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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIOTTO Maria Cristina - Presidente -
Dott. NOVIK Adet Toni - Consigliere -
Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe - Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
Dott. MAGI Raffaello - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A.;
avverso l'ordinanza n. 181/2004 TRIBUNALE di PALERMO, del 17/04/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Fimiani Pasquale, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

Motivazione

1. Con ordinanza resa in data 17 aprile 2014 il Tribunale di Palermo, Sezione per le Misure di Prevenzione, rigettava l'istanza proposta da B.N.L. spa, volta ad ottenere il riconoscimento della buona fede e l'ammissione al pagamento del credito ipotecario, vantato su immobili oggetto di confisca definitiva in un procedimento di prevenzione svoltosi in danno di V.P.
In particolare il credito (mutuo fondiario per L. 75 milioni) risulta garantito da ipoteca iscritta in data 12 giugno 1999 su un immobile di proprietà della s.n.c. Delmina di V.P., in data antecedente al sequestro di prevenzione.
Il Tribunale valuta l'istanza in sede di opposizione ai sensi dell'art. 667 c.p.p., comma 4, proposta dall'ente creditizio avverso precedente provvedimento con cui era stata esclusa la ricorrenza della buona fede.
Al contempo valuta l'istanza come domanda ammissione del credito al pagamento sulla base della disciplina introdotta dalla L. n. 228 del 2012 (legge di stabilità).
Si esclude, in ogni caso, la ricorrenza del presupposto di legge di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52.
Le vicende di contiguità di V.P. alla organizzazione mafiosa cosa nostra risalgono infatti al 1981 ed il V. risulta condannato per favoreggiamento nell'ambito del noto maxiprocesso conclusosi in data 16 dicembre 1987.
In particolare dal provvedimento di prevenzione risulta, altresì, che la attività di impresa svolta dal V. era in realtà strumento di reimpiego di capitali di provenienza illecita, provenienti da B.S. (già tratto in arresto negli anni '80) e da altri esponenti mafiosi.
Viene evidenziato ancora che una figlia del V. ha contratto matrimonio con il B. nell'anno 1989 e che il figlio di V. P., a nome F., ottenne il mutuo ipotecario nell'anno 1999 dalla B.N.L. - nella qualità di amministratore della Delmina s.n.c. - senza alcuna reale istruttoria propedeutica (acquisizione della sola visura camerale e del certificato di iscrizione al Registro delle Imprese della società Delmina).
La società in questione, che aveva iniziato la realizzazione degli edifici già nel 1991, aveva scritture contabili del tutto inattendibili, ad ulteriore conferma della provenienza illecita delle risorse impiegate.
Detti elementi vengono ritenuti indicativi dell'assenza di buona fede all'atto della erogazione del mutuo, con rigetto dell'istanza.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore munito di procura speciale - la B.N.L. s.p.a., deducendo vizio di motivazione ed erronea applicazione della disciplina regolatrice.
Nel ricorso si sostiene che le circostanze di fatto indicate dal Tribunale non erano conoscibili - con l'ordinaria diligenza - da parte dell'Istituto di Credito.
L'istruttoria svolta era corretta e conforme alle prassi, posto che era stata verificata la consistenza dell'immobile posto in garanzia, oltre ai dati relativi al richiedente ed alla società.
Non poteva, pertanto, desumersi da parte dell'ente alcuna strumentante di fatto del credito alla protrazione della condotta illecita. Andava dunque riconosciuta la buona fede dell'istante, con le conseguenze di legge, non potendosi ricollegare alla condotta dell'ente una concreta conoscibilità delle circostanze di fatto emerse nella procedura di prevenzione.
Le argomentazioni venivano riproposte con memoria difensiva depositata in data 18 marzo 2015.

3. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato, per le ragioni che seguono.

3.1 Va compiuta una breve premessa circa il rapporto esistente tra la "formalizzazione normativa" dei criteri di riconoscimento giuridico della tutelabilità del credito in ipotesi di confisca di beni già oggetto di ipoteca volontaria (D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52) e gli orientamenti giurisprudenziali maturati in costanza della L. n. 575 del 1965 (e successive modificazioni).

Sul punto, va notato che sul tema in questione vi è stata - nel corso del tempo - ampia stratificazione giurisprudenziale, stante la necessità di contemperare due posizioni teoriche tra loro apparentemente inconciliabili: da un lato la natura della confisca "speciale" prevista dalla normativa antimafia (ritenuta, in prevalenza, come modo di acquisto della proprietà a titolo originario in capo allo Stato) dall'altro la tutela del diritto di credito assistito da garanzia reale sulla res confiscata, con sacrificio della condizione di un terzo potenzialmente estraneo alla attività illecita.

L'evoluzione giurisprudenziale ha portato, nel corso del tempo, a ritenere che la devoluzione del bene alla mano pubblica non comporta di per sè la totale "cancellazione" della storia del bene medesimo e non comporta la automatica estinzione dei diritti dei terzi gravanti sull'oggetto, a condizione che il terzo, pur se creditore garantito da ipoteca, dimostri in concreto la sua posizione di "buona fede" e di "affidamento incolpevole" nei momenti essenziali della intervenuta contrattazione civilistica.

Sin dalla nota decisione Sez. U. n. 9 del 28.4.1999 ric. Bacherotti, si è affermato infatti che il sacrificio dei diritti vantati da terzi su res oggetto di confisca non può essere ritenuto conforme ai principi generali dell'ordinamento lì dove il terzo sia da ritenersi "estraneo" alla condotta illecita altrui (l'orientamento è ribadito, tra le molte, da Sez. 1 n.32648 del 16.6.2009, rv 244816, nonchè di recente Sez. 1 n.34039 del 27.2.2014, rv 261192).
Si è altresì precisato che l'essere la confisca un modo "autoritativo" di acquisto del diritto di proprietà non comporta che il trasferimento stesso possa avere un contenuto diverso e più ampio di quello che faceva capo al precedente titolare del bene, lì dove insistano diritti - non estinti - di terzi estranei.
Ciò che rileva è pertanto l'attenta qualificazione della particolare condizione fattuale e giuridica del terzo che deve connotarsi - per evitare di ricadere nella condizione di soggetto colpevolmente avvantaggiato dall'altrui azione illecita - in termini di buona fede, intesa nella non conoscibilità - con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta - del rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dall'attività illecita commessa dal soggetto poi espropriato dei beni a seguito della procedura di prevenzione.

Il Collegio condivide - in proposito - l'orientamento espresso - tra le molte - da Sez. 1, 29.4.2011, n.30326, circa l'identificazione delle condizioni che portano al riconoscimento del diritto del terzo "estraneo all'illecito", nel senso che va di certo esclusa una accezione della buona fede che, facendo leva sulla necessità di un atteggiamento doloso del terzo, finisca per attribuire alla relativa nozione un ambito estremamente restrittivo, al punto da configurare la posizione soggettiva del detto terzo come necessaria adesione consapevole e volontaria alla altrui attività illecita. Per rendersi conto della insostenibilità di una simile tesi basta considerare che rappresenta un principio fondamentale dell'ordinamento, che trascende la ripartizione tra diritto civile e diritto penale, quello per cui la nozione di colpevolezza o di volontà colpevole abbraccia sia il dolo che la colpa e che, conseguentemente, un comportamento non può classificarsi come incolpevole non soltanto quando esso sia qualificato dal dolo (vale a dire, dalla consapevolezza e dalla volontà della condotta e dell'evento), ma anche quando tale consapevolezza e tale volontà siano mancate in dipendenza di un atteggiamento colposo dovuto ad imprudenza, negligenza ed imperizia: sicchè non può parlarsi di comportamento incolpevole qualora il fatto, pur non essendo stato conosciuto, sia tuttavia conoscibile con l'uso della "ordinaria diligenza e prudenza".

In buona sostanza, deve ritenersi esistente un nesso di alternatività e di reciproca esclusione tra buona fede e affidamento incolpevole, da un canto, e addebitabilità della mancata conoscenza dovuta a colpa, dall'altro, di guisa che l'esistenza dell'un requisito deve reputarsi incompatibile con l'altro: con l'ulteriore conseguenza che non può certamente ipotizzarsi una condizione di buona fede e di affidamento incolpevole allorquando un dato fatto illecito non sia stato conosciuto ma risultasse pur sempre "conoscibile", se non avesse spiegato incidenza sulla rappresentazione del reale uno stato soggettivo addebitabile a condotta colposa.
In altre parole, per ottenere il riconoscimento del suo diritto correlato ad un bene confiscato in via definitiva, è da ritenersi che il soggetto terzo debba allegare elementi idonei a rappresentare non solo la sua estraneità all'illecito pregresso (intesa come assenza di accordi sottostanti che svelino la consapevolezza dell'attività illecita realizzata all'epoca dal contraente poi sottoposto ad ablazione) ma anche l'affidamento incolpevole inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di media diligenza - da rapportarsi al caso in esame - teso ad escludere rimproverabilità di tipo colposo.

Tale assetto risulta sostanzialmente recepito nella articolata disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 159 del 2011, ove si è formalizzato un vero e proprio sub-procedimento (art. 52 e ss. D.lgs. n. 159) teso a regolamentare i criteri di parziale inopponibilità della confisca ai terzi creditori di buona fede, a determinare le condizioni di accesso al riconoscimento di detti crediti, con soddisfazione concessa nei limiti del 70% del valore dei beni sequestrati o confiscati (risultante dalla stima redatta dall'amministratore o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita, art. 53), a tutelare la par condicio creditorum (art. 57 e ss.), ad estinguere il contenzioso civilistico eventualmente in atto con affidamento esclusivo al giudice della prevenzione del compito di verificare la posizione creditoria sottostante (art. 55 D.Lgs. n. 159), solo per segnalarne alcuni punti qualificanti.
Si tratta di una disciplina particolarmente articolata, mossa dalla esigenza primaria di qualificare in diritto le modalità di acquisto al patrimonio dello Stato dei beni confiscati in via definitiva (a titolo originario, come viene espresso nel D.Lgs. n. 159, art. 45) al contempo fornendo tutela ai creditori ante-sequestro di accertata buona fede (siano essi assistiti o meno da diritti reali di garanzia) e ciò allo scopo di ridurre le incertezze manifestatesi in passato sul tema e rendere omogenei e prevedibili nei loro esiti i contenziosi, di notevole impatto economico.

L'opzione legislativa di fondo è del tutto chiara: l'estinzione di diritto delle garanzie reali (all'atto della confisca) in tanto è possibile in quanto venga contestualmente fornita al titolare del diritto di credito una adeguata tutela delle sue ragioni. Si tratta di due facce della stessa medaglia, che portano a compimento la lunga elaborazione concettuale di dottrina e giurisprudenza sul tema.

Tale disciplina risulta - in modo incontroverso - applicabile al caso in esame in virtù dell'espresso rinvio operato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 200 al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52.
Quanto alla descrizione del contenuto normativo può affermarsi che la formalizzazione dei criteri di riconoscibilità della buona fede del creditore (al di là della costituzione del diritto reale di garanzia in epoca anteriore al sequestro, si richiede che il credito non sia strumentale all'attività illecita - o a quella che ne costituisce frutto o reimpiego, a meno che il creditore dimostri di aver ignorato in buona fede il nesso di strumentante) realizza una sostanziale continuità con l'elaborazione giurisprudenziale antecedente alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 159 del 2011, come si è detto espressa da Sez. U. n. 9 del 28.4.1999 in poi, come è stato ben precisato da Sez. U. civili n. 10532 del 7.5.2013, rv 626570.

Nessun rilievo - in particolare - può darsi al fatto che il presupposto della "buona fede" (o l'affidamento incolpevole all'atto della conclusione del contratto) sia stato sino alla emanazione del D.Lgs. n. 159 del 2011 ritenuto quale condizione di "mantenimento" del diritto di credito originario e della correlata garanzia reale, in una visione che - nel più avveduto approccio sul tema - tendeva a privilegiare la natura derivativa dell'acquisto del bene da parte dello Stato (tra le altre, Sez. 1, civile n. 5988 del 3.7.1997, rv 505701) mentre in virtù di quanto previsto dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 45 del l'acquisizione al patrimonio dello Stato del bene oggetto di confisca è oggi espressamente qualificata come a titolo originario, posto che è la stessa normativa sopravvenuta a recepire la necessità di contestuale tutela dei diritti dei terzi in buona fede assegnando agli stessi lo strumento risarcitorio - in tal caso - della ammissione del credito al pagamento nei confronti dell'erario.
Il riconoscimento della "estraneità del credito" a nessi funzionali di strumentalità con l'attività illecita - cui è equiparata la prova della ignoranza "in buona fede" di tale strumentalità (ex art. 52, comma 1, lett. b) - altro non rappresenta, pertanto, che la formalizzazione normativa della pregressa elaborazione giurisprudenziale per cui la "estraneità" del terzo alla condotta Illecita altrui segna il limite al potere statuale di soppressione delle ragioni creditorie, con contestuale riconoscimento di azionabilità della pretesa nei confronti dello Stato, qui con il limite di "capienza" di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 53.

Inoltre, la successiva norma di cui all'art. 52, comma 2 (nella valutazione della buona fede il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale, nonchè in caso di enti alle dimensioni degli stessi) non fa altro che esporre le opportune linee guida in punto di modalità della verifica (norma che orienta il giudice nell'esercizio dei poteri ricostruttivi) riprendendo ancora una volta i contenuti del fondamentale insegnamento rappresentato da Sez. U. n.9 del 28.4.1999, nel cui ambito si era ampiamente evidenziata la necessità di evitare approcci generalizzanti, affermandosi che al giudice spetta il compito di valutare l'uso detta diligenza richiesta dalla "situazione concreta" in riferimento a quanto allegato dall'istante.

3.2 Ciò posto, venendo al contenuto dei motivi di ricorso, va affermato quanto segue.
La procedura che la parte privata va ad instaurare per ottenere il riconoscimento della opponibilità del credito alla confisca è di natura essenzialmente civilistica, pur inserendosi in un contesto che "a monte" ha dato luogo alla applicazione di una misura di prevenzione personale e patrimoniale.
Da ciò deriva che la parte istante ha un onere dimostrativo della fondatezza della sua pretesa
, come ribadito da questa Corte in numerose e recenti decisioni.

Il legislatore, in virtù della accertata (nel procedimento che ha dato luogo alla confisca) pericolosità soggettiva del soggetto cui è "riferibile" il bene confiscato, realizza infatti una presunzione relativa di strumentalità del credito ricevuto da tale soggetto, credito che lì dove abbia consentito come nel caso in esame, l'acquisto di un immobile ha reso possibile - di fatto - una operazione di tendenziale reimmissione nel circuito economico (attraverso il pagamento del mutuo) di capitali di provenienza illecita (con ciò assicurando il frutto di tale attività o comunque il rempiego di detti capitali, caratteri evidenziati dal legislatore nel D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52).
Si tratta di una conseguenza legale del procedimento che ha dato luogo alla confisca (come del resto si è ritenuto in costanza delle norme previgenti ed in virtù della richiamata elaborazione giurisprudenziale sul tema, di recente ribadita da Sez. Un. Civili n. 10532 del 7.5.2013, che conferma la lettura della nuova norma nel senso di permanenza dell'onere probatorio in capo al creditore delle condizioni per l'ammissione al passivo del suo credito) e determina ex lege il trasferimento sul creditore di un onere dimostrativo, teso ad invertire la presunzione di cui sopra, che verte o sulla dimostrazione di assenza di tale condizione di strumentalità (dimostrazione resa obiettivamente difficile dall'intervenuto accertamento di pericolosità soggettiva del debitore, pur se possono rilevare i tempi della contrattazione rispetto alla insorgenza di tale condizione) o sulla condizione soggettiva di "ignoranza scusabile" di tale nesso.

Ciò posto, nella selezione e articolazione dei dati conoscitivi da porre a sostegno della propria pretesa, la parte privata ha il preciso onere di "confrontarsi" con le risultanze della procedura di prevenzione che ha dato luogo alla confisca, a lei nota proprio in virtù della avvenuta estinzione del diritto di credito.
Se da un lato, pertanto, è evidente che l'ente creditizio non è titolare di autonome prerogative investigative, dall'altro la dimostrazione che deve essere fornita concerne il livello di verifica - realizzata sulla base dei dati disponibili all'epoca - delle caratteristiche soggettive del richiedente l'erogazione del mutuo, in punto di affidabilità e solvibilità derivante dalla capacità produttiva di un reddito lecito. Non può, in altre parole, la dimostrazione fondarsi sulla idoneità della garanzia reale (e dunque sul valore dell'immobile) posto che tale dato non assicura affatto che attraverso l'erogazione del mutuo non si realizzi un fenomeno di sostanziale ripulitura di capitali di provenienza illecita utilizzati al fine di sostenere le obbligazioni nascenti dal contratto.

Le doglianze esposte nel ricorso, pertanto, non consentono di individuare nè profili di erroneità in diritto della decisione nè profili di illogicità manifesta o contraddittorietà dell'impianto motivazionale.
Ciò che il Tribunale evidenzia è, infatti, sia la conoscibilità concreta della storia personale del V. (coinvolto nel primo maxiprocesso alla associazione mafiosa "cosa nostra") che un evidente difetto di "adeguatezza dell'istruttoria" compiuta dall'ente all'atto della erogazione del mutuo, che determina l'assenza del presupposto dell'affidamento incolpevole, per come in precedenza illustrato.
Gli indici rivelatori utilizzati, pertanto, non evocano l'esercizio di anomali poteri investigativi ma risultano pienamente espressivi del difetto di verifica, posto che l'erogazione del mutuo è avvenuta in assenza di un reale controllo della affidabilità soggettiva del richiedente e della linearità della gestione societaria.
Si tratta, dunque, di indicatori che in modo niente affatto illogico sono stati posti a fondamento della decisione di diniego di tutela del credito ipotecario, secondo le linee ricostruttive dell'istituto ampiamente esposte in precedenza.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2015


 

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