REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio - Primo Presidente f.f. -
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente Sezione -
Dott. RORDORF Renato - Presidente Sezione -
Dott. FORTE Fabrizio - Presidente Sezione -
Dott. MACIOCE Luigi - Presidente Sezione -
Dott. CHIARINI Maria Margherita - rel. Consigliere -
Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere -
Dott. PETITTI Stefano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 20041/2013 proposto da:
S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APIRO 11, presso lo studio dell'avvocato MAURO CATASTO, 147 rappresentato e difeso dall'avvocato FISCAL MARCO, per delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BUSTO ARSIZIO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la sentenza n. 87/2013 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 06/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/03/2014 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;
udito l'Avvocato Marco FISCAL;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

A seguito dell'esposto di B.L., in data 4 aprile 2011, al C.O.A. di Busto Arsizio con cui egli lamentò che: a) il giudice di Pace di Gallarate aveva emesso a favore dell'avv. S.A. un decreto ingiuntivo di Euro 2.500,00, provvisoriamente esecutivo, ottenuto in base ad un atto di riconoscimento di debito documentato dalle parole apposte in calce alla copia fotostatica di un assegno bancario di Euro 5.000,00 del seguente tenore: "per ricevuta S.B.F. quale acconto sulla maggiore somma di Euro 7.500,00 dovuta quale prestito" recante la sottoscrizione dell'avv. S. e una sigla, apparentemente di " B.L.", ma apocrifa come aveva accertato il CTU ed infatti sulla copia in possesso del B. erano state apposte soltanto la data di consegna dell'assegno, 23 dicembre 2009, e la firma dell'avv. S.; b) il suddetto C.O.A. avviò procedimento disciplinare nei confronti del professionista per: "1) Violazione dell'art. 14, canone I, del codice deontologico per avere egli introdotto nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo una prova falsa costituita dalla scrittura di riconoscimento di debito a firma B.L."; 2) "Violazione dell'art. 6, principio generale, del codice deontologico, per aver prodotto in data 10 dicembre 2009 in allegato ad un ricorso per ingiunzione avanti al Giudice di Pace di Gallarate copia di un assegno datato 28 dicembre 2009, con data di ricevuta 23 dicembre 2009".

L'avv. S. replicò che il suo C.T.P. aveva ritenuto autografa la sigla del B. e le parti nel corso del giudizio convennero che il decreto ingiuntivo era stato ottenuto sulla base di assegni trasferibili girati a favore dell'avv. S. in pagamento di parcelle professionali e da questi al B. ed in tal senso venne modificato il secondo capo di incolpazione. Nel corso del giudizio l'avv. S. dichiarò di non reperire l'originale del documento disconosciuto.
Assolto dal secondo addebito, condivisa la C.T.U. disposta dal giudice di Pace e ritenute inattendibili le difese dell'avv. S., il Consiglio dell'ordine gli irrogò la sanzione disciplinare della sospensione di due mesi dall'esercizio professionale per il primo addebito.

Impugnato il provvedimento, il ricorso è stato respinto dal Consiglio Nazionale Forense in data 6 giugno 2013 sulle seguenti considerazioni: 1) l'avv. M., segretario del Consiglio dell'Ordine, aveva sottoscritto per ricevuta le convocazioni per il 16 dicembre 2011 e 19 dicembre 2011, ed era irrilevante che fossero state ricevute lo stesso giorno delle sedute del consiglio; comunque l'eventuale vizio era stato sanato per raggiungimento dello scopo, essendo stato raggiunto il numero legale dei componenti; per la stessa ragione era irrilevante la mancanza di partecipazione alle sedute dell'avv. P., mentre la circostanza che egli avesse acquisito le copie degli atti dal fascicolo del giudice di Pace, attività che ben avrebbe potuto eseguire la segreteria, senza partecipare poi alle sedute, ne rafforzava la posizione di terzietà;
2) quanto a non aver potuto l'avv. S. verificare tempestivamente la legittimità della seconda convocazione, il relativo vizio doveva esser fatto valere nel procedimento amministrativo, diversamente ritenendosi sanato per raggiungimento dello scopo, avendo il Consiglio il potere di convocare con qualsiasi mezzo i suoi componenti ed essendo stato raggiunto il numero legale per la sua valida composizione, e quindi la doglianza in appello era inammissibile; peraltro, nella seduta del 19 dicembre 2011, l'avv. S. aveva espressamente accettato la diversa composizione del collegio;
3) l'acquisizione del fascicolo integrale del procedimento civile pendente tra l'avv. S. ed il B. era legittima, perchè nel procedimento disciplinare, in mancanza di norme, trovano applicazione le norme del codice di procedura civile, mentre le norme del codice di procedura penale sono applicabili soltanto nel caso che la legge professionale ad esse espressamente rinvii o se sorge la necessità della loro applicazione; poichè nulla dispone al riguardo la legge professionale, trova applicazione l'art. 231 c.p.c., che consente di richiedere d'ufficio alla P.A., compresa l'amministrazione della giustizia, i documenti necessari, valendo nel procedimento disciplinare il principio dell'acquisizione delle prove, espressione del potere disciplinare, per formare il convincimento dell'organo, che questo può valutare liberamente;
4) l'avv. B.B. aveva firmato, nella qualità di facente funzioni di segretario, sia il verbale della seduta del 16 che quello del 19 dicembre 2011 ed in assenza del titolare, qualsiasi consigliere componente del consiglio può assumere le funzioni di segretario, senza formalità di procedura della nomina;
5) non sussisteva neppure la violazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 48, poichè innanzi tutto l'avv. S. non aveva chiesto un termine per esaminare gli atti acquisiti dal procedimento del giudizio di opposizione pendente dinanzi al giudice di Pace, che peraltro egli conosceva, ma anzi aveva provveduto a depositare copia di due atti mancanti, e quindi nessuna violazione del suo diritto alla difesa era configurabile; inoltre non è prescritto a pena di decadenza del termine a comparire la concessione di un termine per l'esame degli atti;
6) l'elaborato del C.T.P. G., nominato stragiudizialmente dall'avv. S. e non nel procedimento in cui era stato nominato il C.T.U., era carente metodologicamente e tecnicamente perchè non indicava nè descriveva i documenti di comparazione, ed anzi il parere era stato espresso con riserva di ulteriore documentazione e sulla base di quella offerta dal committente;
7) alla luce di tutta l'istruttoria svolta non vi era incertezza alcuna sul carattere apocrifo della sigla " B. L." - risultante sul documento prodotto dall'avv. S. nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, identificato dallo stesso come "documento di riconoscimento del prestito e restituzione di una parte", utilizzato per provare che era creditore di Euro 2.500,00 e resistere all'opposizione - e inesistente sul medesimo documento prodotto dal B.;
8) la deposizione della praticante Dott. Me. non era convincente perchè non collimante con quella resa dalla stessa in sede giudiziaria, e perchè aveva concluso che non era presente al momento della redazione e della sottoscrizione della ricevuta dei primi assegni relativi al prestito e di non sapersi spiegare la differenza tra i due documenti, quello apocrifo e quello genuino;
9) i documenti nn. 5 e 6 prodotti dall'avv. S. non erano idonei a suffragare la sua tesi perchè nemmeno chiarivano la divergenza tra il versamento parziale di Euro 5.000,00 su Euro 7.000,00 dovute e la somma ingiunta di Euro 2.500,00.

Ricorre per cassazione l'avv. S. con atto notificato al Procuratore Generale di questa Corte il 23 luglio 2013 e il 24 luglio 2014 al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Busto Arsizio.

Motivazione

1.- Con il primo motivo l'avv. S. deduce: "Violazione di legge ed eccesso di potere del C.O.A. (R.D. n. 37 del 1934, art. 47)", e lamenta che sia il C.O.A. sia il C.N.F. hanno violato l'art. 238 c.p.p., secondo cui è possibile acquisire atti del procedimento civile soltanto se definito con sentenza passata in giudicato mentre la sentenza di accoglimento dell'opposizione a decreto ingiuntivo è stata impugnata in appello con richiesta di rinnovo della C.T.U. e quindi era inutilizzabile quella svolta in primo grado, nè potevano esser utilizzate le memorie redatte in detto procedimento.

Il motivo è infondato.
Infatti il C.N.F. ha ribadito il consolidato principio (S.U. 10692/2010 e precedenti ivi richiamati, Cass. pen., 4, n. 27431/2011) secondo cui nei procedimenti disciplinari relativi agli avvocati si devono seguire, quanto alla procedura, le norme particolari che per ogni singolo istituto sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, quelle del codice di procedura civile, mentre le norme del codice di procedura penale si applicano soltanto nelle ipotesi in cui la legge professionale faccia espresso rinvio ad esse, ovvero allorchè sorga la necessità di applicare istituti che hanno il loro regolamento esclusivamente nel codice di procedura penale, sì che, nulla disponendo la legge professionale in ordine alla richiesta di informazioni da parte del giudice disciplinare, deve trovare applicazione l'art. 213 c.p.c., a norma del quale le informazioni scritte e i documenti necessari al processo possono essere richiesti d'ufficio dal giudice anche all'amministrazione della giustizia, che non v'è motivo di escludere dall'ampia nozione di amministrazione pubblica. Inoltre, poichè anche nel processo penale sono legittime l'acquisizione della consulenza tecnica d'ufficio resa nel giudizio civile non ancora definito con sentenza passata in giudicato (Cass. Pen. Sez. 3, n. 5863 del 23/11/2011) e la memoria difensiva depositata nel procedimento civile (Cass. Pen. Sez. 6, n. 5880 del 09/01/2013), attesa la loro natura di prova documentale formata fuori del procedimento penale e rappresentativa di situazioni e cose, alla luce della nozione generale di documento accolta dall'art. 234 c.p.p., deve riaffermarsi la legittimità dell'acquisizione di tali documenti nel procedimento amministrativo dinanzi al Consiglio dell'ordine ed in quello giurisdizionale dinanzi al Consiglio nazionale Forense.

2.- Con il secondo motivo il professionista lamenta: "Violazione di legge per omessa e/o illegittima convocazione dell'organo", non risultando mai convocato il consigliere M., che non ha mai sottoscritto per conoscenza la data di convocazione dinanzi al C.O.A. Circa la seconda convocazione il ricorrente non aveva la possibilità di verificarne la correttezza perchè la comunicazione è avvenuta lo stesso giorno dell'udienza e cioè il 19 dicembre 2011 sì che il primo atto in cui poter far valere il vizio era l'appello. Inoltre è stato convocato sia per la prima che per la seconda udienza l'avv. P., ma nel verbale egli non è indicato quale componente del collegio e quindi il C.O.A. ha deliberato senza indicare quali fossero i componenti realmente presenti alla decisione.

La censura è inammissibile.
Ed infatti, fermo che se l'affermazione contenuta nella decisione del C.N.F. - pag. 6 - secondo cui l'avv. M. ha sottoscritto per ricevuta sia la convocazione per la seduta del 16 dicembre 2011 sia quella per la seduta del 19 dicembre 2011 è frutto di una svista del collegio, il ricorrente avrebbe dovuto impugnare la decisione per revocazione ai sensi dell'art. 395 c.p.c., n. 4, in ogni caso la ratio decidendi, non impugnata, è che il numero legale dei componenti era stato raggiunto e quindi era stato sanato ogni vizio.
Inoltre il C.N.F. ha evidenziato che l'avv. S. aveva espressamente accettato "la diversa composizione del collegio" (pag. 7 della decisione impugnata) e pertanto qualsiasi altra censura al riguardo è preclusa per acquiescenza.

3.- Con il terzo motivo deduce: "Violazione di legge ed eccesso di potere del C.O.A. (R.D. n. 37 del 1934, art. 47)" per avere illegittimamente rimesso il procedimento in istruttoria nella seduta del 16 dicembre 2011 per acquisire il fascicolo del procedimento svoltosi dinanzi al giudice di Pace, potere non previsto dalla legge professionale, e per avere sul punto il C.N.F. richiamato un principio di legittimità non applicabile al C.O.A., organo amministrativo e non giurisdizionale, che perciò non può acquisire informazione e atti dalla P.A..

La censura è infondata in relazione all'acquisizione del fascicolo disposta dal C.N.F. per le ragioni espresse nel rigetto del primo motivo.
3.1- Inoltre, prosegue il ricorrente, è stata acquisita una parte di detto fascicolo e non l'interezza di esso, in contrasto con l'ordinanza emessa dal medesimo organo, violando il giusto procedimento e la sua difesa.
La censura è inammissibile perchè il C.N.F. ha al riguardo affermato che l'avv. S. aveva provveduto ad integrare due allegati mancanti nel fascicolo acquisito sì che nessuna violazione del suo diritto alla difesa era configurabile e tale statuizione non è impugnata, ma soltanto apoditticamente reiterata.

4.- Con il quarto motivo lamenta: "Violazione e falsa applicazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 51" per non esser stata sottoscritta la decisione da persona con funzioni di segretario non essendo stato l'avv. Ba. investito di tale funzione nella seduta del 19 dicembre 2011 e il consigliere M. non risulta mai convocato e sia l'art. 132 c.p.c., sia l'art. 564 c.p.p., comminano la nullità della decisione in caso di mancata sottoscrizione di uno dei giudici indicati per legge.
La censura è inammissibile avendo invece il C.N.F. affermato, come evidenziato in narrativa, che risulta dai verbali sia della seduta del 16 che del 19 dicembre 2011 che l'avv. B. ha assunto la funzione di segretario, la cui nomina non necessitava di particolare procedura, e quindi l'eventuale errore del C.N.F. doveva esser impugnato per revocazione, così come quello concernente la convocazione da parte dell'avv. M..

5.- Con il quinto motivo lamenta: "Violazione di legge e/o eccesso di potere per erroneità della valutazione delle prove" per avere sia il C.O.A. sia il C.N.F. utilizzato per il loro convincimento atti di un procedimento non definito con sentenza passata in giudicato e per non aver valutato nè la testimonianza dell'avv. Me. che ha confermato "la fotocopia degli assegni venne sottoscritta in mia presenza dal B.", nè la perizia G., nè i documenti nn. 5 e 6 provenienti dal B. da cui risultava che egli doveva al S. Euro 26.666,24 per prestazioni professionali e Euro 7.000,00 per prestiti, corrispondenti a tre assegni bancari. Inoltre il B. aveva dato atto di restituire Euro 5.000,00 su un maggior importo di Euro 7.000,00, e aveva chiesto che la restante somma, dovuta per compensi professionali, fosse compensata con i lavori che egli aveva eseguito a favore del S., e quindi Euro 5.000,00 costituivano la restituzione del prestito, non il pagamento dei compensi, e perciò il S. non aveva interesse a precostituirsi la prova oggetto del procedimento disciplinare.

La censura, che non deduce nessuno sviamento di potere - ossia l'uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito (ex multis S.U. 11142 del 2012) - e che senza individuare vizi di motivazione su punti decisivi, reitera la sua diversa valutazione delle prove e ricostruzione dei fatti, è inammissibile.

6. Concludendo il ricorso va respinto.
7.- Non si deve provvedere nè sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva, nè sul contributo ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non dovuto in relazione al ricorso per cassazione proposto avverso le decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense (S.U. 26280 del 2013).

PQM

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 11 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2014


 

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