Anche nel giudizio disciplinare, ove sussista una causa che non consenta la prosecuzione del procedimento, in particolare ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 1- bis, la Sezione disciplinare può pervenire ad una assoluzione sul merito della incolpazione se emerga in modo evidente dagli atti che il fatto non sussiste o che l'incolpato non lo ha commesso.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto - Primo Presidente f.f. -
Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere -
Dott. AMATUCCI Alfonso - Consigliere -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. MACIONE Luigi - Consigliere -
Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere -
Dott. PETITTI Stefano - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
S.C.;
- ricorrente -
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore;
Prpcuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione;
- intimati -
e nei confronti di:
Consiglio Superiore della Magistratura, in persona de Vicepresidente
e legale rappresentante pro tempore;
- intimato -
per la cassazione della sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura n.117 del 2011, depositata il 27 luglio 2011;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 gennaio 2012 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentito l'Avvocato Lucio Francario;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Iannelli Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

S.C. è stata tratta a giudizio dinanzi alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura per rispondere dell'illecito di cui al R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 e, dalla sua entrata in vigore, di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 3, comma 1, lett. d), per avere svolto, in violazione del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 16, comma 1, e successive modificazioni, attività incompatibili con la funzione giudiziaria. In particolare, alla dottoressa S. è stato addebitato di aver partecipato alla costituzione, nel 1991, di una società di fatto allo scopo di esercitare un'attività commerciale nel settore della danza e dello sport.
A conclusione delle indagini espletate, la Procura generale presso la Corte di cassazione ha formulato richiesta di non luogo a procedere per estinzione dell'azione disciplinare a norma del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 1-bis.
La sezione disciplinare, con ordinanza n. 117 de 2011, depositata il 27 luglio 2011, ha ritenuto che tale proposta dovesse essere accolta osservando che dagli atti dei giudizi civili intercorsi tra i soci della società risultava che la dottoressa S. recedette o comunque fu esclusa dalla società nell'anno 1993, sicchè essendo decorsi oltre 10 anni dei fatti addebitati alla incolpata era precluso l'esercizio dell'azione disciplinare.
La Sezione disciplinare ha poi osservato che la dottoressa S., pur avendo espresso consenso alla dichiarazione di estinzione dell'azione disciplinare, aveva tuttavia sostenuto in una memoria difensiva che vi sarebbero stati i presupposti per un suo proscioglimento nel merito. Questa deduzione doveva tuttavia ritenersi del tutto infondata, risultando dagli atti che la dottoressa S. aveva curato nella fase iniziale della società l'intero settore della danza e aveva quindi operato per conto del sodalizio, esercitando di fatto un'impresa commerciale.
Con ricorso depositato in data 29 settembre 2011 la dr.ssa S. ha chiesto la cassazione della predetta sentenza sulla base di due motivi; gli intimati Ministero della Giustizia, Procuratore generale presso la Corte di cassazione e Consiglio Superiore della Magistratura non hanno svolto attività difensiva.

Motivazione

1. Con il primo motivo, rubricato "violazione cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al R.D.Lgs. 31 maggio 1941, n. 511, art. 18 e D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 3, comma 1, lett. d), ed al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 16, comma 1, e succ. mod. e al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 3, lett. d)", la ricorrente impugna l'ordinanza nella parte in cui ha erroneamente ritenuto che la questione oggetto di attenzione nel procedimento disciplinare fosse inquadrabile nel campo di applicazione della normativa dettata in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati.
Si sostiene che dagli atti e dalle deposizioni rese in sede di interrogatorio sia dall'incolpata che dalle persone informate dei fatti nell'ambito del procedimento disciplinare, emergerebbe infatti con chiarezza che essa ricorrente, con l'adesione in qualità di socio all'associazione non riconosciuta avente finalità sportive e di valorizzazione della danza e con il successivo sviluppo di quest'ultima attività, aveva inteso solo trovare un luogo idoneo in cui sviluppare la propria passione personale, senza assumere cariche sociali o svolgere ruoli che di fatto la ponessero in condizione di amministrare l'ente. In tal senso doveva escludersi che le attività contestate potessero assumere rilievo sul piano disciplinare.
Al contrario, si osserva in ricorso, alla dottoressa S. era stata contestata la violazione del R.D.Lgs. n. 511 del 1941, art. 18, a norma del quale "il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga in ufficio o fuori una condotta tale che lo rende immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che compromette il prestigio dell'ordine giudiziario, è soggetto a sanzioni disciplinari secondo le disposizioni degli articoli seguenti" e dell'art. 16 ord. giud., a norma del quale "I magistrati non possono assumere pubblici o privati impieghi od uffici, ad eccezione di quelli di senatore, di consigliere nazionale o di amministratore gratuito di istituzioni pubbliche di beneficenza. Non possono nemmeno esercitare industrie o commerci, nè qualsiasi libera professione".
Tali condotte, se ritenute sussistenti, costituirebbero un illecito disciplinare ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2011, art. 3, lett. d), che prevede esplicitamente che "costituiscono illeciti disciplinari ai di fuori dell'esercizio delle funzioni:... d) lo svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 16, comma 1, e successive modificazioni, o di attività tali da recare concreto pregiudizio all'assolvimento dei doveri disciplinati dall'art. 1".
L'indagine disciplinare peraltro, si sostiene nel ricorso, avrebbe inequivocabilmente fatto emergere che la dottoressa S. aveva aderito ad un'associazione non riconosciuta avente lo scopo di contribuire, nella migliore ottimale realizzazione del tempo libero, a valorizzare i benefici dell'attività ginnico sportiva nell'ambito di attività a ciò programmate e finalizzate e che ella era stata l'unica a non aver rivestito incarichi direttivi o gestionali, nè al momento dell'atto costitutivo nè successivamente, essendosi dedicata esclusivamente all'attività di danza senza trarre alcun lucro dalla esperienza associativa, ma anzi finanziando il sodalizio.
Sulla base di tali elementi si sarebbe dunque dovuta escludere la stessa riferibilità della condotta della dottoressa S. all'area della responsabilità disciplinare. Del resto, il Consiglio Superiore della Magistratura ha chiarito che il magistrato "a) non incorre nel divieto di cui al R.D. n. 12 del 1941, art. 16, se costituisce una società di capitali, senza però svolgere attività di amministrazione; b) non è sottoposto all'esercizio dei poteri autorizzatori da parte del Consiglio Superiore della Magistratura in ordine alla costituzione di società di capitali ed all'assunzione nelle medesime della qualità di socio; c) è tuttavia tenuto a procedere ad una valutazione della compatibilità in concreto dell'attività esercitata e delle forme adottate con le condizioni di credibilità e prestigio e con l'immagine di correttezza ed indipendenza richieste per l'espletamento della funzione giudiziaria e indissolubilmente connesse all'appartenenza stessa all'Ordine giudiziario" (delibera 6 maggio 2009). Analogamente, nella delibera del 2 maggio 2007, il Consiglio Superiore ha affermato la compatibilità con l'esercizio delle funzioni di magistrato della costituzione di una società di capitali che abbia lo scopo di gestione di un'azienda, con l'esclusione di compiti di gestione in capo al magistrato.
Più in generale, poi, in una recente circolare in materia di incarichi extragiudiziari, si è precisato che sono liberamente espletagli e non richiedono alcuna autorizzazione o preventiva comunicazione al Consiglio Superiore le attività che costituiscono espressione di diritti fondamentali, quali la libertà di manifestazione scritta e verbale del pensiero, di associazione, di esplicazione della personalità; l'adesione ad organismi che danno luogo ad un rapporto associativo trasparente, non caratterizzato dall'assunzione di giuramenti o di vincoli incompatibili con i principi di autonomia ed indipendenza, che connotano la figura del magistrato.
In sostanza, assume la ricorrente, tale circolare, pur se non applicabile ratione temporis, sarebbe comunque espressiva di una ratio compatibile con i valori costituzionali, che deve ispirare la normativa in materia di disciplina dei magistrati.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia ulteriore violazione delle medesime norme di diritto, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità del provvedimento impugnato, nella parte in cui in esso si perviene alla conclusione che la dottoressa S. operò per conto del sodalizio e che esercitò di fatto un'impresa commerciale.
Le affermazioni dell'ordinanza impugnata, si sostiene, sarebbero del tutto immotivate, e del resto non sarebbe stato possibile svolgere un'adeguata motivazione alla luce delle risultanze istruttorie, e in particolare della sentenza del Tribunale di Roma n. 18319 del 2001 e delle dichiarazioni rese nel corso dell'indagine disciplinare dagli altri due soci dell'associazione, che univocamente hanno escluso lo svolgimento, da parte della dottoressa S., di qualsiasi attività di gestione per conto dell'associazione. La motivazione sarebbe carente anche con riferimento all'affermazione che la dottoressa S. partecipò alla costituzione di un'associazione non riconosciuta, della quale non ebbe mai la gestione e dalla quale uscì per contrasti con gli altri associati.
Il vizio della ordinanza impugnata consisterebbe poi nell'aver accomunato la posizione della dottoressa S. a quella degli altri soci, pur in presenza di risultanze istruttorie che ne avevano differenziato in modo univoco il ruolo e l'attività.
3. Occorre premettere che con il provvedimento impugnato la Sezione disciplinare ha fatto applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 1-bis, a tenore del quale "non può comunque essere promossa l'azione disciplinare quando sono decorsi dieci anni dal fatto".
L'esame della Sezione disciplinare si è quindi limitato alla verifica della sussistenza o no di elementi che - avendo la dottoressa S. dapprima prestato il proprio consenso alla estinzione del procedimento disciplinare, ai sensi del comma 7 del medesimo art. 15, e poi, in una memoria difensiva, sostenuto l'esistenza dei presupposti per un suo proscioglimento nel merito -, rendessero evidente la infondatezza o la insussistenza dell'incolpazione contestata, secondo un modulo procedimentale tipico del processo penale allorquando venga accertata una causa di estinzione del reato per il quale si procede. L'art. 129 cod. proc. pen., sotto la rubrica "obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità", dispone infatti, al comma 1, che "in ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza" e al comma 2 che "quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta".
La esplicita previsione dell'obbligo di declaratoria di una causa di non punibilità - ivi comprese, tra queste, la dichiarazione di estinzione del reato - "in ogni stato e grado del processo" impone di ritenere tale disposizione applicabile anche nell'ambito del procedimento disciplinare, in forza del rinvio contenuto nel D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 16, comma 2, e art. 18, comma 4, relativi, rispettivamente, alle "indagini nei procedimento disciplinare. Potere di archiviazione" e alla "discussione nel giudizio disciplinare".
Ne consegue che anche nel giudizio disciplinare, ove sussista una causa che non consenta la prosecuzione del procedimento, in particolare ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 1- bis, la Sezione disciplinare può pervenire ad una assoluzione sul merito della incolpazione se emerga in modo evidente dagli atti che il fatto non sussiste o che l'incolpato non lo ha commesso.
Ovviamente, la valutazione in termini di evidenza comporta la insussistenza di uno specifico ed articolato obbligo motivazionale nel caso in cui le dette condizioni preclusive della dichiarazione di non doversi procedere non sussistano.
4. Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, è infondato e va quindi rigettato.
La Sezione disciplinare ha riportato il capo di incolpazione contestato alla odierna ricorrente, dal quale emerge che, con sentenza del Tribunale di Roma del 17 maggio 2001, n. 18319, passata in giudicato, è stata accertato che la medesima ricorrente, unitamente ad altre tre persone, ha costituito "una società commerciale irregolare" per la gestione di una palestra con scuola di danza. Ha quindi rilevato che dagli atti risultava altresì che la ricorrente "operò per conto del sodalizio, esercitando di fatto un'impresa commerciale".
La Sezione disciplinare ha dunque escluso la insussistenza del fatto contestato che, contrariamente alla impostazione difensiva che attraversa l'intero ricorso, consisteva nella partecipazione non ad un'associazione non riconosciuta, ma ad una società commerciale irregolare.
A fronte di tale rilievo, il provvedimento impugnato si sottrae innanzitutto alle censure svolte specificamente nel primo motivo.
Deve infatti ritenersi che la condotta per come accertata - partecipazione a una società commerciale irregolare - integri l'illecito, ravvisato nel capo di incolpazione nello svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria. Dalle disposizioni menzionate nel capo di incolpazione emerge invero che al magistrato non è consentito lo svolgimento di un'attività commerciale ai sensi dell'art. 16 ord. giud., a tenore del quale "I magistrati non possono assumere pubblici o privati impieghi od uffici, ad eccezione di quelli di senatore, di consigliere nazionale o di amministratore gratuito di istituzioni pubbliche di beneficenza.
Non possono nemmeno esercitare industrie o commerci, nè qualsiasì libera professione"; svolgimento che viene ora individuato come ipotesi tipica di illecito disciplinare ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, comma 1, lett. d), secondo cui "Costituiscono illeciti disciplinari al di fuori dell'esercizio delle funzioni:
(...) lo svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 16, comma 1, e successive modificazioni, o di attività tali da recare concreto pregiudizio all'assolvimento dei doveri disciplinati dall'art. 1".
4.1. Il provvedimento impugnato resiste altresì alle suggestive argomentazioni svolte in ricorso con riferimento alle deliberazioni adottate dal Consiglio Superiore della Magistratura in sede di risposta a quesiti. Invero, le deliberazioni invocate dalla ricorrente si riferiscono alla costituzione o alla partecipazione a società di capitali, senza svolgimento di attività di amministrazione; si riferiscono, cioè, ad una partecipazione assolutamente non assimilabile alla assunzione della qualità di socio in una società commerciale irregolare. In proposito, giova ricordare che nelle società di persone irregolari l'esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l'idoneità della condotta complessiva di taluno dei soci ad ingenerare all'esterno il ragionevole affidamento circa l'esistenza della società è sufficiente a far sorgere la responsabilità solidale dei soci, ai sensi dell'art. 2297 c.c. (Cass. n. 5961 del 2010; Cass. n. 10695 del 1997).
Orbene, il provvedimento impugnato si fonda sull'intervenuto accertamento, riferito nel capo di incolpazione come effettuato con sentenza del Tribunale di Roma passata in giudicato, della partecipazione della ricorrente a una società commerciale irregolare; accertamento, questo, che correttamente, ancorchè implicitamente, la Sezione disciplinare ha ritenuto idoneo a connotare la condotta in questione in termini del tutto differenti da quelli considerati nelle invocate deliberazioni dei Consiglio Superiore della Magistratura, con conseguente esclusione della evidente insussistenza del fatto contestato.
4.2. Nè a diverse conclusioni può indurre il riferimento, contenuto sempre nel primo motivo di ricorso, alla nuova circolare de Consiglio in tema di incarichi extragiudiziari; e ciò non solo perchè la citata circolare è successiva alle vicende oggetto della incolpazione, ma soprattutto perchè la partecipazione ad una società commerciale irregolare non può certamente essere assimilata "alle attività che costituiscono espressione di diritti fondamentali, quali la libertà di manifestazione scritta e verbale del pensiero, di associazione, di esplicazione della personalità" come pure alla "adesione ad organismi che danno luogo ad un rapporto associativo trasparente, non costituito dall'assunzione di giuramenti o di vincoli incompatibili con i principi di autonomia ed indipendenza, che connotano la figura del magistrato". Appare del tutto evidente come l'argomentazione difensiva sia stata svolta sul presupposto che la condotta della incolpata si risolvesse nella partecipazione ad un'associazione non riconosciuta; il che però correttamente è stato escluso nel caso di specie dal provvedimento impugnato, stante l'accertamento, con sentenza passata in giudicato, della esistenza di una società commerciale irregolare.
4.3. Quanto, poi, alle deduzioni svolte nel secondo motivo di ricorso, e segnatamente a quelle che sì sostanziano nella denuncia di un vizio di motivazione, deve del pari escludersene la fondatezza.
La Sezione disciplinare ha invero tenuto conto degli atti del procedimento, dai quali ha desunto che la ricorrente "curò nella fase iniziale della società l'intero settore della danza; e quindi operò per conto del sodalizio, esercitando di fatto un'impresa commerciale". Ancora una volta, deve rilevarsi che il provvedimento impugnato, con motivazione del tutto adeguata alla natura dell'accertamento svolto in presenza di una richiesta di non luogo a procedere per estinzione dell'azione disciplinare a norma del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15-bis, ha dato conto degli elementi sulla base dei quali ha ritenuto di non poter pervenire al sollecitato proscioglimento nel merito, rilevando sostanzialmente che le condotte contestate - e integranti l'illecito disciplinare oggetto della incolpazione - emergevano dall'accertamento, contenuto nella sentenza del Tribunale di Roma passata in giudicato, della partecipazione della ricorrente ad una società commerciale irregolare.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Non essendo intervenuta costituzione in giudizio del Ministero della giustizia, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio, tenuto altresì conto che l'ufficio del pubblico ministero non può essere destinatario di pronunce sulle spese del giudizio nè in caso di sua soccombenza, nè quando soccombente sia uno dei suoi contraddittori (Cass., S.U., n. 5165 del 2004; Cass. n. 3824 del 2010).

PQM

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 17 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2012


 

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