alla periodicità nella capitalizzazione degli interessi creditori e debitori), nulla era stato precisato dalla stessa banca con riferimento al diverso adempimento previsto dall'art. 7 della delibera, e relativo alla pubblicazione della detta variazione sulla Gazzetta Ufficiale.
3. - Avverso la pronuncia della Corte di appello di Milano MPS ricorre per cassazione: lo fa con una impugnazione articolata in due motivi. Resistono con controricorso (Omissis) .s.p.a e ·(Omissis). Sono state depositate memorie.

Motivazione

l. - Con il primo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c .. La censura investe l'affermazione della Corte di appello per cui, in ragione della posizione sostanziale diattrice assunta in giudizio dalla banca, questa era tenuta a fornire il materiale probatorio necessario all'accertamento del credito vantato.
Deduce la ricorrente che gli originari opponenti avevano non solo resistito all'ingiunzione, ma avevano, a loro volta, domandato di rideterminare il saldo del conto corrente con l'eliminazione degli addebiti illegittimi e di condannare essa banca al pagamento dell'importo che fosse risultato dovuto in loro favore: importo quantificato in euro 160.000,00 nell'atto di citazione. Secondo l'istante, i giudici di merito avevano violato il principio di equivalenza
dell'onere della prova tra la banca che agisce in giudizio per il recupero del credito e il correntista che domanda la ripetizione delle somme indebitamente corrisposte nel corso del rapporto di conto corrente. La ricorrente assume, in particolare, che nella fattispecie sarebbe stato necessario procedere a due distinti ricalcoli del saldo: uno muovendo dal saldo zero a danno della banca e l'altro partendo dal saldo iniziale evidenziato dal primo degli estratti conto prodotti (quello che indicava, a debito della correntista, l'importo di euro 665.929,77).

1.1 - Il motivo non ha fondamento.
1.2. - La ricorrente fonda la censura sul principio, più volte affermato da questa s.e., secondo cui il correntista che agisca giudizialmente per l'accertamento giudiziale del saldo e la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dall'istituto di credito è gravato dell'onere di produrre l'intera serie degli estratti conto (in tema: Cass. 7 maggio 2015, n. 9201; Cass. 13 ottobre 2016, n. 20693; Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948; Cass. 28 novembre 2018, n. 30822; Cass. 3 dicembre 2018, n. 31187; Cass. 2 maggio 2019, n. 11543). In tale evenienza - si è detto - l'incompletezza documentale relativa agli estratti conto ridonda in danno del correntista, su cui grava l'onere di provare il fatto costituivo della propria domanda sicché, in assenza di diverse evidenze, il conteggio del dare e avere deve essere effettuato partendo dal primo saldo a debito del cliente di cui si abbia evidenza (Cass. 2 maggio 2019, n. 11543 cit.; cfr. pure Cass. 28 novembre 2018, n. 30822 cit., nella cui motivazione si rileva la necessità di farluogo al ricalcolo dei rapporti di dare e avere «partendo dal primo saldo a debito del cliente documenta/mente riscontrato»).

1.3. - La banca omette però di considerare che nella controversia in esame la domanda riconvenzionale (di accertamento del saldo e di ripetizione dell'indebito) della società correntista si contrappone a quella diretta al pagamento del saldo del rapporto di conto corrente: domanda da essa originariamente azionata in via
monitoria.
In quest'ultima ipotesi entrambe le parti sono onerate della prova delle contrapposte pretese aventi rispettivamente ad oggetto l'inesistenza e l'esistenza del credito dedotto in lite (per l'ipotesi di contrapposte domande di pagamento e di accertamento negativo:
Cass. 16 giugno 2005, n. 12963; Cass. 15 febbraio 2007, n. 3374; con specifico riguardo al caso in cui il correntista agisca in giudizio chiedendo di rideterminarsi il saldo del conto e la ripetizione degli importi da lui indebitamente versati, mentre la banca spieghi riconvenzionale per la corresponsione degli importi di cui si assuma creditrice: Cass. 7 maggio 2015, n. 9201 cit.). Ciò significa, in concreto, che ciascuno dei due contendenti ha l'onere di dar prova delle operazioni da cui si origina il saldo.
1.4. - Tale proposizione implica la necessità di concentrare l'accertamento contabile nel periodo le cui le movimentazioni sono documentate da estratti conto.
C'è da dire, in linea generale, che nella prospettiva consegnata dall'art. 2697 c.c., la mancata documentazione di una parte delle movimentazioni del conto, il cui saldo sia a debito del correntista, non esclude una definizione del rapporto di dare e avere fondata sugli estratti conto prodotti da una certa data in poi (cfr. Cass. 2 maggio
2019, n. 11543 cit., secondo cui non vi sarebbe infatti ragione, in senso logico e giuridico, per ritenere che nell'ambito del contratto di conto corrente un adempimento solo parziale dell'onere di produzione degli estratti conto precluda di procedere alla semplice sterilizzazione del saldo debitorio portato dal primo degli estratti conto prodotti).
Essendo sia la banca che il correntista onerati della prova deipropri assunti, la mancata produzione degli estratti conto assume una colorazione neutra sul piano della ricostruzione del rapporto di dare e avere e giustifica, come tale, un accertamento del saldo di conto corrente che non è influenzato dalle movimentazioni del periodo che
sono prive di rendicontazione. Infatti, proprio in quanto ognuna delle parti assume la veste di attore all'interno del giudizio, è inconcepibile che l'una e l'altra possano giovarsi delle conseguenze del mancato adempimento dell'onere probatorio della controparte.

1.5. - E' da ricordare che, con riferimento alle azioni della banca e del correntista, operano, due distinti criteri che,
rispettivamente, consentono di risolvere la questione relativa alla mancata prova dell'andamento del conto da parte dell'attore che ne è onerato.
Nella causa promossa dalla banca per il pagamento del saldo, ove la stessa non riesca a dissolvere, anche attraverso mezzi di prova diversi dagli estratti conto, l'incertezza quanto al fatto che, con riferimento al periodo non documentato, il correntista abbia maturato, per effetto dello storno di importi non dovuti (quali interessi ultralegali
o anatocistici), un credito di imprecisato ammontare - tale da rendere impossibile la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti per il periodo successivo -, la domanda deve essere respinta; di
contro, nella causa promossa dal correntista per la rideterminazione
del saldo o la ripetizione dell'indebito, ove non risulti provato, anche
con l'apporto di mezzi di prova che possono essere diversi dagli
estratti conto, che il saldo dell'intervallo temporale non documentato
abbia ad oggetto un debito inferiore o inesistente, o addirittura un
credito di detto soggetto, si devono elaborare i conteggi partendo da
tale saldo debitore (Cass. 2 maggio 2019, n. 11543; nel medesimo
senso, Cass. 9 dicembre 2019, n. 32016 e Cass. 13 gennaio 2020, n.
330, non massimate sul punto).
Poiché, come osservato, tali criteri non possono trovare
riscontro applicativo nel caso di contrapposte domande della banca e
del correntista, deve darsi atto - in mancanza di prove quanto allemovimentazioni del conto occorse nel periodo iniziale del rapporto -
che da un lato la banca non potrà invocare, in proprio favore,
l'addebito della posta iniziale del primo degli estratti conto prodotti e
che, dall'altro, il correntista non potrà aspirare a un rigetto della
domanda di pagamento della banca stessa (rigetto che del resto si
giustifica, nelle azioni proposte dall'istituto di credito, con la astratta
possibilità che, in ragione delle eliminazione delle somme
illegittimamente addebitate al cliente nel periodo non documentato, il
saldo su cui innestare le successive movimentazioni del conto sia a
credito del correntista stesso, e ciò per un ammontare
necessariamente - indefinito: ma tale possibilità, a ben vedere, non
si pone, almeno di regola, allorquando il correntista si faccia pure
attore, giacché in questo caso lo stesso formulerà una domanda che,
per non risultare indeterminata, dovrà negare la suddetta evenienza).
Il rapporto di dare e avere tra le parti va dunque ricostruito in
base agli estratti conto acquisiti: il che è quanto dire che,
nell'evenienza indicata, il saldo debitore iniziale del primo estratto
conto deve essere azzerato.
Resta da aggiungere che, ovviamente, tale integrale
neutralizzazione delle partite non deve operarsi quando una delle parti
riconosca che il saldo del periodo non documentato sia, per lei, meno
favorevole rispetto al saldo zero. Così, se, con riferimento al detto
arco di tempo, il correntista, a fronte della pretesa della banca che
vanti un credito di un certo ammontare, riconosca di essere debitrice
per un importo inferiore, non vi sarà ragione per operare
l'azzeramento del saldo: il conteggio delle spettanze dovrà muovere
dal dato indicato dal correntista, che riflette la concorde posizione dei
contendenti quanto all'esistenza di un saldo di segno negativo. Lo
stesso varrà nell'ipotesi inversa, in cui sia cioè la banca ad ammettere
che alla data del primo estratto conto il proprio cliente risultava
creditore di un importo inferiore rispetto a quello che lo stesso ha
indicato: anche in tal caso risulterebbe ingiustificata l'ob1iterazione
della concorde allegazione dei contendenti circa l'esistenza di un saldo
a credito del cliente. Non ha invece fondamento la soluzione indicata dall'odierna
ricorrente: soluzione basata sull'asserita necessità di procedere a due
ricalcoli del dovuto, l'uno partendo dal saldo zero e l'altro dal primo
saldo debitore documentato. Un tale criterio si mostra incapace di
ricondurre a un esito unitario l'applicazione del principio dell'onere
della prova nella subiecta materia e produce l'effetto, inaccettabile dal
punto di vista logico, prima che giuridico, di generare, con riferimento
al medesimo rapporto, due diversi saldi (l'uno riferito alla domanda
della banca e l'altro a quella del correntista).
Non é del resto nemmeno ipotizzabile che, in presenza di
contrapposte domande della banca e del correntista, il giudice possa
attribuire al corredo documentale della causa un valore differenziato in
funzione degli oneri probatori delle parti: e ciò in quanto nel sistema
processualcivilistico vigente opera il principio di acquisizione della
prova, in forza del quale un elemento probatorio, una volta introdotto
nel processo, è definitivamente acquisito alla causa, sicché il giudice è
tenuto a utilizzare le prove raccolte indipendentemente dalla
provenienza delle stesse dalla parte gravata dell'onere probatorio
(Cass. Sez. U. 23 dicembre 2005, n. 28498). E così, ad esempio, la
domanda di ripetizione del correntista non potrà essere respinta in
ragione dell'integrale mancata produzione, da parte dello stesso, degli
estratti conto qualora una parte di questi (tale da rendere possibile la
ricostruzione delle movimentazioni bancarie da un certo momento in
poi, e da permettere l'accoglimento della pretesa di detto soggetto,
partendo dal saldo zero) sia stata comunque acquisita al processo
grazie alla banca.
1.6. - Il primo motivo va dunque rigettato in base al seguente
principio di diritto: nei rapporti bancari di conto corrente, una volta
che sia stata esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali
o anatocistici a carico del correntista e si riscontri la mancanza di una
parte degli estratti conto, il primo dei quali rechi un saldo iniziale a
debito del cliente, la proposizione di contrapposte domande da parte
della banca e del correntista implica che ciascuna delle parti sia
onerata della prova della propria pretesa; in conseguenza, in assenzadi elementi di prova che consentano di accertare il saldo del conto nel
periodo non documentato, e in mancanza di allegazioni delle parti che
permettano di ritenere pacifica l'esistenza di un credito o di un debito
di un certo importo con riferimento a tale arco temporale, deve
procedersi alla determinazione del rapporto di dare e avere, con
riguardo al periodo successivo, per cui constano gli estratti conto,
precedendosi all'azzeramento del saldo iniziale del primo di detti
estratti conto.
2. - Il secondo mezzo oppone la violazione o falsa applicazione
dell'art. 1283 c.c. e dell'art. 7 delib. CICR del 9 febbraio 2000. La
ricorrente contesta la decisione impugnata con riguardo al ritenuto
mancato adeguamento della clausola anatocistica. Deduce, per un
verso, che il contratto di apertura di conto corrente era stato concluso
nel 1983, quando l'applicazione della capitalizzazione trimestrale era
considerata, dalla giurisprudenza di questa Corte, «alla stregua di un
vero e proprio uso normativo e - dunque - legittima ed efficace».
Rileva, per altro verso, con specifico riguardo alla previsione di cui al
cit. art. 7, che la pubblicazione ivi prevista, da parte degli istituti di
credito, della modificazione delle condizioni contrattuali sulla Gazzetta
Ufficiale sarebbe da considerare meramente facoltativa.
2.1. - Il motivo va disatteso.
2.2. - La censura relativa alla capitalizzazione attuata nel
periodo non disciplinato dalla delib. CICR del 9 febbraio 2000 si
riferisce a questione di cui la sentenza impugnata non si occupa e che
la banca ricorrente non spiega come sia stata fatta valere in appello.
Ciò detto, ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni
di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte
ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per
novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione
innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di
autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del
giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte
di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di
esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).
2.3. - Sul tema relativo alla pubblicazione della modificazione
delle condizioni contrattuali sulla Gazzetta Ufficiale si impongono, poi,
le considerazioni che seguono.
Stabilisce l'art. 7 del i b. CICR 9 febbraio 2000:
«Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati
anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera
devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il
30 giugno 2000 e i relativi effetti si producono a decorrere dal
successivo 1 o luglio.
«Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un
peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche
e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30 giugno
2000, possono provvedere all'adeguamento, in via generale, mediante
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Di tali
nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla
clientela alla prima occasione utile e, comunque, entro il 31 dicembre
2000.
«Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un
peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela».
E' evidente che la locuzione «possono provvedere» si riferisca all'adeguamento dei contratti, non all'incombente che ne costituisce la modalità di attuazione, e cioè - appunto - la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale: la norma precisa infatti che l'adeguamento si compie «mediante» tale attività, oltre che con la comunicazione alla clientela. L'elemento di facoltatività è quindi da riferire alla modificazione, nel senso del nominato adeguamento, delle condizioni contrattuali (altrimenti nulle, quanto all'anatocismo), non alla richiamata pubblicazione. L'interpretazione suggerita dal ricorrente non ha dunque fondamento.
Sul punto è però assorbente il rilievo per cui la disposizione di cui qui si controverte, contenuta nel secondo comma dell'art. 7 della nominata delibera, è, in realtà, inapplicabile. Poiché, infatti, le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell'entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, il giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell'art. 7 cit., teso a verificare se le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate non può operarsi, onde la pratica dell'anatocismo, per il periodo che interessa, poteva trovare giustificazione solo in una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, e cioè in una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell'art. 2 della predetta delibera (Cass. 19 maggio 2020, n. 9140). In tal senso va allora rettificata.
giusta l'art. 384, comma 4, c.p.c., la motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo risulta essere conforme al diritto.
3. - Il ricorso è in conclusione respinto.
4. - Segue, secondo soccombenza, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali

PQM

La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 17.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1 a Sezione
Civile, in data 10Mttembre 2020


 

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