Svolgimento del processo

I germani Alessandra e Giorgio Meo, con atto pubblico del 30/06/2003, avevano acquistato in comunione l'immobile sito in Fiumefreddo Bruzio, loc. Vardano, e nel 2007 Giorgio Meo conveniva in giudizio la sorella Alessandra dinnanzi al Tribunale di Cosenza, per sentirla condannare al rimborso del 50% delle somme anticipatele in occasione dell'acquisto di tale immobile (comprendenti il prezzo e le spese), oltre al rimborso del 100% delle somme anticipatele per la donazione da lei effettuata a favore dell'altro fratello Giuseppe.

Con la memoria ex art. 183, comma 6 n. 1, l'attore, con il patrocinio di un nuovo difensore, nelle conclusioni chiedeva di accertare che le somme necessarie all'acquisto dell'immobile dovessero essere divise al 50% tra gli acquirenti; che l'importo effettivamente sostenuto per l'acquisto fosse quello indicato nell'atto preliminare di compravendita; che l'importo pagato da Giorgio Meo fosse di C 45.000 per l'acquisto e di C 1.100 per le spese notarili della donazione; quindi chiedeva di condannare la sorella al pagamento del complessivo debito nei suoi confronti di C 12.600, oltre interessi moratori e spese di lite.

Il Tribunale di Cosenza, con la sentenza n. 884/2012 del 30/05/2012, accoglieva in parte la domanda attrice, qualificata come azione di regresso ex art. 1299 c.c., e, dopo aver accertato che, a fronte del prezzo di acquisto dell'immobile di C 67.000 (circostanza non contestata), Alessandra Meo aveva corrisposto C 22.000, Giorgio Meo C 45.000 e non risultava dimostrata la restituzione del conguaglio dovuto al fratello, condannava Alessandra Meo alla restituzione della somma di C 11.500,00, oltre interessi legali.

Rigettava le ulteriori domande di condanna al pagamento degli interessi al tasso ultralegale e di rimborso delle spese Ric. 2018 n. 13143 sez. M2 - ud. 03-07-2020 -2- Corte di Cassazione - copia non ufficiale notarili della donazione, dando atto dell'abbandono di quest'ultima domanda.

Avverso la suddetta sentenza proponeva appello Alessandra Meo lamentando, in primo luogo, l'erronea applicazione dell'art. 183, comma 6 n.1 c.p.c., dal momento che il Tribunale non avrebbe rilevato l'inammissibilità delle domande nuove proposte dall'attore con la prima memoria. In secondo luogo, l'erronea applicazione dell'art. 2697 c.c., dal momento che il Tribunale non avrebbe ritenuto provata la restituzione al fratello Giorgio della somma di C 11.500 da parte di Alessandra, reputando detta circostanza smentita dalla linea difensiva della stessa convenuta. Il Tribunale aveva ravvisato, infatti, una discordanza tra le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio libero, poi confermate dalla successiva testimonianza del marito dell'appellante, e la versione originaria dei fatti contenuta nella memoria di costituzione. L'ultimo motivo di appello riguardava il capo della sentenza relativo alle spese.

La Corte d'Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 526/2017 del 22/03/2017, rigettava l'appello e confermava la sentenza di primo grado, condannando Alessandra Meo al pagamento delle spese di lite.
La Corte d'Appello riteneva superata la questione attinente alla mutatio libelli, alla luce della sentenza della Cassazione a sezioni unite n.12310/2015. In conformità con la decisione del Tribunale, secondo la Corte d'Appello, l'attore con la prima memoria si era limitato a specificare le domande originarie, attraverso la quantificazione delle somme già richieste con la restituzione e la puntualizzazione dei fatti posti a fondamento della domanda.

Secondo la Corte non risultavano alterati né la causa petendi - l'acquisto dell'immobile in comunione con la sorella - né il petitum - attinente alla restituzione della somma anticipata, pur nella diversa quantificazione prospettata dopo l'introduzione della causa. Neppure il riferimento al preliminare di vendita avrebbe potuto ampliare il thema decidendum, costituendo un'allegazione necessaria all'esatta quantificazione delle rispettive quote di corrispettivo pagate dalle parti. Con riferimento alla presunta violazione dell'art. 2697 c.c., dovuta all'erronea valutazione della prova della restituzione della somma dovuta da Alessandra al fratello, la Corte d'Appello ha confermato la statuizione nel merito del Tribunale, ma con una diversa motivazione.

La Corte distrettuale, pur non ritenendo rilevante la discrasia nella linea difensiva della convenuta, imputandola a un probabile difetto di comunicazione tra parte e difensore, comunque, non ha ritenuto sufficientemente provata la circostanza della restituzione della somma da parte di Alessandra Meo. La prova era ricavata esclusivamente dalla testimonianza del marito della Meo, senza che fosse stato fornito alcun riscontro oggettivo della sua veridicità, tanto più necessario tenuto conto, del rapporto di parentela tra la convenuta e il teste, dell'improbabilità del pagamento in contanti di una somma così rilevante, senza che permanesse alcuna traccia documentale, nonostante il deterioramento dei rapporti familiari. Infine, la Corte d'Appello ha ritenuto infondato il motivo attinente alle spese, ritenendo corretta l'applicazione da parte del Tribunale del principio della prevalente soccombenza della convenuta. Alessandra Meo ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza sulla base di due motivi, illustrati da memorie.
L'intimato non ha svolto difese nel presente giudizio.

Motivazione

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 183 c.p.c., asserendo che nel caso di specie ricorrerebbe un'ipotesi di radicale mutamento della domanda, del petitum e dei fatti costitutivi, tale da ledere il suo diritto di difesa.
Secondo la ricorrente la memoria ex art. 183, comma 6 n.1 del fratello configurerebbe un'ipotesi di domanda nuova, dal momento che introdurrebbe una domanda alternativa a quella originariamente formulata, essendo quella originaria fondata sul contratto definitivo, quella nuova sul contratto preliminare. Sarebbe, pertanto, leso il proprio diritto di difesa, poiché, sulla base del principio dell'assorbimento del contratto preliminare da parte del contratto definitivo, che, sostituendosi al primo rappresenterebbe l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni delle parti, la ricorrente ha basato la sua linea difensiva sul tenore della prima domanda, con tutte le implicazioni in merito alle restrizioni probatorie applicabili a un contratto notarile definitivo. Il motivo è infondato. L'art. 183, comma 6, c.p.c. prevede la possibilità di modificare o precisare le domande già proposte nel corso della prima udienza o entro il termine perentorio di 30 giorni, con il deposito della prima memoria.
La giurisprudenza inizialmente escludeva la possibilità di modificare gli elementi oggettivi della domanda, ritenendo che ciò integrasse una mutatio libelli inammissibile (cfr. Cass., sez. 2, sentenza n. 7579 del 28/03/2007); con la sentenza di questa Corte a sezioni unite n. 12310 del 2015, tale orientamento è stato superato ed è stata ammessa anche la modifica del petitum e/o della causa petendi della domanda originariamente formulata, purché rimanga immutata la situazione sostanziale dedotta in giudizio e non sia determinata alcuna compromissione delle potenzialità difensive della controparte o l'allungamento dei tempi del processo. Il criterio per distinguere le domande precisate consentite da quelle nuove non consentite è dato dalla relazione con la quale queste si pongono rispetto alla domanda originariamente formulata. Le domande che si limitano a precisare si pongono essenzialmente in un rapporto di alternatività rispetto alla domanda originaria, sostituendosi ad essa; al contrario, le domande nuove sono domande ulteriori e aggiuntive che comportano un ampliamento del thema decidendum (cfr. Cass., sez. un., sentenza n. 22404 del 13/09/2018). Nel caso di specie, correttamente la Corte d'Appello di Catanzaro ha escluso la sussistenza di una mutatio libelli, non essendo ravvisabile nemmeno la modifica degli elementi oggettivi della domanda, ma una mera specificazione del quantum richiesto in restituzione e l'allegazione del contratto preliminare, dal quale ricavare la prova dell'effettivo prezzo del contratto.
Anche laddove si ritenesse che il riferimento al contratto preliminare piuttosto che a quello definitivo integri una mutazione della causa petendi, rimarrebbe comunque immutata la vicenda sostanziale dedotta in giudizio - l'acquisto in comunione dell'immobile - così come il bene della vita correlato - la pretesa alla restituzione delle somme anticipate alla sorella - e, in ogni caso, non sussisterebbe alcun pregiudizio al diritto di difesa della controparte, garantito dalla previsione di un termine, con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c. co. 6, per replicare, proporre eccezioni e istanze istruttorie, rispetto alle domande nuove o modificate.
Nè vale invocare la diversa questione concernente i rapporti tra preliminare e definitivo, atteso che, come rilevato già in primo grado, risultava incontestato tra le parti che il prezzo effettivo versato per l'acquisto fosse quello di C 67.000,00, dibattendosi unicamente circa l'effettivo versamento da parte della ricorrente anche della quota di sua pertinenza, e che anche in appello la censura della parte non investiva l'ammontare di tale somma, risultando quindi tardiva ogni eventuale contestazione mossa sul punto.

La stessa ricorrente, poi, in ricorso afferma che "la seconda domanda contenuta nella memoria 183 non si aggiunge alla domanda originaria bensì ne costituisce un'alternativa" (cfr. ricorso pag. 6), richiamando una delle condizioni che la sentenza n. 12310/2015 richiede affinché si possa modificare la domanda in modo consentito. Con il secondo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. La Corte d'Appello avrebbe erroneamente ritenuto pacifica la circostanza che Alessandra Meo fosse debitrice della somma di C 11.500 nei confronti del fratello.

La ricorrente afferma di aver contestato questa circostanza fin dal primo grado, con la conseguenza che incombeva su Giorgio Meo la prova del suo credito, prova che, a giudizio della ricorrente, non sarebbe stata fornita con le testimonianze ammesse. Il motivo, oltre che inammissibile, è infondato. La ricorrente non ha assolto l'onere di specificità del ricorso ex art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c., dal momento che non richiama gli atti del giudizio di primo grado nei quali la ricorrente ha contestato l'esistenza ed entità del suo debito nei confronti del fratello.

In tema di ricorso per cassazione, il principio di specificità - prescritto, a pena di inammissibilità, dall'art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, c.p.c. - è volto ad agevolare la comprensione dell'oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell'impugnazione. Ne deriva che, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass., sez. 2, sentenza n. 20694 del 09/08/2018)
In queste ipotesi è richiesta la riproduzione (in tutto o in parte) degli atti e dei documenti, dal momento che la Corte deve poter verificare che quanto il ricorrente afferma trovi effettivo riscontro negli atti, ma non è tenuta a cercarli, a stabilire essa stessa se ed in quale parte rilevino, a leggerli nella loro interezza per poter comprendere, valutare e decidere; gravare la Corte di tale compito rischierebbe di comprometterne la terzietà, che costituisce carattere ineliminabile di ciascun giudice ai sensi dell'art. 111 Cost. (cfr. Cass., sez. 5, ordinanza n. 24340 del 04/10/2018).

Passando all'esame del merito del motivo, nella sentenza di appello, la Corte ha proceduto alla valutazione della prova offerta dalla ricorrente circa l'avvenuta restituzione della somma anticipata "non essendo più in contestazione tra le parti, alla luce delle dichiarazioni rese dalla stessa durante l'interrogatorio libero, che l'odierna appellante abbia versato alla venditrice la sola somma di C 22.000 e che il residuo prezzo da essa dovuto di C 11.500 sia stato anticipato dal fratello Giorgio".
Dalla lettura della stessa sentenza, si ricava che la Meo in sede di interrogatorio libero aveva affermato di aver già restituito al fratello la somma di C 11.500 da lui anticipata per suo conto. Vero è che le dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio non formale, pur se prive di valore confessorio, in quanto detto mezzo è diretto semplicemente a chiarire i termini della controversia, possono, però, costituire il fondamento del convincimento del giudice (Cass., sez. 2, sentenza n. 7002 del 26/05/2000; Cass., sez. 1, sentenza n. 6510 del 02/04/2004).
Risulta, quindi, che i giudici di merito hanno dedotto, dalla complessiva linea difensiva della Meo, tutta incentrata sulla prova dell'avvenuta restituzione di quanto dovuto, un suo atteggiamento di non contestazione del debito. Questa conclusione trova conferma anche nella testimonianza del marito della Meo, il quale ha dichiarato di aver personalmente restituito a Giorgio Meo la somma di C 11.000 in contanti (restituzione che però è stata reputata non verosimile, in assenza di elementi di prova dotati di maggiore attendibilità).
Deve pertanto escludersi che ricorra la violazione della norma indicata in rubrica e che piuttosto emerga che la censura mira a contestare l'apprezzamento in fatto delle risultanze istruttorie, aspirando in tal modo ad un esito precluso in sede di legittimità. In assenza, tuttavia, delle necessarie specificazioni circa la reale portata della contestazione della ricorrente, il motivo non può essere accolto. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nulla a provvedere quanto alle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell'intimato. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso; Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall'art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso l~ a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso nella camera di consiglio del 3 luglio 2020.


 

Collabora con DirittoItaliano.com

Vuoi pubblicare i tuoi articoli su DirittoItaliano?

Condividi i tuoi articoli, entra a far parte della nostra redazione.

Copyright © 2020 DirittoItaliano.com, Tutti i diritti riservati.