REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 27 gennaio 2021
NUMERO AFFARE 01395/2020
OGGETTO:
Ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali.
Modifiche statutarie. Calcolo del quorum dei due terzi dei consiglieri assegnati. Quesito;
LA SEZIONE
Vista la relazione n. 16030 del 23 novembre 2020, trasmessa con nota n. prot. 16092 del 24 novembre 2020, con la quale il Ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali, Direzione centrale per le autonomie, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Paolo Carpentieri;

Svolgimento del processo

Premesso:

1. Con il quesito in oggetto il Ministero dell’interno ha posto due questioni interpretative: a) se il sindaco debba essere computato nella determinazione del numero di voti necessario per l’approvazione dello statuto e delle modifiche statutarie; b) quale sia il criterio di arrotondamento che si debba applicare nel caso in cui, nel calcolo del quorum richiesto, la divisione dia come resto un numero con frazioni decimali (se “il criterio dell'arrotondamento per eccesso anche in caso di cifra decimale inferiore o pari a 5, sia da intendersi quale criterio prevalente, nel caso in cui il quorum sia prescritto per la validità della deliberazione”). Ha altresì domandato quale debba essere il suddetto criterio nell’ipotesi di quorum deliberativo previsto dalla legge in relazione a poteri di iniziativa da parte dei consiglieri ai fini dell'attivazione di istituti posti a presidio delle minoranze.

2. Riferisce il Ministero che il dubbio interpretativo nasce da un quesito pervenuto riguardo al corretto computo del quorum dei due terzi dei consiglieri assegnati previsto dall’art. 6, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (d’ora innanzi “TUEL”) per l’approvazione (in prima votazione) delle modifiche statutarie (nel caso concreto che ha originato il quesito un Comune con meno di 3.000 abitanti, il cui consiglio comunale è composto dal sindaco e da 12 membri, ha adottato le modifiche con una sola delibera e con il voto favorevole di sette consiglieri su un totale di undici componenti del consiglio comunale, compreso il sindaco).

3. Espone, inoltre, il Ministero che non vi è uniformità né nella normativa, né nell’interpretazione giurisprudenziale e applicativa, sia riguardo al numero esatto dei consiglieri per la determinazione del quorum (considerata la possibilità che il calcolo matematico della maggioranza richiesta produca dei resti con decimali, atteso il diverso numero dei membri in relazione alla fascia demografica di appartenenza del comune), sia riguardo alla posizione del sindaco, se debba o meno essere computato per la validità della seduta e/o della votazione.

5. Da qui la ritenuta necessità di acquisire in merito il parere di questo Consiglio di Stato.

Motivazione

Considerato:

1. È preferibile procedere ad esaminare distintamente le due questioni (pur tra loro connesse) in cui si scinde il quesito proposto dal Ministero dell’interno.

2. Occorre dunque cominciare dalla prima delle suddette questioni: se il sindaco debba essere computato nella determinazione del numero di voti necessario per l’approvazione dello statuto e delle modifiche statutarie e, più in generale, quando, in assenza di espresse disposizioni normative sul punto, debba escludersi (o ammettersi) il sindaco nella determinazione del quorum richiesto (per la più agevole trattazione del tema, è utile qui rammentare che il comma 4 dell’art. 6 del TUEL così recita: “4. Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle modifiche statutarie”).

2.1. Evidenzia, in particolare, il Ministero che “nel decreto legislativo n. 267/2000 per diverse fattispecie espressamente viene esclusa la presenza del sindaco ai fini della validità della seduta (cfr. art. 38, comma 2, secondo periodo, art. 52, comma 2 e art. 141, comma 1, lettera b), numero 3)”, mentre il “richiamato art. 6 del D.Lgs. n. 267/2000, invece, prevede espressamente che ai fini del raggiungimento del quorum deliberativo occorra far riferimento ai consiglieri assegnati (non viene, quindi, espressamente escluso il sindaco), diversamente, ad esempio, nel caso della istituzione delle commissioni d'indagine (art. 44, comma 2), ovvero dell'approvazione delle convenzioni per i consorzi (art. 31, comma 2) o, ancora, per la deliberazione di immediata esecutività del provvedimento consiliare (art. 134, comma 4 del T.U.O.E.L.) laddove le relative disposizioni fanno riferimento alla maggioranza dei membri dell'organo assembleare ovvero dei componenti dello stesso”.

2.2. Sarebbe dunque possibile, come emerge dalla relazione ministeriale, sostenere in prima approssimazione o che il sindaco debba essere sempre computato ogni qual volta la legge (o la fonte secondaria comunale, se e in quanto a tanto legittimata) non lo escluda espressamente (secondo il noto criterio interpretativo per cui “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”), oppure che il sindaco assuma una posizione istituzionale diversa da quella dei normali consiglieri e dunque non rientri, in quanto tale, nella nozione di “consiglieri assegnati” al consiglio, pur facendone parte (ed essendo, quindi, un suo componente), con la conseguenza per cui il sindaco debba essere escluso dal computo quando (come accade nel caso della deliberazione dello statuto e delle modifiche statutarie di cui al comma 4 dell’art. 6) la norma parli di “consiglieri assegnati” e non di componenti.

2.3. Per dirimere la questione è necessario partire dall’esame della posizione che la figura del sindaco assume nell’ambito dell’ordinamento dell’ente locale. Egli costituisce uno degli organi di governo del comune (art. 36 TUEL, insieme al consiglio e alla giunta); è l’organo responsabile dell'amministrazione del comune e ne ha rappresentanza (art. 50 TUEL); nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti presiede il consiglio comunale e lo convoca (art. 39 TUEL; nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti è prevista invece l’elezione di un presidente del consiglio comunale); ha normalmente, comunque, diritto di voto in seno al consiglio; è il capo della formazione politica di maggioranza ed è eletto a suffragio universale e diretto, contestualmente all'elezione del consiglio comunale (con il sistema elettorale maggioritario nei comuni sino a 15.000 abitanti); l’art. 37 del TUEL prevede che “il consiglio comunale è composto dal sindaco e . . [un numero variabile, a seconda della classe demografica, di] membri”.

2.4. Al riguardo la Corte costituzionale, come ricordato anche nella relazione ministeriale, ha chiarito (con la sentenza 20 febbraio 1997, n. 44) che, pur a seguito della nuova disciplina dettata dalla legge n. 81 del 1993 sulla elezione diretta del sindaco, restano applicabili nei suoi confronti le disposizioni dell'art. 3 della legge 23 aprile 1981, n. 154 in tema di cause di incompatibilità con la carica di consigliere comunale, e ciò sul rilievo che il sindaco riveste comunque, pur nel nuovo sistema, la carica di consigliere comunale (“In base alla riforma recata dalla legge n. 81 del 1993, il Sindaco, eletto direttamente, non è più scelto sulla base della sua precedente investitura nella carica di consigliere comunale, come avveniva in forza dell'abrogato art. 5, primo comma, del t.u. n. 570 del 1960, ma è pur sempre membro del consiglio comunale, secondo l'art. 34, comma 1, della legge n. 142 del 1990 (nel testo risultante dalla novella recata dall'art. 16 della legge n. 81 del 1993), e come è ribadito dall'art. 1 della stessa legge n. 81 del 1993, secondo cui "il consiglio comunale è composto dal Sindaco" e da un numero di membri variabile secondo la popolazione del Comune”).

2.5. Il Sindaco, pertanto, nonostante la sua elezione diretta e il suo ruolo autonomo di organo di vertice dell’amministrazione comunale, resta tuttavia anche a tutti gli effetti un consigliere comunale.

2.6. La Sezione, dopo un’approfondita analisi dei diversi riflessi ermeneutici e applicativi implicati dalle due tesi in campo, giudica senz’altro preferibile, perché conduce a esiti più chiari e distinti e di più semplice e univoca applicazione, la tesi che aderisce alla lettera del TUEL, con esclusione di interpretazioni finalisticamente orientate, che appaiono foriere di potenziali incertezze attuative.

2.7. È vero, rileva la Sezione, che la norma del TUEL specificamente dedicata alla composizione del consiglio comunale (art. 37, Composizione dei consigli), come si è visto, sembra distinguere la posizione del sindaco rispetto a quella dei consiglieri assegnati (“Il consiglio comunale è composto dal sindaco e: a) da 60 [50, 46, etc.] membri nei comuni con popolazione superiore a . . .”). Ma questa circostanza non appare decisiva, né risulta valorizzata dalla giurisprudenza. Anzi, questo Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sez. V, sentenza 5 settembre 2012, n. 4694), ha sostenuto che il sindaco, in quanto consigliere comunale ai sensi dell’art. 39 del TUEL, deve essere computato ai fini del calcolo della maggioranza qualificata necessaria per l’elezione del presidente del consiglio comunale (in una fattispecie nella quale lo statuto e il regolamento comunali stabilivano il quorum per l’elezione del presidente del consiglio comunale nei due terzi dei consiglieri assegnati al comune, senza ulteriori precisazioni).

2.8. La Sezione non giudica, pertanto, condivisibile la posizione che sembra emergere dalla relazione del Ministero richiedente, secondo la quale il sindaco, fermo restando che è a tutti gli effetti un componente del consiglio comunale (come inequivocamente stabilito dall’art. 37 del TUEL e già chiarito dalla richiamata sentenza della Consulta n. 44 del 1997), ciò nondimeno dovrebbe essere computato nel quorum nei soli casi in cui la norma parli di “componenti” o “membri” dell’organo (ad, es, nell’art. 31, comma 2, o nell’art. 44, comma 2, del TUEL), mentre non debba essere computato nel caso in cui la norma parli di “consiglieri” assegnati all’organo, poiché il sindaco, sotto questo profilo, non sarebbe un mero consigliere, ma rivestirebbe all’interno della compagine consiliare, per le ragioni dette, una posizione speciale, che lo differenzia rispetto agli altri consiglieri eletti (tesi, questa, a favore della quale pur si rinvengono talune indicazioni nella pronuncia del Tar della Lombardia, sede di Milano, n. 1604 del 22 giugno 2011, richiamata dal Ministero, che risulta non appellata e dunque passata in giudicato).

2.9. Risolutivo in senso opposto, come anticipato, viene giudicato dalla Sezione il fatto che il TUEL, quando ha voluto escludere il sindaco dal computo dal quorum, lo ha espressamente detto, e ciò anche nell’ambito di disposizioni normative nelle quali il quorum risulta designato con riferimento ai “consiglieri assegnati”. Così accade, ad esempio, nell’art. 38, comma 2, secondo periodo, del TUEL, dove la norma, pur parlando di “almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all'ente”, ritiene poi di esplicitare comunque “senza computare a tale fine il sindaco”, specificazione che sarebbe inutile, secondo la linea interpretativa alternativa sopra indicata. Alla stessa stregua, l’art. 52 stesso testo unico (Mozione di sfiducia), nel comma 2, secondo periodo, prevede che “La mozione di sfiducia deve essere motivata e sottoscritta da almeno due quinti dei consiglieri assegnati, senza computare a tal fine il sindaco . . . ”, e l’art. 141 (Scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali), contempla, nel comma 1, lettera b), numero 3), la “cessazione dalla carica per dimissioni contestuali . . . della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia”.

2.10. La soluzione aderente alla lettera della norma risulta, ad avviso della Sezione, più semplice e lineare e maggiormente rispettosa delle prerogative del sindaco, in quanto consigliere comunale, rispetto ad altre interpretazioni, dagli esiti incerti e opinabili, in base alle quali, in mancanza di indicazioni normative espresse circa la computabilità o meno del sindaco ai fini della determinazione dei quorum richiesti per singole tipologie di deliberazioni, occorrerebbe ricercare la soluzione sulla base della ratio sottesa alle specifiche previsioni che impongono quorum (strutturali o funzionali) speciali e diversi da quelli ordinari, e dunque indagando sulle ragioni (logico-giuridiche o finali) del quorum richiesto per singole tipologie di deliberazioni (per cui, ad esempio, si dovrebbe preferire l’esclusione del sindaco dal computo allorquando la ratio del quorum speciale sia da rinvenire nell’esigenza di rafforzare la maggioranza richiesta e di imporre convergenze e condivisioni più ampie per talune determinazioni maggiormente incidenti sulla struttura dell’ente, sul suo funzionamento o sugli interessi pubblici amministrati dall’ente stesso, come accadrebbe nel caso dell’approvazione dello statuto e delle modifiche statutarie).

2.11. In base al principio per cui ubi lex voluit, dixit, ubi noluit, tacuit, occorre attenersi rigorosamente alla lettera della legge (e degli statuti e dei regolamenti comunali, tenendo conto anche dell’autonomia costituzionalmente riconosciuta dall’art. 114 Cost.). Se in alcuni articoli del TUEL è specificato che il sindaco non va computato tra i consiglieri assegnati, è da concludere che, negli altri casi, il TUEL presupponga che tra i consiglieri assegnati sia da comprendere il sindaco. Tale soluzione si pone in linea con le pregresse circolari diramate da codesta Amministrazione nel senso che i casi in cui non deve essere computato il sindaco sono quelli espressamente previsti dalla legge mentre, all'inverso, il silenzio della legge significa che nel calcolo del quorum deve essere computato anche il sindaco.

2.12. Al primo quesito la Sezione risponde, pertanto, nel senso che l’art. 6, comma 4, del TUEL, che richiede per l’approvazione dello statuto e per le modifiche statutarie in prima seduta il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati, deve interpretarsi nel senso che ai fini del predetto quorum debba computarsi anche il sindaco, in quanto non espressamente escluso dalla disposizione normativa.

3. La seconda questione sottoposta dal Ministero all’esame di questo Consiglio verte sul criterio di calcolo dell’arrotondamento nel caso in cui la maggioranza richiesta per la deliberazione sia definita dalla norma indicando una frazione (un terzo, due terzi, etc.) del numero complessivo dei componenti (che è variabile in funzione della classe demografica di appartenenza dell’ente locale) e il risultato della divisione del numero dei componenti l’organo collegiale (o dei consiglieri assegnati) dia un resto in decimali; se, cioè, in tali casi, si debba fare uso dell’arrotondamento per difetto, alla cifra inferiore, o per eccesso, a quella superiore.

3.1. La legge fornisce scarne e incomplete indicazioni in merito, lasciando all’autonomia organizzativa comunale ampi margini di autorganizzazione tramite lo statuto e i regolamenti sul funzionamento degli organi. In particolare, l’art. 38, comma 2, del TUEL riserva a un apposito regolamento comunale, approvato a maggioranza assoluta, la disciplina del funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto. Il secondo periodo del comma 2 in esame prevede poi che “Il regolamento indica altresì il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all'ente, senza computare a tale fine il sindaco e il presidente della provincia”. In proposito la giurisprudenza ha condivisibilmente stabilito che l’unico limite invalicabile, posto dalla legge all’autonomia statutaria e regolamentare comunale, è costituito dalle soglie minime di validità della costituzione e riunione dell’organo (quorum strutturale), come stabilito dall’ora citato comma 2 dell’art. 38 (in tal senso cfr. Cons. Stato, Sez. III, 1 marzo 2018, n. 1482, che ha giudicato inderogabile la disciplina del calcolo del quorum costitutivo prevista dall’art. 38, comma 2, del TUEL, nonché Cons. Stato, Sez. V, 5 settembre 2012, n. 4694).

3.2. Guardando, adesso, più specificamente al quesito proposto, relativo all’interpretazione dell’art. 6, comma 4, del TUEL, rileva in primo luogo il Collegio, sul piano del metodo, che, in assenza di indicazioni normative puntuali di diverso segno, in base ai principi di logica immanenti al sistema, tra i quali devono senz’altro includersi le regole dell’aritmetica, dovrebbe sempre trovare applicazione prioritaria il criterio aritmetico di arrotondamento, menzionato peraltro nello stesso TUEL, nell’art. 47, sulla Composizione delle giunte, lì dove si prevede che il numero degli assessori “non deve essere superiore a un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali”. Ora, come è noto, l’arrotondamento aritmetico (o “troncamento”) comporta che l'arrotondamento debba essere effettuato per difetto quando la cifra decimale sia uguale o inferiore a 5 (0,50 centesimi), mentre debba essere per eccesso, ove la cifra decimale sia superiore a 5 (0,50). Con la precisazione che il criterio aritmetico dell’arrotondamento al numero intero più vicino, con troncamento delle cifre decimali inferiori allo 0,50, non deve mai condurre al raggiungimento di una cifra inferiore al quorum stabilito dalla legge (Cons. Stato, Sez. V, 5 settembre 2012, n. 4694).

3.3. Il mero criterio aritmetico non è tuttavia sufficiente a risolvere in modo soddisfacente la questione. Analogamente a quanto si è visto riguardo al primo quesito, anche per questa seconda problematica sono in astratto configurabili due possibili linee interpretative.

3.3.1. Una prima linea interpretativa, di tipo finalistico, è orientata verso la ricerca delle ragioni sottese alla previsione di speciali maggioranze deliberative (aggravate o semplificate), ragioni che possono essere alternativamente quella di garantire la più ampia condivisione possibile e la maggiore rappresentatività in relazione a deliberazioni di particolare rilievo e incidenza sulla vita dell’ente e sugli interessi pubblici amministrati, oppure quella di assicurare alcune garanzie partecipative e di controllo alle minoranze, con la conseguenza che, nel primo caso, si dovrebbe scegliere la soluzione interpretativa che renda più impegnativo lo sforzo di approvazione della deliberazione, allargando al massimo il numero dei voti necessari, mentre nel secondo caso si dovrebbe di converso preferire la soluzione opposta, diretta a facilitare l’approvazione ritenendo sufficiente il minimo numero possibile di voti (al fine di non vanificare l’esigenza partecipativa della minoranza). Impostazione, questa, che sembrerebbe trasparire anche dalla relazione ministeriale, secondo la quale, in sostanza, la regola generale dovrebbe essere costituita dall’arrotondamento per eccesso (a garanzia di maggiore partecipazione e rappresentatività dell’organo), mentre, a mo’ di eccezione a questa regola, dovrebbe invece assumersi il criterio opposto, quello dell’arrotondamento per difetto “laddove la percentuale minima di consiglieri sia stabilita ai fini dell'attivazione di istituti posti a presidio delle minoranze (ad es. art. 39, comma 2, o art. 52, comma 2, citati)”, di talché la regola dell’arrotondamento per eccesso dovrebbe trovare applicazione, ad esempio, nel caso, che qui ha originato il quesito, del calcolo della maggioranza pari a due terzi per la deliberazione dello statuto e delle modifiche statutarie, come anche per il caso, esaminato dalla citata sentenza di questo Consiglio, Sez. V, n. 4694 del 2012, in tema di elezione del presidente del consiglio comunale (in una fattispecie nella quale lo statuto prescriveva la maggioranza dei due terzi dei consiglieri assegnati).

3.3.2. Una seconda linea interpretativa converge, invece, su una soluzione, anche in questo caso più semplice e lineare, secondo la quale, nel silenzio del legislatore, dovrebbe applicarsi sempre l'arrotondamento all'unità superiore, in quanto l'esito con decimali dell'operazione (cui segue l'arrotondamento) deve soddisfare sempre il requisito minimo posto dalla disposizione (ad es., almeno un quarto dei componenti, la maggioranza di almeno due terzi dei componenti, e così via).

3.4. La Sezione giudica preferibile questa seconda soluzione, e ciò per un duplice ordine di ragioni. Sotto un primo profilo, effettivamente, quando la divisione riguarda numeri interi non frazionabili (i membri dell’organo), l’arrotondamento alla cifra intera inferiore (se la frazione è inferiore a 0,50) finirebbe per portare il numero reale dei componenti richiesti al di sotto della soglia minima voluta dalla norma (“almeno un quarto”, ad esempio: se la norma prevede che una certa procedura venga attivata da almeno un quarto dei componenti e i componenti sono 13, allora 13/4= 3,25, sicché per soddisfare il requisito minimo - non meno di 3,25 - e nell'impossibilità di dividere numeri interi non frazionabili, la procedura potrà ritenersi regolarmente attivata solo se promossa da 4 - e non da 3 - componenti). Sotto un secondo profilo, come già osservato a proposito del primo quesito, la linea interpretativa che si affida alla ricerca della ratio sottesa alla norma che richiede quorum speciali rischia di condurre ad esiti opinabili e incerti, come tali fortemente sconsigliabili in una materia quale quella in esame, che richiede per quanto possibile soluzioni nette e certe, che non lascino spazio a soverchi dubbi applicativi.

3.5. La preferenza per l’arrotondamento per eccesso trova peraltro un ampio riscontro nella giurisprudenza, secondo la quale “nei casi in cui il computo del quorum costitutivo o deliberativo previsto da norme di rango primario o secondario per la valida deliberazione di provvedimenti collegiali conduca all’individuazione di una cifra decimale, l’arrotondamento deve essere operato per eccesso all’unità superiore, dal momento che la soluzione contraria dell’arrotondamento per difetto all’unità inferiore, con il troncamento delle cifre decimali, ridurrebbe la soglia di maggioranza al di sotto di quella normativamente richiesta” (Cons. Stato, Sez. V, 5 settembre 2012, n. 4694; Id. 11 marzo 2005, n.1038; 23 aprile 1998, n 476; Tar Piemonte, Sez. II, 15 novembre 2017, n. 1224).

3.6. Concorre, infine, nella valutazione della Sezione favorevole all’opzione dell’arrotondamento per eccesso anche la considerazione della costante prassi seguita da entrambe le Camere del Parlamento nazionale che, in assenza di indicazioni testuali, assenti anche nei regolamenti parlamentari, hanno sempre agito nel senso di applicare in ogni caso l’arrotondamento per eccesso al numero intero superiore.

3.7. Al secondo quesito la Sezione risponde dunque che, in assenza di indicazioni normative espresse di segno diverso, nel caso in cui il risultato della divisione del numero dei componenti l’organo collegiale (o dei consiglieri assegnati) dia un resto in decimali, debba optarsi sempre per l’arrotondamento per eccesso alla cifra intera superiore.

PQM

P.Q.M.

Nei sensi suesposti è il parere della Sezione.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Paolo Carpentieri Mario Luigi Torsello

IL SEGRETARIO
Carola Cafarelli


 

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