LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo - Primo Presidente f.f. -
Dott. PREDEN Roberto - Presidente di sezione -
Dott. ALTIERI Enrico - Presidente di sezione -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. MACIOCE Luigi - Consigliere -
Dott. BUCCIANTE Ettore - Consigliere -
Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere -
Dott. VIVALDI Roberta - rel. Consigliere -
Dott. PETITTI Stefano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 12184/2005 proposto da:
ASSESSORATO SANITA' DELLA REGIONE SICILIANA, in persona
dell'Assessore pro tempore, GESTIONE; STRALCIO AUSL *******, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope
legis;
- ricorrenti -
contro
UNICREDIT BANCA D'IMPRESA S.P.A. (già CREDITO ITALIANO S.P.A.) *******,in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, ****;
GE.FI. MEDICAL S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, *****;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 207/2005 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 28/02/2005;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 12/10/2010 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;
udito l'Avvocato *******dell'Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del primo motivo, accoglimento del secondo.

Svolgimento del processo

La società Ge.Fi. Medical srl otteneva decreto ingiuntivo, nei confronti della Usl ****, per il pagamento della somma di L. 949.059.644 ed accessori, a titolo di corrispettivo per forniture di materiale medico specialistico negli anni 1990-1991.
Proponeva opposizione la Usl ***** sostenendo la mancata prova delle consegne e l'inesistenza di "una formale aggiudicazione" o di un "formale provvedimento di richiesta di acquisto".
La società tornitrice contestava la fondatezza dell'opposizione rilevando - oltre all'esistenza di documentazione comprovante l'avvenuta consegna e (all'esistenza) di una deliberazione del comitato di gestione 8.6.1991 n. 2451 per una parte delle forniture - che si trattava di forniture di urgente necessità richieste, di volta in volta, dal primario ospedaliero della divisione, e per materiali commercializzati in esclusiva dalla Ge.Fi Medical srl.
In subordine, poi, proponeva domanda di condanna, per lo stesso importo, ai sensi dell'art. 2041 c.c., con interessi legali e rivalutazione monetaria, oltre alla domanda di risarcimento del danno, per gli interessi passivi del 18% annuo corrisposto agli istituti, di credito; in ulteriore subordine, riduceva l'importo dovuto a L. 61.730.000 come indicato nella delibera sopra richiamata.
Interveniva il Credito Italiano quale cessionario del credito.
Con sentenza del 31.10.2002, corretta con decreto del 25.1.2003, il tribunale di Palermo - ritenuta l'inapplicabilità del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, comma 4, conv. nella L. n. 44 del 1989, alle aziende Usl - rigettava l'opposizione, riducendo, peraltro, l'importo dovuto in relazione ai pagamenti nel frattempo intervenuti; rideterminando, inoltre, interessi e rivalutazione.
Quanto, poi, alla somma di L. 275.273.180, la condanna era pronunciata in favore del cessionario, mentre la domanda di cui all'art. 2041 c.c., era dichiarata assorbita.
Sugli appelli proposti dall'Assessorato alla Sanità della Regione Siciliana e dalla Gestione stralcio dell'Azienda Usl *******, la Corte d'appello, con sentenza del 28.2.2005, in parziale riforma della sentenza impugnata, revocava il decreto ingiuntivo, condannando gli appellanti al pagamento di Euro 454.390,00 a titolo di ingiustificato arricchimento.
Rilevava, a tal fine, la necessità della forma scritta ad substantiam in relazione a tutti i contratti conclusi dalla P.A. anche a titolo privatistico (iure privatorum), la insussistenza di un titolo negoziale, l'inapplicabilità della normativa richiamata perchè estranea alla fattispecie, e l'ammissibilità e fondatezza della domanda di arricchimento senza causa, per essere il processo retto dal rito anteriore alla L. 26 novembre 1990, n. 353, entrata in vigore il 30.4.1995.
Hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi l'Assessorato alla Sanità della Regione Siciliana e la Gestione stralcio dell'Azienda Usl ****.
Resistono con controricorso la Ge.Fi, Medical srl in liquidazione ed Unicredit Banca spa (già Credito Italiano s.p.a.).
Fissata la trattazione del ricorso per l'udienza del 2.12.2009, la terza sezione civile della Corte, tenuto conto che analoga questione era stata oggetto dell'ordinanza di rimessione del 26.10.2009 n. 22592, ha emesso ordinanza interlocutoria (n. 1), depositata il 4.1.2010, di rimessione degli atti a Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite.
Il Primo Presidente ha provveduto in tal senso.
I ricorrenti hanno presentato memoria.

Motivazione

1. La questione di diritto posta dall' ordinanza di rimessione.
Con l'ordinanza interlocutoria n. 1 del 4.1.2010, la terza sezione civile della Corte ha posto il tema della proponibilità, da parte dell'opposto, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, della domanda di ingiustificato arricchimento, ai sensi dell'art. 2041 c.c., quale domanda riconvenzionale, in considerazione della sua posizione sostanziale di attore, e non di convenuto, nel giudizio conseguente all'opposizione.
A tal fine, l'ordinanza rileva la coesistenza di due diversi orientamenti.
Il primo, secondo il quale la relativa domanda avrebbe sempre diversi petitum e causa petendi, introducendo nel giudizio gli elementi costitutivi di una diversa situazione giuridica.
Secondo tale orientamento, in particolare, la domanda ex art. 2041 c.c., è diversa da quella di adempimento contrattuale, perchè fondata su fatti costitutivi distinti ed idonei ad individuare diritti eterodeterminati, con evidente mutatio libelli ed inammissibilità della domanda nuova, ai sensi degli artt. 184 e 345 c.p.c.; con il conseguente rilievo officioso della inammissibilità, anche in sede di legittimità (Cass. 27.1.2010 n, 17078; Cass. 3.3.2009 n. 507; Cass. 30.4.2008 n. 10966; Cass. 27.3.2008 n. 7966;
Cass. 2.8.2007 n. 17007; Cass. 2.12.2004 n. 22667; Cass. 26.5.2004 n. 10168; Cass. 18.11.2003 n. 17440; Cass. 24.10.2003 n. 16005; Cass. 2.7.2003 n. 10409).
Se, poi, l'azione generale di arricchimento senza causa sia stata proposta nei confronti della Pubblica Amministrazione, questa presuppone, oltre al fatto materiale dell'esecuzione di una prestazione economicamente vantaggiosa per l'ente pubblico, anche il riconoscimento - esplicito od implicito - della sua utilità, da parte degli organi rappresentativi dello stesso ente.
Avendo, pertanto, le due azioni - di pagamento e di indebito arricchimento - elementi costitutivi diversi, sono ravvisabili, come già detto, gli estremi della mutatio libelli nel passaggio dall'una all'altra domanda.
L'azione di ingiustificato arricchimento, che ha natura sussidiaria, peculiare petitum e specifica causa petendi, non può ritenersi contenuta implicitamente in una domanda fondata su di un diverso titolo.
Costituendo, quindi, la domanda di arricchimento senza causa domanda nuova rispetto a quella di adempimento contrattuale, essa è ritenuta inammissibile, se proposta, dall'opposto, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Fermo, pertanto, il principio dell'inammissibilità, si fa soltanto salva, secondo i principii generali, la reconventio reconventionis, perchè, in questo caso, l'opposto viene a trovarsi nella posizione processuale del convenuto.
Il secondo indirizzo, invece, non considera mutatio, ma semplice emendatici libelli, come tale estranea al divieto di cui all'art. 183 c.p.c., la domanda di ingiustificato arricchimento proposta dall'opposto, senza immutazione od alterazione del fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio. Il che si verifica quando le risultanze processuali acquisite agli atti evidenzino la ricorrenza di tutti i presupposti di fatto, che condizionano l'accoglimento della domanda di cui all'art. 2041 c.c.: vale a dire l'impoverimento dell'attore, l'arricchimento della controparte o - quando questa sia rappresentata dalla P.A. - l'utilitas della prestazione stessa in vista dei fini istituzionali dell'ente, e la sua concreta utilizzazione per tali fini.
Questo filone è connotato da due essenziali varianti argomentative.
La prima, che valorizza la natura del procedimento in cui la domanda è inserita, ovvero quello di opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell'art. 645 c.p.c., il quale sarebbe proprio finalizzato ad esaminare la fondatezza della domanda dei creditore; in base, quindi, a tutti gli elementi offerti dallo stesso, e contrastati dall'ingiunto (Cass. 23.6.2009 n. 14646).
La seconda - quella maggiormente seguita - che esalta, non tanto il tipo di procedimento adottato, quanto il fatto che nel giudizio siano già presenti tutti gli elementi costitutivi dell'azione di indebito arricchimento, considerata, quindi, come una diversa qualificazione dei fatti già introdotti (Cass. 15.4.2010 n. 9042; Cass. 18.11.2008 n. 27406; Cass. 14.6.2000 n. 8110; Cass. 28.11.1997 n. 12009).
Rileva l'ordinanza di rimessione, l'opportunità che il contrasto manifestatosi nelle sezioni semplici sia risolto dalle Sezioni Unite "anche alla luce della valenza costituzionale conferita ai tempi del processo dal novellato art. 111 Cost., e dal principio generale che sembra consentito inferirne: quello secondo il quale, quante volte sia possibile evitare una duplicazione di procedimenti in funzione della realizzazione delle ragioni sostanziali delle parti e sia pienamente garantito il diritto di difesa, le disposizioni processuali vanno interpretate in senso funzionale al raggiungimento di un risultato utile in tempi il più possibile contenuti".

2. La decisione di questa Suprema Corte.
La Corte ritiene insoddisfacenti le argomentazioni seguite da entrambi gli indirizzi giurisprudenziali alla luce delle considerazioni e per le ragioni che seguono.
L'analisi va condotta partendo dall'esame della disposizione contenuta nell'art. 645 c.p.c., comma 2, che disciplina il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, secondo cui "In seguito all'opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito, ma i termini di comparizione sono ridotti a metà".
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (cui sono conformi, sia la giurisprudenza di merito, sia la dottrina), l'opposizione a decreto ingiuntivo non è un'azione di impugnazione del decreto stesso, volta a farne valere vizi, ovvero originarie ragioni di invalidità (v. Cass. 15 maggio 2003, n. 7545; Cass. 19 maggio 2000, n. 6528.; Cass. 4 aprile 2001, n. 4985; Cass. 27 giugno 2000, n. 8718; Cass., 17 novembre 1997, n. 11417; Cass., 28 gennaio 1995, n. 1052), ma introduce un ordinario giudizio di cognizione di merito, finalizzato all'accertamento della esistenza del diritto di credito fatto valere dal creditore con il ricorso ex artt. 633 e 638 c.p.c..
Il giudizio di cognizione, quindi, è diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall'ingiungente opposto che assume la posizione sostanziale di attore - e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall'ingiunto opponente - che assume la posizione sostanziale di convenuto.
E con riguardo alla posizione sostanziale delle parti, operano cosi il regime probatorio come la disciplina delle facoltà processuali.
Ne deriva che, mentre l'opposto, in relazione alla sua qualità sostanziale di attore, non può proporre domande diverse da quella fatta valere con l'ingiunzione, all'opponente è consentito di proporre, con l'atto di opposizione, le eventuali domande riconvenzionali e di integrare la propria difesa, rispetto alla pretesa fatta valere dall'ingiungente (Cass. 15.5.2003 n. 7545; Cass. 19.5.2000 n. 6528).
Corollario di tali premesse è che la sentenza, che decide il giudizio, deve accogliere la domanda dell'attore (ovvero del creditore istante), rigettando, conseguentemente, l'opposizione, qualora riscontri che i fatti costitutivi del diritto fatto valere in sede monitoria, pur se non sussistevano al momento della proposizione del ricorso, ricorrono, tuttavia, in quello successivo della decisione (v. ex multis Cass. 16.3.2006 n. 5844; Cass. 23.2.2002 n. 2573; Cass. 25.5.1999 n. 5055; v. anche Cass. 16.5.2007 n. 11302).
In questo contesto, vanno, quindi esaminate le domande di arricchimento senza causa e di adempimento contrattuale. Esse sono strutturalmente e tipologicamente diverse. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la risalente sentenza 22 maggio 1496 n. 4712, pronunciata in un giudizio ordinario, e non di opposizione a decreto ingiuntivo - (ma nello stesso senso sono quelle successive: Cass. 29.9.1997 n. 9507; Cass. 29.1.1998 n. 915; Cass. 6.10.1999 n. 11123; Cass. 12.6.2000 n. 7979; Cass. 20.12.2001 n. 16063; Cass. 27.11.2001 n. 15028; Cass. 29.3.2001 n. 4612; Cass. 24.10.2003 n. 16005; Cass. 11.5.2003 n. 7378; Cass. 2.12.2004 n. 22667; Cass. 26.5.2004 n. 10168; Cass. 2.8,2007 n. 17007) hanno affermato che la domanda d' indennizzo per arricchimento senza causa integra, rispetto a quella di adempimento contrattuale originariamente formulata, una domanda nuova.
Può seguirsi tale impostazione sul presupposto che entrambe riguardano diritti eterodeterminati (nei quali il bene acquista determinatezza solo mediante il collegamento con la causale addotta a sostegno della pretesa), per la cui individuazione è, quindi, necessario il riferimento ai relativi fatti costitutivi.
E l'analisi dei fatti costitutivi delle azioni di adempimento e di arricchimento senza causa porta agevolmente alla conclusione che, anche con riferimento al petitum, il bene giuridico è diverso: indennizzo invece del pagamento del corrispettivo pattuito.
In ordine, poi, alla causa petendi, è di tutta evidenza che la presenza e l'entità del proprio impoverimento e dell'altrui locupletazione siano elementi estranei all'azione contrattuale, così come il riconoscimento dell'utilitas da parte dell'ente, che, in ipotesi di coinvolgimento della Pubblica Amministrazione, è addirittura un ulteriore elemento integrativo dell'azione.
Ora, il divieto di mutatio risiede nell'esigenza di evitare che lo introduca un cambiamento del bene giuridico perseguito e dei fatti giuridicamente rilevanti.
Tali domande non sono, dunque, intercambiabili, e non costituiscono articolazioni di un'unica matrice, posto che i fatti costitutivi, che rispettivamente le individuano, divergono sensibilmente fra loro ed identificano due distinte entità, nessuna delle quali può dirsi potenzialmente contenente l'altra o potenzialmente in essa contenuta (così anche S.U. n. 4712/1996 cit.).
L'attore, quindi, sostituendo la prima alla seconda, non solo chiede un bene giuridico diverso (indennizzo, anzichè il corrispettivo pattuito), così mutando l'originario petitum, ma, soprattutto, introduce nel processo gli elementi costitutivi della nuova situazione giuridica, che erano - come già detto - privi di rilievo nel rapporto contrattuale.
Diversamente, sarebbe posto al giudice un nuovo tema d'indagine e sarebbero spostati i termini della controversia, con l'effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare funzionamento del processo.
Se questi sono i caratteri distintivi delle domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, è evidente che non può neppure parlarsi di emendatici libelli nel passaggio dall'una all'altra azione.
E' principio pacifico che si ha semplice emendatio - e non mutatio - quando si incida sulla causa petendi, in modo tale che risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto; oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo, al fine di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere in giudizio (tra le varie v. Cass. 19.4.2010 n. 9266; Cass. 27.7.2009 n. 17457; Cass. 28.3.2007 n. 7579; Cass. 19.3.2007 n. 6468; Cass. 28.6.2006 n. 14961;Cass. 30.11.2005 n. 26079).
Ma, nel caso in esame, non può sostenersi che si tratti soltanto di una diversa interpretazione e/o qualificazione giuridica dei fatti versati in causa; e ciò perchè sono gli stessi fatti giuridicamente rilevanti, posti a fondamento della domanda, a variare, con il conseguente cambiamento del bene giuridico perseguito: e cioè l'indennizzo rispetto al pagamento dei corrispettivo pattuito; in tal modo mutando il petitum mediato della propria originaria azione.
Ne deriverebbe, come già detto, la prospettazione di un tema di indagine - e quindi di decisione - diverso da quello originario -, con effetti pregiudizievoli per la trasparenza e la funzionalità del contraddittorio.
Con ciò si è dimostrato che la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa integra, rispetto a quella di adempimento contrattuale, una domanda diversa.
Occorre ora chiedersi quale conseguenza, la conclusione raggiunta in ordine alla diversità fra le due domande, rivesta quando l'azione di ingiustificato arricchimento sia proposta dall'opposto, in sede di costituzione, nel giudizio introdotto dall'opposizione a decreto ingiuntivo.
Ribadito che soltanto l'opponente, nella sua posizione sostanziale di convenuto, può, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in via generale, proporre domande riconvenzionali, mentre l'opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiunzione, deve, però, osservarsi che - come già ricordato -, ai sensi dell'art. 645 c.p.c., comma 2, in seguito all'opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito.
Il richiamo alle norme del procedimento di cognizione ordinario, consente, quindi, l'applicabilità, al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, anche della norma di cui all'art. 183 c.p.c. (che disciplina l'udienza fissata per la prima comparizione delle parti e per la trattazione della causa) comma 5 c.p.c..
Il testo attuale della norma, (come sostituita dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, lett. c ter, conv., con mod., dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, con decorrenza dal 1 marzo 2006 (per effetto del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39 bis, conv., con mod., dalla L. 23 febbraio 2006, n. 51; ed applicabile ai procedimenti instaurati successivamente a tale data di entrata in vigore) riproduce, le stesso schema e tenore letterale dell'art. 183 c.p.c., comma 4 (norma quest'ultima applicabile, con decorrenza dal 30.4.1995, per effetto della L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 17), nonchè dell'art. 183 c.p.c., comma 4, nel testo anteriore alla novella del 1990. Afferma la disposizione citata: "Nella stessa udienza l'attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi dell'art. 106 e art. 269, comma 3, se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Le parti (nel testo anteriore "Entrambe le parti") possono precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate".
Si tratta del c.d. ius variandi, vale a dire del potere riconosciuto all'attore - soltanto, però, se giustificato dalle attività difensive svolte dal convenuto - di proporre domande nuove (c.d.
reconventio reconventionis), e/o di chiamare in causa terzi, nonchè di sollevare eccezioni in senso stretto riferite alla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto.
Peraltro, la reconventio reconventionis - nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo - nasce dall'eventuale domanda riconvenzionale formulata dall'opponente, a seguito della quale la parte opposta si venga a trovare a sua volta nella posizione processuale di convenuto, cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione, appunto, di una reconventio reconventionis (v. in questo senso Cass. 13.2.2009 n. 3639; Cass. 31.3.2007 n. 8077; Cass. 7.2.2006 n. 2529; Cass. 8.6.2004 n. 11415; Cass. 29.7.2002 n. 11180).
Si può ora applicare lo schema, descritto per l'ordinario giudizio di cognizione, al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, essendo ciò consentito per l'espressa menzione delle norme del procedimento ordinario ad opera dell'art. 645 c.p.c., comma 2.
La previsione, in via generale, dell'art. 183 c.p.c., comma 5, nasce dal fatto che questa udienza rappresenta per l'attore il primo atto in cui le facoltà ivi previste possono essere dallo stesso esercitate, posto che nascono dall'attività defensionale riversata nella comparsa di risposta dal convenuto.
Diversamente, nel giudizio di cognizione che si apre con l'opposizione, quale atto introduttivo del giudizio, in cui l'opponente, quale attore solo in senso formale, ma convenuto in senso sostanziale, contesta le ragioni dell'ingiungente.
Nel caso in cui l'opponente introduca nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non una domanda riconvenzionale, ma soltanto un ulteriore tema di indagine, quale quello che può giustificare l'esame di una situazione di arricchimento senza causa, ecco che, allora, nasce per l'opposto l'esigenza di interloquire sul punto, e l'esercizio di una tale facoltà gli deve essere riconosciuto per le stesse ragioni che hanno dato luogo alla previsione dell'art. 183, comma 5 (e per i periodi temporalmente precedenti quarto comma), applicabile per il disposto dell'art. 645 c.p.c., comma 2, al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. All'opponente, in questo caso, è, quindi, consentito proporre la domanda di arricchimento senza causa, diversa da quella introdotta con l'ingiunzione.
Ma tale facoltà gli va riconosciuta soltanto se una tale esigenza nasca dall'attività processuale della parte opponente che abbia prospettato nel primo atto introduttivo del relativo giudizio (vale a dire l'atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo) difese sia in fatto, sia in diritto finalizzate al rigetto della domanda, ma integranti un tema di indagine tale da giustificare, da parte dell'opposto, una domanda di ingiustificato arricchimento.
In questo caso, non può parlarsi, di reconventio reconventionis, perchè la domanda di arricchimento senza causa non dipende dal titolo dedotto in causa, nè la sua proponibilità deriva da una domanda riconvenzionale dell'opposto, ma soltanto dal tema d'indagine prospettato nelle difese finalizzate, sempre e soltanto, a contestare le richieste attoree.
Non sarà, viceversa, consentito alla parte opposta di proporre, nei suo primo atto difensivo (cioè la comparsa di risposta) - e ancor di più, evidentemente, nel corso del giudizio un'autonoma domanda di arricchimento senza causa, neppure dato il carattere sussidiario dell'azione - cautelativamente, in via subordinata, per l'ipotesi che sia negata l'esistenza o la validità del titolo specifico, in base al quale è stata proposta la domanda principale d'ingiunzione.
E ciò, per la sua veste di attore sostanziale nel giudizio fondato sull'ingiunzione proposta a tutela di una situazione soggettiva nascente da titolo contrattuale.
Detto ciò, è però necessario delineare i limiti temporali dell'esercizio di questa facoltà.
All'attore è consentito nell'ordinario giudizio di cognizione di proporre, nell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., quelle domande ed eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, perchè questa rappresenta il primo atto difensivo utile, in quanto temporalmente successivo a quello che ne determina la proponibilità.
Invece, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il limite temporale preclusivo alla proponibilità della domanda di arricchimento senza causa deve farsi risalire alla comparsa di costituzione e risposta dell'opposto equivalente, per le ragioni già dette, alla comparsa di risposta del convenuto ai sensi dell'art. 167 c.p.c., nell'ordinario giudizio di cognizione.
La comparsa di costituzione e risposta, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, rappresenta, infatti, il primo atto difensivo, in cui l'opposto, a seguito delle difese contenute nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo dell'opponente, deve proporre, a pena di decadenza (arg. ex art. 167 c.p.c., comma 2), la domanda di ingiustificato arricchimento.
Al di fuori di tali ristretti termini, la domanda di ingiustificato arricchimento non può essere proposta nel giudizio di primo grado conseguente alla proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo, e la sua tardiva proposizione è soggetta al rilievo officioso, indipendentemente dall'atteggiamento processuale della controparte.
Il regime di preclusioni introdotto nel rito civile ordinario riformato - la cui applicabilità nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è consentita per le ragioni già sottolineate - è finalizzato a tutelare, non solo l'interesse di parte, ma anche l'interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo (v. in questo senso, anche Cass. 5.7.2007 n. 15147; Cass. 29.3.2006 n. 7243; Cass. 27.5.2005 n. 11318; inoltre S.U. 11.5.2006 n. 10831).
Al che consegue che neppure l'accettazione del contraddittorio vale a sanare la sua tardiva proposizione.
Il rilievo consente, poi, di concludere anche nel senso della improponibilità - a maggiore ragione - dell'azione di ingiustificato arricchimento nel giudizio di appello.
L'iter processuale indicato coniuga le diverse esigenze di un'adeguata tutela del diritto di difesa e del contraddittorio, espressioni del giusto processo di cui all'art. 111 Cost., e trova il suo addentellato giustificativo nella salvaguardia dei principii di economia processuale e di durata ragionevole del processo.
Conclusivamente, va enunciato il seguente principio di diritto: "La domanda di ingiustificato arricchimento è domanda diversa rispetto a quella di adempimento contrattuale perchè diversi sono i fatti giuridicamente rilevanti, posti a fondamento della domanda e diverso è il bene giuridico perseguito. Ne consegue che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, al creditore opposto è consentita la sua proposizione, soltanto se tale esigenza nasce dalle difese dell'ingiunto-opponente contenute nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, e purchè la relativa domanda sia proposta - a pena di inammissibilità rilevabile d'ufficio - nella comparsa di costituzione e risposta della parte opposta".

3. L'esame del ricorso.
Alla luce dei principii enunciati va ora esaminato il ricorso proposto.
Con il primo motivo le ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicaizione degli artt. 112, 183, 184 e 648 c.p.c., in relazione agli artt. 1453 e 2041 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 4).
Le censure proposte fanno leva sulla ritenuta novità della domanda di arricchimento senza causa rispetto all'originaria domanda di adempimento, introdotta con il ricorso per ingiunzione e, conseguentemente, sulla sua improponibilità neppure nel primo atto difensivo dell'opposto (comparsa di costituzione e risposta) nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo fondato su di un titolo contrattuale, senza che rilevi la sua proposizione in via "riconvenzionale".
Il motivo non è fondato.
La soluzione al quesito risiede nella soluzione che, al contrasto sul tema della ammissibilità o meno della domanda di arricchimento senza causa e della sua proponibilità nell'ambito dei giudizio di opposizione a procedimento monitorio, hanno dato le Sezioni Unite di questa Corte con la presente decisione.
Richiamato, dunque, il principio per cui le domande di adempimento e di ingiustificato arricchimento sono strutturalmente diverse, non intercambiabili, nè autonomamente proponibili nel giudizio di cognizione che si apre con l'opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto in sede monitoria, e che la proponibilità della seconda domanda (quella di arricchimento senza causa) è riconosciuta soltanto in conseguenza della natura delle questioni difensive introdotte dalla parte opponente, con l'atto introduttivo del relativo giudizio, deve ulteriormente osservarsi - con riferimento al caso ora sottoposto all'esame della Corte di legittimità - quanto segue.
Nel caso concreto, dall'esame degli atti - consentito in questa sede per la denuncia di vizi processuali - le argomentazioni contenute negli scritti difensivi, introduttivi del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (desumendosi anche dal contenuto della comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado del Commissario Liquidatore della disciolta USL **** con la conferma, oltretutto, delle originarie ragioni di contestazione riprodotte nell'originario atto di opposizione a decreto ingiuntivo) rendono palese che l'attività difensiva delle opponenti amministrazioni s'indirizzava anche a contrastare eventuali situazioni di indennizzabilita per il pregiudizio subito dalla società opposta; questa prospettazione di parte implica che il tema di indagine su di un ipotizzabile, ingiustificato arricchimento risultava introdotta nel giudizio. Di qui, la piena ammissibilità e tempestività della domanda di ingiustificato arricchimento contenuta nella comparsa di costituzione e risposta della opposta società Ge.Fi. Medical srl.
In questo senso va, quindi, corretta la motivazione mantenendo ferma la statuizione adottata dalla Corte di merito che aveva ritenuto l'ammissibilità della domanda di ingiustificato arricchimento introdotta con la comparsa di risposta nel giudizio di primo grado di opposizione a decreto ingiuntivo, e riproposta in appello - per l'ipotesi, riconosciuta fondata, di accoglimento del primo motivo proposto dagli appellanti sull'inesistenza di un titolo negoziale, e per la mancanza di forma scritta ad substantiam prevista per tutti i contratti conclusi dalla P.A. anche a titolo privatistico (iure privatorum), per essere il giudizio de quo retto dal rito anteriore a quello disciplinato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, entrato in vigore a decorrere dal 30.4.1995, con la conseguente ammissibilità, e fondatezza, della domanda di ingiustificato arricchimento proposta in via subordinata rispetto a quella principale, quale semplice emendatio libelli e non mutatio.

Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione della L. n. 833 del 1978, art. 15 e della L.R. Sicilia n. 87 del 1980, art. 10. Violazione o falsa applicazione dell'art. 1362 c.c., e segg. (art. 360 c.p.c., n. 3). Insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).
Anche questo motivo non è fondato.
Le censure si articolano nelle seguenti argomentazioni:
a) Il riconoscimento espresso dell'utilità della prestazione non poteva provenire - come ha ritenuto la Corte di merito - dai direttore amministrativo dell'Unità Sanitaria Locale, non trattandosi di organo rappresentativo dell'ente;
b) pur ammesso che una tale efficacia potesse essere riconosciuta alla delibera adottata dall'amministratore straordinario della USL, risulta che la stessa avesse ad oggetto somme pacificamente versate in corso di causa dall'ente, e non anche quelle per le quali era intervenuta condanna;
c) difettava, pertanto, la stessa prova della esecuzione delle prestazioni da parte dell'impresa fornitrice.
I rilievi mossi alla sentenza di merito non possono essere condivisi.
A tal fine deve evidenziarsi che la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principii consolidati enunciati dalla Corte di cassazione in tema di azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A..
Questa - è noto - differisce da quella ordinaria, in quanto presuppone, non solo il fatto materiale dell'esecuzione di un'opera o di una prestazione vantaggiosa per l'Amministrazione, ma anche il riconoscimento, da parte della stessa, dell'utilità dell'opera o della prestazione.
Un tale riconoscimento, che sostituisce il requisito dell'arricchimento previsto dall'art. 2041 c.c., nei rapporti tra privati, può avvenire in maniera esplicita, cioè con un atto formale, oppure può risultare in modo implicito da atti o comportamenti della P.A. dai quali si desuma inequivocabilmente un effettuato giudizio positivo circa il vantaggio o l'utilità della prestazione giudizio, però,che deve promanare da organi rappresentativi dell'amministrazione interessata (v. per tutte Cass. 14.10.2008 n. 25156; da ultimo Cass. 4.3.2010 n. 5206).
Ora, nel caso in esame, vero è che l'atto di riconoscimento dell'effettiva consegna e del riconoscimento dell'utilità delle forniture - peraltro, come si legge nella sentenza impugnata, mai contestate - che i giudici di appello hanno ravvisato nella lettera dell'11.3.1993, con la quale si comunicava alla Ge.Fi. Medical srl "che le forniture in oggetto erano state effettuate e che i pagamenti sarebbero avvenuti non appena i crediti fossero diventati liquidi ed esigibili", non può correttamente imputarsi ad un organo rappresentativo dell'ente. Ciò perchè il riconoscimento proveniva dal direttore amministrativo dell'USL *****, al quale non può essere attribuito un tale potere rappresentativo e, quindi, la legittimazione ad un tale riconoscimento, da parte della P.A. (ai sensi della L. n. 833 del 1978, art. 15 e L.R. Sicilia n. 87 del 1980, art. 10, che individuano gli organi dell'unità sanitaria locale, nell'assemblea generale, nel comitato di gestione e nel suo presidente, oltre che nel collegio dei revisori).
Ma alla stessa conclusione non può certo pervenirsi con riferimento alla delibera adottata, il 26.10.1992, dall'amministratore straordinario della stessa Usl, nella quale la stessa Corte di merito individua una ulteriore manifestazione di riconoscimento implicito della utilitas delle forniture effettuate.
Nessun dubbio che allo stesso vada riconosciuta la legittimità ad una tale manifestazione nei confronti dell'odierna resistente, per essere stato immesso, a seguito di situazioni contingenti della stessa usi, nelle stesse funzioni di legale rappresentanza spettanti, in via generale, al Presidente dell'Ente.
Nè può convenirsi - secondo la tesi delle ricorrenti - che siffatto riconoscimento riguardi soltanto prestazioni effettuate e pagate in corso di causa.
Che la delibera del 26.10.1992 avesse ad oggetto soltanto "somme pacificamente versate in corso di causa dall'ente, e non anche quelle per cui vi è stata condanna", è contraddetto dalle stesse affermazioni contenute nella sentenza impugnata, che, a pag. 6, riferisce alla stessa delibera il riconoscimento dell'avvenuta fornitura, senza ulteriori puntualizzazioni testualmente "dato atto delle consegne" - con ciò intendendo comprendere l'intero rapporto di fornitura.
Nè la illustrazione del motivo contiene elementi che possano indurre ad una diversa conclusione, posto che, oltretutto, i ricorrenti neppure riproducono in ricorso il testo integrale della delibera citata; con ciò violando il principio di autosufficienza (giurisprudenza pacifica; v. in particolare Cass. 27. 1.2009 n. 1893).
Nessuno dei vizi lamentati è, pertanto, imputabile alla Corte di merito.
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
La complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione, fra le parti, delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 12 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2010


 

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