Svolgimento del processo

Con la sentenza n. 12467/2018, depositata il 15 giugno 2018, la Sezione n. 23 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma rigettava il ricorso presentato da L. P. avverso la cartella di pagamento n. 09720150123525423/000 relativa a I.V.A. per l'anno di imposta 2009, per l'importo complessivo di euro 16.069,36.

I primi giudici rilevavano in motivazione che il ricorrente aveva dedotto quanto segue:

1'esistenza della cartella di pagamento in questione era emersa attraverso un estratto di ruolo, richiesto in data 7.12.2016, dal quale risultava che essa sarebbe stata notificata con deposito presso la casa comunale (ai sensi dell'art. 143 c.p.c. per irreperibilità del destinatario) in data 31 gennaio 2016;
per il medesimo debito tributario egli era già stato ammesso al pagamento rateale e, dopo il regolare pagamento delle prime nove rate e il ritardato pagamento delle rate dalla decima alla quindicesima, il pagamento delle residue cinque rate non venne effettuato;
non aveva mai ricevuto la notificazione dell'atto ed era inverosimile che egli fosse stato considerato irreperibile dal notificante nel luogo di residenza anagrafica;
erano intervenute l'estinzione del credito tributario per prescrizione quinquennale e la decadenza biennale dell'amministrazione ex art. 3-bis, comma 5, del d.lgs. n. 462/1997;
il calcolo degli interessi dovuti era illegittimo, in quanto non era stato indicato il relativo metodo. La C.T.P. osservava, poi, che l'Agenzia delle Entrate aveva contestato le deduzioni del ricorrente, affermando che la richiesta di pagamento era conseguente al ritardato pagamento delle rate nn. 10 e 11, con decadenza dal beneficio della rateazione.
Il rigetto del ricorso si incentrava sulle seguenti considerazioni:

il ricorrente contesta la legittimità della notificazione della cartella di pagamento avvenuta con la procedura di deposito dell'atto nella casa comunale per irreperibilità del destinatario, affermando che in quel suo recapito, che corrisponde alla residenza anagrafica, ha ricevuto altre notifiche e che non sembra possibile considerarlo irreperibile in quel luogo;
la contesta la veridicità della notificazione, però, deve essere realizzata attraverso la procedura di querela di false, nella specie non attivata e, fino all'eventuale dichiarazione di falsità della notificazione fa prova di quanto in essa documentato;
riguardo all'eccepita prescrizione, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, il relativo termine deve essere ritenuto decennale per l'imposta in questione, secondo la costante e recente giurisprudenza di legittimità;
nemmeno può essere accolta la questione relativa alla decadenza ai sensi dell'art. 3-bis, comma 5, del d.lgs. n. 462/97, norma abrogata dall'art. 2 del d.lgs. n. 159/2015;
anche la questione relativa al calcolo degli interessi non appare fondata, essendo stata proposta in maniera del tutto generica e non sorretta da concrete valutazioni, che contestino nel merito l'applicazione dei tassi legali di interesse da parte dell'amministrazione finanziaria;
ha portata assorbente la circostanza, sottolineata dall'Agenzia convenuta, che la richiesta di pagamento dipende dalla decadenza del beneficio della rateazione nel pagamento, conseguente a due ritardati adempimenti, pacificamente ammessa anche dal ricorrente, sicché appare evidente dalla lettura del ricorso che lo stesso ricorrente ammette l'esistenza del debito e riconosce di averne avuto sufficiente e piena notizia (avendo chiesto, ottenuto e in parte adempiuto ii pagamento rateale) e riconosce anche la causa di decadenza dal beneficio conseguente al ritardo nei pagamenti; ciò comporta la piena e totale infondatezza delle pretese del contribuente.
Da qui il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al rimborso delle spese di giudizio alla controparte.

Avverso la decisione ha interposto appello il contribuente, sulla base dei seguenti motivi:

in primo grado il ricorrente aveva contestato la ritualità della notificazione per irreperibilità assoluta, depositando documentazione attestante la sua residenza all'indirizzo nel quale era stata tentata la notificazione in questione e comprovando che numerose altre notificazioni dell'A.F. e di altri Enti, effettuate allo stesso indirizzo, erano sempre andate a buon fine;
i primi giudici hanno omesso di delibare le eccezioni mosse dal ricorrente circa la sussistenza dei presupposti per il ricorso alla procedura di notificazione di cui all'art. 143 c.p.c., segnatamente la circostanza che la residenza era conosciuta e conoscibile con l'ordinaria diligenza, mentre il messo notificatore aveva attestato che il civico era "insufficiente"',
altra cosa è la querela di falso, posto che non era stata revocata in dubbio la veridicità delle attestazioni del messo notificatore, ma era stato eccepito che il medesimo avrebbe dovuto, secondo l'ordinaria diligenza e come affermato da costante giurisprudenza di legittimità, verificare l'esattezza e completezza dell'indirizzo e che nella relazione di notificazione non era stato dato atto delle attività svolte a tal fine;
è errato il convincimento dei primi giudici circa il termine decennale di prescrizione, alla luce dei principi affermati dalla Corte di cassazione con le sentenze n. 23397/2016 e n. 930/2018 in ordine all'applicabilità del termine quinquennale anche con riferimento ai tributi erariali;
è illegittima la declaratoria di non applicabilità del termine di decadenza di cui all'art. 3-bis del d.lgs. n. 462/1997, in quanto le modifiche apportate con il d.lgs. n. 159/2015 valgono per il periodo successivo alla loro entrata in vigore;
va ribadita l'eccezione di mancata indicazione del calcolo degli interessi, respinta dai primi giudici in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass., 24933/2016).
non è condivisibile l'assunto dei primi giudici circa l'avvenuto riconoscimento del debito e l'infondatezza dell'opposizione verso la cartella di pagamento, dato che il contribuente può sempre far valere il difetto di notificazione dell'atto;
è illegittima e non motivata la condanna del ricorrente al rimborso delle spese di lite alla controparte;
i primi giudici non si sono pronunciati sia sull'istanza di rimborso delle somme versate e non dovute per estinzione dell'obbligo di versamento successivamente alla decadenza dell'Ente creditore dal diritto alla riscossione delle rate non corrisposte, sia in ordine alla domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c.
Per gli esposti motivi l'appellante ha chiesto, in via principale, la riforma della sentenza impugnata e l'annullamento della cartella di pagamento di cui trattasi, con vittoria delle spese di lite per entrambi i gradi di giudizio e condanna al risarcimento ai sensi dell'art. 96 c.p.c. In via subordinata, la difesa del contribuente ha chiesto la riduzione della condanna alle spese di lite e la riduzione dell'importo dovuto nella misura rigorosamente provata dall'A.F., previa detrazione di quanto già versato.

Si è costituita l'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale I di Roma, la quale ha formulato le seguenti controdeduzioni:

a seguito del tardivo versamento delle rate n. 10 e n. 11 da parte del contribuente, l'Ufficio ha iscritto a ruolo le somme residue, con sanzioni e interessi, e la relativa cartella di pagamento venne notificata il 31 gennaio 2016, qui tempestivamente rispetto al termine del 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di scadenza della rata non pagata;
stante la notificazione della cartella de qua con la procedura prevista per il caso di irreperibilità assoluta, non è possibile l'impugnazione dell'estratto di ruolo;
infondata è la doglianza sulla mancata specificazione del calcolo degli interessi, dato che nessuna disposizione prevede siffatta indicazione nella cartella di pagamento.
Per le esposte ragioni l'Ufficio ha chiesto il rigetto dell'appello, con condanna dell'appellante al rimborso delle spese di giudizio.

All'odierna udienza nessuna delle parti è comparsa.

Motivazione

1. L'appello è fondato con riferimento al difetto di notificazione della cartella di pagamento di cui trattasi.


Invero, non è possibile concordare con i primi giudici in ordine alla necessità di proporre querela di falso per contestare la veridicità della notificazione, in quanto nella specie non vengono messe in discussione le attestazioni del messo notificatore, ma la ritualità della procedura seguita per la notificazione. In particolare, si coglie dall'esame della relazione di notificazione che il messo, nei suoi due accessi, non rilevò l'irreperibilità del destinatario, ma ebbe a constatare l'insufficienza dell'indirizzo. A seguito di ciò, egli, dopo aver proceduto a un riscontro anagrafico che confermò la residenza ove erano stati infruttuosamente effettuati i detti tentativi di notificazione, provvide al deposito dell'atto presso la casa comunale, ritenendo sussistere un'irreperibilità assoluta.
Orbene, tale modus operandi, non può essere ritenuto corretto, giacché la procedura per la notificazione in caso di irreperibilità assoluta del destinatario presuppone che il medesimo non sia stato reperito nel luogo dell'esperito tentativo di notificazione - ad esempio perché sconosciuto o trasferito senza lasciare nuovo indirizzo - mentre nel caso in esame l'infruttuosità della notificazione era riconducibile all'incompletezza dell'indirizzo. Esaminando attentamente la documentazione relativa alla notificazione di cui trattasi - e, in particolare la certificazione anagrafica acquisita dal messo -, è dato rilevare che l'indirizzo indicato sull'atto da notificare è, in effetti, manchevole della specificazione del numero di palazzina e di scala (il destinatario, evidentemente, risiede in un complesso edilizio costituito da più edifìci, per cui sono necessarie tali, ulteriori, indicazioni per l'effettiva reperibilità). Risulta, pertanto, evidente che il messo notificatore, avendo acquisito il completo indirizzo di residenza del destinatario tramite l'accertamento anagrafico, era certamente in condizioni, usando l'ordinaria diligenza, di procedere alla notificazione dell'atto al destinatario (per la ritenuta invalidità della notificazione in tale fattispecie, si veda, specificamente, Cass., Sez. 1, sent. n. 11360 del 30/05/2005, in C.e.d. Cass., rv. 583538-01).

Conseguentemente, il mancato reperimento del notificando fu dovuto all'incompletezza dell'indirizzo, o a un insufficiente verifica, da parte del messo, del nominativo sui citofoni all'ingresso del comprensorio, sicché non vi erano i presupposti per ravvisare un'irreperibilità assoluta.

Al riguardo è di conforto la giurisprudenza di legittimità, che ha in più arresti sottolineato che «/"...J in tema di notifica degli atti impositivi, la cd. irreperibilità assoluta del destinatario che ne consente il compimento ai sensi dell'art. 60, lett. e), del d.P.R. n. 600 del 1973, presuppone che nel Comune, già sede del domicilio fiscale dello stesso, il contribuente non abbia più abitazione, ufficio o azienda e, quindi, manchino dati ed elementi, oggettivamente idonei, per notificare altrimenti l'atto.'>'> (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 19958 del 27/07/2018, in C.e.d. Cass., rv. 650145 - 01; confi Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 6765 del 08/03/2019, ivi, rv. 653075 - 01).

In considerazione di quanto sopra, è fondata l'eccezione del contribuente in ordine alla irritualità della notificazione della cartella di pagamento de qua.

Ciò detto, ritiene la Commissione che l'Ufficio sia incorso nella decadenza eccepita dall'appellante, per aver emesso la cartella di pagamento oltre il termine previsto dall'art. 3-bis del d.lgs. n. 462/1997. I primi giudici hanno sostenuto l'inapplicabilità di detta disposizione, in ragione della sua avvenuta abrogazione ad opera del d.lgs. n. 159/2015; tale assunto non può, però, essere condiviso, in quanto l'intervenuta modifica legislativa non opera per le posizioni pregresse, secondo quanto stabilito dall'art. 15 del citato d.lgs., sicché il recupero delle rate non versate andava effettuato "... entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di scadenza della rata non pagata o pagata in ritardo", come stabilito dal citato art. 3-bis del d.lgs. n. 462/1997.
Per le esposte ragioni l'appello del contribuente va accolto relativamente all'eccepita nullità della notificazione della cartella di pagamento di cui trattasi e alla conseguenziale decadenza ex art. 3- bis del d.lgs. n. 462/1997, con assorbimento degli ulteriori motivi.
Peraltro, lo stesso Ufficio ha fatto riferimento all'applicabilità di detto termine di decadenza, sostenendo di averlo rispettato. Come osservato sopra, però, la notificazione della cartella non è avvenuta ritualmente e, dunque, si è determinata la decadenza di cui sopra.

2. Alla soccombenza consegue la condanna dell'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale I di Roma al pagamento delle spese di giudizio in favore della controparte, che - avuti presenti i criteri direttivi di cui agli artt. 4 e ss. del d.m. 55/2014 e alle tabelle ad esso allegate, tenuto conto del valore della lite, della complessità della materia e dell'attività svolta e dell'aumento del 15% per spese forfettarie di cui all'art. 2 del citato d.m. 55/2014 - vengono liquidate nella misura complessiva di euro 1.000,00 (mille/00), per il primo grado di giudizio e di euro 1.400,00 (millequattrocento/00) per il secondo grado di giudizio, oltre accessori di legge.

Ad avviso della Commissione non ricorrono, invece, le condizioni per la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. richiesta dall'appellante, giacché non appare ravvisabile la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall'art. 88 c.p.c., che, secondo la giurisprudenza di legittimità costituisce il fondamento della condanna di cui trattasi (Cass., Sez. U, sent. n. 22405 del 13/09/2018, in C.e.d. Cass., rv. 650452). Invero, come specificamente affermato dalla Corte di cassazione nella pronuncia ora menzionata, «f...J la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l'accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell'infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell 'ordinaria diligenza volta all 'acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell'iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione. ».

Nel caso di specie, in verità, si è trattato di un contrasto in ordine alla valutazione della validità della notificazione della cartella che non ha manifestato alcuna malafede o colpa grave da parte dell'ufficio, la cui interpretazione è stata, peraltro, condivisa dai giudici di primo grado. Pertanto, non sussistono i presupposti per aderire alla richiesta dell'appellante di condanna della controparte al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.

PQM

la Commissione accoglie l'appello; condanna l'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale I di Roma al rimborso alla controparte alle spese del giudizio, che vengono liquidate nella misura complessiva di euro 1.000,00 (mille/00), per il primo grado e di euro 1.400,00 (millequattrocento/00) per il secondo grado, oltre accessori di legge


Scarica copia del provvedimento: CTR Lazio sentenza n.3896 del 9.11.2020

 

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