REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FORTE Fabrizio - Presidente -
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -
Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere -
Dott. NAZZICONE Loredana - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 13672-2010 proposto da:
OLTOLINA S.P.A, FINGEST HOLDING S.R.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI 15, presso l'avvocato MARINO PATRIZIA, che le rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIUSTO DANIELE, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
LEASINT S.P.A., già INTESA LEASING S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 138, presso l'avvocato STANIZZI ANTONIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato PARIMBELLI NIVES, giusta procura speciale per Notaio dott. ALFONSO AJELLO di MILANO - Rep. n. 544591 del 3.6.2010;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 530/2010 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 25/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/01/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;
udito, per le ricorrenti, l'Avvocato P. MARINO che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l'Avvocato M. FERRARI, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

La Corte d'appello di Milano con sentenza del 25 febbraio 2010 ha confermato la sentenza del tribunale della stessa città, la quale aveva respinto la domanda proposta dalle odierne ricorrenti contro la Intesa Leasing s.p.a. e volta al risarcimento del danno per l'indebita segnalazione alla centrale dei rischi della Banca d'Italia di un credito in sofferenza per e 248.705,00 al 28 febbraio 2003.
La corte territoriale ha ritenuto che la documentazione prodotta dimostrasse la doverosità, della segnalazione del credito a sofferenza, posta la situazione di grave difficoltà economica nei pagamenti della Oltolina s.r.l., non essendo, invece, richiesta la definitiva irrecuperabilità della stessa.

Infatti, le segnalazioni erano state precedute dall'intimazione di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing, seguita bensì - alla data del 20 febbraio 2003 - dal pagamento di canoni pregressi, ma non dal rilascio dell'autorizzazione permanente di addebito in conto dei canoni, mediante il modello "rid": condizione cui, invece, la concedente aveva subordinato la ripresa del rapporto, evidenziando che, inoltre, in tal caso la somma sarebbe stata considerata in conto del risarcimento del danno. Essa, dunque, si era dichiarata disposta a rinunciare al credito maturato ed alla penale, pur di ottenere maggiore sicurezza della riscossione futura, e la consegna di tali modelli "rid" - contrariamente all'assunto delle appellanti - non costituiva una mera modalità di pagamento, ma la legittima condizione per il ripristino dei contratti di leasing. La condizione di inadempimento, pertanto, non presentava affatto carattere di occasionalità, ma era al contrario reiterata, autorizzando una diagnosi negativa circa le condizioni patrimoniali della debitrice; nè l'insussistenza di una situazione di sofferenza poteva ritenersi emergere dal bilancio al 31 dicembre 2002, come preteso dalla lessee, sia perchè ignoto alla controparte al momento delle segnalazioni di febbraio e marzo 2003, sia perchè contraddette dalla situazione sopra evidenziata.

Contro questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione dalle soccombenti, affidato a tre motivi; resiste l'intimata con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivazione

1. - Con il primo motivo, si deduce la violazione o la falsa applicazione della circolare della Banca d'Italia dell'11 febbraio 1991, n. 139, e successivo aggiornamento, in relazione al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 53, comma 1, lett. b), art. 67, comma 1, lett. b) e art. 107, comma 2, in quanto nella predetta normativa regolamentare è previsto che l'appostazione a sofferenza implica, da parte dell'intermediario, la valutazione della complessiva situazione finanziaria del cliente e non deriva automaticamente da un ritardo: laddove la corte del merito ha fondato il suo convincimento su circostanze inidonee a configurare una incapacità non transitoria, considerato che ad ogni inadempimento contestato era sempre seguita la riattivazione del contratto. Infatti, la società di leasing, pur dopo l'intimazione della risoluzione, aveva permesso sempre la prosecuzione del rapporto, evidentemente non reputando esistere un'incapacità nei pagamenti. La mancata consegna dei "rid" non è, poi, idonea a dimostrare lo stato di incapacità patrimoniale, ma costituiva mera modalità di pagamento.

Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1362 c.c., comma 2, artt. 1175 e 1375 c.c., posto che la concedente aveva sempre offerto la possibilità di ripristino dei contratti, comportamento in sè significativo del giudizio positivo sulla condizione finanziaria della utilizzatrice: onde condizionare poi il ripristino del contratto al rilascio dei "rid" si palesava contrario a buona fede.

Con il terzo motivo, si deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di documenti e l'omessa ammissione di prove, nonchè il travisamento del bilancio al 31 dicembre 2002, non sussistendo alcun elemento che potesse contraddire le risultanze contabili positive in questo presenti, mentre comunque era onere della controparte acquisire detto bilancio ed informarsi sulle condizioni patrimoniali dell'utilizzatrice. Inoltre, la corte del merito non ha ammesso la prova sui capitoli, volti a provare la circostanza decisiva della mancata attivazione dell'intermediario al fine di effettuare indagini conoscitive; ed ha errato nell'indicare l'importo oggetto della segnalazione, neppure tenendo conto del versamento della somma di Euro 58.000,00.

2. - I primi due motivi, che possono essere congiuntamente trattati in quanto intimamente connessi, sono infondati.

2.1. - Rilevano, al riguardo, la Delib. CICR del 16 maggio 1962, che ha istituito il Servizio per la centralizzazione dei rischi bancari gestito dalla Banca d'Italia; la Delib. CICR del 29 marzo 1994, emessa ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 53, comma 1, lett. b), art. 67, comma 1, lett. b) e art. 107, comma 2, che disciplina il servizio; le Istruzioni emanate dalla Banca d'Italia di cui alla Circolare dell'11 febbraio 1991, n. 139, e successivi aggiornamenti.
Secondo l'art. 5 di queste ultime, nel testo di cui all'86 aggiornamento applicabile ratione temporis (ma, sul punto, non mutato sino ad oggi), che riguarda le "modalità di segnalazione" delle sofferenze, va qui ricondotta "l'intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall'azienda. Si prescinde, pertanto, dall'esistenza di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio dei crediti.
L'appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell'intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest'ultimo nel pagamento del debito".

2.2. - Orbene, costituisce principio costantemente affermato da questa Corte quello secondo cui, ai fini della segnalazione alla centrale dei rischi, la nozione di insolvenza non si identifica con quella propria fallimentare, ma si concretizza in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come "deficitaria", ovvero come di "grave difficoltà economica", senza, quindi, alcun riferimento al concetto di incapienza o irrecuperabilità (Cass. 16 dicembre 2014, n. 26361; 9 luglio 2014, n. 15609; 10 ottobre 2013, n. 23093; 12 ottobre 2007, n. 21428): dunque, pur oggettivamente derivata dal modello di cui all'art. 5 L. Fall., si tratta tuttavia di una nozione levior rispetto a quella dell'insolvenza fallimentare (cfr. Cass. 1 aprile 2009, n. 7958; 12 ottobre 2007, n. 21428, cit.).

2.3. - Lamenta parte ricorrente che, nella specie, non vi fosse una simile situazione di "sofferenza".
Tuttavia, la corte del merito non si è limitata all'astratto richiamo ai suddetti principi (che, per la verità, entrambe le parti condividono), ma ne ha fatto concreta applicazione, laddove ha ritenuto che l'inadempimento non avesse affatto il carattere della occasionalità, proprio perchè, nonostante le reiterate riattivazioni dell'accordo, l'utilizzatrice continuava ad essere gravemente morosa: conseguentemente inferendone che i ripetuti inadempimenti potessero essere legittimamente assunti come sintomatici di una difficoltà perdurante al pagamento.
Si tratta di una valutazione che, da un lato, non viola le richiamate disposizioni laddove applica il principio ricordato, mentre, per il resto, costituisce un giudizio di merito insindacabile in questa sede.

2.4. - Ha aggiunto, in particolare, la sentenza impugnata - individuandovi un indice dello stato predetto - che l'utilizzatrice aveva omesso di rispettare la condizione cui la riattivazione era stata subordinata, ossia il rilascio dei c.d. R.I.D., quale mezzo di pagamento idoneo a sostanziare la seria volontà e capacità di adempiere.

Neppure sotto tale profilo la sentenza merita la censura avanzata dalla parte ricorrente.
Occorre, invero, osservare che il c.d. modulo "rid", o "rapporto interbancario diretto", consiste nell'autorizzazione del cliente, attuata mediante apposito modulo, alla banca ad operare un determinato addebito periodico a carico del proprio conto corrente.
Si tratta di ordini di pagamento impartiti dal cliente per svariate esigenze dei commerci, nell'ambito di rapporti interbancari diretti, in cui si pone, da una parte, la banca del debitore (c.d. banca domiciliataria) e, dall'altra parte, la banca del creditore (c.d. banca assuntrice o di allineamento).
Ad esso, come dimostra la prassi, si ricorre sovente nei contratti di durata, attribuendovisi funzione rafforzativa del credito (cfr., ad es., in tale prospettiva, il D.P.R. n. 207 del 2010, art. 70, con riguardo al pagamento del compenso alla società organismi di attestazione, c.d. SOA): mediante l'assunzione e la comunicazione a controparte dell'avvenuta autorizzazione di addebito in conto corrente bancario per l'intero corrispettivo si persegue un fine di garanzia del credito in senso atecnico (dato che non entra in gioco un secondo patrimonio).
Il rifiuto di consegnare tali moduli - consegna cui, secondo l'insindacabile apprezzamento del giudice del merito, il lessor aveva subordinato la ripresa dell'efficacia del contratto - costituiva dunque, come la corte del merito ha ritenuto senza alcun vizio logico o giuridico, ulteriore elemento che evidenziava la situazione di difficoltà ad adempiere.

3. - Il terzo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

La corte territoriale ha escluso che il bilancio dell'esercizio 2002 fosse sufficiente a provare al lessor l'inesistenza della situazione di sofferenza, in quanto non conosciuto da controparte quando, a febbraio-marzo 2003, operò la segnalazione, aggiungendo come comunque esso fosse contraddetto dalla situazione sopra evidenziata.

Tale seconda, sintetica affermazione non è, tuttavia, di per sè idonea a privare di fondamento la prima, incontestabile, in quanto fondata sul dato cronologico.

La parte del motivo che lamenta la mancata ammissione di prova orale non è autosufficiente, non chiarendo neppure di quale prova si tratti, se testimonianza o interrogatorio formale; mentre l'allegato errore della corte del merito nell'indicare l'importo del credito resta irrilevante, non risultando il punto sottoposto alla medesima.
Infine, la somma non corrisposta quale canoni insoluti fu correttamente indicata nella segnalazione, posto che il pagamento di un importo pregresso era in attesa di imputazione, come tale non compensabile a rettifica dell'importo da segnalare (Istruzioni, cap. 1, Sez. 1.5).
In definitiva, il procedimento logico-giuridico sviluppato nell'impugnata decisione a sostegno delle riportate conclusioni è coerente e razionale, nonchè frutto di un esame puntuale delle risultanze di causa; si palesa come, nella fattispecie concreta, la segnalazione del credito "in sofferenza" avvenne per fini conformi a quelli della doverosa informativa al sistema creditizio, rispecchiando esattamente la situazione oggettiva di incapacità finanziaria rilevante.

Per il resto, sotto l'egida del vizio di motivazione, parte ricorrente vorrebbe piuttosto misurare la situazione con criteri valutativi diversi da quelli della sentenza impugnata, ma il controllo previsto dal vizio di motivazione del giudizio di fatto, consentito al giudice di legittimità, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio del primo.
Infatti, il motivo sottopone alla Corte questioni di fatto e valutazione di prove già compiute, senza vizi logici o giuridici, dal giudice del merito ed unicamente allo stesso spettanti, onde l'argomentare della corte territoriale non è altrimenti sindacabile, dovendosi ricordare che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione contrapponendone uno difforme l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente (e multis, cfr., in motivazione, Cass., ord. 21 giugno 2012, n. 10347; ord. 14 giugno 2012, n. 9764; 1 giugno 2012, n. 8877; 10 gennaio 2012, n. 86; ord., 6 aprile 2011, n. 7921; 12 agosto 2004, n. 15693; 7 agosto 2003, n. 11936).

4. - Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente, in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2016.
Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2016


 

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