REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente -
Dott. PRESTIPINO Giovanni - Presidente di Sezione -
Dott. PREDEN Roberto - Presidente di Sezione -
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Consigliere -
Dott. MERONE Antonio - rel. Consigliere -
Dott. PICONE Pasquale - Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. BUCCIANTE Ettore - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, entrambi elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
- ricorrenti -
contro
DEON ALBERTO, LOTITO ROSA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 33/62/00 della Commissione Tributaria Regionale di MILANO, depositata il 08/03/00;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 19/02/08 dal Consigliere Dott. Antonio MERONE;
udito l'Avvocato GENTILI dell'Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. NARDI Vincenzo, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1.1. Il Ministero delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate ricorrono contro i coniugi A.D. e R. L., per ottenere la cassazione della sentenza indicata in epigrafe. Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.
1.2. In fatto, i coniugi hanno impugnato, dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Busto Arsizio, tre avvisi di accertamento, con i quali il competente ufficio finanziario ha rettificato la dichiarazione dei redditi degli stessi, con riferimento alla partecipazione nella società Alby di Deon & C. s.n.c., per quote uguali del 50% ciascuno, per gli esercizi 1985, 1986 e 1987.
Con il ricorso introduttivo, i contribuenti, premesso di avere impugnato anche gli avvisi di rettifica notificati alla società ai fini ILOR, chiedevano la sospensione del giudizio riferito ai soci, in attesa della decisione definitiva, pregiudiziale, nei confronti della società.
La Commissione tributaria di primo grado ha accolto in parte i ricorsi, riducendo i redditi di partecipazione in ragione di analoga decisione adottata nei giudizi relativi ai ricorsi della società. L'ufficio ha impugnato, separatamente, entrambe le decisioni, chiedendo la sospensione del processo relativo ai soci, in attesa dell'esito del processo relativo alla società. Il giudizio di appello, fissato per l'udienza del 10 gennaio 2000, è stato poi rinviato al 24 gennaio successivo, su richiesta dei contribuenti, assente l'amministrazione ricorrente.
La Commissione tributaria regionale adita ha respinto l'appello dell'ufficio, sul rilievo che lo stesso non aveva dimostrato di avere impugnato la decisione di primo grado riguardante la società, ne' aveva in alcun modo documentato la pendenza del relativo procedimento di appello.
1.3. A sostegno dell'odierno ricorso, l'amministrazione finanziaria ricorrente, denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 295 c.p.c., che imponeva la sospensione del giudizio condizionato, e del principio del contraddittorio di cui all'art. 101 c.p.c., in quanto la CTR doveva sospendere d'ufficio il giudizio relativo ai soci, in attesa della formazione del giudicato pregiudiziale relativo alla società. Denuncia anche la violazione del diritto di difesa, per non essere stata avvertita del rinvio della udienza di trattazione dell'appello dal 10 al 24 gennaio 2000.
1.4. Con decreto del 21 marzo 2007, il Presidente della Sezione Quinta Civile di Questa Corte, competente ratione materiae, ha disposto la trasmissione del ricorso al Primo Presidente, per la eventuale assegnazione a queste SS.UU., ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 2, presentando una questione di massima di particolare importanza.

Nel decreto si rileva che:
- queste SS.UU. hanno affermato il principio secondo il quale "ogni volta che, per effetto della norma tributaria o per l'azione esercitata dall'amministrazione finanziaria, l'atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell'obbligazione una pluralità di soggetti, ed il ricorso, pur proposto da uno o più degli obbligati, abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1" (tra le altre, sentt. 1052 e 1053/2007);
- tra le ipotesi di possibile litisconsorzio necessario, ricostruito e definito dalla citata giurisprudenza, possono rientrare le cause, come quella oggetto dell'odierno ricorso, originate dall'impugnazione avverso gli avvisi di accertamento di maggior reddito a carico di società di persone e dell'attribuzione del medesimo reddito, secondo le relative quote, ai singoli soci, in base alla presunzione legale posta, prima, dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 5, e, poi, dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 (in virtù della quale i redditi delle società di persone sono imputati pro quota a ciascun socio, indipendentemente dalla effettiva percezione), tanto più che, in questi casi, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, comma 2, dispone che "Alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle società e associazioni indicate nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 5, si procede con unico atto ai fini dell'imposta locale sui redditi dovuta dalle società stesse e ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche o delle persone giuridiche dovute dai singoli soci o associati";
- nella giurisprudenza di legittimità è stato ritenuto più volte che tra il contenzioso relativo all'accertamento a carico della società e quello relativo ai singoli soci sussiste un vincolo di consequenzialità necessaria "in virtù del quale, nel caso di autonoma e distinta instaurazione delle relative vertenze dinanzi al giudice tributario, si rende inevitabile che la decisione intervenuta nel primo dei suddetti contenziosi si rifletta sulla pronuncia afferente al secondo, il che impone al giudice chiamato a statuire su quest'ultimo di prendere atto della decisione intervenuta nella prima controversia, anche se, in ragione dei limiti soggettivi stabiliti dall'art. 2909 cod. civ., il giudicato che si formi nei rapporti tra la società e l'erario in relazione all'ILOR non è opponibile al socio, che non sia stato parte in detto contenzioso, per l'IRPEF da lui dovuta sui redditi posseduti nel periodo, compreso il reddito di partecipazione alla società";
nella specie, quindi, secondo tale giurisprudenza, non ricorrerebbe una situazione di litisconsorzio necessario tra società e soci, ne' sarebbe ravvisabile un rapporto di pregiudizialità che imponga la sospensione necessaria del giudizio relativo ai soci, nei confronti dei quali non è opponibile il giudicato relativo al reddito della società, formatosi senza la partecipazione degli stessi (Cass. 14417/2005; conf. 9446/2006);
- queste conclusioni non sono sempre condivise nel dibattito interno alla sezione e nella dottrina e, tuttavia, sono pendenti numerosi ricorsi che pongono esplicitamente la questione della necessaria partecipazione di tutti i soci al giudizio relativo alla determinazione del reddito della società di persone, mentre altri prospettano la tesi della necessaria sospensione, ai sensi dell'art.295 c.p.c., del processo relativo ai soci in attesa della formazione
del giudicato sull'accertamento del reddito societario. 1.5. Il Primo Presidente, ritenuto che il ricorso presenti una questione di massima di particolare importanza, ne ha assegnato la trattazione a queste SS.UU., ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 2.

Motivazione

2.1. Queste sezioni unite ritengono che nella specie ricorra una ipotesi di litisconsorzio tributario necessario ed originario, la cui violazione comporta la nullità ab imis del rapporto processuale, che assorbe ogni possibile questione relativa alla successiva applicazione di altre norme che disciplinano i rapporti tra procedimenti connessi (sospensione ex art. 295 c.p.c.), salvo quella sulla riunione dei ricorsi D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 29. In altri termini, se tutti gli interessati, litisconsorti necessari (società e soci), impugnano gli avvisi di accertamento loro notificati, i relativi ricorsi, se pendenti dinanzi allo stesso giudice, vanno riuniti ai sensi del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29, oppure, come si dirà, dinanzi al giudice preventivamente adito. Altrimenti, soccorre l'obbligo della integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14.
Sulla base di queste regole, il ricorso va accolto.

2.2. Preliminarmente, va rigettata l'eccezione di nullità del giudizio di appello, formulata sul rilievo che la parte appellante, non era stata avvertita del rinvio, dal 10 al 24 gennaio, della trattazione della causa.
Ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 31, la segreteria è tenuta a dare comunicazione alle parti costituite della data di trattazione almeno trenta giorni liberi prima (comma 1). Uguale avviso deve essere dato quando la trattazione sia stata rinviata dal presidente in caso di giustificato impedimento del relatore, che non possa essere sostituito, o di alcuna delle parti o per esigenze del servizio (comma 2). Nella specie, si è trattato di un mero rinvio a data fissa, disposto dal giudice nell' udienza del 10 gennaio (in relazione alla quale non c'è denuncia di vizi della comunicazione). Quindi, non ricorre nessuna delle due ipotesi per le quali è previsto l'obbligo di comunicare l'avviso di trattazione. Il rinvio della trattazione a data fissa, disposto in udienza vale come comunicazione per le parti regolarmente avvertite, anche se non sono presenti. Nè questa conclusione può fare ipotizzare una lesione del diritto di difesa: il legislatore può condizionare il diritto della parte all'informazione, ad un atto di diligenza processuale, rappresentato dalla partecipazione alla udienza di trattazione, la cui omissione, corrispondendo ad una scelta legittima della stessa parte, le impedisce, poi, di dolersi della lesione del suo diritto di difesa (v. Cass. 24250/2005). A parte la considerazione che, anche nei giorni successivi all'udienza, la stessa parte avrebbe potuto informarsi sui provvedimenti adottati in udienza.

2.3. Nel merito, il problema dei rapporti tra i ricorsi proposti dalle società di persone, per impugnare un avviso di accertamento ILOR, e quelli proposti dai soci, per contestare il conseguente accertamento IRPEF (quando non siano in discussione soltanto la qualità di socio o l'ammontare delle quote di partecipazione) nasce dalla constatazione che:
a) i fatti in contestazione sono sostanzialmente gli stessi in entrambi i processi: la legittimità e la fondatezza
dell'accertamento del reddito recuperato in capo alla società (atteso che la ricaduta sui singoli soci deriva da una mera operazione aritmetica); per questa ragione la giurisprudenza afferma che tra i due giudizi esiste un vincolo di consequenzialità necessaria, ovvero, di pregiudizialità e/o continenza: la decisione della causa della società costituisce l'antecedente logico della decisione della causa dei soci e questa, a sua volta, "contiene", in quanto implica, la decisione sul reddito sociale, anche in mancanza di un giudizio parallelo sulla causa pregiudiziale (Cass. 14417/2005, 5366/2006, 9446/2006, 14056/2006, 5932/2007);
b) nonostante l'asserita sussistenza del vincolo di consequenzialità necessaria tra le cause, la giurisprudenza esclude però che il giudicato sulla questione pregiudiziale possa avere efficacia vincolante (ex art. 2909 c.c.) nella causa introdotta dal ricorso dei soci, se questi non abbiano partecipato al giudizio della società (Cass. 14417/2005, 5366/2006, 9446/2006, 14056/2006, 5932/2007); con la ulteriore conseguenza che la sospensione necessaria del processo promosso dai singoli soci, prevista dall'art. 295 c.p.c. (compatibile con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39), non può trovare applicazione se non in relazione a quei soci che siano parte anche nel giudizio pregiudiziale ("Ne consegue che la pendenza di una controversia sul reddito di una società di persone soggetto ad ILOR, cui abbia partecipato il singolo socio dell'ente, comporta l'obbligo di sospendere, ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ., la separata, causa eventualmente promossa dal socio stesso per contestare la rettifica del proprio imponibile ai fini dell'IRPEF nella parte inerente al computo della quota del reddito sociale, in quanto la decisione della prima controversia produrrebbe, comunque, effetti vincolanti sulla decisione dell'altra", Cass. 5366/2006); tuttavia, tenuto conto del vincolo di consequenzialità tra accertamento societario e accertamento nei confronti dei singoli soci, "nel caso di autonoma e distinta instaurazione delle relative vertenze dinanzi al giudice tributario, si rende inevitabile che la decisione intervenuta nel primo dei due suddetti contenziosi si rifletta sulla pronuncia afferente al secondo, il che impone al giudice chiamato a statuire su quest'ultimo di prendere (almeno) atto della decisione intervenuta nella prima, controversia" (Cass. 14056/2006). 2.4. Sul piano sostanziale (rectius: preprocessuale) l'accertamento del reddito sociale e l'accertamento del reddito dei singoli soci, sono in evidente rapporto di reciproca implicazione (non si può accertare il secondo se non accertando il primo ed il primo condiziona l'accertamento del secondo). Sono due facce della stessa medaglia. Infatti, come già è stato rilevato nel decreto presidenziale di rimessione al Primo Presidente, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 1 (TUIR), (sostanzialmente simile al D.P.R. n.597 del 1973, art. 5), dispone che "I redditi delle società
semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili". Quindi, in presenza di tale imputazione automatica del reddito sociale ai soci (presunzione legale iuris et de iure), la difesa di questi di fronte alla pretesa erariale (quando non venga contestata la qualità di socio o la quota di partecipazione) deve necessariamente trovare uno spazio processuale per interloquire sulla determinazione del reddito della società (dal quale dipende la ripresa nei loro confronti), altrimenti la presunzione si risolverebbe in una palese violazione del diritto di difesa e del principio della tassazione in base alla capacità contributiva (artt. 24 e 53 Cost.). Sul punto, infatti, la Corte Costituzionale, con un intervento di interpretazione adeguatrice, riferito specificamente alla posizione del socio accomandante (ex art. 2320 c.c.), ha affermato che il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 5 (ora art. 5 cit. TUIR), nella parte in cui prevede
"che i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice, sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla loro percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili "nonostante gli sia denegata la legittimazione passiva nei giudizi inerenti il reddito della società medesima ai fini Ilor, accertato con i criteri del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, giusta il rinvio del D.P.R. n. 599 del 1973, art. 8",
in quanto al socio accomandante, privo di legittimazione processuale nel giudizio relativo all'accertamento del reddito societario ai fini dell'imposta Ilor, deve ritenersi sempre consentita, giusta l'interpretazione conforme all'art. 24 Cost., allorquando gli sia notificato l'accertamento del suo reddito personale, la possibilità di tutelare i suoi diritti, contestando anche nel merito l'accertamento del suo reddito di partecipazione nonostante l'intervenuta definitività dell'accertamento del reddito societario ai fini Ilor" (Corte Cost. Ord. n. 5/1998). La pronuncia, però, si riferisce ad un ricorso proposto secondo le regole processuali dettate dal D.P.R. n. 636 del 1972, che non conteneva una specifica disciplina del litisconsorzio necessario nel processo tributario, a differenza di quanto oggi prevede il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14. Per completare il quadro della normativa sostanziale di riferimento, occorre ricordare che a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, comma 2, l'ufficio deve procedere alla rettifica delle dichiarazioni
presentate dalle società e associazioni indicate nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 5 (poi art. 5 cit. TUIR), "con unico
atto ai fini dell'imposta locale sui redditi dovuta dalle società stesse e ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche o delle persone giuridiche dovute dai singoli soci o associati". Quindi, l'attività di accertamento svolta nei confronti della società non può essere disgiunta da quella relativa ai soci:
a) unica è la materia imponibile, seppure soggetta a diversa disciplina, in ragione del carattere reale dell'imposta locale, rispetto al carattere personale dell'imposta statale;
b) unico è il risultato dell'accertamento, sia che lo si consideri nel suo complesso in capo alla società, sia che lo si consideri come la somma dei redditi imputati ai singoli soci in conseguenza dell'accertamento societario.
La norma non impone che all'attività di accertamento segua necessariamente la notifica dei relativi avvisi a tutti i soggetti interessati. Ragioni di buon andamento (inteso come economia e proficuità dell'azione amministrativa) e di imparzialità della pubblica amministrazione e di pari trattamento dei contribuenti (artt. 3 e 97 Cost.), fanno ritenere, però, che sarebbe buona regola ottimizzare gli effetti dell'impegno profuso nella attività, di accertamento, notificando i conseguenti avvisi a tutti i destinatari naturali e necessari, società e soci. A parte la considerazione che, come si dirà, l'eventuale giudicato favorevole all'amministrazione finanziaria, nei confronti del socio chiamato in giudizio come litisconsorte necessario, potrà essere eseguito soltanto se quel socio è stato destinatario del relativo avviso di accertamento (prodromico a qualsiasi atto di esecuzione). La stessa amministrazione finanziaria, del resto, con una risoluzione piuttosto risalente (n. 68 del 17 gennaio 1984) rileva che "Pur non essendo espressamente prescritto un obbligo specifico in tal senso ... l'Amministrazione finanziaria deve notificare l'avviso di accertamento unitario anche ai singoli soci o associati, e tale estensione della notifica è nell'interesse della medesima Amministrazione, in quanto semplifica il contenzioso e le successive procedure di accertamento". Questa risoluzione, nel vigore della disciplina del contenzioso tributario abrogata (D.P.R. n. 636 del 1972, che, come già è stato rilevato, non conteneva una disciplina
autonoma della figura del litisconsorzio necessario) è stata intesa come espressione del principio secondo cui non si possono estendere al socio gli effetti di un atto relativo alla società, se non coinvolgendolo direttamente nel relativo procedimento, mediante notifica dello stesso, confondendo il piano processuale con quello sostanziale del rapporto tributario. In realtà, osserva il Collegio, l'obbligo dell'accertamento unitario è conseguenza della configurazione di un rapporto tributario sostanzialmente unico con pluralità di soggetti passivi, che trova poi la sua corretta collocazione processuale nell'ambito dell'istituto del litisconsorzio necessario originario.
2.5. Sul piano processuale, in pratica, la unicità del rapporto tributario sostanziale con pluralità di soggetti, si è costantemente dissolta in una molteplicità di processi (tanti quanti sono i soggetti privati del rapporto), instaurati su impugnazione dei singoli avvisi di accertamento. In presenza di questa situazione, la giurisprudenza tributaria, preoccupata di prevenire possibili contrasti di giudicati, ha evidenziato l'esistenza del rapporto di pregiudizialità sostanziale tra le cause della società e quelle dei soci, subordinando l'esito di queste all'esito della prima, senza cogliere la sostanziale, inscindibile unicità dell'oggetto dei vari giudizi.
In linea di principio, per prevenire il rischio di conflitto di giudicati, due sono i rimedi previsti dal legislatore: la riunione dei procedimenti e/o la sospensione del giudizio dipendente. Accanto a queste due alternative, la prassi giurisprudenziale registra il fenomeno della motivazione per relationem. Questa, però, è legittima soltanto nel caso in cui:
a) si riferisca ad una sentenza che abbia già valore di giudicato tra le parti (ed abbia, quindi, un concreto ed attuale contenuto precettivo); ovvero;
b) riproduca la motivazione di riferimento, autonomamente ed autosufficientemente recepita e vagliata nel contesto della motivazione condizionata (Cass. 14814/2008 - 14816/2008). La soluzione che meglio concilia tutte le diverse esigenze processuali (economia dei giudizi, rispetto del diritto al contraddittorio ed eliminazione del rischio di giudicati contrastanti), è quella della riunione dei procedimenti connessi (simultaneus processus), prevista e disciplinata, per il processo tributario, dall'art. 29 del d.lgs. 546/1992 (nel giudizio di Cassazione si applica l'art. 274 c.p.c), che riguarda qualsiasi tipo di connessione (oggettiva, soggettiva, continenza, pregiudizialità). In forza di tale disposizione:
a) il presidente della sezione dispone la riunione dei ricorsi assegnati alla sezione da lui presieduta che hanno "lo stesso oggetto o sono fra loro connessi" (comma 1);
b) il presidente della commissione tributaria, di ufficio o su istanza di parte o su segnalazione dei presidenti delle sezioni, determina con decreto la sezione davanti alla quale i processi relativi ai ricorsi aventi lo stesso oggetto o connessi tra loro devono proseguire, riservando al presidente della sezione designata il compito di provvedere alla riunione (comma 2).
In forza di tale disposizione, il rispetto del vincolo del litisconsorzio necessario può essere realizzato mediante la riunione dei ricorsi proposti separatamente dalla società e/o dai singoli soci, salvo disporre l'integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, nei confronti dei soggetti che non hanno proposto ricorso, per scelta o per mancata notifica del relativo avviso di accertamento. Naturalmente, la scelta di non entrare in contenzioso con il fisco può essere mantenuta ferma, in quanto il chiamato in causa potrà non costituirsi (ma non per questo si sottrarrà agli effetti del giudicato a lui sfavorevole, avendo avuto la possibilità di partecipare al giudizio). Così pure, il socio al quale non sia stato notificato l'avviso di accertamento ai fini IRPEF, potrà scegliere di costituirsi o meno, avendo comunque interesse a contrastare l'accertamento in capo alla società, per contenere il debito ILOR. Fermo restando che l'eventuale giudicato favorevole all'amministrazione non potrà avere alcun effetto, ai fini IRPEF, nei confronti del socio al quale non sia stato notificato l'avviso di accertamento, presupposto necessario per realizzare in via esecutiva la pretesa fiscale (v. Cass. SS.UU. 16412/2007). Quanto alla obbligazione solidale dei soci per l'ILOR dovuta dalla società, vale il disposto dell'art. 1306 c.c.. 2.5.1. Il simultaneus processus, però, non è realizzabile, secondo la disciplina dettata dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29, nel caso in cui i ricorsi connessi siano pendenti in grado diverso o dinanzi a commissioni diverse. Ovvero, nel caso in cui il collegio rilevi che la riunione dei processi connessi ritardi o renda più gravosa la loro trattazione (art. 29, comma 3).
Quid iuris, nel caso in cui le cause connesse siano pendenti dinanzi a giudici diversi? Il codice di procedura civile dedica al problema degli effetti della connessione sulla competenza e alla riunione dei procedimenti connessi, pendenti dinanzi a giudici diversi, gli artt. 31-36 (sezione 4^, del titolo 1^, libro 1^, intitolata appunto Delle modificazioni della competenza per ragioni di connessione), artt. 39, 40 e 103, 104. La particolare ed articolata disciplina tende a contemperare le regole di distribuzione della competenza per materia, valore e territorio con il principio del simultaneus processus, stabilendo apposite norme per la determinazione del giudice competente per le cause connesse, ovvero le altre regole per evitare contrasti di giudicati (art. 34: sospensione e artt. 39 e 40:
riunione). Tali disposizioni non sono trasferibili, sic et simpliciter, nell'ambito del processo tributario, nel quale non è prevista una ripartizione della competenza anche per valore e/o materia.
La competenza delle commissioni tributarie, ai sensi del D.Lgs. n.546 del 1992, art. 4, è ripartita sulla base del solo criterio
territoriale e si radica in ragione della sede dell'ufficio o dell'ente, contro il quale viene proposto il ricorso, che si trovi nella circoscrizione del giudice adito. Pertanto, soltanto i ricorsi che siano proposti nei confronti di uffici diversi (quindi, dinanzi a commissioni diverse) pongono problemi di competenza, ai fini della eventuale riunione. Le regole stabilite dal codice di rito (che, a differenza del D.Lgs. n. 546 del 1992, prevede tre diversi criteri di distribuzione della competenza: territorio, valore, materia), secondo le quali la riunione dei processi pendenti dinanzi a giudici diversi deve avvenire dinanzi al giudice preventivamente adito, ovvero dinanzi a quello competente per la causa principale o continente (artt. 39 e 40 c.p.c.). Mancando, nel processo tributario, la distribuzione della competenza in base ai criteri della materia e del valore, le regole che presuppongono tale ripartizione non sono applicabili, salvo che dalle stesse non si vogliano trarre criteri per una loro applicazione analogica o estensiva. Anche la regola secondo la quale, a parità di competenza per materia e per valore, la riunione deve avvenire dinanzi al giudice preventivamente adito trova un ostacolo nel principio della inderogabilità della competenza (territoriale) del giudice tributario, sancito espressamente dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 5, comma 1. Diverso è il caso della causa unica, erroneamente incardinala dinanzi a giudici diversi per singoli segmenti, che deve essere trattata necessariamente dinanzi ad un solo giudice. In questo caso non si tratta di riunire cause connesse, ma di ricomporre l'unicità della causa: la frammentazione processuale è l'effetto della patologica scomposizione della causa che deve essere ricomposta in un unico alveo processuale. È il caso in cui i litisconsorti necessari abbiano iniziati percorsi processuali separati (Cass. 1052/2007). Quando c'è litisconsorzio necessario, la causa è unica e va proposta (o riunita) dinanzi ad un unico giudice, il quale (in mancanza di una distribuzione della competenza per materia e per valore) non può che essere quello preventivamente adito, dovendo disporre l'integrazione del contraddittorio. Dinanzi al primo giudice vanno eventualmente riuniti i ricorsi che nel frattempo siano stati proposti dinanzi ad una commissione tributaria con diversa competenza territoriale.
2.5.2. Quanto alla sospensione del processo, prevista dall'art. 295 c.p.c., la norma non sembra utilizzabile nel caso che qui interessa.
Infatti, quando le parti del processo non sono le stesse (nel processo pregiudiziale: la società c/o l'amministrazione finanziaria; in quello pregiudicato: i soci c/o l'amministrazione finanziaria), la sentenza avente ad oggetto il reddito della società non può avere l'efficacia (vincolante) propria del giudicato nei confronti dei soci che non abbiano partecipato (e non abbiano avuto la possibilità di partecipare) al relativo processo. Quindi, l'eventuale sospensione del processo relativo ai soci, non potendo avere un beneficio diretto dalla sentenza pronunciata nei confronti della società, si risolverebbe in una inutile pausa processuale, difficilmente conciliabile con il principio della ragionevole durata del processo. Ma l'istituto della sospensione per pregiudizialità non è utilizzabile innanzitutto perché, nella specie, l'accertamento, più che essere graduale, è unico: non si tratta di processi da "mettere in fila", ma da unificare. Se il socio ricorrente non contesta la propria qualità, o la propria quota di partecipazione alla società, sostanzialmente contesta l'accertamento sic et simpliciter. Ricorre quindi, giova ribadirlo, una ipotesi di litisconsorzio necessario originario, derivante dalla unicità dell'accertamento e delle sue conseguenze, sia nei confronti della società che nei confronti dei soci, in forza del quale il reddito sociale ed il reddito dei soci devono essere oggetto di un unico giudizio fin dal momento in cui l'accertamento unitario effettuato dall'ufficio, perdendo il suo carattere interno, venga notificato, con apposito avviso, ad uno qualsiasi dei suoi destinatari naturali. In altri termini, il rimedio della sospensione per pregiudizialità è efficace quando la progressione pregiudiziale si sviluppi tra le stesse parti, e si presti al frazionamento, pur garantendo a tutti il diritto al contraddittorio, in separati processi (es. accertamento di una violazione e applicazione della sanzione conseguente, accertamento della sussistenza dei presupposti per beneficiare di una agevolazione tributaria ed applicazione della stessa nei vari periodi di imposta). Quando, invece, come nella specie si è in presenza di un rapporto giuridico plurisoggettivo sul versante passivo, ma sostanzialmente unico, i cui presupposti, inoltre, devono essere ricostruiti attraverso un percorso logico-giuridico unitario, l'accertamento giudiziario non può che essere unico,nei confronti di tutti i soggetti interessati, nell'alveo di un unico,inscindibile rapporto processuale.
2.6. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, ha disciplinato in maniera espressa ed autonoma, nel processo tributario, l'istituto del litisconsorzio necessario. In forza di tale disposizione, "Se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi" (comma 1). Pertanto, "Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l'integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza". Secondo un recente intervento di queste SS.UU., condiviso dal Collegio (al quale si riferisce il decreto con il Presidente della quinta sezione civile nel porre il problema della ipotizzabilità nella specie di una fattispecie di litisconsorzio necessario riferibile al D.Lgs. n. 546 del 1992, art.14), l'istituto del litisconsorzio necessario nel processo tributario
"si configura come fattispecie autonoma rispetto a quella del litisconsorzio necessario, di cui all'art.. 102 cod. proc. civ., poiché non detta come quest'ultima, una norma in bianco, ma positivamente indica i presupposti nella inscindibilità della causa determinata dall'oggetto del ricorso. Sulla base di questi presupposti, un'ipotesi di litisconsorzio tributario, ai sensi del citato art. 14, si configura ogni volta che, per effetto della norma tributaria o per l'azione: esercitata dall'amministrazione finanziaria, l'atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell'obbligazione una pluralità di soggetti, ed il ricorso, pur proposto da uno o più degli obbligati, abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell'obbligazione" (Cass. 1052/2007). L'autonomia e le peculiarità della fattispecie del litisconsorzio tributario, si legge nella citata sentenza, sono "espressione dei principi di cui agli artt. 3 e 53 Cost., perché funzionali alla parità di trattamento dei coobbligati e, al rispetto della loro capacità contributiva" (idem).
Nella specie, non v'è dubbio che l'oggetto del ricorso riguardi inscindibilmente la società e i soci, in quanto l'accertamento del reddito societario (ai fini ILOR) è lo stesso accertamento (frazionato) che interessa i soci (ai fini IRPEF). Nel precedente intervento, queste SS.UU. hanno anche precisato cosa debba intendersi per oggetto del ricorso e quando questo riguardi inscindibilmente più soggetti.
Quanto all'oggetto del ricorso, "Nonostante manchi una definizione normativa di cosa debba intendersi per oggetto del ricorso, la relativa attività di identificazione deve necessariamente essere condotta alla luce del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. d) ed e), artt. 19 e 24, tenendo conto,
come si è detto, del fatto che il giudizio tributario è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l'atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati, ed ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo (Cass. n. 9754 del 2003). In ragione, quindi, del carattere funzionale del ricorso ad introdurre una valutazione giudiziale (della legittimità) dell'atto impugnato intesa a realizzare, in armonia con i principi costituzionali enunciati dagli artt. 3 e 53 Cost., una giusta imposizione, che rappresenta un interesse dell'ordinamento, ancor prima che un interesse personale del contribuente -, l'oggetto del ricorso, cui fa riferimento il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, si risolve nello specifico nesso tra atto autoritativo di imposizione e contestazione del contribuente, che consente di identificare concretamente nel processo causa petendi e petitum della domanda agita" (Cass. 1052/2007, punto 4 della motivazione). La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che il processo tributario abbia ad oggetto il rapporto tributario e non soltanto l'atto impugnato (Cass. 16776/2005, 16293/2007). Ne deriva che tale oggetto va definito tenendo conto necessariamente anche della causa pretendi. Se così non fosse, non avrebbe senso quanto dispone il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 1, che riconosce in capo al giudice tributario, nei limiti del
dedotto, tutte le facoltà attribuite agli uffici tributari e agli enti impositori. Peraltro, il medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art.2, comma 1, definisce l'ambito della giurisdizione delle commissioni
tributarie in maniera onnicomprensiva, attribuendo alle stesse "tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi", senza alcuna limitazione nell'ambito della materia (fatta eccezione per la sola esecuzione).
Quanto alla inscindibilità dell'oggetto del ricorso, tale vincolo sussiste "tutte le volte che la fattispecie costitutiva dell'obbligazione - nel caso rappresentata dall'atto autoritativo impugnato eterodeterminante la domanda - a) presenti elementi comuni ad una pluralità di soggetti e b) siano proprio tali elementi ad esser posti a fondamento della impugnazione proposta da uno dei soggetti obbligati. L'inscindibilità - alla quale fa riferimento il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 14, comma 1, e che costituisce caratteristica propria e tutta interna al processo tributario - emerge, quindi, a seguito del peculiare rapporto, che concretamente si realizza nello specifico processo, tra atto impugnato e contestazione del contribuente, allorché la fattispecie costitutiva dell'obbligazione - risultante dai contenuti concreti dell'atto autoritativo impugnato - sia connotata da elementi comuni ad una pluralità di soggetti e l'impugnazione proposta da uno o più degli obbligati investa direttamente siffatti elementi: in tal caso, il fatto che l'impugnazione concerna la posizione comune ai diversi soggetti obbligati impone - in ragione della ricordata inscindibilità - un accertamento giudiziale unitario (con il conseguente litisconsorzio necessario tra tutti i soggetti obbligati cui sia comune la posizione dedotta in contestazione) sulla fattispecie costitutiva dell'obbligazione, il solo che possa effettivamente realizzare nella predetta situazione una giusta imposizione" (idem).
Nella specie, non v' è dubbio che siamo di fronte ad un accertamento unico (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40), che riguarda inscindibilmente una pluralità di soggetti (art. 5 cit. TUIR), che rientra perciò nella specifica figura di litisconsorzio necessario originario, così come è stata ricostruita e definita nella citata giurisprudenza di questa Corte. Infatti, sia la società che i soci impugnano il medesimo accertamento e contestano l'obbligazione tributaria nel suo complesso e, conseguentemente, pro quota. Naturalmente, non sussiste litisconsorzio necessario tra società e soci quando il contribuente svolga una difesa sulla base di eccezioni personali, come la qualità di socio o la decadenza dal potere di accertamento, o che riguardino la ripartizione del reddito tra i soci (nel qual caso il vincolo del litisconsorzio opera soltanto nei confronti di tutti i soci).
In definitiva, l'unicità dell'atto di accertamento (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40) e la consequenzialità del riparto tra i soci
(art. 5 cit. TUIR), costituiscono il presupposto unitario, che determina di per sè la situazione tipica del litisconsorzio necessario originario, anche se all'attività di accertamento non sia seguita la notifica dei relativi avvisi a tutti i soggetti interessati (società e soci). È sufficiente che venga notificato ed impugnato almeno un avviso di accertamento, perché si verifichi il presupposto del litisconsorzio necessario, sempre che il ricorso riguardi l'accertamento dei fatti sulla base dei quali è stato determinato il reddito della società. In questo caso, la domanda giudiziale riguarda comunque tutti i soggetti destinatari, effettivi o virtuali, dell'accertamento. Il fatto che l'amministrazione finanziaria non notifichi gli avvisi di accertamento a tutti i soggetti interessati, non può impedire la celebrazione del giudizio nella completezza del contraddittorio: "l'ipotesi litisconsortile non è dipendente dalle scelte dell'amministrazione finanziaria, nel senso che quest'ultima non può escluderla ricorrendo ad una serie di separati atti impositivi nei confronti dei singoli soggetti obbligati, laddove normativamente unica sia la fattispecie costitutiva dell'obbligazione e l'impugnazione proposta da parte di uno degli obbligati avverso l'atto separato a lui diretto investa la ragione comune a tutti gli altri con riferimento alla fattispecie rappresentata nell'atto impugnato". (Cass. 1052/2007, punto 7 della motivazione). La mancata notifica dell'avviso di accertamento, non impedisce la partecipazione al giudizio, che comunque viene introdotto mediante impugnazione di un atto di imposizione notificato ad uno dei litisconsorti, così come prevede il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. Tale omissione, semmai, impedisce poi al fisco,
eventualmente vittorioso, di procedere alla riscossione nei confronti dei soggetti che, pur avendo partecipato al giudizio in veste di litisconsorti necessari, non abbiano ricevuto notifica del relativo avviso. Infatti, la possibilità riconosciuta al contribuente, di partecipare al giudizio nel quale sia litisconsorte necessario senza avere ricevuto la notifica dell'avviso di accertamento (ma interessato a contrastare la pretesa fiscale ai fini dell'ILOR, ed anche dell'IRPEF se il relativo termine di decadenza non sia decorso), non sana i vizi della sequenza procedimentale dettata dalla legge per la realizzazione della singola pretesa tributaria (v. Cass. 16412/2007). Sarà cura dell'amministrazione finanziaria competente,
se ancora nei termini, provvedere alla notifica dei necessari atti impositivi che possono poi eventualmente legittimare la riscossione. Fino a quando il contribuente non sia destinatario di uno specifico atto a lui notificato, la sua partecipazione al giudizio appare necessaria ai fini della eventuale opponibilità nei suoi confronti dell'accertamento dei fatti contenuto nella sentenza, nel caso di successiva, ma tempestiva, notifica dell'avviso di accertamento. Ne deriva che per rendere proficuo l'eventuale esito favorevole del giudizio litisconsortile, l'ufficio finanziario competente ha l'onere di notificare l'avviso di accertamento a tutti i soggetti interessati. È fatta salva, naturalmente, la possibilità di procedere nei confronti dei soci in quanto obbligati solidali, per i debiti tributar della società (vale a dire per l'ILOR), ai sensi degli artt. 2267, 2291, 2313 cod. civ. (v. Cass. 11228/2007, 10584/2007, 17225/2006). Non è previsto un ordine nella notifica degli avvisi di accertamento derivanti dall'attività unitaria e, quindi, la notifica e la impugnazione di uno qualsiasi degli avvisi stessi (riferito alla società o ad un socio), apre il giudizio alla partecipazione di tutti i litisconsorti: "In tema di accertamento dei redditi prodotti in forma associata, di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art.5 (ora D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5), la unitarietà
dell'accertamento ai fini dell'imposta locale sui redditi dovuta dalla società e ai fini delle imposte sui redditi dei singoli soci, prescritta dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40, non comporta che l'avviso di accertamento emesso nei confronti della società debba essere, a pena di nullità, notificato ai singoli soci. Per questi ultimi, quindi, la predetta notifica non è necessaria in funzione dell'accertamento del reddito di partecipazione, automaticamente imputato al socio, ai sensi del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 5 (poi art. 5 cit. TUIR), ai fini IRPEF in relazione alla sua quota di partecipazione" (Cass. 20707/2007). Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 6, stabilisce che le parti chiamate in causa non possono impugnare autonomamente l'atto, se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza. Il fatto che non sia più possibile il ricorso autonomo, e tuttavia la parte possa essere chiamata in causa legittimamente, deve far ritenere che la sentenza favorevole al contribuente possa essere opposta all'ufficio (nonostante la definitività dell'accertamento nei suoi confronti), ad esempio per impugnare la cartella esattoriale e gli atti successivi della riscossione, con il solo limite della irripetibilità di quanto già pagato (v. Cass. 19850/2005). Se così non fosse, la chiamata in causa e l'eventuale partecipazione al giudizio del contribuente si risolverebbero in una inutile attività processuale.
Il giudice ha il dovere di controllare ex officio il rispetto dei principio del contraddittorio, a prescindere dalle eccezioni delle parti che non interferiscono "sul compito officioso del giudice di rilevare, sulla scorta del contenuto della domanda e degli elementi da essa offerti, la mancata osservanza degli inderogabili canoni di cui agli artt. 101 e 102 cod. proc. civ., rientrando nell'ambito dell'espletamento di tale compito anche l'individuazione delle norme applicabili al caso concreto, indipendentemente dalle prospettazioni delle parti" (così, ex multis, Cass. 10130/2005). La mancata integrazione del contraddittorio comporta la nullità di tutte le attività processuali conseguenti (artt. 156 e 159 c.p.c.) ed il regresso del processo in primo grado. In tal senso avrebbero dovuto provvedere i giudici di appello, ai sensi dell'art. 354 c.p.c.. 2.7. Va rilevato che, nella specie, il ricorso introduttivo è stato proposto nella vigenza del D.P.R. 636 del 1972, che, come già è stato osservato, non conteneva una apposita norma sul litisconsorzio necessario, benché la disciplina sostanziale già prevedesse la unicità dell'accertamento nei confronti delle società di persone e dei suoi soci. Il giudizio di appello, invece, è stato celebrato secondo la nuova normativa (D.Lgs. n. 546 del 1992) e, quindi, nella specie, andava, e va, applicata la disciplina del litisconsorzio necessario, in ossequio al disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art.79, comma 1. Infatti, secondo tale disposizione, le uniche norme che
non si applicano nel giudizio di appello, celebrato secondo le nuove disposizioni, quando il primo grado sia stato disciplinato dal D.P.R. n. 636 del 1972, sono quelle relative al divieto di nuove eccezioni e
nuove prove in appello. Tutte le altre disposizioni, comprese quindi quelle relative al litisconsorzio necessario, dovevano essere applicate dalla Commissione tributaria regionale investita del giudizio di appello. Questa, vigendo già la nuova disciplina, avrebbe dovuto rilevare l'esistenza del litisconsorzio necessario originario e rimettere la causa in primo grado per la celebrazione del giudizio nel rispetto di quanto dispone Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14. A parte la considerazione, già evidenziata, che la
sussistenza dei presupposti normativi sostanziali del litisconsorzio necessario originario, nella specie, risalgono alla riforma fiscale del 1972/1973.
2.8. Da tutto quanto sopra esposto deriva che, nel caso in cui venga proposto ricorso avverso un avviso di rettifica della dichiarazione dei redditi di una società di persone, o avverso un avviso di rettifica notificato ad un socio, in conseguenza della rettifica del reddito della società, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario originario tra tutti i soci e la società, purché il ricorso venga proposto per contestare il reddito della società o le modalità del suo accertamento; ricorre, invece, una ipotesi di litisconsorzio necessario, solamente tra i soci, quando il ricorso introduttivo abbia ad oggetto la mera ripartizione del reddito, anche quando il socio contesti la propria qualità (nel qual caso gli altri soci hanno interesse a contrastare la tesi del ricorrente, il cui accoglimento determina un incremento del loro carico fiscale). È esclusa ogni ipotesi di litisconsorzio necessario quando venga eccepita, da chiunque (società o soci), la intempestività della notifica dell'avviso di accertamento e, quindi, la decadenza dell'ufficio dal potere impositivo nei confronti del singolo destinatario dell'atto, senza che ciò comporti ripercussioni per gli altri.
Nella specie, i soci Deon e Lotito, sostanzialmente, contestano l'accertamento notificato alla società e, conseguentemente, lamentano la mancata sospensione del giudizio in attesa della decisione ritenuta pregiudiziale, in forza dell'art. 295 c.p.c.. Osserva, invece il Collegio, che la fattispecie sub iudice ricade nell'ambito della disciplina del litisconsorzio necessario, di cui non hanno tenuto conto i giudici di merito e che, trattandosi di violazione che comporta il "difetto di integrità del contraddittorio", deve essere rilevata di ufficio, con le conseguenze di legge (Cass. 11916/2000, 23628/2006, 17581/2007). In definitiva, quando ricorra l'ipotesi del litisconsorzio necessario originario, come quello in esame, il giudice deve attenersi alle seguenti regole:
a) se tutte le parti hanno proposto autonomamente ricorso, il giudice deve disporne la riunione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art.29, se sono tutti pendenti dinanzi allo stessa Commissione (la
facoltà di disporre la riunione si trasforma in obbligo in considerazione del vincolo del litisconsorzio necessario). Altrimenti, la riunione va disposta dinanzi al giudice preventivamente adito, in forza del criterio stabilito dall'art. 39 c.p.c., anche perché con la proposizione del primo ricorso sorge la
necessità di integrare il contraddittorio e quindi si radica la competenza territoriale, senza che possa opporsi la inderogabilità della stessa, sancita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 5, comma 1. Il valore della integrità del contraddittorio, garanzia del giusto processo, tutelato da norma costituzionale (art. 111 Cost., comma 2), giustifica la deroga della competenza territoriale; ovvero, la proposizione del primo ricorso determina il radicarsi della competenza territoriale per tutti i litisconsorti, sulla base del criterio, stabilito per legge (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14) del simultaneus processus;
b) se, invece, uno o più parti non abbiano ricevuto la notifica dell'avviso di accertamento, o avendola ricevuto non l'abbiano impugnato, il giudice adito per primo deve disporre l'integrazione del contraddittorio, mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza (D.Lgs. n. 546 del 1992, art.14, comma 2). Va affermato, dunque, il seguente principio di diritto: "La unitarietà dell'accertamento che è (o deve essere) alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società ed associazioni di cui all'art. 5 cit. TUIR e dei soci delle stesse (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40) e la conseguente automatica imputazione dei redditi della società a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili, indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società, anche avverso un solo avviso di rettifica, riguarda inscindibilmente la società ed i soci (salvo che questi prospettino questioni personali), i quali tutti devono essere parte nello stesso processo, e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1), perché non ha ad oggetto la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell'obbligazione (Cass. SS.UU. 1052/2007); trattasi pertanto di fattispecie di litisconsorzio necessario originario, con la conseguenza che:
- il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati, destinatario di un atto impositivo, apre la strada al giudizio necessariamente collettivo ed il giudice adito in primo grado deve ordinare l'integrazione del contraddittorio (a meno che non si possa disporre la riunione dei ricorsi proposti separatamente, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29); il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è nullo per violazione del principio del contraddittorio di cui all'art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 2, e trattasi di nullità che può e
deve essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio".
2.9. Conseguentemente, nella specie, il ricorso deve essere accolto, in quanto l'intero rapporto processuale si è sviluppato in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14; quindi, va cassata la sentenza impugnata e quella di primo grado e la causa va rinviata alla Commissione tributaria provinciale di Busto Arsizio, per la celebrazione del giudizio di primo grado nei confronti di tutti i litisconsorti necessari. Il giudice del rinvio dovrà disporre l'integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14. L'eventuale formazione di giudicati parziali (riferiti, cioè, a singole posizioni), saranno valutati tenendo conto dei limiti soggettivi stabiliti dall'art. 2909 c.c.. Il principio del contraddittorio e il diritto di difesa impediscono di opporre il giudicato a chi non ha partecipato al processo o non è stato messo in grado di essere parte nello stesso. Il terzo, se una norma lo prevede (come l'art. 1306 c.c.) può beneficiare del giudicato inter alios, ma non può esserne pregiudicato. Questa conclusione, come è stato osservato in dottrina, nella materia tributaria è dovuta ai limiti soggettivi degli atti notificati dall'amministrazione finanziaria, prima ancora che ai limiti del giudicato. Ad analoga conclusione è giunta questa Corte in tema di annullamento di delibera assembleare, nel senso che "al di fuori dei casi di declaratoria di nullità o di annullamento della delibera assembleare, il giudicato formatosi nei confronti di soggetti diversi non può fare stato nei confronti del colegittimato non partecipante al giudizio. Pertanto, la sentenza, passata in giudicato, di rigetto della domanda di annullamento o di nullità della delibera assembleare di una società non fa stato nei confronti del socio (...) che sia rimasto estraneo a quel giudizio" (Cass. 10139/2007). Applicando lo stesso principio nella specie, si deve ritenere che il giudicato di annullamento dell'avviso di accertamento notificato alla società, fa stato nel processo relativo ai soci, in ragione del carattere oggettivamente pregiudiziale dello stesso, in relazione al quale la mancata partecipazione al giudizio dei soci non è stato di alcun pregiudizio agli stessi. La pregiudizialità dell'accertamento non subisce i limiti soggettivi del giudicato nei confronti dei soggetti i quali, per quanto non abbiano partecipato al contraddittorio, siano totalmente vittoriosi. In altri termini, l'annullamento dell'avviso di accertamento notificato alla società, giova ai soci che non hanno partecipato al giudizio, in quanto se avessero partecipano non avrebbero potuto fare di meglio. L'ufficio ha partecipato al giudizio (o è stato messo in condizione di parteciparvi) introdotto dal ricorso della società o di un socio e, quindi, non può invocare alcun limite del giudicato nei propri confronti. Analoghe considerazioni valgono in relazione all'eventuale annullamento parziale dell'atto di accertamento "presupposto", che giova ai soci che non siano stati parte nel giudizio, senza pregiudicarli nel giudizio di annullamento totale. Si può dire che nella specie si verifica una sorta di pregiudizialità secundum eventum litis, che non giustifica la sospensione del processo pregiudicato, ma produce effetti, positivi e negativi, nei confronti dei soggetti che abbiano partecipato al processo ed effetti soltanto positivi nei confronti dei litisconsorti rimasti estranei al giudizio. I limiti soggettivi del giudicato garantiscono che nessuna statuizione pregiudizievole venga adottata senza che il destinatario di tali statuizioni si sia potuto difendere.
In sintesi, l'annullamento dell'avviso di accertamento notificato alla società, sancito con sentenza passata in giudicato, spiega i suoi effetti a favore di tutti i soci, i quali possono opporlo alla amministrazione finanziaria, che è stata parte in causa nel relativo processo (esercitando quindi, senza limitazioni di sorta il diritto di difesa). A meno che l'annullamento non sia stato pronunciato per tardiva notifica dell'atto impositivo (decadenza), o per altra causa non rapportabile ai soci (ad es. nullità della notifica, vizi di motivazione dell'atto notificato alla società che non ricorra anche nell'avviso notificato ai soci). Così, pure, gli effetti del giudicato di annullamento non si estendono al socio nei cui confronti sia intervenuto, intanto, un giudicato diretto di segno contrario, che abbia avallato l'accertamento effettuato dall'ufficio (v. Cass. 3306/2003). Ma, a ben vedere, anche il giudicato di annullamento
dell'accertamento, pronunciato a seguito di ricorso proposto dal singolo socio, per cause non personali, può essere opposto dalla società, e/o dagli altri soci, all'amministrazione finanziaria. Questa, infatti, è parte necessaria in tutti i ricorsi e, quindi, non può eccepire alcuna violazione del principio del contraddittorio o del diritto di difesa. Vale a dire, i contribuenti possono opporre all'amministrazione finanziaria ogni decisione di annullamento dell'avviso di accertamento del reddito imputato alla società (che non sia stata pronunciata per cause non estensibili), perché non vi osta il limite soggettivo del giudicato. L'amministrazione, invece, non può opporre il giudicato a lei favorevole se non a coloro che hanno partecipato al relativo processo. Tuttavia, il giudicato formatosi nel giudizio promosso su ricorso di tutti i soci avverso gli avvisi di accertamento loro notificati ai fini IRPEF, estende i suoi effetti nei confronti della società, in relazione all'avviso di accertamento notificato ai fini ILOR, e, quindi, può essere opposto dall'amministrazione finanziaria anche alla società: "Nelle società di persone, l'unificazione della collettività dei soci (che si manifesta con l'attribuzione alla società di un nome, di una sede, di un'amministrazione e di una rappresentanza) e l'autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali (che si riflette nell'insensibilità, più o meno assoluta, di fronte alle vicende dei soci e nell'ordine, più o meno rigoroso, imposto ai creditori sociali nella scelta dei beni da aggredire) costituiscono un congegno giuridico volto a consentire alla pluralità (dei soci) una unitarietà di forme di azione e non valgono anche a dissolvere tale pluralità nell'unicità esclusiva di un "ens tertium". Pertanto, mentre sul piano sostanziale va esclusa, nei rapporti interni, una volontà od un interesse della società distinto e potenzialmente antagonista a quello dei soci, sul piano processuale è sufficiente, ai fini di una rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti della società, la presenza in giudizio di tutti i soci, facendo poi stato la pronuncia, nei confronti di questi emessa, anche nei riguardi della società stessa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che la proposizione della domanda di annullamento di un atto di cessione delle quote sociali intervenuto tra i soci di una società in nome collettivo richiedesse l'instaurazione del contraddittorio anche nei confronti della società)", (Cass. 7886/2006). Per completare il quadro delle possibili situazioni che il giudice del rinvio dovrà governare, va chiarito che l'eventuale produzione in giudizio di sentenze passate in giudicato che, a causa dei limiti soggettivi del giudicato stesso, non abbiano efficacia vincolante (ad es. sentenza favorevole all'amministrazione finanziaria pronunciata nel giudizio relativo alla società o a singoli soci) nei confronti del contribuente ricorrente (un socio e/o la società che non abbia partecipato al giudizio), pur non producendo gli effetti tipici del giudicato non è tamquam non esset. Il contenuto della decisione prodotta in giudizio dovrà essere oggetto di autonoma valutazione e di specifica motivazione, come accade per la produzione di qualsiasi documento rilevante nel giudizio, esclusa, quindi, la possibilità della mera motivazione per relationem (v. Cass. 14056/2006). Quanto agli accertamenti divenuti definitivi perché non impugnati, vale la regola già ricordata della non autonoma impugnabilità (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 6) e della opponibilità all'amministrazione finanziaria del giudicato favorevole al contribuente, che si formi nel giudizio nel quale lo stesso intervenga come litisconsorte, con il solo limite della non ripetibilità di quanto pagato (per il completo esaurimento degli effetti del rapporto tributario).
2.10. Infine, questa Corte ha già evidenziato che il principio della ragionevole durata del processo non può essere di ostacolo alla totale cancellazione del processo celebrato in violazione del principio del contraddittorio, in quanto il primo principio "è un valore solo nella misura in cui sia funzionale all'effettività della tutela giurisdizionale, la quale non può risolversi esclusivamente nella celerità del giudizio, ma richiede l'operatività di strumenti processuali capaci di garantire la realizzazione di una omogenea disciplina sostanziale dei rapporti giuridici" (Cass. 1052/2007, punto 5 della motivazione).
2.11. Quanto alle spese, nulla da deliberare per il giudizio di cassazione, nel quale la parte soccombente non ha svolto alcuna attività difensiva. Lo stesso dicasi per le spese del giudizio di primo grado, svoltosi sotto il vigore del D.P.R. n. 636 del 1972, che non prevedeva condanna alle spese. Le spese del giudizio di appello vanno compensate in ragione della novità del principio di diritto affermato.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e quella di primo grado e rinvia la causa alla Commissione tributaria provinciale di Busto Arsizio. Compensa le spese del giudizio di appello. Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2008


Scarica copia del provvedimento: Cassazione Sezioni Unite Sentenza 14815 del 2008

 

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