REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5383 del 2020, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Maria D'Angiolella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Orazio Abbamonte in Roma, via Sistina n° 121;
contro

Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Caserta, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2021 il Cons. -OMISSIS- Tulumello e uditi per le parti gli avvocati Costanzo su delega dell'avvocato Luigi Maria D'Angiolella e l'avvocato dello Stato Wally Ferrante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Motivazione

1. Con sentenza n. -OMISSIS-, pubblicata il 29 aprile 2020, il T.A.R. Campania, sede di Napoli, ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo proposto dalla -OMISSIS- contro il provvedimento dell'U.T.G. - Prefettura di Caserta prot. -OMISSIS- del 22/05/2019 (-OMISSIS-/ANT./AREA 1^) con il quale era stata rigettata l'istanza di revoca e/o revisione del provvedimento interdittivo prot. n. -OMISSIS-/ANT/AREA 1 del 5/10/11, ed ha rigettato il ricorso per motivi aggiunti proposto contro il provvedimento prot. n. -OMISSIS-/ANT/AREA 1^ (prot. -OMISSIS-) del 4/11/19 con il quale l’U.T.G. Prefettura di Caserta, in sede di riesame disposto con provvedimento cautelare del giudice di primo grado, ha rigettato l’istanza di revoca e/o revisione e con il quale è stata confermata la sussistenza dei presupposti del provvedimento interdittivo a carico della società -OMISSIS-

Con ricorso in appello notificato il 2 luglio 2020 e depositato il successivo 6 luglio la -OMISSIS- ha impugnato l’indicata sentenza.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Caserta.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza del 28 gennaio 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020 n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell'art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, attraverso collegamento in videoconferenza secondo le modalità indicate dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

2. La società appellante, colpita da interdittiva antimafia, ha chiesto alla Prefettura di revocare o comunque rimuovere tale provvedimento, allegando quale fatto legittimante il provvedimento del giudice della prevenzione penale con il quale l’impresa non era stata ammessa al controllo giudiziario ex art. 34-bis del d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159 “ritenendo non sussistenti i presupposti tentativi di infiltrazione mafiosa dell’azienda” (pag. 2 del ricorso in appello”).

La Prefettura rigettava l’istanza, il rigetto era impugnato davanti al T.A.R. che, in sede cautelare, ne ordinava il riesame.

Eseguito tale incombente con il medesimo esito, la ricorrente gravava con motivi aggiunti il nuovo provvedimento.

Il T.A.R. dichiarava improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse il ricorso introduttivo e rigettava i motivi aggiunti.

3. La società appellante contesta la sentenza del primo giudice deducendo anzitutto, nel primo motivo, che la pronuncia del Tribunale della prevenzione avrebbe “attitudine di giudicato e per tale ragione non possono essere messi in discussione in forza dell’art. 654 c.p.p. i fatti in esso accertati in esito ad un giudizio caratterizzato da pieno contraddittorio con l’UTG di Caserta e forza probatoria tipica del giudizio penale”.

Il primo giudice avrebbe dunque errato nel respingere il ricorso per motivi aggiunti, nella parte in cui esso deduceva che il provvedimento di conferma della valutazione di pericolo di infiltrazione sarebbe stato illegittimo per contrasto con il provvedimento del Tribunale della prevenzione.

La censura è infondata.

Come correttamente evidenziato dal primo giudice, nel sistema delle relazioni fra prevenzione amministrativa e prevenzione penale antimafia “vanno esclusi in capo al Tribunale di prevenzione, poteri di controllo dei presupposti della interdittiva antimafia, venendo altrimenti ad introdursi nel sistema una duplicazione del controllo sulla legittimità della misura interdittiva e segnatamente sulla sussistenza o meno dei presupposti (cfr. in tal senso Cass. Penale sentenza Sez. 6, del 9 maggio 2019, n. 26342)”.

Anche questa Sezione ha avuto recentemente modo di chiarire, nella sentenza n. 338/2021, che la valutazione del giudice della prevenzione penale si fonda su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio, e rispetto ad essa si colloca in un momento successivo.

Non è pertanto casuale che nella sistematica normativa il controllo giudiziario (e le relative valutazioni: inclusa quella sull’ammissione) presupponga l’adozione dell’informativa: rispetto alla quale rappresenta un post factum.

Pretendere di sindacare la legittimità del provvedimento prefettizio alla luce delle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario, finalizzato proprio ad un’amministrazione dell’impresa immune da (probabili) infiltrazioni criminali, appare dunque operazione doppiamente viziata: perché inevitabilmente diversi sono gli elementi (anche fattuali) considerati – anche sul piano diacronico – nelle due diverse sedi, ma soprattutto perché diversa è la prospettiva d’indagine, id est l’individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata.

Non può pertanto sostenersi, come fa l’appellante, che la pronuncia del giudice della prevenzione penale produca un accertamento vincolante, con efficacia di giudicato, sul rischio di infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata.

Nella stessa prospettazione dell’appellante, peraltro, si deduce che la Prefettura e il giudice della prevenzione penale avrebbero incentrato le relative valutazioni sulle medesime circostanze di fatto, giungendo a conclusioni difformi circa il pericolo di infiltrazione: il che - in disparte il rilievo che il giudicato riguarderebbe semmai i fatti e non le valutazioni, e fermo restando che (come si dirà al punto successivo) in concreto le prospettate difformità non sussistono - costituirebbe comunque una fisiologica conseguenza della sopra descritta relazione fra i due sistemi preventivi, come ricostruita dalla giurisprudenza richiamata.

4. Vero è, piuttosto, che la Prefettura ha riesaminato la posizione della società appellante alla luce della pronuncia del giudice della prevenzione penale, confermando le originarie valutazioni.

Peraltro gli elementi che l’appellante adduce per dimostrare, al contrario, che il provvedimento prefettizio sia fondato su fatti accertati come inesistenti dal giudice della prevenzione penale dimostrano l’infondatezza di tale prospettazione.

4.1. Solo esemplificativamente mette conto segnalare che nel ricorso in appello viene dedotto che “La Prefettura di Caserta, ad esempio, ha sostenuto, nell’originario provvedimento interdittivo, che -OMISSIS- aveva subito plurime condanne per fatti sintomatici di appartenenza al -OMISSIS-. Il Giudice della prevenzione ha accertato, con i mezzi e poteri propri del giudice penale, che sono più pregnanti di quelli che dispone il giudice amministrativo, che non è assolutamente vero che -OMISSIS- sia stato condannato per associazione mafiosa”.

In realtà i due dati non sono in contraddizione logica, perché altro è la compartecipazione in reati-scopo (o comunque in reati ritenuti sintomatici della cooperazione con gli interessi del sodalizio criminoso) ed altro l’appartenenza all’associazione in qualità di associato.

4.2. Ancora, l’appellante lamenta che “La Prefettura di Caserta ha sostenuto, nell’originario provvedimento interdittivo, che -OMISSIS- -OMISSIS- sarebbe stato segnalato dal GICO della Finanza per associazione di tipo mafioso e per aver messo fatture in favore della -OMISSIS-, società utilizzata dal -OMISSIS- per la creazione di “fondi neri”. Ebbe il Giudice della prevenzione ha accertato che -OMISSIS- -OMISSIS- è stato assolto per tali contestazioni con sentenza -OMISSIS- e non ha a suo carico nessun precedente per reati di criminalità organizzata. Il coinvolgimento di costui in un processo per fatti di camorra negli anni novanta si è concluso per intervenuta assoluzione del -OMISSIS- con formula piena (insussistenza del fatto) fin dal -OMISSIS-”.

Anche in questo caso, l’assoluzione, e l’assenza di precedenti specifici, non smentiscono il coinvolgimento in una trama relazionale che in sede amministrativa è stata correttamente valorizzata con riguardo all’accertamento del fatto operato nel segmento investigativo (dunque con un’ottica meramente descrittiva e non valutativa in termini di penale responsabilità).

4.3. L’appellante deduce poi che “La Prefettura di Caserta aveva affermato nel provvedimento interdittivo emesso a suo tempo che -OMISSIS- -OMISSIS- sarebbe stato controllato con un tal -OMISSIS- che, a dire della Prefettura, sarebbe gravato da precedenti di polizia per associazione mafiosa. Sul punto il Giudice della prevenzione ha accertato che tale circostanza non corrisponde al vero in quanto il -OMISSIS- è persona del tutto incensurata”.

Ora, in disparte il rilievo che il presente giudizio verte non già sulla legittimità dell’originario provvedimento interdittivo, ma su quello – impugnato con i motivi aggiunti in primo grado – che ha confermato in sede di riesame il pericolo di infiltrazione mafiosa, anche in questo caso nessuna contraddizione sussiste fra gli elementi segnalati, dal momento che la Prefettura ha valorizzato risultanze investigative conosciute dalle forze di polizia ma non giudicati penali.

Oltre al segnalato vizio d’impostazione su cui poggia il gravame (relativo all’allegazione di contrasti in realtà inesistenti), sfugge infatti alla prospettazione dell’appellante, in materia di rapporti fra valutazione del rischio d’infiltrazione e accertamento della responsabilità penale, che “Come ha chiarito la sentenza n. 6105/2019, “Ciò che connota la regola probatoria del "più probabile che non" non è un diverso procedimento logico, (…..), ma la (minore) forza dimostrativa dell'inferenza logica”. Il princìpio è stato recentemente ribadito dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 57 del 2020: “Deriva dalla natura stessa dell’informazione antimafia che essa risulti fondata su elementi fattuali più sfumati di quelli che si pretendono in sede giudiziaria, perché sintomatici e indiziari” (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 338/2021).

La sentenza gravata pertanto non risulta affetta dal vizio dedotto nel motivo in esame.

5. L’appellante deduce, in subordine, l’illegittimità costituzionale dell’attuale disciplina delle relazioni fra prevenzione amministrativa e prevenzione penale antimafia (“artt. 83 e succ. del d. lgs. n. 159/2011 in relazione all’art. 34 bis codice antimafia per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 41 della Costituzione”).

La questione concerne la soglia di ammissione al controllo giudiziario, e la pretesa disparità di trattamento che si creerebbe fra un’impresa – quale l’appellante – giudicata a rischio d’infiltrazione dalla Prefettura ma non abbastanza dal giudice della prevenzione penale (al punto da non essere ammessa al controllo giudiziario), e l’impresa che invece, superando tale soglia, e dunque presentando un maggior rischio d’infiltrazione (“non occasionale”), paradossalmente si gioverebbe di un regime più favorevole, consistente nella prosecuzione (sia pure controllata) dell’attività d’impresa.

In questi termini la questione, in disparte la verosimile erroneità del suo presupposto interpretativo (per le ragioni, indicate al punto precedente, relative al diverso oggetto della valutazione del giudice della prevenzione penale rispetto a quello considerato dall’autorità amministrativa), difetta comunque del requisito della rilevanza, posto che, riguardando le condizioni di accesso al controllo giudiziario, andrebbe sollevata in quella sede giurisdizionale: tanto che la questione stessa è argomentata dall’appellante con riferimento alle pronunce (e al dedotto contrasto tra le stesse) della Prima Sezione penale della Corte di Cassazione e delle SS.UU. penali.

Né può ragionevolmente accedersi alla tesi dell’appellante, allorché sollecita quale esito della questione dedotta una sentenza additiva del giudice delle leggi che imponga alla Prefettura la rimozione dell’informativa (che, si ripete, è il provvedimento che si colloca a monte dell’intera sequenza) allorché il giudice della prevenzione penale abbia in concreto ravvisato una soglia di infiltrazione inferiore a quella ritenuta rilevante per l’ammissione al controllo giudiziario: se, infatti, il problema sollevato concerne (la soglia di accesso a) tale ultima procedura, è del tutto irragionevole ipotizzare un intervento normativo (peraltro, mediante una sentenza manipolativa) sul suo antecedente logico, vale a dire sull’informativa.

L’appellante fa infatti discendere dalla ipotizzata irrazionalità del sistema conseguente alla valutazione di non ammissione al controllo giudiziario - che è un rimedio successivo alla (e presupponente la) adozione dell’informativa - non già una diversa disciplina di tale valutazione, bensì l’obbligo normativo di revisione o di rimozione del giudizio prognostico ritenuto nel provvedimento presupposto: il che, a tacer d’altro, appare illogico e irrazionale.

Né può giungersi a soluzioni difformi ove si pretenda di incidere sulla legittimità non già dell’informativa, ma del successivo provvedimento di rigetto dell’istanza di revisione della stessa (motivata in relazione al mancato accesso al controllo giudiziario, in quanto tale).

Nel caso di specie, infatti, l’impresa non ha dedotto che dal provvedimento del giudice della prevenzione penale risultasse un fatto sopravvenuto (quale, ad esempio, un’operazione di self-cleaning) tale da implicare una revisione del giudizio prognostico originario, ma ha fatto discendere automaticamente da tale provvedimento, in realtà motivato unicamente con riferimento al mancato raggiungimento della soglia rilevante in quella sede, la ritenuta inutilizzabilità, per l’autorità amministrativa, dei fatti (e delle relative valutazioni) considerati al diverso scopo di determinare la soglia di accesso: il che, per le considerazioni fin qui esposte, appare pretesa non assistita da fondamento normativo.

Infine, anche la circostanza – dibattuta in sede di discussione orale – che l’appellabilità dei provvedimenti di non ammissione resi dal Tribunale della prevenzione è stata ammessa dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione solo in un momento non più utile per l’odierna appellante, costituisce anch’essa elemento che rileva in altra sede giurisdizionale, posto che la parte si duole dei limiti dell’effettività della tutela garantita dal rimedio offerto in sede di prevenzione penale.

6. Con l’ultimo motivo di gravame l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato i motivi del ricorso per motivi aggiunti inerenti la rilevanza inferenziale dei fatti allegati dalla Prefettura come sintomatici di un pericolo d’infiltrazione mafiosa.

Per quanto riguarda la parte della censura che fa leva sulle sopravvenienze rappresentate dagli esiti dei giudizi penali relativi a fatti considerati – in relazione alle fasi investigative - dai provvedimenti prefettizi impugnati, è sufficiente in questa sede richiamare quanto già in precedenza osservato (anche mediante rinvio alla sentenza della Corte costituzionale n. 57/2020, e alla sentenza di questa Sezione n. 338/2021) in relazione alla diversità strutturale e funzionale della valutazione dei fatti compiuta in sede di accertamento della penale responsabilità dei soggetti, rispetto al valore inferenziale attribuito ai medesimi fatti nel giudizio prognostico concernente il pericolo d’infiltrazione criminosa.

Per quanto riguarda, poi, il regime di tale giudizio, è necessario in via preliminare richiamare la giurisprudenza della Sezione relativa ai tratti dell’esercizio del potere de quo per come normativamente delineati, osservando in particolare che gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale – che è alla base della teoria della prova indiziaria - quae singula non prosunt, collecta iuvant, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità della struttura imprenditoriale a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, “secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione, il cui esercizio va scrutinato alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Sezione (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 759/2019)” (così da ultimo le sentenze n. 4837/2020 e n. 4951/2020).

La già richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 57/2020 ha chiarito che a fronte della denuncia di un deficit di tassatività della fattispecie, specie nel caso di prognosi fondata su elementi non tipizzati ma “a condotta libera”, “lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa”, un ausilio è stato fornito dall’opera di tipizzazione giurisprudenziale che, a partire dalla sentenza di questo Consiglio di Stato 3 maggio 2016, n. 1743, ha individuato un “nucleo consolidato (…) di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale”.

Fra tali situazioni la Corte costituzionale ricorda “i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia”.

7. Nello specifico e in concreto, il primo giudice ha ritenuto che:

- “il rischio di infiltrazione criminale è stato desunto dalle frequentazioni del -OMISSIS-, socio della società ricorrente, con persone gravitanti nell’orbita della criminalità organizzata di tipo camorristico, dai suoi precedenti penali e dai legami familiari cementati da cointeressenze societarie con soggetti sui quali pure gravano indizi di collegamento”;

- che “ le frequentazioni del -OMISSIS- -OMISSIS- non possono considerarsi isolate, trattandosi di plurimi controlli che si dipanano in un lungo arco temporale, dimostrando una continuità di relazioni che diviene più solida proprio perché perdurano nel tempo, dovendosi evidenziare che le addotte motivazioni di lavoro, lungi dallo scolorire il significato indiziante delle stesse, le rende vieppiù pregnanti in quanto connesse proprio all’attività di impresa che, invece, la legislazione antimafia intende preservare da influenze criminali”;

- che “il profilo delle frequentazioni non è l’unico che sia stato oggetto dei rilievi della Prefettura nel gravato provvedimento, dovendosi riguardare unitamente ai precedenti penali del -OMISSIS- -OMISSIS- per rapina, violazioni urbanistiche, furto e violazione della legge sulle armi, che ben possono fondare (pur se non ricompresi nell’elenco di cui all’art. 84 del testo unico antimafia), unitamente agli altri indizi, la prognosi di condizionamento, atteso che l’Autorità prefettizia è chiamata compiere una valutazione complessiva comprensiva di elementi ritenuti significativi anche se atipici (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. III, 24 aprile 2020, n. 2651). Infine, anche la sussistenza di rapporti di contiguità tra le diverse società riconducibili alla -OMISSIS-- ravvisata nel gravato provvedimento, risulta immune da vizi, fondandosi, non solo sugli stretti legami familiari, ma anche sulle riscontrate cointeressenze economiche, sulla coincidenza delle sedi delle rispettive società e sull’utilizzo di dipendenti di una delle società da parte dell’altra. Ne consegue che ai fini del gravato giudizio formulato dalla Prefettura non potevano non essere considerate anche le frequentazioni e i precedenti penali del -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- del rappresentante legale della ricorrente e -OMISSIS- dell’altra comproprietaria della medesima -OMISSIS-”.

Il motivo di appello in esame opera un tentativo di ridimensionamento analitico di tali elementi, tralasciando di considerare anzitutto la visione d’insieme, che sorregge con una soglia certamente superiore al criterio del “più probabile che non” la valutazione di un rischio di infiltrazione dell’attività d’impresa.

Quanto ai singoli episodi contestati, va anzitutto rilevato – come peraltro già osservato in precedenza – che in molti casi gli argomenti su cui poggia il mezzo in esame non concretano reali contrasti fra gli elementi considerati dalla Prefettura e le risultanze dei relativi procedimenti penali (in argomento si rinvia agli esempi indicati al punto 4.).

Si contesta poi il fatto che alcuni di tali elementi sarebbero risalenti nel tempo: ma tale obiezione trascura di considerare che la pluralità, l’univoca convergenza e la gravità di essi rendono irrilevante la circostanza che in alcuni casi essi si collocano in un arco temporale non recente.

Quanto, infine, al fatto che alcuni contatti con soggetti controindicati sarebbero giustificati da causali lecite, tale argomentazione tralascia di considerare che è la frequentazione in sé (ancorché, in tesi, innescata da una causale fornita di una giustificazione alternativa a quella infiltrativa), specie quando – come nel caso di specie – tutt’altro che isolata, a denotare, unitamente agli altri – numerosi - fatti gravemente indizianti, il rischio che l’imprenditore sia collocato in un contesto relazionale complessivamente sintomatico di un pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata nell’impresa.

8. Il ricorso in appello è pertanto infondato, e come tale deve essere respinto.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

PQM

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna la società appellante al pagamento in favore del Ministero dell’Interno delle spese del giudizio, liquidate in complessivi euro cinquemila/00, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche e giuridiche menzionate nella motivazione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2021 con l'intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente
Giulia Ferrari, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere
Solveig Cogliani, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore


 

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